
Bring Me The Horizon – Autentica evoluzione artistica o spinte commerciali?
Nuova collaborazione per i BMTH (band inglese attiva dal 2004), “Bad Life” con Sigrid, giovanissima cantante norvegese.
Non è l’unico improbabile accostamento nato ultimamente, “Bad Habits” con Ed Sheeran fa pensare al binomio fantastico di Gianni Rodari, non vale solo per vocaboli e storie da inventare, quanto più distanti e al primo sguardo inconciliabili possano sembrare due elementi, tanto più imprevedibili potrebbero rivelarsi le potenzialità espressive ancora latenti.
Proprio per la loro tendenza a sperimentare, per il loro essere in continuo divenire, sarebbe alquanto complicato strutturare le riflessioni sullo stile dei BMTH appoggiandosi ai sottogeneri musicali. Cosa ancor più importante, non avrebbe senso disquisire sull’infinità di etichette predefinite nelle quali ci si deve infilare a tutti i costi e dalle quali si tenta poi di evadere in cerca di una forzata originalità.
Parliamo quindi senza tecnicismi, abbandonando i compartimenti stagni delle deviazioni musicali senza crearne di nuovi, parliamo semplicemente di sonorità, di vibrazioni.
Parliamo di autenticità in ogni sua forma, la cerchiamo.
Metalcore, Alternative Rock, Avant-garde? A chi interessa?
Non è un crimine avere un’opinione indipendentemente dalla categoria più seguita, spaziare tra i generi e apprezzarne molti, in base allo stato emotivo nel quale ci si trova per esempio.
Dolcevita (nonostante resti nei confini reggae e hip hop quando tratta artisti specifici) aveva scritto qualcosa al riguardo, trovo interessante questo articolo uscito tempo fa, in particolare la sua conclusione.
Certo, scream e growl sono molto graditi, una lirica intensa viene percepita come espressione ultima dell’anima e un bel giro di batteria può dare i brividi ma in definitiva, è tutto piuttosto personale.
Elettronica, melodia. Vanno bene entrambe! Perchè focalizzarsi e non uscire mai dai binari?
Denigrare qualsiasi scostamento e giudicare dalle apparenze cercando di imporre la propria visione, spesso senza apertura e senza conoscere, è un fenomeno lampante di questi tempi, così anche nella musica.
Camminiamo quindi in un campo minato rischiando l’ira dei puristi con queste affermazioni ma, a chi interessa?
Oliver Sykes è indubbiamente cambiato, dall’uscita di “Amo” (sesto album in studio), sembra voler indossare i panni di un vero frontman: eccentrico e teatrale.
Non possiamo però sapere cosa stia realmente accadendo dentro la sua testa, è ancora lì da qualche parte il ragazzo tormentato che riversa nei testi il suo dolore?
Svuotando i polmoni durante i live fino all’ultimo soffio d’ossigeno, in simbiosi con chi sente e vive profondamente quelle note, quelle sillabe e quelle sensazioni, sopra e sottopalco, senza distinzione.
La passione che vibra con le corde vocali, quelle di tutti.
Questo era Oli, questo erano i BMTH.
Ora? Chissà!
Il brano con Machine Gun Kelly, tenendo conto anche del vecchio dissing con Eminem, fa riflettere sulle possibili strategie di marketing utilizzate dagli artisti per darsi visibilità a vicenda, sulla manipolazione mediatica e sui modi di porsi che sembrano essere imposti causa la direzione a senso unico imboccata da questa società folle.
Diventa complicato discernere le scelte aziendali dalla vera essenza di ognuno, considerando anche le varie contaminazioni e le influenze genuine che possono derivare dalle unioni di ricerca sperimentale.
Crescere e cambiare sono due verbi intrinsecamente legati tra loro, nell’arte come nella vita, in generale.
Il processo è inevitabile e implica dei passaggi, sarebbe preoccupante non riscontrare alcun mutamento, ci troveremmo nell’immobilità, nella stasi.
Ci stiamo solo chiedendo in quali casi sia un percorso naturale e in quali indotto.
In ogni caso, stiamo a vedere sperando che quei corpi estranei, i granelli di sabbia depositati nei loro cuori durante il viaggio, si trasformino nelle perle che stanno cercando.
Illuminanti e uniche, come le gemme che continueranno a risplendere in “That’s the spirit” e in “Sempiternal”, miglior album di sempre, comunque vada.
Mai si disperderà la travolgente energia di “Shadow Moses”.

