John Princekin – Il tuo amico di penna
John Princekin faceva parte dei 16 Barre, ai quali abbiamo già accennato nella prima analisi della settimana.
Con le cuffie nelle orecchie come tutte le mattine infilo gli anfibi ed esco per andare al lavoro, sorrido mentre varco la porta d’ingresso e realizzo ciò che ho appena sentito, l’inconfondibile e graffiante voce di Princekin che apre la prima strofa dicendo:
“Dai usciamo, mettiti le scarpe, oggi visita su Marte”, mi blocco perplessa per qualche secondo prima di girare la chiave nella serratura e mi dico divertita…
“Vaaaaa bene! Ci sono, scarpe messe e sto proprio uscendo! In realtà dovrei recarmi al lavoro ma quando mi ricapita un viaggio sul pianeta rosso?”.
La vicina che passa la sua esistenza alla finestra avrà sicuramente pensato che come al solito stessi parlando da sola, ma stavolta no! Stavo rispondendo alla bellissima sincronicità che l’universo mi aveva regalato.
Faccio ripartire la canzone mentre mi metto alla guida e mi perdo tra quei monti gialli e quella sabbia finissima, devo ammettere di essermi davvero abbandonata alla sua capacità evocativa.
Ho avuto qualche difficoltà nel decidere come proseguire sull’analisi perchè non conosco i lavori da solista di John Princekin, ma sono rimasta piacevolmente sorpresa, questo pezzo mi è piaciuto molto.
Con il suo intro tratto da Waking Life non poteva mancare nella nostra settimana tematica quindi alla fine ho scelto di inserirlo ugualmente e mi sono ritrovata a sorridere di nuovo perchè proprio di scelte tratta.
Non ho la pretesa di spiegare nel dettaglio ogni suo riferimento e non mi sento in grado di azzardare un’interpretazione che vada oltre le mie semplici riflessioni su alcuni specifici passaggi.
Tra le particolarità che mi hanno fatto innamorare di questo genere c’è la seguente: certi pezzi li assapori piano piano, un po’ come quando conosci una persona e ogni volta scopri qualcosa di nuovo su di lei, come se la stessi spogliando lentamente, sotto a ogni parte superficiale che levi, trovi qualcosa di più profondo e arrivi a comprendere la sua interiorità.
Accade proprio come quando incontri qualcuno, i punti che si hanno in comune sono quelli che spesso tendono ad avvicinare inizialmente, così come i significati che cogli al primo ascolto di una canzone sono quelli che magari risuonano di più con la sinfonia del tuo mondo, con la percezione della tua realtà.
Proseguendo nella conoscenza è probabile trovarsi in disaccordo ogni tanto, non condividere proprio tutti gli interessi o pensarla in modo totalmente diverso su determinate questioni, così come nella musica, è possibile rimanere incantati da un singolo brano pur non conoscendo o non condividendo tutte le tematiche trattate dall’artista.
Durante gli ascolti successivi, in base al tempo passato e al proprio percorso di crescita si capiscono cose sempre diverse, maggiori dettagli, particolari che non ti avevano minimamente sfiorato, un po’ come capita con certi libri, i più belli.
Il messaggio che ho ricevuto dalla prima strofa è semplice e lo condivido parecchio, è sconfinata la follia di questa nostra società moderna, così frenetica e sempre in corsa verso il nulla.
Si ha la sensazione che più niente abbia valore, fatta eccezione per quello economico.
E’ difficile credere che nonostante la meta sia inesistente, le energie impiegate nel rincorrere quel fine illusorio siano reali, ma in definitiva lo sono e da qualche parte inevitabilmente porteranno, senza la minima cognizione di causa probabilmente ci condurranno proprio verso quel nulla, ma non sarà certo…nulla di buono.
Il ritornello mi ha colpita molto, mi ha trasmesso un forte senso di unione, consolidando i pensieri di questo ultimo periodo e confermandomene soprattutto uno: perchè continuare a focalizzarci sulle differenze anzichè lasciar confluire i punti di forza verso un unico obiettivo?
Verso qualcosa di vero, in fondo, non abbiamo tutti lo stesso sole davanti?
Pure il riferimento all’istinto che tanto è andato perduto con il sopravvento della fredda ragione mi è piaciuto tanto, avendo continuamente a che fare con quel tipo di “razionalità” che appare sempre e paradossalmente più folle del semplice sentire. Qualunque sia alla fine la destinazione, ci arriveremo tutti in un modo o nell’altro, prima o poi.
Trovo la seconda strofa ancora più significativa per quanto riguarda le scelte, i limiti mentali che spesso ci autoimponiamo, l’ostinazione nel restare ancorati a ciò che sarebbe meglio lasciar andare prima che trascini tutto giù con sè.
A volte accade perchè si è lavorato tanto su quella precisa rotta e il solo pensiero di rimettere tutto in discussione terrorizza, a volte semplicemente non si vedono alernative all’orizzonte e si preferisce restare a galleggiare sul posto, dimenticandosi perfino della sete, nell’attesa di veder comparire un ombra stagliata nel cielo, perchè non si trova il coraggio di mettersi a nuotare verso lo sconfinato mare aperto senza sapere cos’ha in serbo il futuro, oltre quella misteriosa e netta linea che divide acqua e nuvole.
So, my mind bring me the horizon and go on.
“E allora alzati, vieni con me che ti mostro quanto sbagli
Quanto è facile voltare pagine e cucire tagli
Non è vero che non è una scelta aperta
Questo è un fiume dove ogni ramo è collegato nel suo delta”
Pura poesia, credo che i miei versi preferiti siano questi, tornando al fatto che siamo tutti diretti verso lo stesso porto.
Capita di sentirsi in balia delle onde, attanagliati dalla paura di finire sotto, di non riuscire più a risalire in alcun modo e infine di affogare miseramente ma “tutto muta, nulla si ferma” e si trova il modo di stare a galla imparando a scivolare in mezzo al delirio, a seguire la corrente senza farsi travolgere.
Il pezzo si conclude con il monologo di Waking Life che ci siamo goduti oggi all’ora dei vespri seguito da un’altro estratto del film “L’attimo fuggente”.
Direi che si commentano bene da soli, lascia senza parole, e senza fiato per un istante, anche l’outro con un accenno a “Moonlight Sonata” di Beethoven.
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