XVI Religion – Religion
John Princekin, una mente infinita la sua, a tratti difficile da decifrare perchè immensa nella sua profondità.
Visto che l’abbiamo incontrato per ben tre giorni, andiamo a chiudere la settimana tematica riportando qualche stralcio di una sua intervista, rilasciata in occasione dell’uscita di Pyramid.
Chi meglio di lui puà farci comprendere gli intenti che spingono l’arte dei XVI Religion sempre avanti e sempre più su?
“A noi piace la fantascienza, ci mettiamo delle visioni un po’ nostre, un po’ di quello che vediamo in giro, un po’ di come ci immaginiamo l’incubo della vita che tentiamo di riprodurre tramite la nostra musica…tentiamo sempre di far pensare con noi il nostro ascoltatore, facciamo una riflessione insieme a loro. Abbiamo un riscontro di determinati tipi di persone che la pensano come noi su quello che può essere la società e il pensiero dell’uomo. Sono delle riflessioni su quello che è odierno tramite immagini di fantasia e mostri…Lo scopo è non sentirsi soli…Noi tentiamo con la nostra musica di far capire a tutte queste persone che si sono distaccate dalla società che non sono da sole, ci siamo anche noi che la pensiamo come loro e insieme a noi tantissima gente…”.
Jodorowsky diceva che bisognava pensare ad ogni nostra cellula come se fosse un universo infinito, concludiamo con una delle visioni più belle di Princekin in risposta a questo pensiero.
“…noi siamo tutti universi, differenti ed ingiudicabili perchè nessuno può giudicare il trascorso di un universo. Però allo stesso tempo tanti universi non si accorgono di essere infiniti e quando noi parliamo nei testi di questo non facciamo mai riferimenti odierni, ma aurei proprio per far capire che la coscienza di ogni individuo è infinita e ineguagliabile. Dobbiamo sentirci universi per essere davvero infiniti.”
Il pezzo si apre con una bellissima citazione tratta dal film “Stalker”.
Può apparire paradossale una visione nella quale la musica è totalmente slegata dall’ideologia viste le analisi dei testi presi in considerazione finora, che rappresentano l’esatto opposto, l’attivismo che si manifesta proprio attraverso l’arte per arrivare dritto al cuore.
La vera essenza della vecchia scuola e dell’underground è senza dubbio questa, è l’espressione di tale concetto.
In particolare se parliamo di rap, è la rappresentazione e la condivisione dei propri ideali, le rime come strumento, come mezzo comunicativo per il raggiungimento di una consapevolezza maggiore anche a livello di crescita individuale, traguardi che diventano il fine ultimo in un continuo vorticare di pensieri e riflessioni, il piacere che deriva dai semplici incastri di parole, dai riferimenti fino alle analogie.
L’intro si riferisce quindi alla musica come suono universale, in questo caso può alludere alla base con tutte le sue sfaccettature, dalla più semplice alla più elaborata con loop e campionamenti vari.
Credo che in gran parte sia una questione di gusti personali, anche se la complessità di un singolo beat può lasciare senza fiato, a volte il grezzo “bum cha” con la classica e “semplice” metrica o con gli stratagemmi del flow per stare sui 4/4 può essere altrettanto sconvolgente, questa è solo la mia opinione e non vorrei risultare troppo di parte perchè per certi versi adoro quello stile, così come nell’elettronica adoro la minimal, quindi forse non faccio testo.
Mi piace pensare che più nello specifico la citazione possa rappresentare un omaggio allo scratch, altra caratteristica distintiva della cultura hip hop che merita il suo spazio.
Ho scelto “Religion” proprio per questo motivo, per gli scratch che contiene, per valorizzare questa tecnica che è in grado di regalare momenti di intensa emozione mentre ti ritrovi a scivolare anche tu avanti e indietro con la manipolazione del tempo perdendoti nella distorsione del suono sul vinile, mentre ti abbandoni facendoti cullare o trascinare, a seconda dei pezzi, dal cursore.
La musica può andare oltre le parole, forse può arrivare molto più in profondità, lo si capisce quando ci si ritrova accanto a persone che non parlano la stessa lingua, il banco di nebbia comunicativo si dissolve in un secondo, spazzato via dall’incalcolabile potere unificante del suono.
Niente a che vedere con quello che siamo soliti chiamare linguaggio, ma ciò non è inteso come l’ allontanamento dal concetto di comunicazione, al contrario, è il soffermarsi a riflettere sulle sue più svariate molteplicità, quelle ritenute possibili e perchè no, anche quelle che vengono confinate nell’ambito della suggestione.
Per intenderci, la sinergia che provano le persone accalcate sottopalco, mentre il battito dei loro cuori si sincronizza, non si può considerare vera comunicazione?
Le esperienze telepatiche sono tutte sapientemente spiegate dalla scienza con la sua tipica prospettiva riduzionistica? Spesso vengono catalogate come semplici allucinazioni.
La musica assume un ruolo centrale in tutto questo, almeno per quanto riguarda la mia personale esperienza.
Tornando alle pulsazioni, Benni apre la prima strofa con uno dei contenuti che preferisco, è il cuore che indica la strada.
Non importa se le avversità contribuiscono alla costruzione di quella corazza che lo rende inaccessibile dall’esterno, lo possiamo sempre raggiungere dall’interno.
Possiamo scegliere di tenerlo stretto, tendere l’orecchio per afferrare i suoi sussurri, per capire cosa davvero intende dirci, dove vuole portarci. Sta a noi decidere se seguirlo o soffocarlo.
In un mondo che non sentiamo più nostro, lasciamo andare tutto e il tutto perde il suo significato, non ci facciamo più impressionare dall’assurdità dei tempi che corrono, ormai non inorridiamo più di fronte all’insensatezza inumana.
L’unico baluardo ancora in piedi è la nostra musica, che fa sempre rabbrividire di piacere, è la schiettezza e la genuinità di questa passione condivisa.
Tornando alla sinergia del sottopalco, non è in alcun modo possibile scordarsi delle sensazioni che si provano ai live, quando chi sta sopra al palco versa ogni singola goccia di se stesso nelle casse e attraverso di esse colma le anime aperte e recettive, stabilendo un contatto.
Contatto che in qualche modo si trasforma in legame e si salda indissolubilmente.
Mai più soli.
“Dieci di noi posson bastare per cento di loro”
Vari riferimenti all’ipocrisia, all’alienazione e alla perdita di valori umani.
Non sono poche le difficoltà che si riscontrano di continuo nei rapporti con le persone, con la maggior parte di loro almeno.
Rarissimo invece trovare teste in sintonia, combattiamo perciò in pochi, ma compatti.
Delusi dal genere umano per l’ennesima volta perchè abbiamo creduto, di nuovo, in un legame fittizio, che in realtà esisteva solo in funzione di qualche tornaconto, qualunque sia l’interesse in questione.
Non ha importanza. Materiale o immateriale.
Per ottenere qualcosa di concreto o semplicemente per il bisogno di gonfiare l’ego e per la volontà di ostentare ciò che non si è realmente.
Questo genere di comportamento è diffusissimo, per gli eterni idealisti diventa pesante incorrere in queste dinamiche di continuo, perchè il fatto che siano ricorrenti purtroppo non riduce la delusione che portano con sè, accompagnata da una disillusione profonda, con il tempo ci si fa l’abitudine, isolandosi automaticamente per non dover affrontare quel tipo di mondo.
Una nota positiva non manca mai, anche nelle situazioni peggiori si può trovare qualcosa di buono, di certo trarne insegnamento, in questo caso sbattere contro la falsità non ci spezza, ci rinforza e soprattutto ci ricorda di restare sempre veri, in ogni istante.
“Per ogni scambio di coscienza che mi porterò per sempre dentro
Per ogni notte in cui ci penso mentre mi addormento
Cerco qualcosa di introvabile, roba da lacrime”
Pura poesia che merita di essere riportata e semplicemente sottolineata, perchè non è necessario aggiungere altro, non avrebbe senso.
Non poteva mancare un accenno alla Placca Pioneer che richiama buona parte delle tematiche ricorrenti del gruppo.
Segue lo scratch con il campionamento dei seguenti versi:
– “Goditi il presente perché da domani non t’assicuro niente”
tratto da “Goditi il Presente” dei Lyricalz.
– “A favore di chi è nella merda da una vita e fa parlare di sé”
tratto dalla strofa di Lord Bean nel brano “Gli occhi della strada” in “Dio Lodato” di Joe Cassano.
Lo scratch alla fine del pezzo è favoloso, sono pittosto certa si tratti della voce campionata di Gruff ma non sono riuscita a trovare la traccia originale. Se qualcuno la riconosce me lo può far sapere??? Pleeeease!
Avanti…Entra Princekin nella seconda strofa con il suo dono evocativo, facendoci sempre alzare il mento verso il cielo, col suo sentirsi radicato e indivisibile dall’universo intero che alimenta l’arte, che accompagna le anime sul sentiero tracciato da un ideale, valori tanto forti da non poter essere dimenticati.
La passione che unisce, arde incessantemente, ci fa sentire meno soli e dona la forza di andare avanti, qualsiasi sia la condizione nella quale ci troviamo.
Con “rifugio di fortuna” potrebbe far riferimento anche alla nostra Terra, che ospita ma non possiede per citare Princekin in un’altro suo pezzo, lo sguardo sempre rivolto verso qualche nebulosa lontana, l’essere parte del tutto, il percepirsi come universi infiniti.
Unificati da questo ardore non solo smettiamo di sentirci dispersi e isolati, ritroviamo lo slancio e la conseguente energia che ci permette di mantenere un’attitudine positiva verso la vita, l’atteggiamento costruttivo necessario a realizzare ciò in cui crediamo.
In cosa crediamo?
In un sogno, in un futuro progettato su fogli scarabocchiati, sui quali l’inchiostro dilaga dando forma ad oceani sconfinati, senza più ostacoli.
I sogni e l’amore sono sullo stesso piano e non si vendono, nè si comprano; non si possono proprio stimare, nè sciupare o depredare.
Questo è un concetto che si comprende solo ed esclusivamente vivendolo.
Il verso che segue riguardo ai social lo condivido molto.
Non ho mai avuto un profilo facebook, quando mi chiedevano un contatto spesso ero costretta a giustificarmi, a sorbirmi la stessa, inutile retorica.
Sei tagliato fuori dal “mondo”, perdi l’opportunità di tenerti in “contatto” con gli “amici”, rinunci a tutte le comodità “gentilmente offerte” e non puoi evitarlo per sempre, dovrai adeguarti.
Spero sia già abbastanza chiaro il senso di tutte quelle virgolette, a volte le parole assumono un significato estremamente diverso da quello che potrebbe essere il loro valore universale, in base ai caratteri intrinseci che ognuno associa a quel determinato vocabolo.
Quando due persone pronunciano lo stesso identico termine non stanno necessariamente dicendo la stessa cosa, vogliono comunicare quello che secondo loro quella parola rappresenta ma non è detto che entrambi ci vedano dentro le stesse cose. Per questo a volte il linguaggio crea delle grosse interferenze.
Tornando ai social, esclusa l’unione iniziale per la scelta vaccinale, i primi gruppi che mi è capitato di frequentare su telegram sono quelli che stanno spuntando come i funghi in questo periodo pandemico di azioni liberticide e continue violazioni dei diritti individuali e collettivi.
Potrebbe essere una forma di aggregazione positiva se non fosse per l’atteggiamento generalizzato che si riscontra in questi contenitori di dissenso già altamente compartimentati dove una buona parte di chi si definisce “illuminato” giudica il resto del mondo con la stessa arroganza che dice di voler combattere, torna nello stesso recinto dal quale dice di voler uscire focalizzandosi sempre sui soliti argomenti nel tentativo di scardinare quei meccanismi che invece si ritrova inconsapevolmente ad alimentare.
Seguendo l’esempio di Princekin: chi ha orecchie per intendere, intenda. Chiusa parentesi.
Non poteva mancare infine un accenno ai viaggi interstellari tanto amati dai XVI Religion, che già nel 2016, forse percependo l’avvicinarsi di un periodo buio come quello che stiamo attraversando ora mentre scrivo, sentirono il bisogno di “radunare adepti per la fine dell’opera”.
Anime libere da ogni limite imposto, che sviluppano la capacità di elevarsi oltre i loro confini, che non hanno bisogno dell’approvazione di nessuno e “brillano di luce propria”.
Quella luminosità essenziale a spazzare via l’oscurità che avanza inesorabile, quella tenebra che ci avvolge, troppo spesso senza incontrare resistenza, senza alcuna difficoltà.