Antropologia

Gli dei celtici della penisola iberica : Parte 3…

Arentio – Arentia

Etimologia

Per quanto riguarda la terza divinità del pantheon lusitano, Arenzio o Arentio, è spesso associata epigraficamente ad Arentia, una combinazione che delinea una coppia divina.

Una tesi precedente, quando i reperti archeologici erano ancora più scarsi, analizzava l’etimologia di Arentio o Arentia attraverso il prisma del latino, che deriverebbe poi da arens, che significa “secco” o “arido”. L’ipotesi è stata prontamente respinta dal suo stesso autore, il suffisso -entio essendo più associato alle lingue celtiche, lasciando una lacuna che è stata colmata molto più tardi dalla tesi di Blanca María Prósper, che suggerisce una radice proto-indoeuropea *h₁eor-, che significa “essere in movimento” o “correre”. Lo specialista suggerisce che questi teonimi deriverebbero da un idronimo, collegando così queste divinità all’acqua.

Epiteti

La maggior parte degli epiteti attribuiti a queste divinità hanno un riferimento etnico, come :

Arentio Amrunaeco

Un nome accettato come quello di una tribù o di un nome di luogo derivato dagli Ambrones. Indica una tribù germanica che aveva invaso la Repubblica Romana, presente in Iberia. Diversi nomi nella penisola iberica derivano probabilmente dagli Ambrones, come Ambrona, Hambrón e Ambroa. Inoltre, se si guarda alla cronologia, le iscrizioni sono state incise dopo la migrazione degli Ambrones verso l’Hispania. Ciò suggerisce che questi popoli esercitavano un’influenza germanica in un luogo che all’epoca portava il loro nome, che oggi corrisponde alla città di Coria, in Estremadura.

Arantio Tanginiciaeco

Trovato a Idanha-a-Nova, Portogallo. Attraverso lo studio dell’antroponimia lusitana, apprendiamo che Tanginus era un nome molto comune, portato da un leader celtibero durante la guerra di Numantino. Questo epiteto può riferirsi a un individuo, una famiglia o un clan, implicando che Arentio è stato invocato in un contesto privato. Lo stesso valeva per Apollo o Mercurio. Un’altra prova che rafforza il legame di Arenzio con l’ambiente privato o familiare è il ritrovamento dell’altare delle zebre a Orca in un contesto domestico. È stato collocato vicino all’impluvium, un sistema per la raccolta e lo stoccaggio dell’acqua piovana, collocato nel cortile interno delle ville.

Numantia, Alejo Vera Estaca, 1880

Cesariciaecus

Cesariciaecus è un epiteto che appare senza il suo teonimio in un’iscrizione di Martiago, Salamanca. Deriva dal cognomen (soprannome tradizionale romano) Cesare. Altri esempi di questo tipo sono stati trovati come Titriaecius a Torremenga, derivato dal cognomen Tritius. Oppure Arantoniceus, legato all’antroponimo Arantonius, e infine Tabaliaenus rinvenuto a Garases, nelle Asturie, derivato dal cognomen Tabalus.

Arentio Cronisensi

Un epiteto relativo al nome di un luogo o all’identificazione di una tribù, a causa della sua fine in -ensi

Arentiae e Arentio Eburobricis

Qui l’epiteto è plurale, in quanto si parla sia di divinità, maschili che femminili. Anche in questo caso si tratta di un nome di luogo sicuro, poiché il finale -bricis si riferisce al suffisso celtico -brig, che viene usato nei toponimi.

Eburo significa tasso in lingua celtica, Eburobriga significa quindi letteralmente città di tassi. Herminius Mons ci dice che non lontano da Fundão, la città dove sono state trovate queste iscrizioni, esiste ancora un villaggio chiamato Teixoso, nel comune di Covilhã. Teixo significa tasso in portoghese e -così è un suffisso spesso usato nei nomi delle località. In realtà, il villaggio ha ricevuto questo nome a causa della presenza di molti alberi di tasso nella zona in passato. Inoltre, sebbene sia molto probabilmente una città non legata all’antica Eburobriga, è una testimonianza dell’esistenza di luoghi attuali e molto vivaci che prendono il nome dagli alberi.

Foresta di tassi, Kingley Vale, Inghilterra

Arentia Ocelaeca e Arentio Ocelaeco

Soprattutto, l’opera di Jorge de Alarcão ci informa anche che gli Ocelenses erano una delle tribù lusitane distribuite nella regione di Beira Interior in Portogallo. D’altra parte, queste iscrizioni sono state trovate a Covilhã, il luogo dove vivevano gli Olcelenses.

Arentiae Equotullaicensi

Anche se la parte tullaicensi dell’epiteto potrebbe forse riferirsi a un nome di luogo, è stato anche suggerito che potrebbe essere collegato alla parte precedente del primo, Equo, che deriva dal protoceltico *ekwos, che significa “cavallo”. Questo pezzo ci permetterà presto di rimettere insieme il mitico puzzle con brio.

Arentio Niaeteo

Trovato a Cerezo, nella regione di Cáceres in Spagna, deriverebbe dal protoceltico *natr- che significa “serpente”. Un serpente che è, nel paganesimo europeo, un simbolo degli antenati, il cordone ombelicale, oltre che un animale legato ai cicli eterni della natura, come si può vedere nell’esempio dell’Ouroboros nordico.

I Divini Gemelli

È un tema che si può trovare in molti altri rami culturali indoeuropei e la penisola iberica non fa eccezione. Alcuni esempi della presenza dei Divini Gemelli tra i nostri cugini in tutta Europa:

   • Forse il più popolare è il caso greco dei Dioskouroi, i Dioscuri, che letteralmente significa “Figli di Zeus”. Questa coppia è composta da Castore e Polluce, entrambi associati ai giovani e ai cavalli, con l’epiteto “cavaliere a cavallo” per Castore. Omero si riferiva ai Gemelli come “cavalieri su destrieri veloci”.

   • Nella regione baltica, gli Ašvieniai si trovano tra i lituani, un nome che significa “avere (trattare con) i cavalli”, noto anche come Dievo Sūneliai, i “Figlietti di Dio”. Simili a Diev deli nella mitologia lettone, sono anche associati ai cavalli. Dievas è il Dio del cielo lituano, mentre Dievs è l’equivalente lettone, entrambi affini a Zeus.

Artifatto d’epoca Vichinga, Bornholm, Danimarca.

• Per quanto riguarda il mondo germanico, citato nell’opera di Tacito Germania, in cui si riferisce che la tribù dei Nahanarvali venerava gli Alcis, una coppia di fratelli gemelli che Tacito stesso ha paragonato a Castore e Polluce. È stato suggerito che la triade Njörðr, Freyr e Freyja sia una versione evoluta del culto dei Divini Gemelli, dopo che non è stato trovato un equivalente esatto. Freyr e Freyja sono i figli gemelli di Njörðr, va notato che Freyr è talvolta associato ai culti dei cavalli. Tuttavia, il confronto non corrisponde a verità. Le opere del mio compagno O’Gravy tendono a dimostrare che Njörð è il Dio della Luna, affine a Soma, infatti la Luna era considerata la sorgente e la padrona delle acque, e Freyr un gemello divino unico. Questo farebbe di Freyja una Dea dell’Alba, quindi il culto dei Gemelli Divini si sarebbe evoluto nel mondo germanico così come in quello celtiberiano, con uno dei due gemelli che si ritirava o veniva assorbito dall’altro. Alla fine, il Dio della Luna è loro padre nel senso che l’Aurora e la Stella del Mattino nascono subito dopo la Luna, o che queste stelle sorgono dal mare, di cui il Dio della Luna è il padrone.

   • Nel mito anglosassone troviamo Hengist e Horsa, due figure leggendarie che avrebbero guidato l’invasione anglosassone della Gran Bretagna. Si dice che discendano da Woden, e i loro nomi significano rispettivamente “Stallone” e “Cavallo”. Il confronto del ruolo fondante di queste figure con i loro equivalenti latini, Romolo e Remo, è quindi del tutto giustificato.

Herngist e Horsa

   • Infine, nella cultura vedica, la cui origine risale ad antenati comuni, si possono trovare gli Aśvins o Ashvins, il cui significato è simile a quello del lituano Ašvieniai menzionato sopra. Gli Aśvins non fanno eccezione, essendo menzionati come entità, giovani e vigorosi, che guidano un carro trainato da cavalli.

Con l’etimologia di queste diverse interpretazioni dello stesso archetipo ormai consolidata, possiamo ora concentrarci sui loro miti per estrarre più somiglianze, indizi delle loro funzioni.

Il primo tema ricorrente con queste divinità è che spesso sono viste come salvatori. Protettori dei marinai nel caso dei Dioscuri, hanno anche la capacità di salvarli dal naufragio e di inviare venti favorevoli, o addirittura di aiutarli sul campo di battaglia, come quando intervenivano a favore dei locresi nella loro battaglia contro Crotone. Esiste anche un mito in cui essi salvano la loro sorella, Elena, dopo che fu rapita da Teseo e Pirithous.

Elena consegnata da Castore e Polluce, Jean-Bruno Gassies, 1817

Miti simili si possono osservare nel caso di Aśvins, hanno un legame con il mondo marino, quando salvano Bhujyu dall’annegamento dopo un naufragio, e i loro cardi e i loro destrieri sono descritti “come usciti dall’acqua”. Non solo aiutano le persone e i soldati in battaglia, ma compaiono anche in un mito in cui salvano la Figlia del Sole dall’annegamento quando affonda in mare. In Lituania i simboli e i numeri degli Ašvieniai sono usati nell’architettura popolare come protezione, soprattutto sulle sommità dei tetti, dove proteggono dagli spiriti maligni. Per quanto riguarda le suddette divinità nordiche, Njörðr è considerato il santo patrono dei marinai, proprio come i gemelli greci che controllano i venti e le maree.

Alla luce di tutte queste interpretazioni del nucleo comune indoeuropeo, diventa chiaro che questi popoli condividevano una matrice comune, e che questi archetipi divini avevano funzioni importanti nella religione di questi popoli, sia come figure fondatrici che come figure salvatrici.

Funzioni

Con il significato dei precedenti epiteti, stabilito grazie al loro studio etimologico, è giunto il momento di definire le funzioni delle divinità celtiberiane Arentio e Arentia, sulla base dei parallelismi precedentemente descritti.

A questo proposito, è molto istruttivo osservare la radice proto-indoeuropea *h₁eor- che significa “essere in movimento” o “correre” come abbiamo fatto in precedenza; ma anche i legami costantemente stabiliti tra i nomi dei Divini Gemelli e la parola cavallo in altre culture indoeuropee. Questa parola potrebbe inoltre derivare da due radici proto-indoeuropee: da *kers da un lato, che significa correre, e da cui deriva anche la parola inglese “horse”, o dalle parole *ekwos o ašva dall’altro, che ci giungono da *h₁éḱwos, “horse”. Questa radice potrebbe anche avere la sua origine in un’altra parola che significa “veloce” o “veloce”.

Tuttavia, Prósper, che aveva suggerito questo collegamento, pensava che i teonimi Arentio e Arentia provenissero da un idronimo, rendendo così il significato “correre” un collegamento al flusso dell’acqua.

Questo legame è fortemente sottolineato dai riferimenti acquatici percepibili negli altri miti: i Dioscuri sono i santi patroni dei marinai mentre il padre di Freyr e Freyja è il Dio nordico del mare, delle acque e dei marinai. Inoltre, il rapporto di Arentio e Arentia con i cavalli è sempre confermato dall’epiteto Equotullaicensi che abbiamo esaminato in precedenza.

Njörðr, Tim Solliday

Alarcão, pur concordando sul significato di “corsa” dei nomi delle divinità, rifiuta l’ipotesi che i loro nomi derivino da un fiume. Piuttosto, difende l’idea che il significato legato alla corsa debba essere associato agli stessi Lusitani, popoli guerrieri che secondo le fonti romane erano incredibilmente veloci e agili sul campo di battaglia. Continua la sua analisi suggerendo funzioni legate al dominio della guerra, senza escludere la possibilità che Arentio e Arentia siano divinità polifunzionali. Conclude che in tempo di guerra potevano essere invocate per questi scopi, ma che in tempo di pace erano considerate protettori delle tribù, delle famiglie e dei lignaggi, come la maggior parte dei loro epiteti hanno confermato.

Questa analisi li avvicina ancora una volta alle altre versioni dei Divini Gemelli: protettori di individui, famiglie o intere tribù, che aiutano sul campo di battaglia, risuonano con gli Aśvins vedici, gli Ašvieniai lituani e i Dioskouroi greci.

Castor and Pollux at the Battle of Lake Regille. Engraving from the collection of poems The Lays of Ancient Rome by John Reinhard Weguelin, 1880.

Herminius Mons ci dice che seguendo la logica di Alarcão, che originariamente pone all’origine dei teonimi di queste divinità gemelle un tratto specifico dei Lusitani, cioè la loro agile abilità sul campo di battaglia, è probabile che essi possano essere considerati da questa tribù come figure fondatrici. Questo argomento è sostenuto dal fatto che il culto di queste divinità era concentrato in una piccola area, il che rende la loro venerazione quasi esclusiva per i Lusitani. Sarebbe infatti strano vedere una tribù straniera adorare le figure fondatrici di un’altra tribù. Se la sua teoria è corretta, evidenzierebbe un parallelo tra la coppia Arentio – Arentia e Hengist – Horsa.

Tanto più se si tiene presente l’associazione di Arentio con i serpenti, simboli degli antenati, che renderebbero la coppia di divinità figure ancestrali divine. Se il loro nome significasse “correre” nel senso di acque correnti, si potrebbe creare un legame con la simbologia del serpente, che rappresenta il cordone ombelicale, collegato all’utero, dove il nascituro è immerso nel liquido amniotico. Il bambino torna in vita, il che implica la reincarnazione, e Arentio e Arentia, le figure ancestrali fondatrici, sono quindi legate alla rinascita e agli antenati. Arentio rappresenta quindi l’antenato maschile, mentre Arentia rappresenta l’antenato femminile, la madre che nutre, il bambino che deve finalmente prevalere simbolicamente per diventare indipendente e permettere la rinascita degli antenati al suo interno.

Infine, se si accetta la considerazione che pone Freyr e Freyja come una versione evoluta o modificata del culto dei Divini Gemelli, questo fa di essa l’unica interpretazione di queste divinità, insieme ad Arentio e Arentia, che ha fratelli e sorelle sia maschi che femmine, essendo entrambi gemelli maschi in tutte le altre culture.

C’è anche il fatto che possono essere invocati separatamente, come Freyr e Freyja, il che li rende di nuovo delle eccezioni, tutti gli altri gemelli sono sempre invocati in coppia. Questo implica la possibilità che possano aver avuto funzioni o archetipi leggermente diversi in relazione al loro genere.

Nell’interpretare i Divini Gemelli, bisogna tenere presente che l’elemento “gemelli” non è essenziale, anzi i miti gallesi, irlandesi o nordici mostrano un solo Divino Gemello. Anche la coppia Romolo – Remo mostra questa particolarità alla luce del loro mito.

Iberian warriors, 2nd century B.C., Angus McBride

Conclusione

Dalle iscrizioni sopravvissute fino ai nostri giorni e dagli studi comparativi dei miti di altre culture, possiamo concludere che Arentio e Arentia sono l’interpretazione dell’archetipo indoeuropeo del Gemello Divino, opera dei lusitani, uno dei popoli iberici più famosi e famosi tra gli autori del mondo romano ed ellenico.

Anche se spesso trascurata dagli specialisti, la penisola iberica ci offre ancora una volta un esempio della struttura indoeuropea ricorrente. Essendo i Divini Gemelli una coppia coerente di divinità che si trovano dal Portogallo all’India, possiamo considerare le tradizioni comuni degli europei rafforzate e riconfermata l’influenza delle migrazioni e delle invasioni indoeuropee nella Valle dell’Indo.

Arentio e Arentia sono divinità protettrici del popolo, invocate in contesti privati e sociali. Inoltre, possono aiutare nelle battaglie, rendendole importanti divinità guerriere. Se il suggerimento di Prósper è corretto, potrebbero anche essere i patroni di coloro che navigano o sono associati all’acqua in generale. La memoria collettiva di un popolo e la sua somiglianza con i suoi dei e le sue dee, come riflesso superiore delle persone che hanno portato nel mondo, sono concetti primordiali nel paganesimo europeo. Se la teoria di Herminius Mons fosse confermata, servirebbe da esempio perfetto per questi principi.

Poiché i Divini Gemelli sono la discendenza del Padre del Cielo in altri miti indoeuropei, è possibile affermare che Arentio e Arentia sono i figli di Reo o Reus, il Padre del Cielo dei lusitani? Anche lui ha un forte legame con le acque, come spiegato negli articoli precedenti.

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Troverete la presentazione delle altre divinità celtiberiane nelle prossime parti.

https://dc.uwm.edu/ekeltoi/

Juan Carlos Olivares Pedreño, Università di Alicante

Alberto J. Lorrio, Università di Alicante Gonzalo Ruiz Zapatero, Universidad Complutense de Madrid

https://herminiusmons.wordpress.com/
https://goldentrail.wordpress.com/

Prosper, B. M.: Lingue e religioni preromane della penisola iberica occidentale

LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALEhttps://taliesinsmap.blogspot.com/?m=1 Mer Curio

Ricercando

Vi presento Lord Malloch Brown: La mano britannica dietro…

Vi presento Lord Malloch Brown: La mano britannica dietro il colpo di stato per spodestare Trump

Scritto da Matthew Ehret tramite la Fondazione per la cultura strategica,

Durante il dramma quadriennale del Russiagate, la mano dell’intelligence britannica si è rivelata continuamente…

Dall’ovvio ruolo di Sir Richard Dearlove e del suo ex agente del MI6 alla base di Christopher Steele, che insieme hanno avuto un ruolo trainante nel plasmare l’ambiguo dossier, al loro coinvolgimento con il ricercatore di Oxford Rhodes Strobe Talbott nel comporre, promuovere e commercializzare il dossier fraudolento a dei membri del Congresso e dei media, all’ambasciatore britannico Sir Darroch sorpreso a “inondare la zona” di risorse dell’intelligence britannica per plasmare la percezione del mondo di Trump, fino ad arrivare alla serie di operazioni di cattura britanniche che hanno preso di mira Michael Flynn già nel 2014 a Londra… ovunque si guardi, la mano dell’intelligence britannica sembra esserci.

Mentre viene fatto un grande sforzo per sminuire le radici britanniche del deep state da parte dei media che tendono a ritrarre questo problema da una prospettiva partigiana di “corruzione dei partiti democratici”, questo espediente non ha senso e ci vuole far credere che sia la coda a far scodinzolare il cane.

La scomoda verità da digerire per i troppo spaventati, pigri o corrotti, è che dal momento della morte di John F. Kennedy, avvenuta il 22 novembre 1963, sia il Partito Democratico che quello Repubblicano hanno subito una lenta presa di potere da parte di questo parassita straniero. Ciò che è diventato noto come “deep state” non si è mai basato su un partito o su un altro, e non è mai scaturito da nulla che appartenga alle tradizioni costituzionali del governo statunitense stesso, come ho sottolineato nel mio precedente articolo “Understanding the Trifold Nature of the Deep State” (Capire la triplice natura dello stato profondo).

Mentre il partito repubblicano di George Bush era al potere, questo deep state aveva sfruttato il controllo sul conteggio computerizzato dei voti per truccare le elezioni del 2000 e del 2004 a suo favore, come mostrato brillantemente nel documentario del 2006 “Hacking Democracy”. Successivamente, quando nel 2008 è arrivato il momento della presa al potere da parte di un’opposizione controllata, ha fatto la stessa cosa con un diverso cast di personaggi.

Mentre una parte dell’agenda governativa mondiale unipolare era guidata dall’idea che gli Stati Uniti avrebbero dovuto essere per sempre la principale forza di polizia globale che governa un sistema di guerra perpetua a somma zero, con un’élite non eletta che gestisce il sistema dall’alto, l’altra parte credeva che gli Stati Uniti avrebbero dovuto cedere le proprie rivendicazioni di sovranità ad un organismo internazionale con tecnocrati e finanzieri non eletti ai vertici che gestiscono il sistema di guerra perpetua a somma zero dall’alto.

Notate il comune denominatore?

Furto elettorale come il Russiagate 5.0

Ora che è diventato sempre più chiaro che i brogli elettorali di massa hanno travolto gli Stati Uniti nel tentativo di realizzare ciò che quattro anni di Russiagate non sono riusciti a realizzare, un’altra luce si è posata sulla mano britannica dietro Biden che mira a dissolvere qualsiasi spirito nazionalista rimasto nell’assediata repubblica.

Come ho sottolineato nel mio ultimo rapporto, il più grande sistema privato di voto computerizzato degli Stati Uniti, che serve 30 stati e 70 milioni di elettori, appare al centro dell’attuale furto elettorale. In quell’articolo è stato chiarito che la Dominion Voting Systems è una società canadese che domina i sistemi di voto computerizzati privati degli Stati Uniti ed è strettamente legata ad un’altra società più grande chiamata Smartmatic.

Per chi è ancora fuori dal giro, Smartmatic fornisce macchine per il voto e il suo software (codici backdoor e tutto il resto) ai governi di tutto il mondo ed è fortemente legata alla Fondazione Clinton, alla Open Society di Soros e al Capo di Stato Maggiore di Nancy Pelosi.

Non solo, ma la figura chiave che controlla Smartmatic non è altro che Lord Mark Malloch Brown, ex vicepresidente dei fondi d’investimento di George Soros (2007), così come dell’Open Society Institute e del World Economic Forum, ex vicepresidente della Banca Mondiale (1995-1999), amministratore dell’ONU per lo sviluppo (1999-2005), vice segretario generale dell’ONU e ambasciatore britannico per l’Africa, l’Asia e l’ONU (2007-2009). Questi sono solo alcuni dei ruoli che ha ricoperto negli ultimi anni e che approfondiremo in dettaglio.

Lord Malloch Brown: Non è il tipico agente britannico

Attraverso la sua costante affiliazione con Soros, Lord Malloch Brown (Cavaliere dell’Ordine di San Giorgio e San Michele) ha svolto il ruolo di padrino delle rivoluzioni colorate e uomo chiave per tali “marionette tecnocrati” come Corazon Aquino, così come suo figlio Benigno Aquino III delle Filippine, il georgiano George Saakashvili e persino lo sfortunato ego parlante Barack Obama.

Dopo aver fatto un lungo “apprendistato” sotto la copertura di operatore umanitario dell’ONU e di un giornalista predatore dell’Economist di Londra, Malloch Brown si è trovato a lavorare per una società di consulenza di Washington chiamata Sawyer Miller nel 1985. Fu in quel periodo che Malloch Brown fu impiegato per diventare consigliere e scrittore dei discorsi del leader dell’opposizione filippina Corazon (Cory) Aquino sotto la supervisione dell’allora Segretario di Stato George Shultz. Corazon era un pupillo dell’establishment occidentale, ma aveva il compito quasi impossibile di sfidare il popolare presidente nazionalista Ferdinand Marcos, che aveva guidato il suo Paese verso la sovranità economica in opposizione ai finanzieri internazionali fin dal suo insediamento nel 1965.

Applicando tutte le arti della gestione della percezione e del marketing, Malloch Brown ha preso il controllo della campagna di Aquino trasformandola nella “People Power Revolution” che è stata per molti versi la prima rivoluzione colorata di successo dei tempi moderni. Sapendo che i voti avrebbero probabilmente favorito l’attuale Markos, Malloch Brown ha scritto che ha redatto il discorso della vittoria di Aquino prima delle elezioni e glielo ha fatto avere prima ancora che i voti fossero finalizzati – e che i media complici erano fin troppo felici di proiettare pubblicamente il mito della vittoria di Corazon.

Descrivendo questi eventi anni dopo, Malloch Brown ha detto:

Un risultato eccezionale durante la campagna di Cory è stato quello di produrre un exit poll che indicava che aveva vinto. È finito sulla prima pagina dell’Inquirer e ha avuto un impatto profondo, poiché ha messo in scena l’idea che Aquino avesse vinto su Marcos… Marcos non si è più ripreso. È stata un’esperienza molto emozionante alla quale assistere”.

Malloch Brown ha omesso di menzionare che i “risultati dei seggi elettorali” che hanno prodotto la falsa percezione della vittoria di Corazon sono stati manipolati dagli agenti locali delle società di sondaggi di George Shultz, Social Weather Station, e Pulse Asia, che non sono mai state ritenute responsabili del loro ruolo nel colpo di stato contro Marcos.

Terapia d’urto

Poco dopo questo “traguardo”, Malloch Brown ha iniziato a lavorare a stretto contatto con George Soros su una serie di progetti che hanno radicalmente cambiato il mondo durante l’intenso periodo di transizione da un’età bipolare ad una unipolare.

Nel 1993, Soros aveva appena portato a termine un attacco speculativo alla sterlina britannica, che si è tradotto in un profitto di un miliardo di dollari per lo speculatore ungherese, fornendo al contempo al Regno Unito una comoda scusa per evitare di cadere nella trappola dell’euro che aveva teso ad altri obiettivi europei che entravano nell'”epoca post-nazionale”. Nel 1994, Soros ha annunciato una sovvenzione di 50 milioni di dollari per le operazioni di “costruzione della democrazia” in Macedonia e Bosnia, e Malloch Brown è stato assunto per gestirle come parte del programma di terapia d’urto di Shatalin.

Dal 1993 al 1994, Malloch Brown ha fatto parte del Comitato Consultivo di Soros per la Bosnia, portando avanti i progetti di balcanizzazione degli anni Novanta. Nel 1998, Malloch Brown è stato anche co-fondatore della Corte Penale Internazionale (ICC) di Soros dopo che il duo aveva creato l’International Crisis Group (ICG) nel 1994. Queste istituzioni sono servite a 1) dare forma alla “percezione internazionale” delle cause e delle soluzioni delle “crisi”, reali o inventate, e 2) sostenere soluzioni che togliessero la sovranità negli affari militari e giudiziari agli Stati nazionali sovrani, sancita dalla Carta delle Nazioni Unite, dalle leggi di Norimberga e dalla Dichiarazione dei diritti umani dell’ONU, cedendola a organizzazioni sovranazionali non elette sotto il controllo degli “esperti”.

In qualità di vicepresidente della Banca Mondiale dal 1995 al 1999 si è preso il merito di averla fatta apparire come un’organizzazione più democratica, e dal 1999 al 2005 ha portato alla creazione degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio che hanno legato sempre di più i finanziamenti dell’ONU alle operazioni internazionali della Open Society di George Soros (durante il suo periodo a New York, Malloch Brown ha vissuto in una tenuta di proprietà di Soros).

R2P e più rivoluzione colorate

Durante questo periodo, Malloch Brown è stato tra i primi sostenitori della Responsabilità di proteggere (R2P) e ha fatto più di chiunque altro per incorporare tale dottrina nelle prospettive di governance delle Nazioni Unite “post-Westphaliane” nel 2005 come vice segretario generale dell’ONU (2005-2006).

Dimostrando la sua visione imperiale nel marzo 2011, l’autoproclamatosi “pacifista” è diventato impaziente nei confronti delle nazioni reticenti a far saltare in aria la Libia e ha scritto sul Financial Times: “Dichiarate la vittoria e andate avanti con la rimozione di Gheddafi”.

In qualità di co-presidente dell’International Crisis Group (che è nato dal seme di Soros e nel cui consiglio di amministrazione siedono Larry Summers, il consigliere di Joe Biden Jake Sullivan e George e Alexander Soros) Malloch Brown ha sostenuto l’Esercito di liberazione del Kosovo legato al narcoterrorismo, che è stato anche sostenuto sia dalla CIA che dalla NATO durante la crisi in Bosnia, in stretto coordinamento con il suo collega Strobe Talbott, che nel 1995 ha definito Soros “una risorsa nazionale, un tesoro nazionale”.

Descrivendo Talbott, Malloch Brown ha scritto recentemente:

Strobe Talbott, è un mio amico di lingua data e per certi versi una sorta di professionista e teorico della globalizzazione… Come tale ha davvero capito la storia occulta della politica moderna, che viene sempre messa in secondo piano dalla storia più familiare degli stati nazionali”.

Dopo aver finanziato la rivoluzione delle rose in Georgia nel 2003, che ha portato al potere Saakashvili, affiliato a Soros, lo Stato georgiano è stato reso ingovernabile a causa di un mix di grande incompetenza e corruzione. Qui, Soros e Malloch Brown sono venuti di nuovo in soccorso organizzando un evento a New York nel gennaio 2004 che ha raccolto 1,5 milioni di dollari per i programmi di riforma del governo georgiano (il 75% dalla Open Society di Soros e il 25% dal Programma di sviluppo delle Nazioni Unite guidato da Brown). Il rapporto dell’UNDP giustificava la spesa per lo stipendio di Saakashvili e di alti funzionari del governo e delle forze di sicurezza: “In Georgia mancavano i professionisti qualificati necessari per progettare ed eseguire riforme radicali”.

Non va dimenticato il fatto che queste azioni hanno portato all’assassinio di 1.600 persone nell’Ossezia del Sud (per lo più russi) nel 2008 e hanno quasi scatenato la terza guerra mondiale, né va dimenticato il nefasto ruolo di Saakashvili come governatore di Odessa (2015-16), dove il criminale condannato proteggeva i neonazisti del Battaglione Azov. Allo stesso modo, lo strano aumento di popolarità di Saakashvili in corso in Georgia dovrebbe rendere chiunque abbia un minimo di cervello un po’ più che preoccupato.

Responsabile del Team Obama

Il 24 febbraio 2008, Samantha Power, marito del comportamentista di Harvard Cass Sunstein e di lì a breve ambasciatore all’ONU sotto la guida di Obama, ha rilasciato un’intervista al London Times descrivendo la connessione tra Malloch Brown e Obama in modo molto dettagliato. In questa intervista, Power ha detto: “Il principale canale di comunicazione tra la Gran Bretagna e il candidato [Obama] è stato Lord Malloch Brown, il sottosegretario degli Esteri, che Obama ha potuto ammirare quando egli era vice Segretario Generale delle Nazioni Unite, e Obama ne è rimasto davvero colpito. È una relazione che ha persistito e da allora hanno parlato più volte”.

In effetti, la carriera politica di Obama, come quella di Saakashvili e di Aquino, è sempre stata una creazione di poteri superiori, con Soros che ha anche fornito i primi 60.000 dollari per la corsa al Senato di Obama nel 2004 e poi ha organizzato le prime raccolte fondi per la corsa presidenziale di Obama nel 2007.

Samantha Power stessa ha attribuito la sua carriera a Soros e Lord Brown nel 2004:

“Il mio libro e le mie ricerche erano del tutto insostenibili sul libero mercato. Se non fossi stata in grado di ottenere una sovvenzione da George Soros e dall’Open Society Institute, non avrei mai potuto fare il tipo di reportage investigativo che avrei dovuto fare”.

Il caso di Cass Sunstein

Mentre Power trascorreva il suo tempo all’Onu combattendo ferocemente per un cambio di regime umanitario preventivo per la Libia e poi per la Siria, suo marito Cass Sunstein ha lavorato come consigliere di Obama dal 2009-2012 ed è stato autore di un documento che affronta la pericolosa ascesa delle “teorie del complotto” che minacciano la sua idea di buon governo. Sunstein ha scritto “l’esistenza di teorie cospirazioniste sia nazionali che straniere, suggeriamo, non è una questione banale, che pone rischi reali” e ha raccomandato “una serie di possibili risposte” che includono l’infiltrazione da parte di agenti governativi nei gruppi complottisti.

Inoltre, Sunstein ha sviluppato cinque alternative:

“(1) Il governo potrebbe vietare le teorie della cospirazione. (2) Il governo potrebbe imporre un qualche tipo di tassa, finanziaria o di altro tipo, a coloro che diffondono tali teorie. (3) Il governo stesso potrebbe impegnarsi in operazioni di “debunking”, mettendo in discussione le argomentazioni per screditare tali teorie. (4) Il governo potrebbe assumere formalmente soggetti privati credibili per adempiere a questo compito. (5) Il governo potrebbe impegnarsi in comunicazioni informali con tali gruppi, incoraggiandoli ad aiutare”.

Il 24 agosto 2020 Sunstein è stato scelto per presiedere il gruppo di consulenza tecnica dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, incaricato di modificare il comportamento globale in conformità con le nuove norme dell’ordine mondiale pandemico. Il capo dell’OMS ha dichiarato

“Di fronte alla pandemia di COVID-19, i paesi stanno usando una serie di strumenti per influenzare il comportamento: Le campagne di informazione sono uno strumento, ma lo sono anche le leggi, i regolamenti, le linee guida e persino le multe… Ecco perché la scienza comportamentale è così importante”.

Lord Brown nell’era di Obama

Nel 2007, Malloch Brown ha lasciato l’ONU per dirigere il Quantum Hedge Fund di Soros – un posto redditizio che ha presto lasciato per unirsi al Ministero degli Esteri britannico come Ministro di Stato per l’Africa, l’Asia e l’ONU dal 2007 al 2009.

Dopo aver lasciato la sua posizione al governo britannico nel 2009, Lord Malloch Brown ha continuato a fornire consulenze alle compagnie petrolifere e a guidare il suo International Crisis Group. A questo punto, l’ICG aveva il quasi monopolio per la redazione di rapporti pubblicati in forma anonima sulle aree di conflitto internazionali, in cui si vantavano di mantenere eserciti di specialisti “sul campo” in grado di profilare tutte le parti in causa e di rilasciare le loro valutazioni sul mercato internazionale. Questi rapporti sono stati utilizzati da governi, ONG, aziende e organismi internazionali come l’ONU e hanno svolto un ruolo importante nel plasmare la politica globale e la percezione delle cause e dei rimedi ai conflitti.

Utilizzando la sua esperienza nelle frodi elettorali e nella gestione della percezione, non dovrebbe essere una sorpresa che Malloch Brown si sia presto trovato al timone della SGO Corporation Ltd nel 2014 che funge da holding il cui principale asset è la tecnologia di voto Smartmatic. Smartmatic si presenta come se avesse “gestito più di 3,7 miliardi di voti negli ultimi 14 anni in progetti elettorali nei cinque continenti” e mentre nega di avere attività direttamente sul suolo americano, uno screenshot della Way Back Machine mostra una storia molto diversa.

Dal 2010 Smartmatic è risultata essere al centro di frodi elettorali in Messico, Venezuela, USA e Filippine, dove le prime elezioni presidenziali con questo sistema hanno portato alla vittoria del figlio di Corazon Aquino, Benigno Aquino. Dopo che sono venute alla luce numerose prove del ruolo di Smartmatic nella frode sistemica, la Fondazione IBON ha definito Lord Brown “uno straniero che ha fatto carriera influenzando le elezioni”.

È un’ironia della storia che Lord Malloch Brown non solo abbia installato nelle Filippine una marionetta di seconda generazione, ma che abbia anche utilizzato il suo sistema di voto per minare il popolare Ferdinand Marco Jr a favore di Len Robredo del Partito Liberale durante le elezioni del 2016. Per fortuna, nello stesso anno in cui Trump ha battuto il sistema grazie alla sua schiacciante vittoria popolare negli Stati Uniti, una vittoria simile si è verificata in opposizione a tutte le probabilità quando il presidente nazionalista Duterte si è insediato e ha chiesto alle Filippine di liberarsi della Smartmatic.

L’ultima ossessione di Lord Malloch Brown

Parlando al World Government Summit del giugno 2020 insieme a Cass Sunstein e ad altre creature di Davos, Lord Malloch Brown ha espresso il suo disprezzo per l’ascesa dell’alleanza multipolare guidata da Russia, Cina e USA di Trump, che ha ovviamente messo in pericolo il suo lavoro di una vita. Malloch Brown attacca ipocritamente la Cina perché è un regime che non ha alcun rispetto per i diritti individuali e si preoccupa solo dei “molti”, e poi si pronuncia sull’ascesa di governi autoritari come “Russia, Cina, India, Turchia, Ungheria e USA” che ritiene debba essere fermata a tutti i costi dicendo:

“Nel mondo una forma di governo più autoritaria è la nuova maggioranza. Non è solo la Cina. Questa “nuova maggioranza” accoglie i leader che salgono al potere per mezzo delle urne e quelli che non lo hanno fatto, ma che condividono la preferenza per una politica estera nazionalista, l’indebolimento delle istituzioni nazionali e lo stato di diritto”.

Malloch Brown si sentiva ovviamente molto a suo agio con il suo pubblico e supponeva che nessuno avrebbe pensato all’ovvia ipocrisia della sua ammissione che questi “nuovi nazionalisti maggioritari” spesso arrivano al potere “dalle urne” e quindi emblematici dei principi democratici, mentre la sua difesa socialmente ingegnerizzata delle libertà individuali e della libertà di scelta avviene sempre al di fuori della volontà democratica della plebe che è ovviamente considerata troppo ottusa per sapere cosa è bene per loro e anche a spese dei molti che devono essere sacrificati nelle guerre, nei cambi di regime e nell’anarchia “per il bene superiore”

Queste ipocrisie sono state rese ancora più evidenti in un più recente discorso del 26 ottobre 2020 sul tema dell’ONU dopo 75 anni: Morte lenta o nuova direzione? In questo discorso, Lord Brown chiede la creazione delle Nazioni Unite riformate per evitare la loro obsolescenza, liberandosi del Consiglio di Sicurezza che ha impedito le necessarie azioni umanitarie a causa dell’insopportabile veto imposto da Russia e Cina. Alla domanda su come si possa abolire il veto, Lord Brown ammette che le nazioni non acconsentiranno mai e quindi “l’unico modo per far sì che questi membri radicati ci si imbarchino è di renderli ampiamente irrilevanti… dobbiamo lavorare sul Consiglio di sicurezza”.

Come ci si può aspettare che qualcuno “lavori sul Consiglio di Sicurezza”?

Qui Lord Brown risponde invocando l’empowerment dei “gruppi della società civile” e del “mosaico della società civile”, che possono sfruttare l’energia della coalizione di attori non statali. Brown asserisce: “Costruire coalizioni variegate di attori statali e non statali disposti ad essere i primi a muoversi su vari livelli del programma non è un nuovo percorso di azione all’interno dell’ONU. Ora bisogna accellerare. Il mondo non aspetterà che le nazioni più arrancanti e resistenti rallentino quest’azione”.

Definendo il Consiglio per i diritti umani dell’ONU “non adatto allo scopo” a causa del sup “costante intrappolamento” da parte di Russia, Cina e Cuba, che quest’anno si sono aggiudicati dei seggi in tale sede, Lord Brown ha lamentato la più grande minaccia alla sua visione di un mondo post-nazionale:

“I nostri fallimenti individuali impallidiscono rispetto al solo fatto che gli Stati nazionali hanno resistito alla fine – in particolare quelli più grandi e potenti – alla concessione del potere e della sovranità e del processo decisionale a questo organismo multilaterale”.

Questa è la mano britannica che sta dietro l’attuale fase del Russiagate 5.0 che si è avvicinata agli obiettivi di un colpo di stato americano più che in qualsiasi altro momento negli ultimi quattro anni. Questa è la visione di un ordine mondiale distopico post-nazionale gestito da tecnocrati misantropi che vogliono dominare un’epoca oscura tecno-feudale, nel XXI secolo e oltre. Per quanto possa deludervi sentirlo, al momento la cosa più importante che ostacola questo ordine mondiale anti-umano e il vostro futuro è l’assediato Presidente Trump che richiede il serio sostegno di una cittadinanza sveglia, informata e attiva.

In un prossimo futuro guarderemo più da vicino alla figura del defunto Maurice Strong e alla distruzione autoindotta della civiltà occidentale negli ultimi 50 anni, e anche alla battaglia per resistere ad un colpo di stato dei banchieri in Gran Bretagna più di 300 anni fa, che contiene lezioni peculiari per la nostra epoca attuale.

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Traduzione a cura di Mer Curio
Storia

Armi, rifiuti e militari.

Storie di ordinaria devastazione ed assassinio nel Mare Nostrum

Vincenzo P.

All’inizio degli anni 90 l’Italia è alle prese con una serie di questioni interne piuttosto complicate da gestire. Dalla fine traumatica della Prima Repubblica a suon di processi e monetine alla speculazione finanziaria costataci qualche miliardo di Lire da parte dello squalo Soros. Con l’opinione pubblica così impegnata, molti eventi avvenuti in quegli anni di notevole gravità ed importanza geopolitica, sono passati quasi inosservati all’epoca e, vengono flebilmente ricordati oggi da qualche giornalista curioso e ancora affamato di verità.

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NAVI IN FIAMME
Il primo episodio, che getta una piccola luce su tutta una serie di traffici e movimenti che stanno interessando il bacino Mediterraneo in quegli anni, è il disastro del Moby Prince, avvenuto la sera del 10 aprile 1991

Il traghetto all’alba completamente carbonizzato

La sera del 10 aprile 1991, intorno alle 22:00 il traghetto della compagnia armatrice Nav.Ar.Ma in servizio sulla tratta Livorno-Olbia ha da poco lasciato il porto della città toscana quando, nel buio della notte, urta violentemente contro un altro marittimo, la petroliera Agip Abruzzo. Durante l’impatto, la prua del Moby Prince perfora una delle cisterne della petroliera causando una fuoriuscita di greggio che, a causa delle scintille provocate dall’urto, prende fuoco innescando poi l’incendio che divora la nave durante tutta la notte. Muoiono 140 persone, tutti a bordo del traghetto. L’unico superstite, il mozzo Alessio Bertrand, diverrà uno dei personaggi controversi di questa assurda vicenda che verrà poi riconosciuta come la “Ustica del mare”. Inchieste approssimative, depistaggi, falsità e ricostruzioni alquanto inverosimili hanno fatto di questo incidente, uno dei classici misteri italiani senza ancora una verità.

https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Moby_Prince

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/08/moby-prince-storia-di-poteri-forti-il-patto-anomalo-tra-compagnie-che-narcotizzo-le-inchieste-in-un-libro-i-documenti-inediti/5069726/

https://petalidiloto.com/2007/11/il-caso-di-ilaria-alpi-e-il-moby-prince.html

A questo punto è importante sottolineare e focalizzare l’attenzione su questi nomi: Shifco, il peschereccio XI Oktobar II e la cooperazione internazionale.

Dunque, arrivati qui, con un quadro della situazione decisamente chiaro sulla vicenda, propongo questo articolo ricchissimo di dettagli di Famiglia Cristiana che ha seguito questa vicenda sin dall’inizio svolgendo delle inchieste preziosissime e ricchissime di dettagli, tanto inquietanti quanto utili per comprenderla. Vorrei che si osservasse come l’Italia fosse a tutti gli effetti un centro di smistamento di armi, rifiuti e droga che usava il mediterraneo come hub logistico. Faccendieri internazionali già operativi nella vicenda Iran-Contras (resto a disposizione per chiarimenti in merito) e le controversie dei Balcani che, sempre in quel periodo, erano infiammati da una sanguinolenta guerra civile che lo stesso Miran Hrovatin aveva contribuito a documentare essendo originario di quelle zone, sono ulteriori elementi alquanto torbidi che, i loschi personaggi legati a questa storia, si portano dietro. Sottolineo, inoltre, il ruolo ambiguo dei vertici militari italiani e dei servizi di intelligence che, sottobanco trattavano proprio con i paesi della ex-Jugoslavia già dai tempi di Ustica, sfruttando sempre il Mediterraneo, per consentire ai Mig libici (caccia di fabbricazione sovietica) di attraversare il mare facendo anche spola in Italia, sfruttando i coni d’ombra dei radar NATO, per raggiungere i paesi balcanici e permettere a Gheddafi di far manutenzione ai suoi aerei da guerra. Molti ufficiali dell’Aeronautica italiana, in quegli anni, una volta andati in pensione andavano a lavorare per il leader libico come consulenti per aiutare i piloti a raggiungere le basi aeree jugoslave sani e salvi. Chiedo scusa per le divagazioni, mi rendo conto della complessità dei fatti che però sono tutti inevitabilmente intrecciati tra loro; dopo il crollo della Jugoslavia, con la guerra civile che infuriava, iniziarono a circolare ingenti quantità di armi e munizioni, proprio sul pianerottolo orientale dell’Adriatico italiano. Armi e munizioni che finirono per rientrare in questo enorme traffico internazionale del quale l’Italia era uno degli attori principali. Resto a disposizione per chiarimenti anche in questo caso. L’articolo di Famiglia Cristiana:

https://www.famigliacristiana.it/articolo/il-moby-prince-e-quelle-navi-di-armi-americane.aspx

Presupponendo uno studio di questo dossier inevitabilmente spalmato nel tempo a causa della sua complessità, inserisco ulteriori documenti video a testimonianza della tragedia consumatasi quella notte e portatori di ulteriori elementi utili.

https://telegra.ph/embed/youtube?url=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DucFdXIOVk7g

Uno speciale di Andrea Purgatori


Le comunicazioni radio di quella serata tra il porto e le imbarcazioni coinvolte

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L’OMICIDIO ROSTAGNO
Un giornalista e sociologo amante della cultura orientale fonda una comunità di recupero per tossicodipendenti in Sicilia e, come molti in quegli anni, muore in maniera violenta ed inspiegabile.

Mauro Rostagno.

Rostagno nasce a Torino nel 1942 in una famiglia di umili origini. E’ un uomo curioso e brillante che, come molti giovani in quegli anni, si unisce ai movimenti studenteschi del’68 e viaggia tra la Francia e la Germania. Spinto da una forte passione politica è tra i fondatori del movimento Lotta Continua; frequenta l’università a Trento dove anima la protesta studentesca vicina ai movimenti della sinistra estrema e armata. Qui conosce anche il brigatista Renato Curcio.

Le successive vicende della sua vita lo porteranno ad aprire una comunità di recupero per tossicodipendenti a Lenzi, in provincia di Trapani, chiamata Saman. A collaborare con lui, la seconda moglie Francesca Roveri e il controverso personaggio Francesco Cardella.

In Sicilia, Rostagno intensifica la sua attività di giornalista, fonda una emittente locale attraverso la quale intraprende una intensa campagna di denuncia contro la mafia. Viene assassinato la sera del 26 settembre del 1988 in un vero e proprio agguato, mentre tornava alla sua comunità.

L’auto di Rostagno dopo l’agguato mortale

https://it.wikipedia.org/wiki/Mauro_Rostagno

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/05/alpi-hrovatin-lombra-del-depistaggio-e-quel-filo-che-lega-lagguato-di-mogadiscio-al-caso-rostagno-dal-traffico-darmi-a-gladio/5496731/

Fermo qui la pubblicazione di articoli inerenti la vicenda Rostagno, l’ultimo lo reputo oltremodo ricco di dettagli molto chiari in merito alla sua uccisione. Mi preme tuttavia sottolineare alcuni aspetti a mio avviso importantissimi: Il giornalista viene assassinato nel 1988, tre anni prima della strage del Moby Prince e ben sei prima della morte della Alpi. La sua attività, peraltro, andava avanti già da diverso tempo per cui, sorge spontanea la domanda: da quanto tempo erano in atto i traffici illeciti nel Mediterraneo tra Italia e Africa? Possiamo dunque supporre che queste attività erano in essere già dagli anni ’80?

Un altro aspetto importante che viene fuori proprio da questo omicidio e la collaborazione stretta tra Mafia, apparati deviati delle istituzioni e mondo dell’imprenditoria. Ancora una volta, se mai ce ne fosse il bisogno di ricordarlo, la ragnatela vasta di rapporti tra questi mondi apparentemente slegati tra loro appare quasi naturale e fortemente consolidata.

Un’ultima ma importantissima analisi reputo importante farla per l’agente dei servizi italiani operante per la struttura segreta della NATO Gladio Stay Behind, Vincenzo Li Causi, a capo del nebuloso centro Scorpione operante proprio a Trapani, nella stessa zona dove era sorta la comunità di recupero di Rostagno. Li Causi è stato una delle vittime italiane in Somalia in quegli anni di cui nessuno parla, assassinato in un agguato molto simile a quello che hanno subito la Alpi e il suo operatore un anno dopo. Le inchieste in alcuni casi hanno evidenziato la possibilità che il militare, a conoscenza di moltissimi dettagli dei traffici illeciti che, della Sicilia facevano uno dei porti logistici più importanti, fosse diventato uno degli informatori privilegiati della giornalista della Rai e che addirittura, stesse cercando di proteggerla; anche lui non potrà mai raccontarci la sua versione dei fatti.

https://www.affarinternazionali.it/segnalazioni/skorpio-li-causi-giannantoni/
Vincenzo Li Causi

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MISTERI VOLANTI
Torniamo ai primi anni ’90: in Sardegna accadono strani incidenti. Anche l’isola mediterranea è una base logistica di un traffico internazionale di armi e rifiuti tossici?

A questo proposito mi permetto di allegare il link ad un dossier nel dossier. Una lettura completa, ricchissima, illuminata, precisa ed esaustiva di quanto avvenuto in Sardegna una bella sera del 2 marzo del 1994. Lascio parlare questo blogger che con dovizia di particolari riesce a raccontare di una vicenda oscura, labirintica e, soprattutto, sconosciuta.

http://www.noncicredo.org/index.php/le-storie/41-che-fine-ha-fatto-volpe-132

Mi permetto solo di fare un piccolo appunto temporale: in questo piccolo dossier c’è un errore rispetto alla data dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: i due vengono assassinati il 20 marzo del 1994, non il 27. L’abbattimento del Volpe 132 avviene esattamente 18 giorni prima. Una vicinanza temporale quantomeno curiosa.

Mi permetto anche di riprendere uno degli ultimi passi del racconto per provare ad esternare una mia visione d’insieme dei fatti: a volte la verità legata ad alcune vicende, non è l’unica verità. Nel cercare di svelare i fatti che si nascondono dietro alcuni episodi, se ne possono scoprire di altri ancor più sorprendenti che sono in grado di farci apparire la verità che inseguivamo inizialmente, un piccolo aneddoto di vita quotidiana. I missili utilizzati per l’abbattimento del Volpe 132, con tutta probabilità, sono dei missili “Stinger” (in inglese, urticante). Sono missili antiaerei a guida di infrarossi (inseguono il calore rilasciato dal motore dei velivoli) lanciati da tubolari a spalla, di fabbricazione americana. Sono diventati famosi durante la guerra di liberazione afghana dei mujaheddin contro le truppe sovietiche negli anni ’80 in quanto vennero donati in massa dalla CIA ai combattenti per fare piazza pulita dei temibili elicotteri da combattimento russi Hind (Mil-Mi 24 il nome russo). In effetti queste armi leggere e semplici da maneggiare, riuscirono ad abbattere un gran numero di elicotteri costringendo i russi a montare dei sistemi di raffreddamento aggiuntivi sugli scarichi dei motori per rendere più difficile il compito dei sensori di calore dei missili. Sistemi di difesa che, l’Agusta della Guardia di Finanza, non possedeva non essendo un elicottero progettato per missioni di combattimento. Perché questa digressione tecnica? Perché una delle armi principali che viene associata ai ribelli e ai terroristi di tutto il mondo, oltre all’intramontabile Ak-47, è il famoso Rpg-7, un lancia granate a spalla di fabbricazione russa che non ha nulla di particolarmente complesso, il sistema di puntamento è un semplice mirino meccanico e i proietti sparati non hanno nessuna guida elettronica. Questa era una delle armi con tutta probabilità più in voga nei traffici che coinvolgevano il Mediterraneo all’epoca dei fatti. Durante la guerra in Somalia che ha portato all’intervento militare ONU e NATO dal 1992 al 1994, non sono mai stati utilizzati lanciarazzi Stinger per colpire i velivoli delle truppe occidentali, le mie ricerche non hanno mai portato alla luce la presenza di questo sistema d’arma tra le truppe di Aidid. Truppe che, al contrario, disponevano di ingenti numeri di lanciagranate Rpg-7, con i quali hanno anche abbattuto alcuni elicotteri americani. (battaglia di Mogadiscio 3-4 ottobre 1993, consiglio la visione del film Black hawk down). Sorge dunque un dubbio: quei missili Stinger, quelli che hanno abbattuto l’elicottero e che, presumibilmente, erano a bordo del Lucina, a chi erano destinati? Per quale scopo?

Un elicottero della Guardia di Finanza Agusta A109-A Mk.II Hirundo identico al Volpe 132
I due piloti morti nell’abbattimento: il brigadiere Fabrizio Sedda, 28 e il maresciallo Gianfranco Deriu, 41. Entrambi sardi
Il lanciamissili a spalla antiaereo Stinger
Il lanciarazzi controcarro Rpg-7

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Ilaria Alpi, Miran Hrovatin e le navi a perdere
Una giovane giornalista affamata di verità e il suo cameraman vengono assassinati in Somalia. E molte navi vengono inghiottite dal Mediterraneo.

20 aprile 1994. Il giorno precedente, la Camorra, ha assassinato don Giuseppe Diana, impegnato in prima linea nello strappare i ragazzi dalle fauci della criminalità organizzata. In Africa orientale, in Somalia, i militari italiani della missione Ibis a guida NATO si stanno organizzando per il ritorno in patria; la missione militare internazionale iniziata nel 1992 e capeggiata da ONU e USA, denominata “Restore Hope” , la speranza non è proprio riuscita a ripristinarla e ne viene decretata la fine per fallimento. Una figuraccia. Anche dal punto di vista militare; eserciti ben addestrati e armati con le più moderne tecnologie non sono riusciti a catturare il signore della guerra Aidid e non sono riusciti a rafforzare l’egemonia del suo rivale, il generale Ali Mahdi. Il Paese è sempre più senza alcun controllo e nelle mani delle bande armate che si fanno la guerra, uccidono senza pietà e, spartendosi gli aiuti alimentari internazionali, lasciano morire di fame la popolazione civile. Ma non si tratta solo di questo, c’è dell’altro. E una giovane giornalista di Rai 3 molto curiosa e attenta, ha deciso di volare a Mogadiscio come inviata per il telegiornale grazie alla sua conoscenza dell’arabo. Ma non è lì solo per fare l’inviata dal fronte, è lì perché ha scoperto qualcosa di molto interessante e vuole seguire la sua pista fino in fondo anche perché le sue informazioni hanno portato alla luce un qualcosa di davvero grosso, qualcosa che potrebbe creare scompiglio in Italia e nel mondo.

Un documento originale dell’ultima intervista di Ilaria, al sultano di Bosaso. Documento prezioso nel quale è possibile notare il cambio di toni e il nervosismo quando la giornalista incalza con domande specifiche l’intervistato. Probabilmente, questa è l’intervista che è costata la vita ai due giornalisti.

A questo punto, avendo arricchito il dossier con questi impostanti documenti, mi permetto di fare un piccolo focus sulla questione navi. La Somalia è una ex colonia italiana e, come tutte le colonie, è rimasta molto legata al nostro paese anche nel momento in cui quest’ultimo si è ufficialmente svincolato. Di fatto, in quegli anni, la nazione africana, era un protettorato italiano nel quale i nostri politici, le nostre associazioni criminali e i nostri imprenditori facevano affari d’oro, di fango (radioattivo), e di sangue. Il grosso del denaro lo metteva sul piatto lo stato italiano attraverso i fondi per la cooperazione internazionale che, almeno in apparenza, avevano lo scopo di aiutare le ex-colonie a svincolarsi definitivamente dai paesi colonizzatori e mettersi alle spalle povertà e miseria. Di buone intenzioni però, sono lastricate le vie dell’inferno, infatti dei miliardi che l’Italia utilizzava per alimentare il fondo, i cittadini africani ne vedevano una piccolissima quantità. Nel caso somalo, molti di questi soldi sono stati con tutta probabilità spesi per acquistare una flotta di pescherecci d’altura che dovevano aiutare i pescatori somali ad intraprendere la loro attività in autonomia e con mezzi più efficienti e che invece, sarebbero stati utilizzati come mezzi di trasporto di armi e rifiuti tossici in giro per il Mediterraneo. Uno di questi pescherecci pare fosse proprio il XXI Oktobar II, proprio quello che si trovava nel porto di Livorno la notte del disastro Moby Prince. Spunta sovente il nome della Shifco, la compagnia che avrebbe dovuto coordinare le attività dei pescherecci, il nome del faccendiere Giorgio Comerio, noto per i suoi bizzarri progetti di interramento dei rifiuti nucleari nei fondali marini con dei siluri perforanti, il quale custodiva il certificato di morte originale di Ilaria in casa sua, in una cartellina. Spuntano le strane rotte dei pescherecci, spuntano nomi, contatti, porti e strade costruiti da imprenditori italiani legati a strani ambienti con lo scopo di interrare rifiuti radioattivi e sanitari; il tutto in cambio di armi per vincere una guerra. Ma la presenza in questa storia di personaggi come Comerio, dei servizi segreti, della criminalità organizzata e delle alte sfere politiche ci porta a pensare che il fenomeno non fosse solo circoscritto alla Somalia. In quegli anni, le navi, tante navi, erano uno strumento molto utilizzato in questi loschi traffici: si acquistavano, passavano di mano, vagavano per il Mediterraneo seguendo strane rotte e, purtroppo, affondavano. Certo, qualcuno potrà obiettare che a molte navi capita di affondare, può succedere in mare. Ma in quegli anni, alcune navi affondavano in maniera alquanto strana e a ritmi piuttosto serrati e, cosa ancor più sconcertante, affondavano a pieno carico. Anche questa è una storia di sangue, misteri, morti sospette, depistaggi e di una verità che forse non verrà mai alla luce se non a piccole dosi edulcorate

Curiosamente, ne ha parlato anche fanpage
https://youtube.com/watch?v=nCHbajNQqqE
Perché inquinare solo la Somalia quando c’è tutto il Mediterraneo a disposizione?

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Negli ultimi tempi, abbiamo assistito al proliferare del fenomeno della pirateria somala. I pirati, a bordo dei loro barchini, assaltano le navi mercantili che transitano nella zona marittima di competenza somala ed in particolare nella zona del Golfo di Aden, passaggio obbligatorio per tutte le navi che hanno necessità di entrare nell’oceano Indiano. Il fenomeno ha interessato molto la comunità internazionale, sono state realizzate inchieste giornalistiche, film e sono operazioni militari su larga scala per contenere il fenomeno. E’ curioso osservare come la storia si ripeta, come il potere riesca ad invertire l’ordine dei fatti, a diluire le verità e a rivoltarle. Quelli che oggi vengono dipinti come i cattivi pirati somali che vanno a caccia di navi occidentali da assalire, sono in molti casi ex pescatori che, a causa dei rifiuti tossici seppelliti nei loro porti e nel loro mare, non solo hanno assistito ad un terribile aumento di malattie gravi e malformazioni neonatali tra la loro gente, ma hanno visto anche ridurre in maniera significativa la quantità di pesce da poter pescare. Avvelenati, affamati e criminalizzati, manca qualcosa?

Sperando di aver fornito un quadro preciso del contesto storico, geografico e politico e scusandomi in anticipo per eventuali imprecisioni e per la complessità degli argomenti trattati chiudo questo dossier con un piccolo ricordo di Ilaria e del suo operatore Miran. Una bella ragazza, giovane e curiosa che personalmente, non reputo una eroina in quanto non ha scelto di morire per la sua causa, non era questo il suo obiettivo. Ilaria e Miran erano due persone normalissime, come tutti noi, che lavoravano seriamente e che hanno deciso di non voltarsi dall’altra parte, di non stare zitti ma di fare ciò che per tutte quelle persone le quali si reputano di sani principi, dovrebbe essere la normalità: alzarsi in piedi e provare a raccontare la verità. Non è un caso, a mio parere, che Ilaria e Miran siano morti a distanza di poche ora da don Giuseppe Diana il quale, esattamente come loro, aveva deciso di seguire la sua strada, di non voltarsi per convenienza od opportunismo e di voler provare, nel suo piccolo, a costruire un percorso diverso da quello che stava percorrendo la sua comunità. Ilaria e Miran non ci sono più da 26 anni ed oggi, in questi tempi così difficili caratterizzati da menzogne e falsità, la loro mancanza pesa più che in passato. Un pensiero va anche a Luciana, la madre di Ilaria che tanto aveva sofferto per la perdita della sua unica figlia. Aveva intrapreso una lotta personale e instancabile per non far calare il silenzio sulla morte di Ilaria, aveva deciso di diventare la spina nel fianco di tutte quelle istituzioni che in maniera odiosa rimbalzavano processi, udienze e verità come fossero dei pacchi, magari anche scomodi, da sistemare in qualche modo. Una donna fragile, consumata dalla sofferenza che però ha lottato caparbiamente e con una compostezza disarmante. Un esempio, almeno pari a quello di sua figlia. Aveva detto che se ne sarebbe andata solo dopo aver ottenuto giustizia, così non è stato e forse ne siamo tutti un po’ responsabili; spero che ci perdonerà. Un pensiero va a Patrizia, la moglie di Miran e a suo figlio che oggi sarà diventato grande ma che ha perso il suo gigante buono in un’età in cui nessun figlio dovrebbe perdere il padre. Anche loro, con grandissima compostezza e dignità, hanno affrontato il dolore e la battaglia per la verità sperando che, a differenza di Luciana Alpi, un giorno la potranno finalmente ottenere. Un pensiero va alle 140 vittime del Moby Prince e ai loro cari. Dopo 28 anni, per alcuni sono solo dei nomi incisi su delle lapidi, per altri sono fantasmi mai esistiti.


Antropologia

Gli dei celtici della penisola iberica: Parte 2 –…

Mer Curio traduce Matamoro

Giove e Teti, Jean-Auguste-Dominique Ingres, olio su tela, 1811

Reue – Reve – Reo:

Premesse

Ci sono diverse ipotesi sull’origine di questo nome, la prima delle quali è stata avanzata dallo specialista K. T. Witczak, che lo considera derivato dal proto-indio-europeo *diewo o *dyeus, suggerendo che la lingua lusitana ha cambiato il proto-indio-europeo *d in r, con un’analoga evoluzione che si è verificata nella lingua umbra. Ciò farebbe di Reo una divinità celeste simile al greco Zeus e al latino Giove.

Seguendo questa logica, l’analisi mostra che Reve è il dativo singolare di Revs o Reus, rendendo Reo/Reus/Revs il vero nome di Dio. Qui è facile confrontare il nome Reus con il nome Zeus.

La seconda teoria suggerisce che Reue sarebbe una divinità legata ai fiumi e che il nome deriverebbe da una radice che significa torrente o corrente.

La verità è che queste due proposizioni si completano a vicenda in modo notevole.

La famiglia linguistica proto-indo-europea

Posizione

Le sue denominazioni si trovano in vaste aree e il suo culto si sovrappone a quello di Bandua. Altri elementi ci permettono di vedere le sue somiglianze con Giove o con il dio gallico Taranis, ad esempio l’associazione con alcune zone montuose, come il monte Larouco, che culmina nella regione.

Ci dice Lourenço Fontes:”La catena montuosa di Larouco era la più grande e formidabile per la sua influenza su pioggia, fiumi, acqua e tuoni”.

Pertanto, vicino alla montagna sono state trovate iscrizioni dedicate a Reue Laraucus e Laraucus Deus Maximus. Queste ultime iscrizioni riportano anche un riferimento a Giove. I due gruppi di iscrizioni hanno in comune una serie di caratteristiche formali e una vicinanza alle vette, a volte molto lontane dalle zone abitate. Ce ne sono altre con epiteti legati alle montagne, come Reue Marandicui. Infatti, in alcune consacrazioni a Giove, i nomi si riferiscono anche a montagne o a zone alte come Iuppiter Candamius (Candanedo). Questo ci permette di comprendere i suoi poteri e le sue funzioni, legate alla montagna, il cui nome deriverebbe da *kand – per brillare, per bruciare, per illuminare. La stessa associazione può essere fatta con la consacrazione Iuppiter Candiedo, Iuppiter deus Candamus (Monte Cilda).

Un’altra iscrizione trovata ad Arronches, Portalegre, sempre in Portogallo, menziona 10 tori sacrificati a Reo. Oltre all’associazione topografica tra queste due divinità, è noto anche che i tori, simbolo animale anche di Zeus, venivano spesso offerti a Giove. Come ulteriore simbolo, si potrebbe anche menzionare la quercia, che è sparsa in tutta la penisola iberica, comunemente associata agli dei del tuono.

Oltre al collegamento tra Reue e le zone montane, è stata istituita anche un’associazione con i fiumi. La radice *Sal- è infatti legata alla montagna e può essere interpretata anche come “ruscello d’acqua”. Questa radice è fortemente rappresentata negli idronimi europei, alcuni di essi appaiono con il suffisso -am, come il fiume francese Salembre, chiamato Salambra nel XII secolo. Lo stesso vale per Salamanquilla nella regione di Toledo o Salamantia, probabilmente l’antico nome del fiume Tormes. Viene in mente anche il toponimo Salmantica nella regione di Salamanca.

Salamati è una denominazione direttamente collegata alla catena montuosa dello Jalama, chiamata Salama nell’antichità. Una teoria ipotizza che Salama e Reue siano divinità complementari perché non è stata trovata alcuna sovrapposizione tra di loro, nonostante attributi simili come l’associazione montuosa e il fatto che siano accompagnati da iscrizioni relative a Giove. Inoltre, ciascuno degli dei coesisteva con lo stesso gruppo di divinità nelle rispettive zone. In conclusione, Salama potrebbe essere semplicemente una denominazione di Réue.

Tormes, Salamanca, Spagna

L’associazione con i fiumi è chiaramente confermata dal teonimio Reue, che probabilmente era considerato una divinità che rappresentava la deificazione del “rivus”, o corrente, e probabilmente aveva lo stesso significato della parola femminile francese “rivière” o del catalano “riera” che significa burrone. Reue deriverebbe dalla radice *reu- corrente, fiume, flusso. Così, la maggior parte delle denominazioni di Reue non solo esprime la sua natura maschile, ma anche un legame con alcuni fiumi, come l’epiteto Langanidaeigui derivante dall’idronimo Langanida, che può essere tradotto come:”Al Dio Reue del fiume Langanida”

C’è anche la consacrazione Reue Anabaraecus, che contiene gli elementi ana, connotazione di fiume, e bara, che a volte significa riva, sponda o a volte esprime un idronimo. Questo sarebbe:

"Al Dio Reue della riva dell'Ana"
oppure"
Al dio Reue di Anabara"
e nel caso in cui Anabaraecus sia diviso in due parti,
"Al dio Reue Ana [della città] di Bara"

Oppure Reue Reumiraegus, a quel tempo si usava ancora il termine *reu- fiume, che probabilmente significava:

"Al dio Reue del fiume Mira"

Infine il Veisutus è probabilmente formato dalle radici *ueis-/*uis-, che sono idronomi popolari che si trovano in tutta l’Europa preistorica.

Studiando il teonimo e gli epiteti di Reue, possiamo concludere che Reue era un nome generico per “fiume”, ma che gradualmente questo nome è stato dissociato dalla realtà fisica del fiume per chiamare l’entità personale con carattere divino che abita il fiume come suo protettore e distributore.

Arno, Dio etrusco dei fiumi, Roma

Reue, Giove e l’archetipo indoeuropeo:

Riassumendo, oltre all’associazione di Reue con le aree montane, un legame tra Reue e i fiumi può essere percepito anche attraverso lo studio etimologico dei suoi teonimi ed epiteti. L’associazione con i fiumi è di natura simile a quella con le montagne, il che implica che le valli erano e sono i luoghi dove la potenza della divinità è più evidente, dove il contatto spirituale più forte e intenso può essere sentito con essa.

Molti autori hanno già notato che un numero significativo di colonne dedicate a Giove sono state trovate vicino a fonti d’acqua o fiumi nelle province galliche e germaniche.

Il collegamento tra queste colonne dedicate a Giove e le zone acquose è perfettamente concepibile senza minimizzare la sua posizione nella gerarchia divina o implicare che il dio avesse caratteristiche appartenenti alle divinità “guaritrici”. Infatti, le scene scolpite nella parte superiore delle colonne contenevano un cavaliere che, nelle vesti di Iuppiter, carica un mostro a forma di serpente, mostrando evidenti affinità con il mito vedico del confronto tra il dio Indra e il demone Vritra. Inoltre, Indra appare in questo mito come il “conquistatore delle acque”, sebbene la divinità che regolava e inviava le acque agli uomini fosse il supremo dio indo-iraniano Varuna.

San Giorgio uccide il Drago, Hans Von Aachen

I miti che rappresentano una lotta tra il Tonante, il Dio della Tempesta, e un drago, o un serpente anfibio dai tratti antropomorfi, non sono caratteristici solo delle zone celtiche o indoiraniane, ma si trovano in realtà in tutti i rami religiosi del tronco indoeuropeo. Il cristianesimo si è messo a vampirizzarlo con, ad esempio, le immagini di San Giorgio o di San Michele che uccide il drago. Sulla base di tutti questi argomenti, possiamo concludere che il dio supremo dei gallo-romani, Giove, aveva una precisa associazione con i corsi d’acqua, e che questo rapporto era molto più straordinario in luoghi specifici, come le confluenze o a monte.

1. Dichiarerò le gesta virili di Indra, il primo a diventare, il maneggiatore di Tuoni. Ha ucciso il Drago, poi ha svelato le acque e ha scavato i canali dei torrenti di montagna.

2. Uccise il Drago che giaceva sulla montagna: il suo lampo celestiale tuonante Tvastar ha formato. Come kine in rapida discesa, le acque scivolavano verso l’oceano.

3. Impetuoso come un toro, scelse il Soma e in tre sacre coppe bevve il succo. Maghavan afferrò il tuono per la sua arma e colpì a morte questo primogenito dei draghi.

Rig Veda, libro I, inno XXXII

La natura di questo rapporto deriva dal fatto che, in questi luoghi privilegiati, una delle principali funzioni della divinità si è affermata, da un lato, come benefattore e garante delle piogge e della sopravvivenza della comunità, e, dall’altro, come creatrice di tempeste e inondazioni catastrofiche. Nei luoghi dove la percezione dei suoi poteri era più evidente, il culto si esprimeva attraverso l’erezione di altari votivi, colonne monumentali o la costruzione di santuari. Questi luoghi, infatti, erano di vitale importanza per la popolazione locale, come si può vedere attraverso Augustodunum, Autun, la capitale dell’Aedui in epoca romana. O ancora attraverso la colonna, ormai scomparsa, situata alla confluenza del Sene e della Marna, e infine attraverso la colonna di Nautae Parisiaci.

Modello di ricostruzione del Pilastro Eds Nautes, museo del Cluny.

Con queste nozioni, si può affermare etimologicamente che il teonimo Taranis, associato a Iuppiter in Gallia, è legato ai fiumi. In origine potrebbe essere stato il nome del Tarn, affluente della Garonna, che Plinio chiamava Tarnis, o del fiume Tarano, affluente del Po, che compare anche nelle opere di Plinio e negli Itinerari di Antonino con il nome di Tanarus. Questi idronimi devono sicuramente il loro nome ai culti degli Dei che dovevano trovarsi alla sorgente o lungo il corso di queste correnti fluviali. Ne esistono altri esempi come il Ternin, affluente dell’Arroux, che nella sua parte superiore si chiama Tarène, il Terneau, affluente della Marna, e il Ternoise.

Quindi, se prima siamo stati in grado di stabilire un rapporto tra Bandua e Marte, possiamo anche confermare che Reue, in quanto divinità appartenente allo stesso pantheon di Bandua, era associato a zone montuose, fiumi e divinità celtiche affini, identificandolo così sia con Iuppiter che con Taranis.

Egli incarna l’archetipo del dio del cielo e del fulmine, supremo, stellare, sovrano, che esercita la giustizia e talvolta viene associato alla morte.

Taranis al Musée d’archéologie nationale.

“Teoria : Come curiosità, la parola portoghese, galiziana, asturiana e castigliana che significa quercia (rispettivamente carvalho/carballo/carba/carvallo) è di origine sconosciuta, molto probabilmente proveniente da una lingua preromana dell’Iberia. Abbiamo anche le parole raio in galiziano-portoghese e rayo in castigliano, che significano saetta. Queste parole provengono dal latino raggio, ed era infatti usato da Virgilio nell’Eneide con il significato di fulmine[15], ma la parola latina comune per fulmine è fulgur. Ora, potrebbe essere che in Iberia la parola per fulgore adottata dal latino dopo la conquista romana fosse raggio invece di fulgur a causa di Reus? Abbiamo la parola fulgor in portoghese e castigliano, per esempio, ma ha perso il significato di fulgur/ fulmine. Oggi significa semplicemente “fulgore” o “bagliore”. Questa è solo una mia teoria che non ha nulla a sostegno, ma suppongo che sia uno spunto di riflessione. Inoltre, Taranis ha come simbolo la ruota, e in Galizia sono state trovate anche alcune sculture di ruote. Chissà se erano collegate al dio del tuono”.
Herminius Mons

Troverete la presentazione delle altre divinità celtiberiane nelle prossime parti.

Fonti :

https://dc.uwm.edu/ekeltoi/

Juan Carlos Olivares Pedreño, Università di Alicante

Alberto J. Lorrio, Università di Alicante Gonzalo Ruiz Zapatero, Universidad Complutense de Madrid

https://herminiusmons.wordpress.com/
https://herminiusmons.wordpress.com

https://goldentrail.wordpress.com/

LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE
Traduzione a cura di Mer Curio

Ricercando

Pedofilia-dagli anni ’60 ad oggi, tra percezione e realtà.

Pedofilia-dagli anni ’60 ad oggi, tra percezione e realtà.

Le lacrime di dolore versate per qualcosa di profondamente sbagliato non si dimenticano. Gli occhi conservano quel tipo di memoria per sempre.

Un pomeriggio di sole, una piazza affollata, un aperitivo in compagnia, le risate. Ma i suoi occhi sono uno specchio rotto nel quale si intravedono soltanto le forme di una miriade infinita di sensazioni che non avrebbe mai voluto provare, un lugubre mosaico dai colori vividi che con il tempo si sono solo un po’ sbiaditi.

Fortunatamente, non ho conosciuto molte persone che hanno subito violenze durante l’infanzia, solo un paio. Nonostante questo, il poco che ho visto mi basta per essere ferma sulle mie posizioni e so che niente potrà farmi cambiare idea, niente potrà convincermi a deviare dalle mie convinzioni, nemmeno di qualche centimetro, mai. Questa è una delle pochissime cose sulle quali posso e voglio esprimermi tanto radicalmente.

L’intento di queste righe è quello di arrivare a scorgere il quadro generale della situazione, avvicinandosi il più obiettivamente possibile alla comprensione della realtà. Ottenere una visione a 360° del fenomeno che ci aiuti a comprenderne le ambiguità, l’evoluzione, gli interessi e i possibili scenari futuri. Per il bene di tutti i nostri bambini.

Ho tentato di impostare la ricerca in modo da offrire un’istantanea abbastanza completa dell’argomento cercando, però, di rendere la lettura accessibile a vari livelli di profondità.

E’ possibile limitarsi alla mia sintesi o approfondire con i link di riferimento i punti che interessano maggiormente, in base al tempo di cui si dispone.

Detto questo, mi scuso per eventuali errori o imprecisioni e spero di aver fornito un quadro della situazione sufficientemente ampio, che possa portare all’elaborazione di una propria personale opinione.

TRA STUDI SCIENTIFICI..

Partiamo da uno studio scientifico effettuato da tre professori: Bruce Rand della Temple University, Philip Tromovitch dell’Università della Pennsylvania e Robert Bauserman dell’Università del Michigan che è stato pubblicato nel bollettino della prestigiosa APA (American Psychiatric Association), l’associazione degli psichiatri americani. Questo studio scientifico tende a ridimensionare la gravità delle conseguenze causate dall’abuso sessuale sui bambini, minimizzandole.

E PERSONAGGI INFLUENTI

“E’ difficile capire per quale ragione una bambina, a meno che non sia condizionata dall’educazione, dovrebbe turbarsi quando le vengono toccati i genitali, oppure turbarsi vedendo i genitali di altre persone, o nell’avere contatti sessuali ancora più specifici”

Alfred Kinsey, sessuologo americano. Forse sarebbe più opportuno definirlo IL sessuologo americano per eccellenza visto che i suoi studi hanno plasmato totalmente il nostro modo di concepire la sessualità, sono stati finanziati dalla Rockefeller Foundation, pubblicizzati e diffusi in tutto il mondo. Sono stati criticati a causa di evidenti irregolarità nella scelta dei soggetti esaminati, non rappresentativi della realtà perchè tutti volontari, molti dei quali arrestati per crimini sessuali. Un paio di capitoli agghiaccianti contenuti nei suoi libri

“Nel paragrafo intitolato “l’orgasmo dei soggetti impuberi” descrive i comportamenti di centinaia di bambini da quattro mesi a quattordici anni vittime di pedofili. In alcuni casi, Kinsey e i suoi osservarono (filmando, contando il numero di «orgasmi» e cronometrando gli intervalli tra un «orgasmo» e l’altro) gli abusi di bambini ad opera di pedofili: «In 5 casi di soggetti impuberi le osservazioni furono proseguite per periodi di mesi o di anni[…]» (p. 107); ci furono anche bambini sottoposti a queste torture per 24 ore di seguito: «Il massimo osservato fu di 26 parossismi in 24 ore, ed il rapporto indica che sarebbe stato possibile ottenere anche di più nello stesso periodo di tempo» (p. 110).”

In “Contatti nell’età prepubere con maschi adulti” venivano descritti rapporti sessuali tra adulti e bambini con tanto di tabella contenente i tempi delle bimbe per raggiungere l’orgasmo. Questo “stimato luminare” si permette di scrivere:

“Il numero straordinariamente piccolo dei casi in cui la bambina riporta danni fisici è indicato dal fatto che fra 4.441 femmine delle quali conosciamo i dati, ci risulta un solo caso chiaro di lesioni inflitte ad una bimba, e pochissimi esempi di emorragie vaginali che, d’altronde, non determinarono alcun inconveniente apprezzabile” (pp. 159–160).”

“I numeri di pagina si riferiscono alle edizioni italiane: Il comportamento sessuale dell’uomo, Bompiani, Milano 1950;Il comportamento sessuale della donna, Bompiani, Milano 1956.” Fonte 

-alcun inconveniente apprezzabile- Non credo ci sia bisogno di aggiungere altro. Scherziamo? Purtroppo no. Non trovo le parole, o meglio, non potrei formulare una frase priva di ingiurie, quindi, andiamo oltre.

John Money, sessuologo neozelandese. Fondò la “Clinica per l’Identità di Genere” all’interno della John Hopkins University, prestigiosa università collegata alla stessa fondazione che finanziò gli studi di Kinsey:la Rockefeller Foundation, ma anche ad altre importanti fondazioni filantropiche come la Bill&Melinda Gates Foundation. Money iniziò a lavorare alla John Hopkins prima di concludere il dottorato e ci rimase fino alla fine della sua carriera. Faceva parte della Task Force on Homosexuality con Alfred Kinsey, gli studi prodotti da questo gruppo fecero rimuovere l’omosessualità dal manulale diagnostico dell’APA, il DSM del 1974. Nei dibattiti sulla pedofilia sosteneva dovesse “esserci una distinzione clinica fra “affectional pedophilia” e “sadistic pedophilia”, cioè la pedofilia in cui c’è affetto per il minore coinvolto in atti sessuali e quella che si manifesta solo in modo sadico.

Fu criticato soprattutto a causa della controversa storia di Bruce Reimer infatti cercò di “curarlo” per un danno irreversibile ai genitali, facendogli cambiare sesso e facendolo crescere come se fosse una bambina. Era un’occasione troppo ghiotta nella quale poteva sperimentare le sue teorie. Secondo Money non è la fisiologia a determinare il sesso ma i condizionamenti esterni derivanti da cultura e società, tutto sembrava avvalorare le sue tesi, finchè la/il ragazza/o si tolse la vita. Qui per approfondire. 

Tom O’Carroll , già arrestato per reati collegati alla pedofilia che considera un normale orientamento sessuale e tra le altre cose sostiene che “«in una relazione pedofila» il piccolo «desidera essere desiderato», quindi sarebbe pienamente libero”. Fonte

“Sarà un pazzo che parlava a vanvera, avrà urlato queste assurde oscenità dal balcone di casa sua, non lo avrà mai ascoltato nessuno” si potrebbe pensare. Invece no, scrive queste cose su sexuality&culture, rivista che pubblica ricerche scientifiche e articoli accademici. E’ stato membro del PIE (Paedophile Information Exchange), di cui parleremo meglio in seguito, gruppo pro-pedofilia nato nel 1974, formato da attivisti che intendevano abbassare l’età del consenso a 10 anni. E’ stato accusato e condannato per aver tentato di corrompere la morale pubblica, per la distribuzione di materiale pedo-pornografico e per reati contro i minori. Potrei riportare molto altro ma, per ora, credo sia meglio metabolizzare questo.

Tom O’Carrol

Mario Mieli , attivista e scrittore, nel suo “Elementi di critica omosessuale” scrive:

“il padre rifiuta contatti erotici aperti con il figlio (il quale invece desidera “indifferenziatamente” e quindi desidera anche il padre), così come gli altri maschi adulti, in forza del tabù antipederastia, rifiutano rapporti sessuali con il bambino”.

“Noi checche rivoluzionarie sappiamo vedere nel bambino non tanto l’Edipo, o il futuro Edipo, bensì l’essere umano potenzialmente libero. Noi, sì, possiamo amare i bambini. Possiamo desiderarli eroticamente rispondendo alla loro voglia di Eros, possiamo cogliere a viso e a braccia aperte la sensualità inebriante che profondono, possiamo fare l’amore con loro. Per questo la pederastia è tanto duramente condannata: essa rivolge messaggi amorosi al bambino che la società invece, tramite la famiglia, traumatizza, educastra, nega, calando sul suo erotismo la griglia edipica. La società repressiva eterosessuale costringe il bambino al periodo di latenza; ma il periodo di latenza non è che l’introduzione mortifera all’ergastolo di una «vita» latente. La pederastia, invece, «è una freccia di libidine scagliata verso il feto»”

Un articolo di bufale.net, citando tra le fonti principali il Fatto Quotidiano e Gay.it  tenta di contestualizzare le affermazioni di questo stravagante teorico degli studi di genere, basandosi sul periodo storico e tirando in ballo Freud. Mario Mieli, l’esponente di spicco dell’ideologia gay a cui è dedicato il circolo più famoso d’Italia non era quindi un pedofilo, ma sarebbe semplicemente stato un “intellettuale provocatore”. Per quanto mi riguarda, alla luce dei fatti emersi dalla ricerca, queste argomentazioni non minimizzano affatto la portata del suo pensiero e la gravità delle possibili ripercussioni.

Il circolo Mario Mieli organizza progetti didattici e le realtà LGBT , passando per l’UNAR — Ufficio Anti Discriminazioni Razziali, sono ufficialmente entrate nelle scuole come enti di formazione. Qui un articolo per approfondire la questione.

Mario Mieli

 W. L. Williams è stato arrestato per pedofilia.

“Ha insegnato antropologia, studi di genere e storia alla University of Southern California di Los Angeles, una delle più celebri università della California insieme all’UCLA. Il sito dell’università lo riportava tra i suoi professori su una pagina che è stata messa offline negli ultimi giorni. Williams ha ricevuto diversi riconoscimenti per il suo lavoro accademico, compresa una onorificenza della stessa università nel 2006.” 

W. L. Williams

Il Post riporta la notizia citando tra le fonti un articolo del Los Angeles Times, dal quale ha ricavato queste informazioni, ma la testata americana continua: “He was also recognized for his work with the gay and lesbian community.” (È stato anche riconosciuto per il suo lavoro con la comunità gay e lesbica).

Credo sia molto importante precisare anche questo dettaglio visto il filo conduttore emerso finora. Proprio seguendo questo gomitolo, che all’inizio mi ha portato su parecchie piste poco attendibili e su binari morti, trovo questo articolo della bbc, gentilmente tradotto in italiano dal nostro preziosissimo Mer Curio. Si analizza il collegamento tra il PIE , già citato in precedenza, e i movimenti dell’epoca. “Il giornalista Christian Wolmar ricorda la loro tattica: 

“Non hanno sottolineato che si trattava di uomini di 50 anni che volevano fare sesso con bambini di 5 anni. L’hanno presentata come la liberazione sessuale dei bambini, che i bambini dovrebbero avere diritto al sesso”, dice. E’ un’ideologia che ora sembra agghiacciante. Ma il PIE è riuscito a ottenere il sostegno di alcuni organismi professionali e gruppi progressisti. Ha ricevuto inviti dai sindacati degli studenti, ha ottenuto una copertura mediatica favorevole e ha trovato accademici disposti a diffondere il suo messaggio.”

“Una delle tattiche chiave del PIE è stata quella di tentare di unire la sua causa con i diritti degli omosessuali. In almeno due occasioni la conferenza della Campagna per l’uguaglianza omosessuale ha approvato mozioni a favore del PIE. La maggior parte delle persone gay erano inorridite da qualsiasi parallelismo tra omosessualità e interesse sessuale nei confronti dei bambini, dice Parris. Ma il PIE ha usato l’idea della liberazione sessuale per conquistare elementi più radicali: “Se c’era qualcosa con la parola ‘liberazione’ nel nome si era automaticamente a favore se si era giovani e fighi negli anni Settanta.”

Per lo sdoganamento della pedofilia puntavano alla liberalizzazione della sessualità dei bambini giocando sui diritti, come si era appena fatto con l’omosessualità da poco socialmente accettata. A prescindere da questo piccolo trucchetto di linguaggio e prospettiva, gli obiettivi del PIE erano abbastanza chiari, i suoi membri erano attivisti e portavano avanti le loro campagne alla luce del sole. Fortunatamente le proteste furono consistenti e i loro piani non andarono a buon fine, ribellarsi è servito, saremo ancora in grado di farlo oggi? E domani? Non stiamo assistendo, ora, alle stesse battaglie per i diritti delle minoranze LGBT? Alle stesse lotte contro le discriminazioni? Queste cause sono, senza ombra di dubbio, lecite e condivisibili. La preoccupazione che possano essere strumentalizzate per il raggiungimento di un obiettivo non dichiarato ma preciso, non è altrettanto lecita? Siamo di fronte alla semplice evoluzione della società moderna, che si sviluppa autonomamente, senza alcun tipo di spinta esterna, o ci troviamo davanti all’ennesimo tentativo di ipersessualizzazione precoce della società? Tentativo che potrebbe essere più subdolo e strisciante, ovviamente meno esplicito di quello messo in atto negli anni ‘70 dal PIE. Nel corso degli anni le tecniche si affinano, ma non è così per qualsiasi disciplina? Se ora si fondasse tutto sulla dolce manipolazione delle menti e sul proggressivo, lento cambiamento nella percezione della realtà? Sono solo semplici interrogativi. Nessuno può dire di avere la verità in tasca. 

PANEM ET CIRCENSES

Se dovessimo cercare le risposte nel comportamento dei media, non sarebbero difficili da trovare. Pubblicità, film, serie tv, foto, anime, concorsi di bellezza, servirebbe un approfondimento a parte per analizzare la mole di materiale in circolazione. Esclusivamente per far capire a grandi linee ciò che intendo, per ovvie esigenze di tempo e di spazio riporterò qui di seguito solo un paio di esempi. I più discussi. 

La foto scelta da Skytg24 per pubblicizzare la mostra del cinema di Venezia 2020

Le polemiche hanno infuocato il web, chi ha sollevato dubbi è stato giudicato paranoico, complottista. Il Primato Nazionale scrive: 

“Scelta discutibile ma niente pedofilia…Di fatto SkyTg24 ha scelto semplicemente un fermo immagine (uno dei tanti)”. 

Spulciando tra i vari articoli è possibile farsi un opinione al riguardo. “Perché tanto rumore? Perché nella foto, il cui utilizzo si deve solo a una libera scelta di Sky, c’è una bambina in mutandine — alla quale qualcuno ha subito attribuito uno “sguardo ammiccante” — in una stanza piena di piccioni e altri uccelli. E l’equivoco è aggravato anche dall’infelice titolo utilizzato di Sky, ovvero “Mostra di Venezia 2020: il festival è donna”. È inammissibile, che al di là della mancanza di rispetto delle leggi vigenti in materia di Tv e Minori, sia venuto meno anche il buonsenso. Che dovrebbe appalesarsi in tutti coloro i quali operano nel settore delle comunicazioni”. Indubbiamente mi trovo in accordo con quanto afferma, alla fine del virgolettato, il sociologo Antonio Marziale, presidente dell’Osservatorio sui Diritti dei Minori. Certo viene da chiedersi perchè proprio quel fermo immagine tra i tanti disponibili e come possano, degli esperti in comunicazione, far passare messaggi tanto ambigui, per sbaglio.

Cuties , film francese distribuito da Netflix, ha sollevato un acceso dibattito. 

Il film insegna a twerkare alle adolescenti”, secondo l’accusa. Ma molti lo difendono: “Denuncia l’assenza per i bambini di un’educazione che mette in discussione media “sessualizzati” e cultura dell’oggettificazione”

La locandina al centro della polemica

Partendo dal presupposto che i film spesso mettono in scena la realtà e la realtà altrettanto spesso fa schifo, cercherò di accogliere come plausibili le parole della regia che si giustifica dicendo di aver solo tentato di denunciare l’evidente ipersessualizzazione infantile della società. Se dovessimo criminalizzare questo film esclusivamente perchè immorale e scandaloso dovremmo farlo anche con tutte le produzioni inclini alla violenza in generale. “Assodato” questo, tralascerò tutte le scene palesemente spinte (che non sono poche) e i volgari discorsi legati al sesso, per concentrarmi sul resto.

Già mi lascia dubbiosa la critica che definisce “adolescenti” delle bambine di 11 anni, sorvolando su questo dettaglio, provo ad analizzare la pellicola. Cerchiamo di andare più in profondità.

 Ci sono parecchi momenti semplici che non hanno a che fare con il ballo o con il “bisogno di ribellione”, dove inquadrano le bimbe focalizzandosi sulla loro pancia, rimanendo a lungo sul fondoschiena, a volte anche mentre sono chinate col fondoschiena in totale evidenza, per intenderci. Spesso si mordono le labbra o ammiccano in occasioni dove, a mio avviso, non avrebbe senso farlo. Spesso sono vestite di rosso e sappiamo tutti cosa rappresenta quel colore e quali emozioni suscita. Le piccole ballerine tirano un sasso ad Amy, la protagonista. La più clemente si preoccupa per lei, sono l’una di fronte all’altra, abbastanza vicine. L’amica prende con una mano della polvere bianca da un’anonima busta, ci sputa sopra un’abbondante quantità di saliva e la spalma sulla ferita, “medicandola”. Non sono a conoscenza dei vostri gusti personali e non so se siate a conoscenza delle mode sessuali più in voga sulle piattaforme porno, ma lo sputo è spesso direttamente ed inequivocabilmente collegato al sesso, quindi perchè inserire un gesto del genere in una circostanza simile? Non è collegato minimamente alla trama e alle intenzioni dichiarate. Ma forse sono io che non colgo il nesso artistico e il suo significato intrinseco. Le bambine trovano un preservativo e una di loro lo gonfia, le amiche si allontanano accusandola di essere infetta, lei piange perchè non sapeva potesse essere pericoloso. La scena si sposta in bagno, la bambina con la bocca spalancata e la lingua di fuori, le altre concentrate a strofinarle la lingua piena di schiumoso sapone bianco. Non commento, lascio trarre le conclusioni ad ognuno di voi.

In una scena si mettono a ballare davanti a due uomini adulti, non annoierò oltre specificando il contesto nei dettagli perchè lo trovo irrilevante, comunque uno di loro le guarda con interesse e quando se ne vanno le saluta con un chiaro: “A presto!”. 

Con la consapevolezza che deriva da tutte queste ambiguità, il finale appare come un banale e strappalacrime tentativo di legittimare le oscenità proposte fino a quel momento. Ho come l’impressione che sia stato buttato lì in fretta. Ma è solo una sensazione. Lei torna correndo dalla madre, sceglie di saltare con la corda, sorridendo felice.

Boh.

Non è un errore di battitura. Intendevo proprio…boh. Non so cosa pensare.

Probabilmente, non mi è piaciuto e basta. Sono d’accordo con quanto afferma la giornalista Flavia Piccinni: 

“La riflessione si sposta dunque su più piani. Oltre a domandarsi tout court se sia corretto mostrare l’oggetto della propria denuncia in modo acritico come accaduto in questo caso (mostro delle bambine in atteggiamenti ipersessualizzati per criticarle, ma intanto e comunque le mostro), dovremmo forse interrogarci sul presente che stiamo vivendo.”

Girava in rete anche la notizia, rivelatasi falsa, del CEO di Netflix arrestato con del materiale pedo-pornografico. Errare è umano ed è quindi normale sbagliare a volte, sviste ed imprecisioni sono inevitabili, altra cosa però è dare risonanza a fatti sospetti, senza fonti attendibili, senza un minimo di affidabilità. Com’era prevedibile non sono mancati i soliti analfabeti funzionali che contribuiscono a far diventare virali le informazioni senza verificarle in alcun modo, considerando tutto come oro colato, sempre e solo se avvalora le loro ipotesi e li fa stare adagiati nella loro zona di comfort. Questo comportamento è diffusissimo e danneggia soprattutto chi, con spirito critico, si pone delle domande cercando di districarsi tra propaganda e informazione, proprio tra percezione e realtà.

IN POLITICHESE  

Non mancano nemmeno dichiarazioni come questa :

“Criminalizzare i “pedofili” in quanto tali, al contrario, non serve certo a “tutelare i minori” (che dovrebbero piuttosto essere tutelati da chi immagina questo tipo di tutele), ma solo a creare un clima incivile, nè umano nè — vorremmo dire — cristiano.” di Daniele Capezzone dei Radicali.

In rete ne vengono riportate molte altre, come anche nel libro Unisex di Enrica Perucchietti e Gianluca Marletta, ma alcuni link delle fonti purtroppo non funzionano più e preferisco inserire solo ciò che ancora si può reperire.

Ci sono state parecchie polemiche anche per quanto riguarda il DDL Omofobia, circolava in rete un emendamento firmato Giovanardi che faceva rientrare la pedofilia negli orientamenti da tutelare.

1. All’articolo 3 della legge 19 ottobre 1975, n. 654, e successive modificazioni sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, alle lettere a) e b) sono aggiunte, in fine, le seguenti parole: ‘’o fondate sull’odio ovvero disprezzo o comunque palese ostilità tesa concretamente a ledere l’incolumità, la dignità e il decoro delle persone che manifestino anche solo apparentemente, ancorché non apertamente, orientamenti omosessuali, bisessuali, eterosessuali, pedofili, se tali condotte discriminatorie siano poste in essere a motivo del loro orientamento sessuale e siano espressione di violenza o ostilità verso la persona e non di pensiero verso l’orientamento sessuale e lo stile di vita in sé’’

Tutti si sono affrettati a smentire l’assurda fake news nella quale sono incappati, a quanto pare, anche il Messaggero e il Fatto Quotidiano .

“Si tratta in realtà di un vecchio emendamento del 2013…Ovviamente nel testo di legge che verrà depositato domani non c’è alcun riferimento alla pedofilia.” tuona Fanpage il 29 giugno 2020.

La sentenza? Il termine “pedofili” è stato inserito solo per fare ostruzionismo, era una semplice provocazione. Bufala sbufalata! Ma che burloni! Forse i personaggi analizzati finora, poco più sù, ma anche la stessa APA non saranno tanto d’accordo. Di fatto, l’emendamento esiste, nero su bianco, lo potete trovare qui. Ognuno tragga le proprie conclusioni. 

RIPARTIAMO PROPRIO DALL’APA

Torniamo sull’associazione degli psichiatri americani che nel 1998 ha pubblicato un controverso rapporto nel quale affermava che “il potenziale negativo del sesso degli adulti con i bambini è stato esagerato; la stragrande maggioranza degli uomini e delle donne non ha riportato effetti negativi da esperienze sensuali infantili”

In seguito, la stessa associazione, nel Dsm4 (Diagnostic and Statistical Manual of Mental Disorders) ha declassato la pedofilia da malattia a “disordine mentale” (“orientamento sessuale o dichiarazione di preferenza sessuale senza consumazione”) e continuando l’evoluzione linguistica, ha sentito il bisogno di porre una distinzione tra atto pedofilo e pedofilia, non considerando più quest’ultima come un disturbo psichico ed etichettandola come “semplice” orientamento sessuale nel Dsm5 pubblicato nel 2013. Dopo le accuse, l’associazione ha specificato che lo studio sugli abusi non intendeva giustificarli e ha rettificato il manuale con la distinzione tra disordine pedofiliaco (ancora considerato come una patologia psichiatrica) e pedofilia (un orientamento come gli altri della sessualità umana). A voi sembra abbiano risolto l’equivoco? A me sembra ancora che, a livello di ridefinizione del significato delle espressioni, qualcosa sia cambiato. Il linguaggio è più importante e più potente di quanto siamo disposti a credere, questa nuova definizione della pedofilia è accettabile? Potrebbe lentamente plasmare la nostra percezione e con più facilità quella delle generazioni future? Significativo questo virgolettato di Giulio Meotti che tratta l’argomento:

“La pedofilia viene definita “amore intergenerazionale” . D’altronde questa è la forza di chi scrive i manuali scientifici: un disturbo psichiatrico non esiste se non c’è nel manuale degli psichiatri americani. E’ il potere di scrivere, letteralmente, la realtà.”

Le prese di posizione riguardo alla questione fortunatamente sono rimaste ferme, l’indignazione è prevalsa, ma qualcuno potrebbe sottovalutare la cosa e pensare che, alla fine, sono solo parole. Anche le immagini, come quella scelta per la mostra di Venezia che abbiamo preso come esempio, sono solo immagini, ma ho sempre pensato che sia meglio prevenire che curare. Credo che, trattandosi di un argomento tanto importante quanto delicato, sia necessario essere intransigenti e tenere sempre gli occhi ben aperti per non rischiare di fare la fine della famosa rana bollita di un aneddoto ormai risaputo.

“Immaginate un pentolone pieno d’acqua fredda nel quale nuota tranquillamente una rana. Il fuoco è acceso sotto la pentola, l’acqua si riscalda pian piano. Presto diventa tiepida. La rana la trova piuttosto gradevole e continua a nuotare. La temperatura sale. Adesso l’acqua è calda. Un po’ più di quanto la rana non apprezzi. Si stanca un po’, tuttavia non si spaventa. L’acqua adesso è davvero troppo calda. La rana la trova molto sgradevole, ma si è indebolita, non ha la forza di reagire. Allora sopporta e non fa nulla. Intanto la temperatura sale ancora, fino al momento in cui la rana finisce — semplicemente — morta bollita. Se la stessa rana fosse stata immersa direttamente nell’acqua a 50° avrebbe dato un forte colpo di zampa, sarebbe balzata subito fuori dal pentolone.”

Foto riportata da questo interessante articolo su Noan Chomsky

Questa metafora esiste e il meccanismo sembra funzionare piuttosto bene per quanto riguarda la passiva accettazione psicologica di fenomeni sociologici con conseguenti derive inaspettate e impensabili. Considerando che molte persone possono essere più vulnerabili perché all’oscuro di certi avvenimenti e di conseguenza meno consapevoli, considerando che non mancano le opinioni più accondiscendenti verso il cambiamento del linguaggio utilizzato, come quelle riportate qui, credo sia fondamentale non abbassare mai la guardia per evitare qualsiasi tipo di manipolazione.

DALL’APA ALLA NAMBLA & FRIENDS

Esiste un’associazione americana chiamata NAMbLA.  È stata fondata in America nel 1978 da David Thorstad ma conta seguaci in tutto il mondo, molti dei quali in Olanda. Sostiene il rapporto tra adulti e minori rivendicandone il “diritto”. Fa parte del gruppo International Pedophile and Child Emancipation ed è stata una delle maggiori finanziatrici dell’ILGA (International Lesbian and Gay Association), alla fine quest’ultima ha preso le distanze e si è pubblicamente allontanata, solo dopo un decennio di alleanza con la combriccola di pedofili.

Il 25 aprile viene celebrata la giornata di Alice, chi sfila chiede “l’abolizione dei limiti di età per rapporti sessuali con i minorenni”. Non è uno scherzo di cattivo gusto, questo è il sito ufficiale dell’associazione, nulla poteva essere più ambiguo di un arcobaleno colorato, che tra le altre cose simboleggia anche il movimento LGBT. Perchè utilizzano lo stesso simbolo?

Non ha senso preoccuparsi. Parliamo di una manciata di depravati senza alcun peso sociale, si tratterà di un caso isolato. Invece no. Questa è la lista di tutti i movimenti che sostengono la pedofilia e mirano al suo sdoganamento. 

Rispetto qualsiasi tipo di orientamento sessuale, finché parliamo di adulti consenzienti, non solo arrivo a comprendere l’attrazione tra donne che è fisiologicamente più accettabile nel mio caso personale, ma posso arrivare a capire anche quella tra uomini. Ripeto, potrei anche non condividere altre sfumature, ma non giudicherei in ogni caso. Certo, se ci sono di mezzo i bambini cambia tutto.

Nel 2010 Amazon mette in vendita questo e-book:

L’indignazione dilaga ma il colosso si rifiuta di ritirarlo appellandosi alla libertà di espressione, dice di essere contro la censura, ma dopo le forti critiche è costretto alla resa.  Non è la prima volta che Amazon mette in vendita un libro del genere, già dal 2002 era possibile acquistare “Understanding loved boys and boylovers”

Com’è possibile acquistare, tuttora, Pedophilia and Adult–Child Sex: A Philosophical Analysis, analisi filosofica sulla pedofilia contenente paragoni alquanto discutibili.

In circolazione anche “un vero e proprio manuale del perfetto pedofilo. Si tratta di una guida di 170 pagine che alterna istruzioni su come “abusare in sicurezza” ad oltre 1000 immagini che ritraggono abusi sessuali di adulti su minorenni.” È stato trovato sullo smartphone di Alex Walton che, alla fine, ha comunque evitato il carcere.

Il Coordinamento internazionale delle associazioni a tutela dei diritti dei minori, inoltre, ha denunciato l’esistenza di un decalogo per chi “ama le bambine” tradotto in svariate lingue, anche in italiano, che riporta affermazioni come queste: “tratterò le bambine sempre con rispetto e dignità…non farò nulla contro la loro volontà”.

La presidente del Ciatdm, Aurelia Passaseo, denuncia anche l’aberrante ricorrenza dell’International Boy Love Day, giornata dedicata all’orgoglio pedofilo, “i sedicenti “amanti dei bambini” sono invitati a celebrare la data mettendo delle candele blu accese davanti a una finestra, accompagnate da un biglietto in cui spiegare i propri “sentimenti”.”

Per giustificare il suo scritto “The Pedophile’s Guide to Love and Pleasure: a Child-lover’s Code of Conduct” Phillip Greaves afferma:

“E’ il mio tentativo di rendere le situazioni pedofile più sicure per i ragazzi che se ne trovano coinvolti, stabilendo determinate regole per gli adulti. Spero di riuscirci appellandomi ai lati positivi dei pedofili, con la speranza che seguano i consigli e possano venire odiati meno e condannati a pene minori, in caso venissero arrestati”.

L’autore ritiene che i pedofili siano spesso incompresi. Istintivamente ho la nausea, ma ho comunque cercato di essere obiettiva. Ho provato a ragionarci sù e anche dopo un arduo lavoro di razionalità, la nausea rimane.

Viviamo tutti realtà diverse e spesso si ha la presunzione di credere che il proprio comportamento sia il migliore possibile, per poi rendersi conto di quanto sia illusorio tutto questo, per correttezza e coerenza quindi, cerco a mia volta di non giudicare mai nessuno, ma sono umana e odio l’ipocrisia quindi sì, ogni tanto accade. I pensieri affiorano senza che me ne renda conto, cerco sempre di migliorare, allenando il distacco, ma su determinate cose ho ancora molta strada da percorrere. Avevo bisogno di questa premessa. È necessaria perchè io stessa arrivi ad accettare la mia presa di posizione. Provo ribrezzo per le intenzioni di questi elementi e devo essere sincera, non tento in alcun modo di comprenderli perché non ne sarei capace, non sarei in grado nemmeno di provare pena, figuriamoci compassione, amplificherei solo il disgusto e la rabbia che già sento. Sono sempre stata a favore della libertà di espressione ma ultimamente le mie certezze vacillano spesso, come in questo caso. È giusto che quelle persone siano libere di esprimere, sostenere e arrivare a promuovere certi abomini?

Non credo riuscirei ad accettarlo nemmeno se si trattasse solo ed esclusivamente di libertà di pensiero ma sono convinta che il fenomeno non si limiti a questo. A Boston sono stati arrestati e incriminati per stupro parecchi uomini della NAMbLA, le vittime avevano tra gli 8 e i 15 anni. Nelle basi di San Francisco e di New York, tra gli agenti, si infiltro’ anche il giornalista Mike Echols, che nel libro-inchiesta “ I Know My First Name is Steven” pubblicò anche nomi, indirizzi e numeri di telefono di circa 80 membri dell’associazione. Nella sentenza di un’ azione legale che accusava Charles Jaynes e Salvatore Sicari di aver pedinato, torturato, ucciso e mutilato un ragazzo di Boston, venne specificato che:

“Nambla funge da canale per una rete sotterranea di pedofili negli Stati Uniti, che usano la loro associazione e contatti su Internet per ottenere e promuovere l’attività pedofila”.

Arresti anche tra i membri di Martijn, associazione fondata nei paesi Bassi, con gli stessi obiettivi della NAMbLA. La corte d’appello però dichiara che “il fatto stesso che alcuni dei suoi membri siano stati condannati per reati sessuali…non andava connesso al lavoro della stessa.” 

I membri dell’associazione italiana Gruppo P, fondata dal giornalista Francesco Vallini, editori del “Corriere dei pedofili”, sono stati arrestati

Davvero si tratta solo del sacrosanto diritto alla libertà di espressione? Gira tutto intorno a censura e libertà di pensiero? Dopo i fatti riportati, ne siamo così sicuri?

DALLA NAMBLA ALL’OMS

“Già all’asilo i bambini devono conoscere il piacere della masturbazione e scoprire il corpo dell’altro sesso. A 9 anni devono sapere come usare il preservativo e a 15 essere ben consapevoli del diritto di abortire. A stabilirlo il documento sugli Standard per l’educazione sessuale elaborato dall’Oms Europa e dal Centro per l’educazione alla salute di Colonia.”

In questo articolo del 2013 troverete gli approfondimenti, in allegato il documento ufficiale (da pag.38 a pag.48 le linee guida dell’educazione sessuale dai 4 ai 15 anni) e l’interrogazione parlamentare presentata dall’onorevole Paola Binetti a Beatrice Lorenzin, allora ministro della salute.

Altri approfondimenti in questo articolo evidentemente in accordo con le posizioni dell’OMS.

“Secondo i già citati Standard per l’ educazione sessuale in Europa dell’Ufficio Regionale per l’Europa dell’OMS e BZgA pubblicati nel 2010 sarebbe importante inserire l’ educazione sessuale come materia curricolare e considerarla materia d’esame. L’obiettivo di questo cambiamento è dare sufficiente attenzione ed importanza agli argomenti proposti, favorendo la motivazione degli studenti. Inoltre i programmi di educazione sessuale dovrebbero essere trattati in maniera multidisciplinare, ovvero da più insegnanti sotto diversi punti di vista, e non dovrebbero essere facoltativi per gli alunni.”

Quando ho scoperto dell’esistenza di questo documento sono rimasta inorridita, ovviamente. I primi articoli letti riportavano solo ed esclusivamente i punti più discutibili, quelli con cui mi trovo in forte disaccordo. Per capire meglio, sono risalita alla fonte. Sembrerà strano ma la cosa più difficile è dover fare i conti con le sensazioni contrastanti che nascono dall’analisi del testo ufficiale. Premetto che la seguente affermazione si riferisce esclusivamente all’impressione avuta in seguito a una prima superficiale lettura: è sconcertante dover ammettere, tolte le ambiguità riportate di seguito, che nel complesso, il documento sembra orientato verso la tolleranza. Evidenti obiettivi come: il rispetto per le differenze; un atteggiamento aperto e non giudicante; la consapevolezza che è giusto chiedere aiuto; il rispetto per stili di vita, valori e norme diversi; venire a patti con la pubertà e resistere alle pressioni da parte dei coetanei; avere spirito critico rispetto ai messaggi provenienti dai media e dalle industrie della bellezza; affrontare l’ingiustizia, la discriminazione, la disuguaglianza; il riconoscimento dei diritti umani per sé e per gli altri; l’accettazione delle insicurezze che affiorano con la presa di coscienza del proprio corpo; convivere in famiglie basate sul rispetto reciproco; costruire e mantenere relazioni; la convinzione che l’impegno, la responsabilità e l’onestà sono alla base delle relazioni.

Impossibile non convenire con la quasi totalità dei punti esposti. Nonostante questo, alcuni passaggi mi hanno inquietato, anche se in realtà evitare ogni tipo di condizionamento è pressochè impossibile. Credo che in questo caso avrò più libertà di valutazione e penso di avere più possibilità di maturare un’opinione obiettiva, visto che stiamo parlando di elementi senza esposizioni o interpretazioni esterne, perchè mai evidenziati da nessun articolo letto finora. Questi dettagli mi hanno colpito, a primo impatto con minore intensità rispetto ad altri, ma riflettendoci con maggiore sospetto perchè ambigui, sicuramente molto meno espliciti. Ad esempio, troviamo nella fascia 0–4 : voglia di dire “sì” e voglia di dire “no”. Questa espressione, anche se è riportata nella sezione “emozioni/affetti”, ha ricollegato istantaneamente il mio pensiero ad una intervista rilasciata da Don Fortunato Di Noto , da sempre impegnato nella lotta contro la pedofilia, fra i primi a scoprire l’esistenza del “Fronte per la Liberazione dei Pedofili”. Uno di loro scrisse una lettera indirizzata a tutti i bambini: 

“Probabilmente qualcuno ti ha detto che puoi dire di no. Bene, ricorda soltanto una cosa: se puoi dire di no, puoi anche dire di si…Se ti senti di fare qualcosa hai il diritto di farlo. Sei tu che puoi scegliere…Talvolta gli amici con i quali ti diverti ti chiedono di non raccontare agli altri quello che avete fatto insieme. Questo capita spesso quando i tuoi amici sono degli adulti. Il motivo di ciò è semplice: se la gente scopre che hai fatto delle cose con un amico adulto, o con una amica adulta, può farlo andare in prigione e rovinargli la vita…Sai poi cosa capita a te quando la gente lo scopre? Vai in terapia. Terapia vuol dire che devi sottostare a qualcuno che cercherà di convincerti che tutto quello che hai fatto con il tuo amico è stata una cosa orribile e che il tuo stesso amico è una persona orribile. Possono persino darti delle medicine per calmarti. Diventi una persona malata”.

Voglia di dire “sì” e voglia di dire “no”, perché puoi dire di no ma puoi dire anche di sì. Questo parallelismo spaventa perchè appare così evidente, ma non è il solo. Nel documento dell’OMS questa volta proprio alla sezione “sessualità, salute e benessere”, fascia 4-6, troviamo: distinguere tra segreti “buoni” e segreti “cattivi”; belle e cattive esperienze del proprio corpo/cosa dà una sensazione piacevole?; la consapevolezza dei propri diritti che porta ad avere fiducia in se stessi; l’atteggiamento “il mio corpo appartiene a me” ; sensazioni legate alla sessualità (vicinanza, piacere, eccitazione) come componenti della gamma di sensazioni umane (devono essere positive, non devono includere la coercizione o il far del male); alcune persone non sono buone, si fingono gentili ma possono essere violente. Ma soprattutto: se l’esperienza/la sensazione non è bella, non si deve sempre accondiscendere; la consapevolezza che possono decidere per se stessi. Questo, se ancora capisco l’italiano, presuppone che potrebbero anche accondiscendere se l’esperienza fosse percepita come “bella”, se la persona di fronte non fosse violenta ma gentile “per davvero”. Se questo concetto fosse rivolto a ragazzini di 14 anni potrei anche condividerlo, a quell’età l’approccio alla sessualità è inevitabile, con i coetanei preferibilmente, ed è giusto responsabilizzarli e cercare di renderli maggiormente consapevoli, ma in fascia 4–6 che senso ha? O meglio, che tipo di messaggio si intende far arrivare? E in che modo? Non solo il PIE puntava sui diritti perché i bambini potessero essere definiti consenzienti, non abbiamo assistito al palese tentativo di legittimare la pedofilia in assenza di violenza? Sorvolando, ma solo per il momento, su “bambini su misura, genetica”, dedicato ai ragazzi sopra i 15 anni, continuo a cercare.

Manuel Di Casuli, in un suo articolo, riconduce tutti gli “esperti” di dubbia provenienza ed estrazione, che hanno collaborato alla stesura del documento, alla stessa lobby abortista (International Planned Parenthood Foundation-European Network ).

Iniziando a sbirciare nel business dell’aborto, abbiamo già avuto modo di vedere fin dove possano spingersi certe realtà, soprattutto perchè sono coinvolti personaggi di un certo spessore, ai quali non mancano di certo le risorse. Quanto possono diventare influenti persone del calibro di Hilary Clinton? Bisognerebbe scavare più a fondo e capire se quello che sostiene l’articolista del Sussidiario è del tutto verificabile e concreto. Continuo a ripetermi, come fosse un mantra, che spesso la verità sta nel mezzo. Voglio credere che queste direttive siano state stilate da persone in buona fede, che nessuno si sognerebbe mai di spingere i bambini verso una sessualizzazione precoce, soprattutto perchè, anche solo supporre il contrario, sarebbe agghiacciante.

Partendo da questo assunto, è plausibile pensare che determinati approcci possano essere intrapresi spinti dalla forma che va assumendo l’intera società? Questa direzione è stata imboccata in maniera naturale o è il frutto di premeditati condizionamenti? Tutto può essere, forse se ci allontanassimo un poco dalla piccola serratura alla quale siamo soliti appoggiare l’occhio per spiare il mondo, potremmo scorgerne la complessità.

Personalmente, ritengo che ogni bambino abbia i suoi tempi, credo che abbia il diritto di ricevere le risposte adeguate alle sue domande nell’esatto momento in cui affiorano. Credo anche che le risposte dovrebbero essere adatte alla sua età, ma soprattutto cucite appositamente su di lui, fatte su misura, in base alle sue esperienze, a quello che può aver visto e sentito, nel rispetto di ogni sua sfumatura e di ogni sua particolare sensibilità. Quindi, se per poter assolvere al meglio questo compito sono necessarie un’attenta osservazione e una profonda comprensione, chi può conoscere un bambino, meglio delle persone che si prendono cura di lui da quando ancora non era nato? Per questo penso spetti alla famiglia farsi carico di questa responsabilità. Potrebbero essere utili degli incontri di formazione per aiutare i genitori ad affrontare la questione. Forse dovremmo smettere di delegare qualsiasi cosa, a partire dall’educazione dei nostri figli, seppur riconoscendo i propri limiti e le proprie lacune. Sono arrivata a pensare che l’autodeterminazione possa essere davvero la chiave per uscire dagli schemi che ci vengono imposti e che non coincidono se non mai, quasi mai, con i nostri interessi e il nostro vero benessere.

Un articolo del 2013 scritto dal già citato giornalista Giulio Meotti approfondisce i fatti avvenuti negli anni ’80 focalizzandosi sul ruolo della sinistra tedesca e dei suoi intellettuali.

“Volker Beck, che oggi rappresenta la città di Colonia al parlamento, negli anni ’80 contribuì con un saggio al libro” Il complesso pedosessuale” in cui sosteneva la depenalizzazione del sesso con i bambini”

Il documento con le direttive OMS analizzato pocanzi, è stato redatto proprio in collaborazione con il centro per l’ educazione alla salute di Colonia. Sarà di certo l’ennesima coincidenza. La sottolineo esclusivamente perché questo collegamento mi ha lasciato addosso una brutta sensazione, probabilmente sono solo condizionata dall’impatto emotivo che suscitano in me informazioni di questo tipo. Nonostante ciò credo sia importante tenere in considerazione ogni dettaglio mentre si tenta di mettere a fuoco, mentre si cercano i pezzi del puzzle, per capire dove va posizionato quel tassello in particolare e soprattutto per visualizzare in quale direzione combacia. Per questo è essenziale guardare tutto da ogni angolazione possibile e focalizzarsi anche sulle sfumature che uno sguardo superficiale giudica insignificanti.

Quale macabra immagine va delineandosi? Cosa sta succedendo, davvero?

Il possibile legame tra educazione sessuale nelle scuole e legittimazione della pedofilia viene magistralmente espresso in questo recente articolo del centro studi Rosario Livatino. Mauro Ronco, professore emerito di diritto penale, analizza in modo sintetico ma preciso, l’evolversi della situazione a livello giuridico e culturale, dagli anni ’60 ad oggi.

DALL’OMS AL PM

Pene ridotte per due pedofili, un sessantenne colto sul fatto con una bambina di undici anni e un trentaquattrenne con una ragazzina di tredici. Era amore.

Lascio giudicare a voi direttamente dagli articoli (qui e qui) sbuffando fuori e lasciando aleggiare nell’aria solo due piccoli punti di domanda: casi isolati o insidiosi precedenti? Semplicemente bravi avvocati alla difesa o una nuova e diversa percezione della realtà da non sottovalutare?

Nel mondo spariscono un numero esorbitante di minori ogni anno e il silenzio dei media è assordante. Qui l’ultimo report della federazione Missing Children Europe. Qui il più recente dossier di Telefono Azzurro. Si fa riferimento anche agli adolescenti che scappano da casa o dagli istituti e alla sottrazione da parte di un genitore, ma le percentuali del traffico sessuale sono allarmanti.

“Secondo l’UNODC Global Report on Trafficking in Persons 2018, lo sfruttamento sessuale è la forma di human trafficking più diffusa con il 79% di casi registrati”.

Le istituzioni del Regno Unito sono state “accusate da una commissione d’inchiesta indipendente di avere “messo in piedi” e “coperto” uno “spaventoso sistema di abusi su minori”…Scottland Yard ha ultimamente accusato…ex ministri, deputati di tutti i partiti e dirigenti dei servizi segreti.” 

Altri approfondimenti qui

Quanto è diffusa la pedofilia ai vertici della piramide? Il caso Epstein, emerso di recente, ci fa capire quanto poco sappiamo. Il finanziare di Brooklyn è stato arrestato la prima volta nel 2005, solo nel 2020 è stato accusato per la gestione di oltre 20 anni di traffico minorile. I reati commessi, secondo il procuratore generale Denise George, sono rimasti impuniti grazie alla copertura di una fitta rete di compagnie. I magistrati stanno cercando di ricostruire il flusso di denaro ma non è semplice,“i pochi documenti raccolti dagli investigatori mostrano passaggi di denaro da decine di milioni di dollari su conti correnti di società offshore o fondazioni che poi spariscono nel nulla.” 

Il nome di Epstein è stato collegato a diversi imprenditori, a politici e ad altre importanti personalità. Il principe Andrea, Trump, Woody Allen, Bill Gates, i Clinton. Solo per citarne alcuni. Svariati approfondimenti del caso in un unico link.

Concludo con questo pezzo che analizza i collegamenti tra il mondo dello spettacolo e la pedofilia, lo inserisco di proposito alla fine perchè spero possa essere visto come spunto per una ricerca più ampia, come una ri-partenza, visto che fa cenno, con svariati link di collegamento, a diversi episodi inquietanti che andrebbero assolutamente verificati.

A causa dell’enorme quantità di materiale non mi è stato possibile essere esaustiva, soprattutto per quanto riguarda il caso Epstein. La manipolazione mediatica e l’ultimo articolo citato son temi che necessiterebbero di un approfondimento a parte, molto più accurato, bisognerebbe risalire a tutte le fonti, punto per punto, come ho fatto per il resto. Se parecchi occhi si rivolgessero al problema, forse certi individui non avrebbero modo di agire indisturbati.

Le polarizzazioni sono sempre dannose. Non mi piacciono. Di conseguenza, non amo nemmeno i termini assolutistici, che spesso non rispecchiano la realtà e spingono all’estremizzazione, proprio quello che vorrei evitare, ma in questo caso è davvero indicato il “sempre”.

Secondo alcuni, accettare l’omosessualità deve per forza spalancare le porte anche all’accettazione della pedofilia. Disconoscere l’ordine naturale delle cose, quindi il fine dell’atto sessuale funzionale alla mera riproduzione, aprirebbe le porte alle peggio aberrità. C’è il rischio di legittimare qualsiasi cosa semplicemente perchè l’assunto alla base è il medesimo? Seguendo questa logica a ritroso, sarebbe come affermare che è rischioso avere una vita sessuale attiva e sana, con il proprio compagno, perché effettivamente, anche in questo caso viene messo in disparte lo scopo ultimo del sesso, la riproduzione, per lasciare spazio al semplice piacere. Per me, non ha senso.

Sarebbe come non uscire più di casa perché ti potrebbe capitare qualsiasi, e ripeto, qualsiasi cosa. Sarebbe come andare in panico per il covid mentre non si riesce quasi a tenere il conto delle vittime causate dagli incidenti stradali. Ripercorrendo lo stesso ragionamento in direzione all’estremità opposta, sarebbe come non salire mai più in macchina perché ogni giorno muoiono un sacco di persone sulle strade. Sarebbe come non prendere mai più un aereo perché….eh sì, ogni tanto cadono. Sarebbe come vivere nella paura, senza riconoscere razionalmente che, a prescindere dalla legge naturale, esiste un limite invalicabile tracciato da buon senso ed equilibrio, tanto rari di questi tempi. Forse sarebbe bene ricordarsi che non solo esistono infinite realtà, ma anche che c’è modo e modo di vivere la stessa realtà: infinite sfaccettature per infinite individualità.

In una coppia, e di conseguenza in una famiglia con dei forti valori intrinsechi, questa linea è ben marcata. Che si faccia sesso esclusivamente per procreare. Che lo si faccia anche per piacere ma…solo ogni tanto, non sia mai, esclusivamente durante le occasioni speciali! Che lo si faccia una volta a settimana ma…non sia mai, solo tra le mura domestiche e solo con il proprio partner! Che lo si faccia tutti i giorni! O infine, condividendo con la propria metà anche un’altra persona, o più persone, anche fuori dalle mura domestiche, e magari sì, ogni tanto anche assumendo orientamenti diversi in base alla voglia del momento! Nulla cambia.

Cambia, quando quella famosa linea inizia a sbiadire e va cancellandosi, sta a noi ricordare sempre dove stia, e qui il sempre è di nuovo necessario, sta a noi ripassarla ogni tanto per evitare di finirci oltre senza accorgercene. Così come per la famiglia, anche per la società, valgono le stesse considerazioni.

I bambini sono bambini, non si toccano.

Lely

Immagine copertina: Foto da Kristen Bondarenko

Transumanesimo

Il dispositivo futuristico della ditta israeliana che mette la…

La tecnologia 3-D “Sound beaming” di Noveto Systems traccia l’orecchio e invia l’audio utilizzando onde ultrasoniche, creando bolle d’ascolto personali

Illustrative image of Noveto Systems' SoundBeamer technology, which beams audio straight to your head, without the need for headphones. (Screenshot/Noveto Systems)

Immagine illustrativa della tecnologia SoundBeamer di Noveto Systems, che trasmette l’audio direttamente alla testa, senza bisogno di cuffie. (Screenshot/Noveto Systems)

LONDRA (AP) – Immaginate un mondo in cui vi muovete nella vostra personale bolla sonora. Ascoltate le vostre melodie preferite, giocate ad alto volume ai videogiochi, guardate un film o ricevete indicazioni per la navigazione in auto – il tutto senza disturbare chi vi sta intorno.

Questa è la possibilità presentata da “sound beaming”, una nuova tecnologia audio futuristica di Noveto Systems, un’azienda israeliana. Venerdì farà il suo debutto un dispositivo desktop che trasmette il suono direttamente ad un ascoltatore senza bisogno di cuffie.

L’azienda ha fornito alla Associated Press una demo esclusiva del prototipo desktop del suo SoundBeamer 1.0 prima del lancio di venerdì.

La sensazione di ascolto è appena uscita da un film di fantascienza. Il suono 3-D è così vicino che sembra di essere dentro le orecchie, ma anche davanti, sopra e dietro.

Noveto si aspetta che l’apparecchio abbia un sacco di usi pratici, dal permettere agli impiegati di ascoltare la musica o le teleconferenze senza interrompere i colleghi, al permettere a qualcuno di giocare a un gioco, un film o una musica senza disturbare gli altri.

La mancanza di cuffie permette di sentire chiaramente altri suoni nella stanza.

La tecnologia utilizza un modulo di rilevamento 3D e localizza e traccia la posizione dell’orecchio inviando l’audio tramite onde ultrasoniche per creare tasche sonore per le orecchie dell’utente. Il suono può essere ascoltato in stereo o in modalità 3D spaziale che crea un suono a 360 gradi intorno all’ascoltatore, ha detto l’azienda.

La demo include video naturalistici di cigni su un lago, api che ronzano e un ruscello gorgogliante, nei quali l’ascoltatore si sente completamente trasportato nella scena.

Questa immagine di prodotto rilasciata dalla Noveto Systems di Israele mostra il SoundBeamer che trasmette musica e suoni direttamente nella testa, senza bisogno di cuffie. (Noveto Systems via AP)

Ma anche l’amministratore delegato Christophe Ramstein trova difficile tradurre il concetto in parole. “Il cervello non capisce quello che non sa”, ha detto.

In una dimostrazione di Noveto condotta via Zoom da Tel Aviv, la Product Manager di SoundBeamer Ayana Wallwater non è stata in grado di sentire il suono degli spari durante una dimostrazione di gioco.

Questo è il punto. Ma si gode le reazioni delle persone che provano il software per la prima volta.

“La maggior parte delle persone dice semplicemente: ‘Wow, non ci credo proprio'”, ha detto.

“Non ci credi perché suona come un altoparlante, ma nessun altro può sentirlo… ti sostiene e sei in mezzo a tutto. Sta succedendo intorno a te”.

Cambiando un’impostazione, il suono può seguire un ascoltatore quando muove la testa. È anche possibile uscire dalla traiettoria del raggio e non sentire nulla, il che crea un’esperienza surreale.

“Non c’è bisogno di dire al dispositivo dove ti trovi. Non è in streaming in un luogo preciso”, ha detto Wallwater.

Ti segue ovunque tu vada”. Quindi è per te personalmente – ti segue, suona quello che vuoi nella tua testa”.

“Questo è ciò che sogniamo”, ha aggiunto. “Un mondo dove otteniamo il suono che vogliamo”. Non c’è bisogno di disturbare gli altri e gli altri non vengono disturbati dal tuo suono”. Ma puoi comunque interagire con loro”.

Dopo la sua prima esperienza di ascolto, Ramstein si è chiesto in cosa fosse diverso dagli altri dispositivi audio.

“Pensavo: ‘Sì, ma è lo stesso con le cuffie? No, perché ho la libertà ed è come se avessi la libertà di fare quello che voglio fare. E ho questi suoni nella mia testa come se ci fosse qualcosa che sta succedendo qui, il che è difficile da spiegare perché non abbiamo alcun riferimento per questo”.

Anche se il concetto di sound beaming non è nuovo, Noveto è stata la prima a lanciare la tecnologia e il loro dispositivo desktop SoundBeamer 1.0 sarà il primo prodotto per il consumo di massa.

Ramstein ha detto che una versione “più piccola e sexy” del prototipo sarà pronta per il rilascio per i consumatori in tempo per Natale 2021.

“Sai, stavo cercando di pensare a come possiamo paragonare il suono irraggiante con qualsiasi altra invenzione della storia. E credo che l’unica che mi è venuta in mente sia… la prima volta che ho provato l’iPod ho pensato: “Oh, mio Dio. Che cos’è? Penso che il suono irraggiante sia qualcosa di così sconvolgente. C’è qualcosa da dire a riguardo che prima non esisteva. C’è la libertà di usarlo. Ed è davvero incredibile”.

Articolo originale: https://www.timesofisrael.com/futuristic-device-from-israeli-firm-puts-music-in-your-head-without-headphones
Traduzione a cura di Mer Curio

Antropologia

“Buenas prácticas” e “friction” in Guatemala – di Pietro…

Illustrated by @melo.di.segno https://www.instagram.com/melo.di.segno/

INTRODUZIONE


E’ bene sapere qualcosa dei
costumi dei diversi popoli
per giudicare i nostri in
maniera più sana

(Descartes, 2014 [or. 1637], p. 13)

Nel presente scritto cercherò di mettere in luce le riflessioni primarie avanzate dagli antropologi rispetto a ciò che incontrano nella loro ricerca sul campo, ed i conflitti con cui gli stessi devono confrontarsi, specialmente quando fanno da mediatori tra gli interessi dei destinatari delle attività di sviluppo e quelli dei medesimi progetti che erogano tali attività e per cui gli stessi antropologi lavorano. Dopo aver descritto il contesto etnografico affrontato nel lavoro di Patrizio Warren passerò a descrivere le principali tesi dall’antropologo, evidenziando più o meno esplicitamente il tipo di domande che si pone l’antropologia applicata ed i contesti applicativo-situazionali in cui si trova ad operare.
Successivamente, nel “desiderio di creare ponti tra chi si muove principalmente nel campo dei servizi o della attività di sviluppo e chi opera in quelle accademiche” (Declich, 2012, p. 10) -ossia di far dialogare l’ambito dell’antropologia applicata con quello dell’antropologia accademica- cercherò di far emergere, dal particolare della trattazione etnografica di Warren, questioni di carattere generale che hanno da sempre interessato l’ambito accademico. Dunque non osserverò solamente le dinamiche scaturenti dall’incontro/scontro (“Friction” in Tsing, 2011) di due diverse culture così come si manifestano sul campo; ma solleverò anche ineludibili problemi che erano già, perlomeno nella fase riflessiva dell’antropologia, centrali nel problematizzare il concetto di universale e quello di identità, e imprescindibili nel delineare la giusta metodologia per la comprensione delle culture “aliene”. In tal guisa il lettore verrà spinto verso una riflessione critica nei riguardi delle sue stesse categorie interpretative, con le quali “ritaglia” il mondo ed agisce in esso.

1] Industria dello sviluppo a Jocotán: un’analisi di Patrizio Warren.

Jocotán è un comune del Guatemala che si trova in prossimità del confine con l’Honduras a sud del bacino idrografico Copan Ch’ortì nel distretto di Chiquimula. Furono gli spagnoli nel 1539 a fondare la città di Santiago di Jocatán, dopo aver sopraffatto i Maya Ch’ortì. Durante l’epoca coloniale la fertile terra alluvionale fu sfruttata dai feudatari spagnoli per produrre cacao, tabacco, canna da zucchero, foraggio ecc. Gran parte dei campesinos Ch’ortì furono asserviti, altri invece si ritirarono nelle aride colline ove iniziarono un’economia di sussistenza coltivando mais e fagioli. Per incrementare la produzione agricola si iniziò a deforestare la zona per recuperare terreni da impiegare nella rotazione delle terre messe a coltura. Alla fine XIX secolo i coloni meticci e gli immigranti occuparono le aree più produttive con piantagioni di caffè ed anche miniere di ferro; i Ch’ortì furono allora costretti a stabilirsi in zone ancora più interne e ancora meno fertili, finendo per perdere l’autosufficienza alimentare delle loro economie familiari. Si videro dunque costretti a integrarla con la produzione artigianale di tessuti e vasellame. Intorno al 1930, nel frattempo che la deforestazione andava avanti 1, la terra divenne insufficiente per la rotazione e le piogge divennero meno regolari, causando un inaridimento dell’ecosistema che spinse i contadini indigeni (i Campesinos) a seminare il sorgo, un cereale africano più resistente alla siccità. Gli uomini iniziarono una migrazione stagionale dalle piantagioni verso zone in cui avevano l’opportunità di un lavoro salariato con cui integrare la loro economia familiare. Negli ultimi decenni del 900 si assiste alla riduzione della superficie dei poderi, a cui seguì una riduzione delle rese e si arrivò all’introduzione massiccia di fertilizzanti chimici nell’intento di risollevare l’indice calante dei raccolti. Agli inizi del XXI secolo nelle campagne del Guatemala troviamo una diffusa povertà e un’iniqua distribuzione di terre e risorse perlopiù a causa dei conflitti economici, sociali ed etnici che hanno pervaso la sua storia post coloniale; i dati del 2003 della FAO (Food and Agricolture Organization) 2 parlano dell’81% dei guatemaltechi, perlopiù contadini di origine indigena, che vivono sotto la soglia di povertà (FAO, 2003). I piccoli poderi di massimo un ettaro e mezzo sono insufficienti a mantenere una famiglia; così gli indigeni si adattarono alla grave situazione assumendo un metodo “duale” (De Janvry 1981) composto da un’agricoltura di sussistenza basata su mais e fagioli integrata a un lavoro salariato stagionale nelle grandi piantagioni o nell’edilizia. Tuttavia questa economia impedì loro di capitalizzare a sufficienza per ottenere un’emancipazione materiale. In seguito agli accordi di pace del 1996, i quali sancivano la fine di una guerra durata più di trenta anni 3, governi nazionali e amministrazioni locali decisero di impegnarsi per migliorare la situazione dei contadini attraverso progetti di sviluppo rurale sostenuti da fondi di donatori e agenzie internazionali. Dagli anni ‘90 si rivolsero ai contadini numerosi progetti di riqualifica e di sostegno e l’industria dello sviluppo divenne centrale nell’economia del paese. I campesinos con una sempre maggiore consapevolezza dei problemi del territorio e della loro economia divennero parte attiva detti progetti di sviluppo, il loro scopo era quello si ottenere una migliore condizione di vita. Arrivarono servizi idrici sanitari e di telefonia, la Chiesa cattolica e altre organizzazioni distribuivano beni di prima necessità alle famiglie più indigenti ma nonostante ciò i miglioramenti delle realtà contadine non erano evidenti ed esse portavano avanti la sussistenza di tipo duale cui si è sopra accennato. Questo perché i diversi progetti non fornivano economie sufficienti a sostituire la pratica consueta, ma apparivano appaganti solo come pratiche generatrici di liquidità addizionale (Warren, 2006). In questo contesto, in cui l’antropologia applicata trova la sua naturale collocazione, si inserisce il lavoro dell’antropologo Patrizio Warren. Egli, a fine 2004, venne chiamato ad analizzare uno dei progetti di sviluppo iniziato nel 1999 dalla FAO in Guatemala: quello del PESA (“Programa Especial para la Seguridad Alimentaria”) che intendeva eradicare la povertà estrema e la fame entro il 2015 (FAO 2003) promuovendo soluzioni tangibili ai problemi della fame e della povertà. Il PESA puntava a individuare tecnologie agricole, attività alternative di produzione di reddito e forme di organizzazione per la produzione capaci di rafforzare la sicurezza alimentare delle famiglie contadine, consolidarne il capitale sociale e promuovere, attraverso delle “buenas prácticas” 4 (PESA-Guatemala, 2004 a), un processo di empoderamiento (una serie di procedure con le quali si tenta di aumentare la partecipazione di individui e comunità alla vita sociale al fine di promuovere cambiamenti positivi per il gruppo). Date le persistenti condizioni di indigenza dei villaggi, il progetto PESA volle incoraggiare l’indipendenza economica dei contadini concentrandosi sul settore agricolo in direzione della sicurezza alimentare. L’organizzazione strinse un accordo con l’Istituto de Ciencia y Tecnologìa Agrìcolas guatemalteco (ITCA) che prevedeva la fornitura di sementi ad alto rendimento (mais ICTA B7 e fagioli ICTA ligero) ai produttori e la formazione di questi ultimi sulle tecniche di riproduzione dei semi nelle parcelle irrigue. Le sementi sarebbero poi state acquistate dalla stessa PESA che le avrebbe successivamente spartite tra le comunità bisognose. Così facendo si massimizzò la produzione durante la stagione secca, quando i terreni non irrigui non erano sfruttabili; ed era proprio ai possessori di questi ultimi che si vendevano le sementi, in modo che essi avrebbero potuto coltivarle nella stagione delle piogge. Nel 2002-03 un progetto pilota a Jocotán ebbe un riscontro positivo: così un gruppo di contadini del municipio fondarono ASEJO, l’Associaciòn de Semilleros de Jocotán, con la quale si intensificò la produzione di sementi nelle parcelle irrigue e si aprì la possibilità di espandersi sul mercato internazionale. Il PESA vide nei contadini ora riuniti nell’associazione ASEJO i prodromi di uno spirito imprenditoriale, un successo dal punto di vista di quello che PESA intendeva per empoderamiento.

La coltivazione irrigua permetteva tre raccolti annui e fornì un surplus di 27 tonnellate di semi di mais e fagioli nel mercato locale; si stimò che circa 4.000 famiglie contadine trassero beneficio da tutto ciò riducendo la loro necessità di emigrare verso lavori stagionali salariati. Si stimava inoltre che i membri di ASEJO avessero ottenuto un profitto del 100% sulle loro produzioni (PESA-Guatemala 2004). Si deve tuttavia precisare che in questo caso il calcolo del rapporto costi-benefici non aveva tenuto conto dei sussidi indiretti, come fertilizzanti, pesticidi, assistenza tecnico commerciale, trasporto e logistica, che il programma aveva offerto nelle zone pilota durante la fase sperimentale. Di fatto una rigorosa analisi effettuata da Broers, economista ingaggiato da PESA per l’occasione, prese a riferimento una parcella tipo ridimensionando al 20% il profitto nel rapporto costibenefici medio annuo, su un isolato coltivato per un periodo di 5 anni (Broers, 2004). Ad ogni modo PESA volle vedere nei suoi calcoli il successo del progetto di sviluppo, tanto che si decise di appaltare presso ASEJO la gestione finanziaria ed economica dell’attività, fatto coerente con la volontà di creare il cosiddetto empoderamiento. PESA e ASEJO decisero di accreditare semi ICTA e prodotti ai produttori, il quali avrebbe successivamente restituito quanto dovuto. In questo particolare aspetto, a mio avviso, s’intravede abbastanza chiaramente che il PESA, con tutta la buona fede che gli si può accordare, divenendo creditore dei singoli produttori, acquista un diritto nei confronti dei loro ricavati ponendo i contadini in una scomoda posizione di subalternità; in un’analisi di antropologia applicata è legittimo chiedersi quanto questa dinamica sia indispensabile per portare avanti un progetto di sviluppo in una realtà che ne ha senz’altro bisogno, ed osservare quanto implementi l’empoderiamento o quanto invece allontani i contadini dall’autosufficienza in direzione di una loro dipendenza economica rispetto a PESA.
Riprendendo il filo del discorso, vediamo che PESA si ritirò da Jocotán mostrando la volontà di espandere il proprio progetto di sviluppo su scala nazionale. Ma le cose iniziarono presto ad essere considerate sotto un’altra luce rispetto a quella ottimistica che il PESA aveva fino ad allora propinato; infatti se nel 2002-03 il progetto ebbe unriscontro positivo, l’annata successiva, per un insieme di concause, fu un fallimento.
Le analisi del PESA registrarono un notevole sbilanciamento del rapporto costi/benefici. Nel maggio del 2004, a causa di una serie di moventi che il PESA ravvisava nel cattivo clima e nel basso tasso di germinazione dei semi ICTA, furono vendute solamente 7 tonnellate di semi di mais; queste 7 tonnellate vennero vendute esclusivamente ad altre agenzie di sviluppo e alla stessa PESA, la quale aveva deciso di assumere il ruolo di fornitore-acquirente principale dei prodotti. In conseguenza di questa cattiva annata, in molti decisero di abbandonare ASEJO e circa la metà dei creditori si rifiutarono di pagare il debito con PESA lamentando l’infima qualità dei semi forniti da ICTA. Parte dei membri ASEJO rimasti decisero di vendere a PESA tutti i semi invenduti a un prezzo decisamente inferiore del dovuto; mentre altri, non volendo svalutare il loro lavoro, decisero di vendere i loro prodotti localmente.
Eppure, nonostante il fallimento economico del 2004, i membri rimasti di ASEJO erano speranzosi di rifarsi nell’annata 2005, diversamente dai funzionari istituzionali che manifestavano preoccupazioni per il proseguo del progetto. Al fine di comprendere l’ottimismo dei membri ASEJO sarà necessario guardare al ruolo che la produzione di sementi svolgeva nel modo di vita delle famiglie dei soci di ASEJO. Se si analizza lo stile di vita dei cinque tra i più attivi membri di ASEJO vediamo che essi non lasciarono il lavoro salariato stagionale e fecero fruttare al massimo delle loro possibilità le rendite agricole, non per venderle a PESA o ad altre associazioni e singoli, bensì per garantire un’abbondanza di alimenti alla famiglia, dal momento che il denaro proveniva dal lavoro alternativo. Per questi soggetti la produzione di sementi era marginale e preferivano puntare sulla ripartizione del rischio e dei profitti (Ellis 2000; Warren 2002).

Tutto ciò evidenzia una razionalità economica inattenta alla massimizzazione dei profitti. Le strategie di vita dei membri ASEJO sembravano piuttosto riflettere due principi del modo di produzione contadino che si proiettavano e sopravvivevano anche nella nuova attività: garantire per prima cosa l’autosufficienza alimentare della famiglia e distribuire il rischio associato all’innovazione diversificando gli investimenti. A questi imperativi culturali andavano riportati la grande cautela con la quale i membri dell’associazione si dedicavano alla buena práctica e il ruolo nel complesso marginale che la produzione di sementi continuava a svolgere nella loro economia familiare (Warren, in Declich 2012). La natura della diffidenza da parte dei funzionari istituzionali PESA si chiarifica quando si osservano i rapporti sull’indicatore costi/benefici stilati ora con i funzionari stessi, ora con i membri di ASEJO. Infatti, come già accennato sopra, l’analisi dell’indicatore svolta da Broers mostra che il primo ottimistico censimento delle annate 2002-2003 era stato fatto senza contare numerose spese, cosicché il rapporto costi/benefici in una media quinquennale scendeva da un 1:2 a un 1:1,2. Inoltre nel 2004 i rapporti erano attestati mediamente a 1:0,83 per il mais e a 1:0,75 per i fagioli. I conti dei membri ASEJO davano un’altra immagine e comprendevano dei valori non monetizzabili, per il fatto che non prevedevano un esborso diretto del produttore. Il diverso focus addizionato al resoconto PESA riguardava “le entrate che la famiglia avrebbe realizzato se, in luogo di produrre sementi, […] si fosse dedicata al lavoro salariato affittando a terzi il proprio appezzamento irriguo” (Warren, in Declich 2012 p. 124).

Senza contare questo valore, il rapporto medio saliva a 1:2,76 per il mais e a 1:2,45 per il fagiolo. Questo è il motivo per cui i membri di ASEJO non ritenevano il progetto un fallimento. Abbiamo qui un incontro/scontro tra due principi fondamentali che generano episodi di “friction” (Tsing, 2011): da una parte c’è la logica contadina che pensa al benessere dei suoi affetti e del suo mondo, e dall’altra una logica capitalistica che punta alla massimizzazione delle possibilità in direzione di una sempre più grande espansione di capitale. Tuttavia questo attrito tra logiche differenti ha generato un’ibridazione nel momento in cui alcuni membri ASEJO, che non vedevano un fallimento nel progetto PESA in virtù del ricalcolo dei rapporti sull’indicatore costi/benefici, mostravano i germi di un neonato pensiero capitalistico infatti intendevano commercializzare i propri prodotti al di fuori del Municipio di Jocotán e del Dipartimento di Chiquimula, costituendosi come una vera e propria cooperativa aperta al mercato internazionale. Tutto questo per PESA poteva senz’altro essere considerato come un successo dal punto di vista di un’ implementazione dell’empoderiamento ma, nonostante ciò, temendo che una nuova politica gestionale in ASEJO avrebbe fatto allontanare ancora più soci e ritenendo i membri incapaci di gestire un’attività nelle loro condizioni, PESA decise di “salvarsi la pelle” e di ritirare l’appalto, evidentemente perché ritenuto troppo rischioso e poco proficuo.


2] Pensieri dell’autore

Dopo aver descritto il contesto etnografico in cui si è mosso Warren sarà necessario descrivere le principali tesi esposte dal medesimo. Il successo del progetto di sviluppo PESA-Guatemala appariva strettamente determinato dall’adattabilità e sostenibilità delle buenas prácticas, ed è proprio in virtù di questo che secondo Warren era indispensabile chiedersi preliminarmente e pragmaticamente quanto queste ultime fossero realmente in grado di ridurre l’insicurezza alimentare e di promuovere il processo di empoderamiento. Un’altra domanda da porsi era la seguente: a prescindere dai dati evidentemente parziali e riduttivi del progetto nelle zone pilota, le buenas prácticas come sarebbero potute essere adottate spontaneamente dai contadini? I risultati positivi delle sperimentazioni controllate su piccola scala non erano rappresentativi di quelle che erano le potenzialità effettive del programma, infatti quando il management del progetto a fine 2003 e inizio 2004 valutò la messa in opera delle buenas prácticas i risultati non furono incoraggianti. I dati suggerivano che le buenas prácticas non erano così efficaci e sostenibili come si era creduto, si decise così di riconsiderarle alla luce di un’analisi del modo di vita (AMV). L’AMV è un modo di descrivere e interpretare l’articolazione tra le economie familiari e il contesto ambientale, economico-politico e socio-culturale nel quale le famiglie producono e si riproducono (Chambers, 1991). Per alcune agenzie di sviluppo l’AMV, strumento ideato da R. Chambers, era divenuta fondamentale per analizzare il cambiamento socio economico conquistando un grande spazio anche nei programmi della FAO (Warren, in Declich 2012).

“l’AMV si autodefinisce come un approccio basato sulle persone che mira a comprendere dall’interno le dinamiche attraverso le quali le famiglie di scarse risorse garantiscono la propria sopravvivenza materiale e sociale in un particolare contesto”(cit. In Warren, in Declich 2012, p. 113). Con l’AMV si possono così comprendere i motivi per cui le famiglie scelgono di adottare o meno le opportunità offerte dai progetti di sviluppo. Il PESA-Guatemala volle testare l’utilità della AMV nella valutazione dell’impatto socio-economico delle buenas prácticas, attraverso un esercizio pilota affidato proprio a Patrizio Warren. L’AMV fu condotta attraverso un processo di ricerca-azione (Stringer 1999), un processo di apprendimento collettivo e pluralista nel quale gli attori del cambiamento sociale sono chiamati a riflettere sulla natura e il senso di tale cambiamento. Il pocesso di ricerca-azione è condotto da un piccolo gruppo di persone interessate al tema in oggetto, con l’appoggio di uno o più ricercatori sociali che hanno il duplice compito di produrre elementi empirici per la riflessione e di stimolare il confronto tra diversi punti di vista.

Gli obiettivi centrali sono quelli di superare lo scarto tra conoscenza speculativa dei processi di cambiamento culturale e applicazione pratica dei loro risultati, e creare una maggiore consapevolezza dei partecipanti circa i pro e i contro del cambiamento, stimolando il loro coinvolgimento nelle decisioni. Le informazioni si raccolsero attraverso la documentazione del progetto ma anche tramite osservazioni partecipanti della vita familiare e sociale dei contadini. Riunioni di discussione e verifica settimanali permisero ai beneficiari e al personale del PESA di partecipare attivamente all’analisi e interpretazione dei risultati. Particolare attenzione deve essere data al contesto ambientale, economico-politico e socioculturale in cui la produzione artigianale di sementi è andata a inserirsi, ai cambiamenti nel modo di vita delle famiglie partecipanti a quella buona práctica ed allo lo scarto tra l’avversione al rischio dei contadini e una loro eventuale imprenditorialità necessaria per rendere lucrativa la produzione artigianale delle sementi secondo criteri di mercato. Nella sua analisi Warren ci mostra come la produzione artigianale di semi lungi dal costituire una forma di empoderamiento; diversamente essa appare perfettamente in linea con i meccanismi economico politici attraverso i quali il contadino è articolato in posizione subalterna e svantaggiata rispetto all’economia e alla società nazionale (Warren, in Declich 2012). “Nonostante fossero il prodotto di una riflessione collettiva al quale aveva contribuito lo stesso staff di terreno del PESA, i risultati e le conclusioni di quest’ analisi della produzione artigianale di sementi furono deliberatamente ignorati dal management del programma. Il rapporto della consulenza fu archiviato in qualche disco rigido.

Le raccomandazioni del gruppo di lavoro vennero lasciate cadere. Fu anche accantonato il programma di realizzare un’analisi dei modi di vita (AMV) delle altre buenas prácticas di sui si prevedeva la replica su grande scala”(cit. Warren, in Declich 2012, p. 130). L’autore ci fa così notare come PESA non portò avanti nessuna riflessione sulle proprie responsabilità rispetto alle criticità del progetto di sviluppo.

Si ritenevano le buenas prácticas strutturalmente efficienti e nel giustificare i fallimenti PESA spostava il focus delle responsabilità da se stessa attribuendo questi ultimi alle cattive condizioni meteorologiche, alla cattiva qualità dei semi e all’inaffidabilità dei contadini. In questo modo PESA si nascondeva dietro elementi senz’altro incisivi ma non esaustivi nel giustificare gli esiti negativi, negando di fatto le proprie responsabilità rispetto al cattivo andamento del progetto. Diversamente nelle fasi positive non mancò una retorica volta a rimarcare i propri successi, evidentemente con lo strategico intento di attirare finanziatori, a tal proposito sarà interessante vedere come di fatto venivano investiti i finanziamenti ottenuti e fino a che punto i campesinos ne abbiano beneficiato. Warren ci mostra il grande ruolo che PESA ha giocato nella mancata capitalizzazione di ASEJO, capitalizzazione che dipendeva da un mercato largamente determinato dai rapporti con PESA. I resoconti riportati sottolineano che nelle percentuali delle vendite soltanto il 20% delle sementi, quando queste avevano effettivamente reso una quantità necessaria (2002-2003), era stato venduto ad altri contadini; la restante parte veniva acquistata da PESA mantenendo la possibilità di portare avanti gli aiuti alimentari in favore delle famiglie più indigenti, collaborando con altre associazioni umanitarie e cattoliche. I contadini vendevano a metà del prezzo di mercato l’80% del proprio raccolto alla stessa PESA la quale in tal modo non facilitava le economie dei singoli associati; il prezzo ridotto con cui acquistava le sementi non permetteva ai coltivatori di accumulare un capitale sufficiente per ammortizzare eventuali perdite o da investire nell’anno successivo, né tanto meno per capitalizzazioni, infatti talvolta non gli permetteva neanche di coprire i debiti contratti con PESA la quale, come su detto, accreditava semi e prodotti per incentivare l’inizio di una produzione “indipendente” dei campesinos. Piuttosto l’associazione sembrava interessata a riprodurre un modello capitalistico e dunque a risollevare le sorti di un’economia su più ampia scala, quella municipale, e non quella dei singoli associati che avevano partecipato al progetto. In questa dinamica s’innesca una dipendenza degli associati rispetto a PESA che, col controllo dei prezzi e il potere gestionale, fa il buono e il cattivo tempo nell’economia dei suoi “beneficiari”. Nella sua duale natura di promotore-finanziatore del progetto di sviluppo e principale acquirente-intermediario della produzione, il PESA si era fin dall’inizio arrogato la prerogativa di determinare i prezzi di vendita che ASEJO doveva praticare, fissandoli a metà del prezzo all’ingrosso delle sementi certificate ICTA, ritenendo che tale prezzo avrebbe dato una maggiore accessibilità alle sementi migliorate. Già le analisi economiche rispetto al rapporto costi-benefici portate avanti da Broers (Broers, 2004) mostravano che il prezzo stabilito portava ad un un margine di guadagno certamente insufficiente a permettere la capitalizzazione di ASEJO e troppo esiguo anche soltanto per difendere i singoli produttori dai rischi delle annate negative, ma tutto ciò venne ignorato dal management PESA. “Occorreva perciò che ASEJO riconsiderasse seriamente la viabilità di quel prezzo. […] Se, nel 2004 ,il prezzo pagato fosse stato uguale a quello di mercato, dal punto di vista “etico” il margine di profitto medio dei cinque produttori campionati sarebbe salito dallo 0,8 al 1,6% per entrambi i coltivi. In questo caso, con un utile del 60%, ASEJO avrebbe verosimilmente potuto ammortizzare gli shock subiti ne corso dell’annata, senza doverne caricare il costo sui soci e forse anche capitalizzare parte dei profitti per reinvestirli nella produzione 2005. A questo punto, viene da chiedersi come il PESA non si sia accorto di un errore tanto grossolano nella gestione di una sua buena práctica” (cit. Warren, in Declich 2012, pp. 128-129). La buena práctica si configurò infine come una dinamica per abbattere i costi della distribuzione di sementi alle famiglie contadine in stato di povertà, sfruttando per tale scopo risorse come terra e lavoro di altre famiglie contadine meno disagiate. In altri termini il prezzo politico dei semi distribuiti ai contadini più poveri era in gran parte retto dagli investimenti e dal lavoro delle famiglie meno povere socie di ASEJO. Il prezzo eccessivamente basso imposto da PESA è servito come ammortizzatore per l’industria dello sviluppo e non come aiuto erogato dall’associazione in favore delle economie familiari dei contadini. Al contrario questi ultimi sono serviti da mezzo tramite cui PESA ha ottenuto, per tre anni, un’ingente quantità di sementi artigianali a basso costo che poi distribuiva a Jocotán, senza garantire un equo compenso ai coltivatori. Durante lo svolgimento del programma, i responsabili di PESA e i burocrati si sono probabilmente resi conto di poter abbattere i costi di distribuzione dei semi riuscendo ad ottenerli a un prezzo conveniente da un’unica associazione, in questo caso ASEJO (Warren, in Declich 2012). PESA incaricò Warren di stilare un resoconto sull’andamento del progetto in previsione delle spese per gli anni successivi (2005-2009). Warren espose le criticità che abbiamo descritto sopra, ma la sua relazione, come già detto, venne ignorata e non presa in considerazione dai suoi stessi committenti; questi ultimi, continuavano a dirigere il progetto PESA secondo una logica burocratizzante e massimizzante tipicamente industriale, volta alla sopravvivenza e prolificazione dell’industria dello sviluppo stessa, e non effettivamente dedita a fornire l’aiuto necessario ai contadini. Le proposte di budget per gli anni a venire non avevano bisogno di ulteriori commenti, dal momento in cui il 22% sarebbe stato dedicato al finanziamento delle buenas prácticas, mentre il restante 78% sarebbe invece stato stanziato per coprire le spese logistiche, l’apparato burocratico, le spese organizzative e il personale di PESA che costavano tre volte tanto rispetto a ciò che veniva effettivamente investito per i destinatari del progetto (PESA-Guatemala, 2004d).

3] Incontro-scontro, attriti e identità

L’uomo entrò nello stato di eguaglianza
di tutti gli esseri ragionevoli, qualunque
fosse il loro rango e poté pretendere di
essere scopo a se stesso, di essere riconosciuto
da ogni altro come tale, di non essere
adoperato da alcuno di essi come mezzo
per arrivare a qualche fine […]
Nessuno ha il diritto di disporre di lui a suo piacere

(Kant, 1956 [or. 1786]. Cap. VI p. 201)

Questa nuova forma di articolazione subalterno-egemone post coloniale emerge dagli anni 90, quando si misero in opera diversi programmi di sviluppo rurale e quando l’industria dello sviluppo iniziò ad essere una componente importante dell’economia e della vita sociale locale. Tra il popolo la maggior parte delle persone istruite presero a lavorare per i suddetti programmi di sviluppo (in essi si osserva una particolare creolizzazione della lingua, in quanto parole del gergo dello sviluppo sono divenute parte del loro linguaggio quotidiano). Tra le tante conseguenze di questi fenomeni di contatto generatori di “friction”(Tsing, 2011) vediamo da un lato il positivo inizio delle rivendicazioni dell’equità di genere da parte di molte contadine occasionato appunto dalla presenza di progetti di sviluppo che, pur non avendo tra i propri obiettivi il raggiungimento della parità tra i sessi, erano portatori di una mentalità che ricomprende un’uguaglianza di genere assente nella tradizione Ch’ortì, e dall’altro la rivitalizzazione dell’identità culturale e della tradizione Ch’ortì per opera di attivisti locali del movimento pan-maya. In tale intento si può verificare una ripresa di elementi tradizionali all’interno del nuovo contesto coloniale; ossia è proprio grazie alla posizione di subalternità che si vanno a recuperare alcune caratteristiche passate che adesso possono assumere una valenza identitaria e distintiva, quando invece nel passato potevano rappresentare la normalità del quotidiano. Diversamente le donne dalla subalternità trassero tatticamente 5 (De Certeau, 2001) l’occasione per migliorare la loro posizione sociale ricercando una parità di genere tradizionalmente assente. L’indigeno Ch’ortì che agisce per il proprio riconoscimento si trova in una situazione particolare in quanto, affinché esso sia efficace, è costretto a ricercarlo all’interno dell’arena del riconoscimento occasionata e controllata dalla cultura egemone di cui è obbligato ad impararne i linguaggi. L’ agire colonialistico controlla, manipola e assimila l’alterità rendendola simile a sé. Questo da un lato rappresenta una vittoria della cultura egemone che impone le proprie logiche, ma dall’altro è la sola maniera con cui l’indigeno ha una qualche possibilità di riconoscimento e di continuità con il suo passato tradizionale, ora riconvertendolo tatticamente alle nuove necessità.
Dall’incontro/scontro di due diverse culture segue una sintesi culturale che genera qualcosa di inedito, nuove possibilità esistenziali e nuovi modi di pensare al mondo. Non si deve tuttavia cadere nell’errore dell’essenzializzazione credendo che dietro tale sintesi ci siano culture “pure” alle quali si possono applicare categorie dicotomiche come noi/voi. Le culture non sono monadi pure ed immutabili, bensì entità fluide e divenienti e la loro identità è un qualcosa di dialettico in cui troviamo continue risignificazioni e negoziazioni. Si deve forse pensare in termini di micro mondi che s’incontrano-scontrano, dando vita a nuovi mondi e a nuove intersezioni di identità che si ridisegnano continuamente. Dunque la cultura colonizzatrice è il confine entro cui si svolgono le negoziazioni identitarie in un rapporto asimmetrico e ricco di attriti. Mentre uno dei poli che agiscono nella “Friction” (Tsing 2011) mira a consolidare un’egemonia, l’altro cerca di ottenere un riconoscimento. Entrambe le parti articolano discorsi universalizzanti ed essenzializzanti, perciò ben poco improntati a cogliere l’articolazione multi cromatica dei soggetti. Tsing descrive questi attriti come “the awkward, unequal, unstable and creative qualities of interconnection across difference” (Tsing 2011, p. 4). Ripetiamolo: il valore puro ed universale che si da all’identità non esiste poiché essa nasce nell’attrito tra le alterità, è sempre costrutto socio-culturale dinamico e magmatico, non è mai un “in sé”. Potremo arrivare a dire che essa trae la sua origine dialettica dagli occhi di chi la osserva; o meglio, nell’impatto affettivo tra i due interlocutori si occasiona un mutuo completamento tra questi che sono troppo spesso erroneamente stigmatizzati in un’allegoria manichea noi/voi. Sotto certi aspetti credo si possa trasporre nell’argomento presente un concetto del filosofo Nietzsche e con ciò affermare che l’identità è “pura” solamente nella sua volontà di affermare sé stessa, come “volontà di potenza” 6 (Nietzsche, 2017 [1885]).
Valutare che cosa sia una cultura in sé sembra adesso sfuggire dalle possibilità conoscitive dello sguardo antropologico. Le parole del filosofo Martin Heiddeger presenti in, “Lettera sull’Umanismo” sembrano adesso particolarmente pertinenti:“Con la stima di qualcosa come valore, ciò che così è valutato lo è solo come oggetto della stima umana. Ma ciò che qualcosa è nel suo essere non si esaurisce nella sua oggettività, e ciò tanto meno se l’oggettualità considerata ha il carattere del valore. Ogni valutazione, anche quando è una valutazione positiva, è una soggettivazione. Essa non lascia essere l’ente, ma lo fa valere solo come oggetto del proprio fare” (Heiddeger, 2008 [or. 1949], p.301). Gli attriti restituiscono linfa vitale ai concetti giudicati universali (la morale, la religiosità, la giustizia, il bene, il male etc) i quali, se si trovano in una situazione di rischio a causa di fenomeni di friction, divengono ancora più imperativi e quando soccombono costringono ad una nuova genesi di valori. Come sostiene la Tsing: “Through friction, universals become practically effective. Yet they can never fulfill their promises of universality” (Tsing, 2011. p. 8). All’interno di progetti di sviluppo è possibile l’insorgere di attriti tra i beneficiari e i responsabili del progetto stesso. Perciò l’obiettivo di creare consenso (Van Aken, in Declich 2012) è centrale per la riuscita di un tale progetto, sia per quanto riguarda l’adesione dei beneficiari, ma anche per creare solidi presupposti da proporre ad eventuali finanziatori. Al fine di stemperare gli attriti, la cooperazione tra beneficiario e organizzatore del progetto si rivela centrale. Tuttavia i fattori da tenere in considerazione sono molti: in primo luogo, i promotori di un progetto di sviluppo si rivolgono ad enti e istituzioni radicati sul territorio, i quali seguono modelli sempre differenti e peculiari rispetto a quelli inevitabilmente “standardizzati” proposti dalle organizzazioni, che finiscono col nascondere le realtà più marginali e assecondare i commerci clientelari (Ciavolella, in Declich 2012); le istituzioni dello sviluppo rischiano spesso, come nel caso qui esaminato, di propinare valori economici, sociali e culturali che non appartengono alle culture dei beneficiari e che quindi faticano ad attecchire durante lo svolgimento del programma. I contadini del Guatemala, nonostante le buenas prácticas, mantenevano come obiettivo finale quello della sussistenza, non quello della capitalizzazione. In secondo luogo i beneficiari reagiscono talvolta a questi programmi in modo negativo, considerandoli come interventi invasivi ed ignari dei reali problemi che affliggono il loro quotidiano (Van Aken, in Declich 2012). La messa in opera di detti programmi rivela infatti la loro aleatorietà, e la loro consistente capacità di attrito, programmando politiche che si dimostrano inadeguate nel momento in cui si cerca la loro attualizzazione concreta e fattuale (Mosse, 2005; Van Aken, in Declich 2012).

Considerazioni finali

Nel caso di studio affrontato abbiamo più volte osservato il peculiare ruolo dell’antropologo coinvolto nell’organizzazione di sviluppo per poi vedere i suoi resoconti ignorati nella misura in cui evidenziano criticità del progetto ritenute scomode. Così l’antropologo si trova intrappolato tra due poli: da un lato i finanziatori e dirigenti PESA e dall’altro i campesinos Ch’ortì; in tal contesto “per chi parla l’antropologo?” (cit. Ciavolella, in Declich 2012, p. 60) e quali saranno le implicazioni etiche del suo posizionamento in relazione ai su detti poli e rispetto alla propria professionalità? Domande difficilmente solubili attraverso una riflessione di carattere generale.
L’antropologia applicata dev’essere attenta ad un’“umanità situata nella storia e non
astrattamente definita come “natura umana”” (Rossetti, in Declich 2012, p. 142). Il campo in cui opera vede l’incontro di culture differenti che, come abbiamo sottolineato in un capitolo precedente, si concretano e oggettivano nell’incontro stesso. L’antropologo in primis partecipa in questo incontro, proiettandovici i costrutti sociali e culturali che gli appartengono (es. “natura umana”), rispondendo a stimoli che gli sono familiari e ponendo un accento su ciò che, invece, percepisce come alieno da sé. “L’antropologo è continuamente esposto al pericolo di proiettare acriticamente in determinati fenomeni culturali extraeuropei i problemi, le scelte, e i significati che appartengono esclusivamente a singole epoche della storia interna della civiltà occidentale” (De Martino, 1962, p.6). Nel tentativo di trasportare un significato da un mondo a un altro gli agenti cercano di comprendersi riducendo il linguaggio dell’altro ai propri paradigmi, cercando di mantenere un elemento universale di equivalenza tra l’enunciato e il suo significato (Blaser, 2010). Si deve però “spezzare il cerchio” (Rossetti, in Declich 2012), superare la pura dialettica esercitandosi a concepire l’intero spettro cromatico delle manifestazioni umane. Perciò lo studioso deve aspirare a un resoconto quanto più decentrato possibile, scevro da intenti catalogatori o edulcoranti e spogliato di tutte le forme di pietismo cosi come di tutte le pretese universalizzanti. Tuttavia è anche importante riconoscere che certi assunti aprioristici malauguratamente generalizzanti ed essenzializzanti sono strumenti euristici in parte utili, purché adoperati con la dovuta cautela, a misurare ciò che è intrinsecamente non misurabile. Senza di essi non potremmo muovere i primi passi in un’analisi antropologica; è dunque con estrema cautela ed onestà intellettuale (oserei dire con un etnocentrismo critico) che dobbiamo avanzare anche con l’utilizzo di certe categorie ma restando sempre pronti ad utilizzarle criticamente, posizionandole all’interno del contesto in cui sono state prodotte, consapevoli del fatto che sono strumenti limitati e limitanti che devono essere scartati nel momento in cui si sia esaurita la loro funzione e laddove si sia compresa l’irriducibilità dei fenomeni culturali ed identitari ad essenze, evitando di confondere il generalizzante ed euristico mezzo descrittivo con la natura sempre particolare e irriducibile dell’oggetto descritto.

NOTE

1 Oggi la vegetazione che ricopre le alture di Jocotán è insufficiente a trattenere l’acqua piovana e conservare l’umidità nel suolo, inoltre la stagione delle piogge inizia con un mese di ritardo ed è caratterizzata da inattese sospensioni o cataclismi divenuti sempre più frequenti.

2 Associazione no profit delle Nazioni Unite per l’alimentazione e l’agricoltura, avente lo scopo di aumentare la produttività agricola, migliorare la vita delle popolazioni rurali e contribuire alla crescita economica dei suoi paesi membri.


3 La guerra civile vide scontrarsi il governo del Guatemala contro gruppi ribelli orientati a sinistra sostenuti dalla popolazione Maya e ladina, la classi contadine e povere del paese. Le forze governative del Guatemala sono state condannate per genocidio e violazione dei diritti umani verso i civili.

4 Un insieme di conoscenze tecniche volte ad aumentare il reddito e il benessere dei contadini, a variarne le entrate, a consolidarne il capitale e a garantire una fonte di sussistenza in sé sufficiente (si sviluppò tra le altre cose un’attenzione rivolta ad evitare il totale depauperamento del territorio attraverso uno sfruttamento sempre meno invasivo delle risorse naturali). L’elenco di buenas prácticas del PESA-Guatemala comprendeva: immagazzinamento migliorato delle granaglie dopo il raccolto, tecniche di compensazione dell’acidità del suolo, produzione di sementi e di ortaggi, unità di ingrasso di pollame, produzione cooperativa di ortaggi con sistemi di irrigazione migliorati, orti familiari migliorati, allevamento di animali da cortile con tecniche migliorate, coltivazioni in serra di ortaggi, coltivazione di varietà di mais e fagioli ad alto rendimento su parcelle di collina con tecniche agro forestali e di conservazione del suolo e produzione artigianale di sementi migliorate di mais e fagiolo alla quale fa riferimento questo capitolo.

5 All’interno di un rapporto di potere asimmetrico tra due soggetti la strategia è definita da De Certeau “l’appropriazione da parte di un soggetto dotato di forza sufficiente, di uno spazio su cui esercitare il proprio controllo […]” (De Certeau 2001, p.72). La tattica è invece per De Certeau “l’azione calcolata che determina l’assenza di un luogo proprio” essa si insinua “nelle intercapedini del controllo esercitato dal soggetto dominante, negli spazi vuoti che il potere non riesce a raggiungere” (ivi, p. 73).

6 La volontà di potenza è per Nietzsche la volontà che perpetuamente rinnova sé stessa e i propri valori; La volontà di potenza ricerca incessantemente il suo stesso accrescimento in un’infinita pulsione di rinnovamento. Tale condizione ha il paradosso per cui la volontà nell’impossibilità di soffermarsi su un punto di vista finale e definitivo deve volere e
negare se stessa allo stesso tempo. Alla potenza della creatività segue sempre il suo annientamento per poter nascere ancora.

BIBLIOGRAFIA


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University Press, Durham & London, 2010
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marginali dello sviluppo partendo da un caso in Mauritania, in Declich F., Il
mestiere dell’antropologo. Esperienze di consulenza tra istituzioni e
cooperazioni allo sviluppo, Carocci Editore, 2012
 Declich F., Il mestiere dell’antropologo. Esperienze di consulenza tra
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 De Certeau, M. L’invenzione del quotidiano, Edizioni Lavoro, Roma 2001.
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Vidari. cap. VI “L’inizio congetturale della storia degli uomini” Editore Unione
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dell’antropologo. Esperienze di consulenza tra istituzioni e cooperazioni allo
sviluppo, Carocci Editore, 2012
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Uplands of jocotàn, Guatemala, in “Mountain Research and Development”,
26,I, pp. 9-14, 2006
 Warren P., Livelihoods Diversification and Enterprise Development. An Initial
Exploration of Concepts and Issues, LSP Working Paper 4, Livelihoods
Diversification and Enterprise Development Sub-Programme, FAO
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(http://www.fao.org/es/esw/lsp/livelihoods.html), 2002
 Van Aken M., Acque torbide. Retoriche partecipative e saperi esperti nei
progetti idrici della valle del Giordano, in Declich F., Il mestiere
dell’antropologo. Esperienze di consulenza tra istituzioni e cooperazioni allo
sviluppo, Carocci Editore, 2012

-Un ringraziamento speciale al caro amico Davide-

Antropologia

Gli dei celtici della penisola iberica : Parte 1…

La penisola iberica nel 300 a.C.

Questa serie di articoli si limiterà a presentare le divinità della penisola iberica, concentrandosi sul pantheon indoeuropeo, la maggior parte dei dati che lo riguardano provengono dall’asse nord-centro-nordoccidentale, cioè l’Hispania celtica, abitata da diversi popoli tra cui i lusitani.

I lusitani

Chi erano? Strettamente legati geneticamente, ma anche linguisticamente, culturalmente, tradizionalmente e religiosamente ai Vettoni e ai Gallaeciani, costituivano la base del patrimonio indoeuropeo della penisola.

La penisola era, prima dei primi arrivi indoeuropei, già abitata dai cacciatori-raccoglitori del Mesolitico, che videro arrivare e mescolarsi con loro i contadini neolitici, entrambi antenati degli iberici. Quindi parlavano una lingua pre-indoeuropea. Queste culture ci hanno lasciato molti siti megalitici in tutta la penisola, come a Malaga:

Dolmen di Antequera, Malaga, Spagna

Anche se è un argomento controverso, c’è accordo sul fatto che il primo arrivo degli indoeuropei nella penisola avvenne poco prima della cultura Urnfield, cioè la cultura Tumulus o la cultura Bell Beakers, in particolare, tra il 1600 e il 1300 a.C. Essi si mescolarono con le popolazioni indigene della regione occidentale, che segnarono la nascita dei Lusitani. Ciò è supportato principalmente dal fatto che la lingua lusitana, pur appartenendo alla famiglia indoeuropea, è di origine pre-celtica.

È comunemente accettato che la seconda ondata che ha continuato questo processo di indoeuropeizzazione intorno all’800-700 a.C. sia stata incarnata dai Celti della cultura di Hallstatt, anche se altri collocano l’origine dei Celti nella stessa Penisola Iberica. L’influenza di quest’ultima è stata profonda in tutto ciò che i romani chiameranno in seguito Hispania, sia nella lingua che nella cultura e nella religione. Ciononostante, va sottolineato che la costa orientale ha conservato più caratteristiche iberiche di altre. Infatti, in questa zona si parlavano ancora le lingue pre-indoeuropee, come avviene ancora oggi nei Paesi Baschi.

La lingua lusitana

Anche se non c’è un consenso sull’etimologia della parola “Lusitanian”, si ritiene che questa tribù sia stata nominata dagli stessi romani. Plinio il Vecchio suggerisce una relazione con “Lusos”, un figlio o un compagno di Bacco. Altri ricercatori suggeriscono una possibile radice nella parola latina lux e, in fine, il proto-indoeuropeo *lewk-, che significa “luce”, Lusitania significherebbe allora “Terra di luce”. È stato suggerito un confronto con la parola anatolica luth, che significa “pietra di luce”, e ythania, che significa “terra del fiume del cielo”. Questo confronto con l’anatolico si basa sul fatto che i contadini neolitici che un tempo abitavano l’Europa arrivarono attraverso l’Anatolia, anche se non avevano nulla a che fare con le moderne popolazioni locali di quella regione.

Di questa lingua rimangono oggi pochissime tracce, di cui esistono solo iscrizioni con l’alfabeto latino. Anche se è difficile classificarla, viene generalmente descritta come pre-celtica e collocata nella famiglia linguistica indoeuropea con una propria categoria (lusitano).

Ceramica celtiberiana, Numancia, II secolo a.C.

Società e religione

Come in Gallia, i lusitani erano divisi in diverse tribù indipendenti con i loro capi, anche se a volte si univano in tempo di guerra. Ognuno di loro viveva in un Castro o in una Citâna, una sorta di villaggio tribale fortificato con una struttura circolare, come l’Oppidum gallico. Erano i guerrieri a costituire la stragrande maggioranza della classe dirigente.

Castro de Baroña, Galizia, Spagna

I lusitani erano politeisti, come tutte le altre etnie europee. Il sacrificio degli animali era un rituale comune in tutta la penisola iberica. I resti venivano consumati dai membri della tribù, come si può vedere nell’Iliade. Una casta di sacerdoti, sicuramente di natura druidica, era presente e svolgeva il ruolo di guardiani delle tradizioni e fitoterapisti (vedi l’articolo sui Druidi). La maggior parte dei templi si trovava in ambienti naturali come le rocce, le foreste o sulle rive di fiumi e torrenti e aveva poche o nessuna struttura di origine umana. Dopo secoli di resistenza e conflitti, culminati nell’assassinio di Viriathus, un eroe dei lusitani, iniziò il lungo processo di romanizzazione, che portò alla fine alla Hispania romana. Anche se la maggior parte dei miti celtiberiani sono scomparsi, la funzione delle divinità è ancora molto evidente.

Josè de Madrazo, assassinio di Viriathus
Statua di Viriathus, Zamora

Bandua – Bandu:

epiteti: Roudaeco, apolosego

È probabile che questo nome si riferisca a diverse o a un gruppo di divinità. Si tratta in effetti di un nome maschile nelle iscrizioni trovate finora, ma la sua unica rappresentazione disponibile è femminile. Il suo culto è presente sia in Lusitania che in Galizia. I suoi altari dedicati portano appellativi che derivano dai toponimi con il suffisso -briga.

Viene spesso citato con gli epiteti uici, pagi, castella, e il fatto che non si trovi in città fortemente romanizzate indica una relazione di un Dio protettore con le comunità indigene di basso rango. Non ci sono epiteti associati a particolari famiglie, clan o tribù.

Patera d’argento romana raffigurante Bandua in forma femminile

Bandua è associato a Marte nelle province gallo-romane, si sa anche che erano le divinità meno venerate dalle donne, due ovvie argomentazioni per indicare il suo carattere bellicoso. Così, mentre i Castella stavano perdendo il potere politico a favore della romanizzata Oppida, il carattere combattivo di queste divinità cominciò a perdersi e si limitarono a una funzione di divinità protettrici delle popolazioni che abitavano gli uici, i pagi e i castella, ormai considerati gruppi sociali consolidati, continuando a venerare gli Dei dei loro antenati, mentre nei nuovi municipi o ciuitates le divinità guardiane romane avevano la precedenza grazie al sostegno delle élite autoctone.

Mercenari celtiberiani durante le guerre puniche, Angus McBride

Bandua è quindi il Dio della comunità locale, degli insediamenti fortificati, protettore, il suo patronato si estende probabilmente anche al regno della guerra. Sarebbe così l’equivalente dell’archetipo incarnato da Marte nel ramo romano del pantheon indoeuropeo.

La patera, un tipo di coppa, che si trova nella provincia di Caceres, mostra però qualcosa che può sembrare molto diverso nell’aspetto: una figura femminile che regge un corno dell’abbondanza, che indossa una corona murata, una figura che alcuni considerano simile a Fortuna o Tutela.

Per quanto riguarda l’etimologia di Bandua, troviamo il prefisso *band-, che significherebbe fontana se consideriamo idroni fluviali come Bandugia, Bandova … In sanscrito bandhuh significa “rapporto di famiglia”. Di fronte a questa incertezza sul significato di questa denominazione, è stata messa in discussione l’origine indoeuropea del teonimo stesso.

Ma tutte queste proposte non sono necessariamente contraddittorie, in quanto Bandua è finalmente un protettore della comunità, non solo nella sua dimensione militare ma anche nella conservazione dei legami sociali e familiari, della salute e della prosperità della popolazione come indica il corno dell’abbondanza che tiene sulla sua patera, che permette a Bandua di preservare le identificazioni che i suoi molteplici aspetti hanno generato con Tutela, Marte e perfino Mercurio. Alcune delle sue denominazioni ci permettono di considerarlo non come una divinità celeste, ma come la divinità dei luoghi fortificati, come il castro, luoghi tradizionalmente elevati, che erano e sono tuttora un simbolo della comunità e della sua sopravvivenza. È quindi un dio guerriero, che non si limita solo al campo di battaglia, ma combatte contro tutto ciò che minaccia la comunità, le invasioni, le malattie, le catastrofi, la dissoluzione della vita comunitaria… Un dio unificante e apotropaico.

Idea per un culto moderno
“Da questo punto di vista, la scelta dei giorni di festa per Bandua può essere dettata dalla storia della comunità che ha il compito di proteggere. Per esempio, la data di fondazione di una città o di un paese, o l’anniversario di un evento fondamentale che ne ha assicurato la sopravvivenza o ha posto le basi per la sua prosperità. E gli deve essere dato un epiteto corrispondente o, per maggiore precisione, può essere aggiunto un secondo titolo per le specifiche esigenze di un sacrificio. Per esempio, Bandua Portuense come aspetto locale di Bandua che protegge la città di Porto in generale, venerata il 14 luglio (giorno della carta municipale del 1123), e Bandua Portuense Soter o Saviour in caso di calamità naturale o di altre emergenze che richiedono un aiuto tempestivo per gli abitanti della città.

La tutela del dio può valere anche per intere regioni, distretti o paesi. Come nel caso di Porto, ciò si traduce naturalmente in un moderno sviluppo del culto, poiché in generale le identità politiche odierne non esistevano in epoca romana o preromana. Ma se l’obiettivo è quello di dare nuova vita ai vecchi culti che permetterebbero loro di prosperare nel mondo moderno, allora sarebbe perfettamente legittimo adorare Bandua con un epiteto come Portugalensis o Portuguese – dio protettore del Portogallo. Questo non sarebbe un titolo esclusivo, in quanto potrebbe essere attribuito ad altre divinità, e lo stesso dio potrebbe essere legato ad altre nazionalità. Questo sarebbe senza dubbio un modo per dare una vita moderna a un culto che è stato praticato apertamente per l’ultima volta più di mille anni fa, quando le cose erano naturalmente molto diverse da come sono oggi.
Per quanto riguarda i simboli e gli animali, il bue sarebbe una possibilità, poiché è strettamente legato al toro e rappresenta sia la prosperità che la forza. Da Marte si potrebbero prendere i picidi e forse aggiungere l’ariete, che è sia un abitante delle altezze che un simbolo di combattimento difensivo. Si potrebbe anche usare uno scudo, magari con la rappresentazione di uno di questi animali o almeno una corona murata – come nello stemma di ogni comune portoghese – e sovrapposta a un albero come simbolo della vita comunitaria”.
citazione da Golden Trail

Teorie

Prima teoria: La teoria propone che Bandua sia incarnato da una coppia di divinità con un membro maschile e uno femminile. Questa teoria è stata recentemente criticata, interpretando quelle che sono state tradizionalmente considerate singolari derivate tematiche degli attributi maschili come forme genitive plurali riferite a gruppi di persone (B’andue Aetobrico(m), Cadogo(m), Roudeaeco(m), Veigebreaego(m)). Si afferma inoltre che essi dipendono da un teonimio, Bandua, che sarebbe femminile come conseguenza di quanto sopra, e che probabilmente è stato creato più tardi rispetto al suo omologo maschile. Avremmo così una coppia di divinità, Bandus (maschio) e Bandua (femmina), paragonabile ad altre coppie celtiche come Bormanos & Bormana, Belisama & Belisamaros, Camulos & Camuloriga e Arentius & Arentia.

Seconda teoria: è stato recentemente proposto che San Torquatus, uno dei sette uomini apostolici responsabili dell’introduzione del cristianesimo in Hispania, le cui reliquie sono conservate a Santa Comba de Bande (Ourense), sia una versione cristiana di Bandua.

Cosus:

Iscrizioni che si riferiscono a Cosus sono state trovate vicino alle colonie. Infatti, i nomi di questo Dio si riferiscono a comunità locali, come Conso S[…]ensi e Coso Vacoaico. Di natura religiosa simile a quella di Bandua, i territori dove si trovano iscrizioni che si riferiscono all’uno o all’altro non si sovrappongono quasi mai, rendendo il culto di queste divinità complementare e coprendo così quasi tutta la parte occidentale della penisola iberica dove sono stati trovati culti indigeni. Inoltre, nei monumenti dedicati al Cosus non è stata trovata alcuna traccia di venerazione da parte delle donne, il che conferma ulteriormente la teoria della sua complementarietà con il Bandua.

Troverete la presentazione delle altre divinità celtiberiane nelle prossime parti.

Fonti:

https://dc.uwm.edu/ekeltoi/

Juan Carlos Olivares Pedreño, University of Alicante 

Alberto J. Lorrio, Universidad de Alicante Gonzalo Ruiz Zapatero, Universidad Complutense de Madrid

https://goldentrail.wordpress.com/

[LINK ALL’ARTICOLO ORIGINALE]
Traduzione a cura di Mer Curio

Ricercando

Sarai. Sempre. In ogni mia lacrima.

Sarai. Sempre. In ogni mia lacrima.

La consapevolezza a volte fa male. Vi guardate mai indietro cercando di capire il perché di alcune delle vostre scelte peggiori?
Il motivo reale che vi ha spinto in quella direzione? 
Mi è successo, di nuovo, ascoltando Silvana De Mari intervistata da Arnaldo Vitangeli. 

Il tema? L’aborto. 
Una mattina, all’alba dei 31 anni, le loro parole mi hanno trascinato rovinosamente indietro, mi sono sentita come se avessi appena riaperto gli occhi in quel letto d’ospedale e all’improvviso, eccomi. Una quindicenne stanca e disorientata, che con gli occhi socchiusi straparla, mentre il corpo smaltisce gli ultimi residui di anestesia e l’amara lucidità torna a galla prepotente, facendosi spazio a gomitate nella mente annebbiata. 
Mi sfioro il ventre con le dita, gli occhi si riempiono di lacrime, per l’ennesima volta.

È fatta. Non c’è più niente.
Me lo ripeto sottovoce, mentre il cuscino bagnato si incolla alla mia guancia e tutto diventa nero, di nuovo.
Me lo ripete anche la ginecologa, il giorno seguente, mentre mi sottopongo all’ultima visita: “Non c’è più niente.” 

Rimango impietrita dal tono della sua voce: è freddo, distante, insensibile. Sono spaventata dai suoi gesti: sono veloci, frettolosi e molto bruschi. 
Preme forte l’ecografo sulla mia pancia e mi fa male, ma non è niente, paragonato alla voragine che mi si è aperta nel petto, precisamente all’altezza dello sterno. Lancinante. 
Non riesco a muovermi e mi sento ancora più in colpa, non credevo di poter stare peggio della sera precedente. Uno dei momenti più dolorosi della mia vita. 
Scopro di essere incinta dopo un mese di stanchezza e di sonno continui. Non sono mai stata tanto spossata. Ho vicino mia madre, il mio ragazzo, la vicepreside della scuola, pochi amici, tutti cercano di consigliarmi ma più ascolto, più mi sento confusa.

Terribilmente sola.
Non esistono scuse, mi sono lasciata travolgere dagli eventi ma la decisione è stata mia. Ho scelto. Frastornata e smarrita mi ritrovo all’entrata della sala operatoria con l’agocannula tra mano e polso, la voce dell’anestesista che mi risuona in testa: “Conta fino a tre.” 
La mia vena è in fiamme, il braccio brucia da morire e non capisco se è dovuto all’anestesia o se quella sensazione che mi fa andare a fuoco dall’interno è data solo dalla pressione con la quale il farmaco entra dentro di me, in ogni caso: “Uno, due…buio.”
Il resto della storia, ormai, lo conoscete.

Premetto, non è mia intenzione giudicare, polemizzare o imporre un pensiero, anche perché sto ancora cercando di capire quale sia il mio. Magari ci arriverò proprio alla fine di questo nostro viaggio e spero possiate fare lo stesso anche voi. Spero di risultare chiara e mi scuso in anticipo per eventuali errori o imprecisioni. 
Qualche spunto per la ricerca:

Da questo articolo si evince quanto possa risultare difficile, per una donna, esercitare il suo diritto all’aborto; ma è davvero così? Sarà che raramente mi fido di quello che leggo sulle testate nazionali. Magari sono solo condizionata dalla mia esperienza, dal fatto che già allora non trovai nessun tipo di resistenza, anzi. Forse sono influenzata dai racconti di alcune conoscenti, ragazze alle quali è stata consigliata l’interruzione di gravidanza semplicemente perché ancora molto giovani. Una di queste storie, mi ha lasciato davvero interdetta. Una ragazza si reca in ospedale per la prima ecografia, il suo compagno è con lei e desiderano tenere il bambino, un’infermiera si permette di “consigliarle” l’aborto, così, senza che nessuno le abbia chiesto nulla.

A volte le esperienze personali, come anche le statistiche, possono essere fuorvianti o semplicemente mal interpretate. Partendo da questo presupposto cercherò di essere obiettiva; quale miglior modo per farlo se non affidarsi esclusivamente all’osservazione di ciò che accade?

Aborto, pubblicate le nuove linee guida sulla Ru486. Questo è un fatto. Punto. A prescindere dalle opinioni personali, la direzione sembra ben definita:

Tenuto conto della raccomandazione formulata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) — scrive infatti il ministero — in ordine alla somministrazione di mifepristone e misoprostolo per la donna fino alla 9° settimana di gestazione, delle più aggiornate evidenze scientifiche sull’uso di tali farmaci, nonché del ricorso nella gran parte degli altri Paesi europei al metodo farmacologico di interruzione della gravidanza in regime di day hospital e ambulatoriale, la scrivente Direzione generale ha predisposto le “Linee di indirizzo sulla interruzione volontaria di gravidanza con mifepristone e prostaglandine”.

Da oggi si può abortire prendendo una pillola in ospedale, mezz’ora e si torna a casa. Facile e veloce. Dicono che questo sistema sia sicuro, un traguardo, il diritto all’autonomia e all’autodeterminazione della donna. Se ce lo dicono le più aggiornate evidenze scientifiche, il ministero, l’ OMS e gran parte degli altri Paesi Europei per quale motivo dovremmo dubitare? Come dicevo, la strada è segnata. Giusto o sbagliato, premeditato o meno, ha importanza?

A New York è stata approvata la nuova legge sulla liberalizzazione dell’aborto.

Un altro articolo al riguardo.

Ovviamente Peter Singer è pienamente d’accordo con l’approvazione di questa legge, ritiene che l’aborto a nascita parziale, praticato mediante l’aspirazione del cervello del bimbo, sia una pratica necessaria e pensa che lo stato non dovrebbe contrapporsi tra la madre e il medico, vietando questa tecnica. Secondo lui “è un metodo da praticare per rispettare la volontà della donna che vuole interrompere la gravidanza“.

E ancora: “Molti anni fa, nel 1994, proposi di fare eutanasia fino a un mese dalla nascita. Oggi penso che non dovremmo porre alcun limite temporale“.

Qui la sua intervista.
Singer è un filosofo australiano, eletto “tra i cento uomini più influenti del pianeta” dal Time. Ma non solo.
Sarà anche un folle estremista, a mio avviso, ma è tradotto da Einaudi, i suoi lavori vengono utilizzati nei corsi universitari di tutto il mondo (anche in Italia) ed è stato invitato al festival della filosofia di Mantova. Ricopre una delle cattedre più prestigiose al mondo, quella di bioetica a Princeton. Ha curato le più importanti voci di Etica dell’Enciclopedia britannica e ha già parecchi seguaci. Dalle sue teorie si arriva al parere del Nuffield Council on Bioethics: ai medici del Regno Unito dovrebbe essere imposto l’obbligo di staccare la spina a bambini nati prima delle 22 settimane di gestazione. Imposto l’obbligo? Il parere della madre avrà ancora un minimo di valore?

Peter Singer

Alcune delle sue citazioni:

Né un neonato né un pesce sono persone, uccidere questi esseri non è moralmente così negativo come uccidere una persona.

I bambini handicappati non sono persone, è lecito ucciderli.”

Se si vuole un altro figlio è giusto eliminare quello Down.

Anche se il bambino potrà avere una vita senza eccessiva sofferenza, come nel caso della sindrome di Down, ma i genitori pensano che sia un peso eccessivo per loro e vogliono averne un altro, questa può essere una ragione per ucciderlo

Se non c’è coscienza, autonomia e comprensione del futuro non c’è persona. I feti, i neonati e i menomati cerebrali non hanno diritto alla vita.

Dice che non hanno “ capacità di comprendere che esistono nel tempo”. Questo è sufficiente per decidere che non hanno diritto di vivere? Ma soprattutto:

Chi lo può decidere? Lui? Nessuno dovrebbe arrogarsi il diritto di scegliere chi è degno di vivere e chi non lo è. Qui si potrebbe aprire un lungo discorso sull’egoismo, sulla diffusa tendenza sempre più individualista che contraddistingue la nostra società. Chi potrebbe mai pretendere di aver ragione? Come distinguere la vera esigenza dal semplice capriccio?

Jim Morrison

Lottare a 22 settimane per sopravvivere evidentemente non è pianificare il futuro con razionalità, ma è, senza ombra di dubbio, aggrapparsi con tutte le proprie forze alla vita perché in qualche modo, conscio o inconscio, lo si desidera ardentemente quel futuro, anche se forse non si ha ancora coscienza o percezione del tempo.

Si combatte per la vita anche se non si progettano macchinosamente cose essenziali oggi, quali andare dall’estetista, comprarsi il suv o l’ultimo modello di iPhone.
Quel tipo di lotta, quando un bimbo che si sta strozzando con il cordone ombelicale, come stava accadendo a me, resiste. Quando nasce prematuro, ma resiste. Questa per me è la vera essenza dell’essere, e di conseguenza, del diritto alla vita. Quella più pura, forse.

800g che lottano per avere un futuro.

L’obiettivo è quello di sostituire l’ Etica della Sacralità della vita con l’Etica della Qualità della Vita. Chi sostiene questa dottrina ritiene che il servizio sanitario pubblico sia un danno per la società, lo vorrebbe privato perché è “dovere e responsabilità dell’individuo mantenersi in salute”, ergo: chi ce lo fa fare di pagare le tasse per salvare il culo a un povero bisognoso? Mi chiedo come valuti Singer questo aspetto visto che parla tanto di altruismo, beneficenza ed eliminazione del dolore.

L’etica della Qualità della Vita sostiene, tra le altre cose, l’amore tra uomini e animali. Lo sdoganamento della zoofilia è alle porte? Mi chiedo, di nuovo, come la vede Singer? Un essere con piena coscienza del suo esistere nel tempo, come una capretta, potrà essere “amata” da un umano, che finalmente si sarà lasciato alle spalle tutto il suo “bigottismo” , diventando, grazie a questa infinita “apertura mentale”, un fiero ed orgoglioso uomo, libero dai sensi di colpa. Un uomo nuovo, che per la gioia di Singer non pecca di specismo. Come si stabiliranno i criteri secondo i quali la capretta potrà essere definita consenziente? Ma che discorsi sono?

Certo, immagino sarà molto più semplice stabilire i criteri per decidere chi ha diritto di vivere e chi invece meriterebbe di morire. La cosa più terrificante e subdola di questa “nuova etica della vita” è che alcuni principi sono quantomeno condivisibili, altri possono apparire accettabili o addirittura auspicabili. A mio avviso è proprio questa sconcertante presa di coscienza a rendere le teorie di Singer tanto pericolose quanto insidiose. Perché spesso, soprattutto se si parla di progresso, si commette il grave errore di non calcolare, o come minimo sottovalutare, le derive che ne conseguono.

Visto il suo infinito curriculum, le cariche che ricopre e l’influenza che gli viene attribuita, ha senso giudicare questo personaggio semplicemente come un folle?

I pensieri, soprattutto se parliamo di persone con questo tipo di risonanza, direzionano e plasmano la realtà. Abbiamo il dovere di interrogarci. Per amore dei nostri figli. Quelli nati e…si, anche quelli non nati.

Verso quale realtà ci stiamo dirigendo? Ne siamo consapevoli? Ma soprattutto, ci farà addormentare col cuore quieto e risvegliare con la mente serena?

In che mondo scegliamo di vivere? In che modo?

Tratto da “Utero in affitto” di Enrica Perucchietti:

“Un altro risvolto della situazione attuale, sociale, economica e politica, è il contenimento della popolazione. Un’analisi ad ampio respiro della tematica non può esimersi dall’evidenziare come la crisi economica prima e la teoria del gender di cui ho ampiamente trattato insieme a Gianluca Marletta nel nostro UNISEX concorrano a un obiettivo comune, caro agli architetti del mondialismo: l’abbattimento/contenimento delle nascite.”

Consiglio vivamente la lettura di questo libro e di tutti i lavori curati dalla scrittrice torinese. Anche se il tema è la maternità surrogata questo virgolettato si può sovrapporre perfettamente anche al discorso sulla liberalizzazione sfrenata dell’aborto, che rientra a pieno titolo tra i tanti metodi per il controllo delle nascite.

Qui faremo fischiare le orecchie ai vari Bill Gates, ai vari John Davidson Rockefeller III, a tutti quei ferventi sostenitori del denatalismo, così filantropicamente interessati alla demografia, così umanamente impegnati per il bene comune. Non commento altro perché finirei facilmente fuori tema ma, soprattutto, ci vorrebbe un altro articolo per argomentare questo passaggio.

Arriviamo così a parlare di controllo e limitazione del numero delle nascite e più nello specifico di neomalthusianesimo, teoria demo-sociologica che rivisita in chiave moderna la dottrina economica derivante dal pensiero di Thomas Malthus (1766–1834) economista, filosofo demografo e precursore della moderna sociologia inglese, membro della Royal Society.

Tratto da “Governo globale” di Enrica Perucchietti e Gianluca Marletta:

“Da buon religioso, naturalmente, Malthus vedeva nella castità e nella continenza il rimedio più accettabile moralmente per ridurre la popolazione, ma da ”scienziato” non negava che i “mezzi attraverso i quali tale limitazione si attuava in natura o nelle società erano più spesso di carattere repressivo o preventivo: le vie repressive contemplavano in un caso l’azione della mortalità per mezzo di epidemie, guerre, carestie, ecc. nell’altro una diminuzione della natalità mediante la diffusione di tutti quei comportamenti, tra cui l’adulterio, la sodomia, ecc. che causano una diminuzione delle nascite”.

Davvero un “buon religioso”! La castità è il rimedio più accettabile? Si può dedurre quindi che tutti gli altri metodi siano comunque accettabili, anche se in misura ridotta? L’aborto sarà contemplato? Credo non si possa in alcun modo escludere, soprattutto se parliamo della sua liberalizzazione più estrema.

Non credo in Dio, penso sia importante precisarlo. Non ho mai seguito il movimento pro-life di conseguenza non sono plagiata dalla loro propaganda, come la definisce qualcuno. Queste precisazioni sono essenziali per me, esternarle mi aiuta a risalire all’origine delle mie considerazioni. Sto andando per esclusione.

Tutte le mie certezze vacillano

Ho sempre creduto di essere favorevole all’aborto, o meglio, prima dei quindici anni probabilmente non avevo nemmeno un’opinione tutta mia, quando quell’esperienza ha squarciato il mio mondo ho iniziato a rifletterci, ho preso posizione, ma ormai, non so più in che modo sono arrivata a quelle conclusioni.

Ho smarrito negli anni i miei ragionamenti, oppure ho voluto dimenticarli? Non so più nemmeno questo. Sono stata indulgente con me stessa perché era già una pratica socialmente accettata o semplicemente avevo bisogno di schierarmi da quella parte perché il non farlo mi sarebbe costato caro? Si riduce tutto ad un primordiale meccanismo di difesa? Forse la mia sanità mentale era a rischio e cercavo disperatamente un modo per sentirmi meno vuota. Chissà, forse cercavo solo di giustificarmi, di sentirmi un po’ meno arrabbiata con me stessa. Alla fine, probabilmente, ho nascosto tutto sotto al tappeto mentre cercavo un modo per continuare. Ma continuare cosa? E come?

Una facciata di allegria e musica, come un velo che copre i miei occhi spenti e gli da il tempo di ricolorarsi piano piano.

Ho desiderato e inseguito l’annullamento, in svariati modi e con un discreto successo devo ammettere, attraverso una sorta di smania controllata ed equilibrata che mi ha permesso di non creare troppe preoccupazioni a nessuno, a mia madre prima di tutti. Ho beneficiato di quel tipo di spensieratezza che riconosci di aver avuto solo quando non esiste più, la perdi nell’ esatto istante in cui diventi mamma, viene sostituita da miliardi di pensieri rivolti sempre verso il futuro del tuo cucciolo. Quanto valeva quella spensieratezza? Nella confusione di questi giorni sono arrivata a pensare che nulla potrebbe mai valere una vita. Anche se forse non esistono opinioni universalmente giuste o sbagliate, in cosa credo io, ora? E voi?

Viste le mille risposte che, nel tempo, hai dato a te stessa, è inutile dopo sedici anni continuare a chiedersi perché? Hai scelto con la tua testa o ti sei lasciata condizionare dai consigli di chi ti stava intorno? Dai ragionamenti altrui? Dalla società? Quando ti renderai conto davvero della scelta compiuta, non sarà facile scrollarsi di dosso la sensazione di aver appena commesso l’errore più grande della tua vita. Potrai incasellare tutti i pro e tutti i contro, ma avrai sempre il sentore di aver tralasciato qualcosa di più importante, potrai intavolare tutti i più razionali ragionamenti, ma avrai sempre l’impressione di aver sbagliato.

Forse perché quella decisione potrebbe farti sentire in colpa tutta la vita, c’è la possibilità che tu ti possa pentire un istante dopo aver scelto e quel pentimento potrebbe restare vivido per ogni istante successivo, e non si torna indietro. Al contrario, se sceglierai la vita, quando guarderai negli occhi il tuo piccolo non potrai mai avere rimpianti.

Credo in questo oggi, allo stesso tempo però sono convinta che le cose accadano per una ragione e come capita spesso, i miei pensieri diventano contraddittori ed entro in conflitto. Cosa fare davanti ad una seria malformazione? La brutalità delle affermazioni di Singer potrebbe mai essere giustificata? Se arrivassimo a tanto, regolamentare teorie simili non sarà certo una passeggiata. Non riesco a capire. Stiamo attraversando una premeditata finestra di Overton o si tratta solo di coincidenze evolutive? Siamo stati tutti lentamente manipolati e altrettanto lentamente prendiamo coscienza del fatto che la vita è preziosa, unica e incontrollabile?

Altri spunti di ricerca:

Saggio del 1971 di Judith Jarvis Thomson. Ecco i suoi ragionamenti a supporto dell’aborto. A primo impatto meno condannabili, certo non radicali come quelli di Singer e sempre di aiuto per tentare di crearsi una propria, personale opinione. L’esercizio mentale del violinista:

“Una mattina vi svegliate distesi al fianco di un violinista privo di conoscenza, un violinista molto famoso. Gli è stata diagnosticata una grave insufficienza renale, la società dei musicofilí ha consultato tutti gli archivi medici disponibili e ha scoperto che siete gli unici a possedere il tipo di sangue adatto per la trasfusione. Vi hanno rapito, e la notte precedente il sistema circolatorio del violinista è stato collegato al vostro, in modo che i vostri reni possono depurare il suo sangue così come fanno con il vostro. Il direttore dell’ospedale vi dice ora: «Guardi, siamo spiacenti che la società di musícofili le abbia fatto questo — non l’avremmo mai permesso se l’avessimo saputo. Tuttavia l’hanno fatto e ora il violinista è collegato al suo corpo. Staccarsi vorrebbe dire ucciderlo. Ma non c’è da preoccuparsi, è solo per nove mesi. Per allora sarà guarito dalla sua insufficienza, e potrà essere staccato senza pericoli.» Avete il dovere morale di acconsentire a questa situazione? Farlo sarebbe senza dubbio gentile da parte vostra, molto gentile. Ma dovete acconsentirvi? Che dire se non si trattasse di nove mesi ma di nove anni? O di un periodo ancora più lungo? E se il direttore dell’ospedale dicesse: «È stato sfortunato, ma ora deve rimanere a letto, con il violinista collegato al suo corpo, per il resto dei suoi giorni. Ricordi che ogni persona ha diritto alla vita, e i violinisti sono persone. Certo, lei ha il diritto di decidere cosa avverrà del suo corpo o al suo interno, ma il diritto alla vita di una persona prevale sul suo diritto a decidere cosa avverrà del suo corpo o al suo interno.» Immagino che considerereste queste parole come un affronto, e ciò suggerisce che effettivamente c’è qualcosa di sbagliato in quell’argomento così apparentemente plausibile che ho menzionato poco fa.”

Judith Jarvis Thomson

Altro suo pensiero filosofico:

“ Consideriamo questa situazione: semi di persone fluttuano nell’aria come polline, se aprite le finestre uno di questi semi può entrare e mettere radici sul tappeto o sulla tappezzeria. Non desiderate avere bambini, pertanto fissate alle finestre delle cortine di protezione a reticolo, le migliori sul mercato. Ma come talvolta, molto di rado, accade, una delle maglie del reticolo è difettosa; un seme entra in casa e mette radici. La persona-pianta che ora prende a svilupparsi ha il diritto di usare la casa? Sicuramente no — nonostante il fatto che siate state voi ad aprire volontariamente le finestre, a tenere in casa tappeti e tappezzerie, consapevoli che a volte le cortine di protezione presentano delle smagliature. Qualcuno vorrà sostenere che siete responsabili per il seme che ha messo radici, che quindi ha diritto alla vostra casa, perché dopo tutto avreste potuto vivere senza tappeti né tappezzerie, o con finestre e porte sprangate.”

Curioso e paradossale scoprire che una delle obiezioni sollevate contro questo saggio in sostegno dell’aborto è quella di Peter Singer, sostiene che “un calcolo utilitaristico implicherebbe che la persona è moralmente obbligata a lasciare i propri reni collegati al violinista”. Scriverei per ore sulla sensazione di assurdità paradossale che percepisco ma probabilmente finirei per annoiare e in ogni caso penso si commenti abbastanza esaustivamente da sola.

Quello che so per certo è che la tendenza alla mercificazione della vita mediante l’utero in affitto è aberrante e sconvolgente quanto la tendenza alla mercificazione della morte mediante l’aborto. L’uomo ormai è giunto a considerare tutto come fosse una fonte di guadagno e non perde occasione per far girare i soldi, anche dove non dovrebbe. A testimonianza di quanto affermo:

Il mercato dei bambini mai nati: Big Pharma, vaccini e il traffico dei feti abortiti.

Il link al video girato undercover in Planned Parenthood inserito nell’articolo sopracitato non funziona, riporto qui il servizio della CBS che spiega brevemente la storia di David Daleiden, il giornalista che fa parte dell’organizzazione pro-life The Center for Medical Progress, autore delle riprese.

Il Centro per il progresso medico ha pubblicato un nuovo video che spiega come Kamala Harris, in qualità di procuratore generale della California, sia collusa con la Planned Parenthood per fare leva sulla legge californiana sulla registrazione video per punire i rapporti sotto copertura della CMP sui programmi di raccolta di tessuti fetali e di ricerca della Planned Parenthood. Il video di sei minuti presenta il fondatore e presidente della CMP, David Daleiden, che ha sviluppato e orchestrato lo studio sotto copertura dell’organizzazione, durato 30 mesi, sulla Planned Parenthood e la partecipazione dell’industria dell’aborto alla vendita illegale di parti del corpo di feti abortiti, descrivendo come, per volere della Planned Parenthood, Kamala Harris ha fatto irrompere a casa sua degli agenti del Dipartimento di Giustizia della California per cercare di impedirgli di pubblicare i rapporti sotto copertura.

Qui il video tradotto in italiano dal nostro Mer Curio.

Altro importante tassello: Hilary Clinton ha ricevuto, per la sua campagna elettorale, ingenti finanziamenti dall’organizzazione abortista. Qui un’approfondimento ricco di dettagli.

Bad Choices: A Look inside Planned Parenthood di Douglas R. Scott.

Lavonne Wilenken ha lavorato in Planned Parenthood e in questo libro descrive le strategie comunicative utilizzate per convincere le donne ad abortire.

What a nurse saw: eyewitness to abortion di Brenda Pratt- Shafer.

Un’infermiera che ha lavorato in una clinica racconta le sue esperienze ed elenca le tecniche utilizzate per convincere le giovani ragazze a “scegliere” di abortire.

Pratica dell’aborto a nascita parziale. Fonte
Testimonianza di Brenda Pratt Shafer. Fonte

Carol Everett ha scritto Blood Money, “diventare ricchi con il diritto di scelta delle donne”.

Descrive come nelle cliniche si utilizzi la paura per direzionare la scelta. Da notare come la paura sia funzionale in svariati casi, impiegata ad arte, proprio come una sottile strategia manipolatoria. Da notare quanto sia propedeutica al raggiungimento di un obiettivo prestabilito, ben chiaro nella mente di chi applica subdolamente questa tecnica.

Nel libro sono descritte altre inquietanti confessioni, strategie per far sì che le donne rimanessero incinta più facilmente essendo così costrette ad abortire di nuovo, per trasformarle in fedeli clienti soddisfatte. Qui non si tratta più di essere a favore o contro l’aborto, qui entriamo nella più vomitevole mercificazione della vita e della morte e credo di poter affermare con una certa sicurezza che nessuno potrebbe mai mettere in discussione l’atrocità di tutto questo. Mi fa talmente schifo che mi viene da pensare quanto a realtà così sconcertanti manchi solo uno slogan pubblicitario:

“la prima volta è la più difficile, delle successive non ti accorgerai nemmeno.” Scusandomi per lo sprezzante e nero umorismo, continuo.

«Dici a te stesso — afferma l’ex abortista — che stai aiutando quella donna. Sai che è sbagliato, ma dici a te stesso che stai aiutando quelle donne e quindi fai e dici e vedi. Quando una delle mie dipendenti ha avuto una sorta di di crisi di coscienza le ho detto: “Ricorda che hai aiutato una donna, hai aiutato una donna”, e questo era il nostro mantra». (Fonte)

Questo estratto mi ha molto colpita perché una perplessità che spesso sorge spontanea riguarda la buona fede delle persone. Com’è possibile che accada tutto questo? Pur essendo a conoscenza di fatti verificati, dinamiche documentate, testimonianze dirette e indirette affidabili, essendo queste in evidente minoranza, ci si chiede come la massa possa conviverci, e non mi riferisco solo all’aborto.

Fondamentalmente il ragionamento può essere applicato a parecchie situazioni, dai vaccini alla salute in generale, dall’economia alla guerra. Tornando sul tema, seguendo il percorso mentale precedente, una delle risposte più plausibili potrebbe trovarsi nel fatto che non ovunque si verificano certe atrocità, anche se il meccanismo non può essere in alcun modo definito un caso isolato, anzi, più cautamente dovrebbero essere visti come pericolosissimi casi pilota.

La risposta più convincente però si trova proprio tra le righe di quel virgolettato, a mio avviso. Spesso non siamo disposti a guardare la realtà dritta in faccia, spesso risulta difficile essere totalmente sinceri con sé stessi ma soprattutto non siamo disposti a mettere in discussione la nostra intera vita e tutte le nostre certezze. Queste due considerazioni, per me, sono più che sufficienti a smentire le obiezioni sollevate.

Un omaggio a te, piccolo mai nato. Dalla mano del tuo papà che ridisegna il nostro dolore.

Scartati, la mia vita con l’aborto” di Abby Johnson.

Jane Beville ha raccontato così la sua storia: “Sono stata infermiera per 33 anni, 18 dei quali in sala parto e nel reparto ostetricia ad alto rischio. Non ho mai mai visto un caso in cui sarebbe stato necessario un aborto per salvare la vita di una madre.”

L’esperienza della mia più cara amica mi ha fatto riflettere molto. Una ragazza di ventun’anni incinta di sei mesi si sottopone alla morfologica, la ginecologa riscontra una dilatazione ai reni del bambino, si trova in uno degli ospedali migliori della zona, si è affidata a degli specialisti e le viene detto che il suo piccolo avrà la sindrome di Down, le consigliano di abortire. Lei ha desiderato quel cucciolo per molto tempo, ha già sofferto per un aborto spontaneo e sceglie di portare a termine la gravidanza. Il bimbo nasce perfettamente sano. Avevo vent’anni quando ho conosciuto quel bambino e lui non ne aveva ancora compiuti tre. Abbiamo legato immediatamente, gli voglio un gran bene, come ne voglio alla sua coraggiosissima mamma, ora ha tredici anni, non lo coccolo più ormai, è troppo grande e si sentirebbe in imbarazzo ma è il ragazzino più educato, dolce, responsabile e intelligente che abbia mai conosciuto.

Il video che mi ha riportato indietro riaprendo quelle ferite.

Tiffany Burns condivide con il mondo il suo dolore.

Questo cucciolo a 11 settimane già si chiamava Ezekiel. Per Singer era una non-persona senza alcun diritto di vivere. Per molti altri solo una storia triste. Per la sua mamma? Prima una gioia e poi una sofferenza difficili da descrivere.

Concludendo, credo ancora che sia un diritto avere la possibilità di scegliere, ma solo dopo aver ricevuto un’informazione completa che possa portare ad una dovuta, necessaria e totale presa di coscienza. L’obiettivo di queste righe è semplice, vorrei solo che il tema non fosse dibattuto solo dai soliti intellettuali, da chi ne è stato toccato personalmente o da cristiani fanatici, e nemmeno solo da chi si interessa semplicemente all’argomento per qualsiasi altro motivo, vorrei che non passasse in secondo piano per nessuno.

Lo ritengo importante e vorrei che ogni individuo sulla faccia della terra si facesse una propria, personale e libera idea al riguardo, scevro da condizionamenti esterni o interni. Pensando solo ed esclusivamente al bene di una mamma e di un bambino. Non sopporto la manipolazione, l’idea che le nostre scelte possano essere volutamente direzionate perché arrivino a coincidere con gli interessi di qualcuno. Non sopporto la strumentalizzazione, l’idea che le legittime battaglie, entrambe sacrosante e condivisibili, per i propri diritti da una parte o per la sacralità della vita dall’altra, possano essere utilizzate per plasmare l’opinione pubblica. Soprattutto se in gioco ci sono i sentimenti di una donna e l’innocenza di una dolce creatura.

~Lely~

Antropologia

La caduta delle civiltà — I Maya — Rovine nella giungla

Nelle foreste tropicali dell’America centrale, vaste piramidi di pietra si sbriciolano lentamente sotto gli alberi.

In questo episodio, guardiamo a quel grande mistero romantico: la caduta della Civiltà Maya Classica. Scopriamo come questa grande civiltà sia cresciuta in condizioni ambientali che nessun’altra civiltà ha mai affrontato, capendo i fatali difetti che si nascondono sotto la sua superficie, e cosa sia successo dopo il suo definitivo, cataclismico crollo.

https://youtube.com/watch?v=PS2JS8-eCMo

APPROFONDIMENTI

Sul frate spagnolo Andrès de Avendaño y Loyola e Tikal

Rovine di Tikal

Su Tayasal

Tayasal è un Maya sito archeologico situato nell’attuale Guatemala . E ‘stata una grande città Maya con una lunga storia di occupazione. Tayasal è una corruzione di Tah Itzá ( “Luogo del Itza”), termine originariamente usato per riferirsi al nucleo del territorio Itza in Petén. Il nome Tayasal è stato applicato per errore al sito archeologico, e in origine applicato alla capitale Itza . Tuttavia, il nome si riferisce ora alla penisola sostenendo sia il sito archeologico e il villaggio di San Miguel. Il sito è stato occupato dal Medio Preclassico periodo (c. 1000–350 aC) fino alla tarda Postclassico (c. 1200–1539 dC). Il sito è un monumento nazionale protetto.

SU JOHN LLOYD STEPHENS E FREDERICK CATHERWOOD

Sfidando le giungle dello Yucatan, del Guatemala e dell’Honduras 170 anni fa, John Lloyd Stephens e l’artista Frederick Catherwood divennero i primi viaggiatori di lingua inglese ad esplorare questa regione originariamente conosciuta solo dai Maya.
Nativo del New Jersey, Stephens divenne famoso per i suoi famosi classici del viaggio, Incidents of Travel in Central America, Chiapas e Yucatan (1841) e Incidents of Travel in Yucatan (1843). Stephens era un avvocato di professione, ma soffriva di una leggera malattia che gli dava la scusa perfetta per un anno sabbatico di due anni in Europa e in Egitto. Il suo primo incontro con le piramidi egiziane lo spinse a scrivere dei suoi viaggi e nel 1837 pubblicò un libro che gli valse un soprannome: il viaggiatore americano. Ormai era diventato dipendente dall’archeologia e il desiderio di continuare le sue esplorazioni lo portò a Londra.

STEPHENS INCONTRA CATHERWOOD

A Londra Stephens ha incontrato l’inglese Frederick Catherwood, famoso per i suoi disegni di scavi archeologici in Egitto e a Gerusalemme. Il talento di Catherwood, come illustrato nei libri di Stephens, era nella sua capacità di ritrarre monumenti antichi con grande precisione. Quando Stephens fu nominato ambasciatore speciale in America Centrale nel 1839 per negoziare i trattati, contattò immediatamente Catherwood e chiese aiuto per il progetto. Partirono per l’America Centrale. Questo viaggio generò il primo lavoro di Stephens sui Maya, Incidents of Travel in Central America, Chiapas e Yucatan. A causa della sua popolarità, il primo anno furono stampate dodici edizioni, creando un nuovo fenomeno: un autore bestseller. Questo status ha liberato Stephens dalla sua carriera di avvocato e gli ha permesso di seguire la sua beatitudine -esplorazione.
Il primo libro di Stephens contiene i racconti di quarantaquattro città in rovina dove sono stati ritrovati resti di antiquari, e nella prefazione Stephens spiega il suo viaggio in America Centrale come il più esteso fatto da uno straniero nella penisola dello Yucatan.
Stephens scrive che, per quanto strano possa sembrare, la maggior parte di questi siti erano sconosciuti agli abitanti di Merida, la capitale dello Yucatan. Pochi erano stati visitati da stranieri. Desolate e ricoperte di alberi, le antiche strutture apparivano come tumuli ricoperti d’erba. [..CONTINUA — LINK ALL’ARTICOLO IN INGLESE]

SU DIEGO DE LANDA

Diego de Landa avvertiva analogie tra Cristianesimo e religione maya per quel che concerne la sacralità dei riti che prevedevano sacrifici umani e offerte di sangue, qualcosa che ricordava il carattere sacrificale della figura del Cristo il quale offerse la propria vita per l’umanità.
A causa delle reticenze dei Maya ad accettare la nuova fede cattolica e ad abbandonare i propri riti, a giugno del 1562 Landa fece arrestare i governatori di Pencuyut, Tekit, Tikunché, Hunacté, Maní, Tekax, Oxkutzcab e di altre zone limitrofe, tra gli arrestati c’erano Francisco Montejo Xiu, Diego Uz, Francisco Pacab e Juan Pech che vennero torturati. Il 12 luglio 1562 si realizzò l’autodafé di Maní, nel corso del quale furono ridotti in cenere idoli di diverse forme e dimensioni, furono distrutte le grandi pietre utilizzate come altari, piccole pietre lavorate, terrecotte e codici con geroglifici. Landa affermò: Troviamo tutti i libri scritti nella loro lingua e dato che in essi non v’è cosa che non sia corrotta da superstizione e falsità diabolica, bruciamoli indistintamente! Si calcola che tonnellate di libri andarono distrutti, scritti che illustravano la civiltà maya in tutti i suoi aspetti.

I maya cercarono di preservare in ogni modo i loro culti ancestrali mentre i coloni spagnoli protestavano perché in luogo della dottrina cattolica gli indios non ricevevano altro che miserabili tormenti. Tali notizie giunsero alle orecchie di Filippo II e di conseguenza ad aprile 1563 Landa dovette tornare in Spagna dove fu convocato per difendersi dalle accuse.

Nella maturità De Landa si dedicò allo studio di quella cultura che tanto aveva fatto per annientare. Forse per redimersi dal suo passato, cercò di raccogliere quante più informazioni poté su quella cultura che, da inquisitore, aveva cercato di far scomparire ad ogni costo. Mise insieme una gran quantità di dati sulla storia, lo stile di vita e le credenze religiose del popolo maya. Cercò anche di venire a capo del sistema vigesimale, che essi utilizzavano in matematica, del loro calendario e — con scarso successo — della scrittura maya. De Landa partì dal presupposto errato che la lingua maya fosse scritta con un alfabeto fonetico (come la lingua spagnola e latina a lui note), mentre in realtà era basata su sillabe e logogrammi. Ricavò dunque una tavola comparativa tra lettere dell’alfabeto latino e caratteri maya del tutto inaffidabile.In seguito tuttavia tale alfabeto, una volta interpretato in modo corretto (come, essenzialmente, un sillabario) dal linguista russo Jurij Valentyinovics Knorozov, si sarebbe dimostrato strumentale alla decifrazione della civiltà Maya.

Tenochtitlàn, Messico

SUL GIOCO DELLA PALLA MAYA

Non sono note le regole del gioco nell’antichità, quindi quelle usate nel racconto sono un mix di quel poco che si è riuscito a intuire e quelle dell’Ulama.
La palla era di gomma e poteva arrivare a pesare anche quattro chili. Nella versione più diffusa i giocatori potevano colpirla solo con le anche, nella nostra versione è valida qualsiasi parte del corpo tranne mani e piedi.
Le regole erano simili a quelle della pallavolo: la palla andava ribattuta dalle due squadre da una parte all’altra del campo fino a che una delle due falliva lasciandola cadere o buttandola fuori. Veniva giocato all’interno di lunghi campi delimitati da muri, ai quali nel periodo postclassico i Maya aggiunsero degli anelli di pietra disposti in verticale, facendo diventare il gioco un incrocio tra pallavolo e pallacanestro. Il più grande campo da gioco rinvenuto, a Chichen Itzá, è lungo 166 metri e largo 68.

I CENOTES DELLO YUCATAN

RICETTA CIOCCOLATA CALDA MAYA — — — — — 
Ingredienti —

  1. latte intero
  2. cioccolato fondente
  3. vaniglia
  4. cannella, pepe nero

■ Preparazione

Far bollire 2 tazze di latte intero Aggiungere 60 gr. di cioccolato fondente grattugiato e mescolare bene Aggiungere un pizzico di vaniglia, cannella e facoltativo il pepe di cayenna.
Scaldare il tutto per circa 1 minuto . Servire in tazza e gustarla calda.

Quetzal

SU CALAKMUL:

Calakmul

“Due monticelli insieme”, è il significato del nome Calakmul. Siamo in una delle città più importanti della civiltà maya, tanto per estensione che per popolazione, giacchéarrivò ad avere più di 50,000 abitanti. La cronologia della città rimonta al periodo Pré-Classico (300 a.C.-250 a.C.), mentre il suo momento di splendore. è stato nel periodo Classico, quando il regno di Kaan si alleò con altri stati in una confederazione chiamata “Cuchcabal”. Abbiamo annotazioni che nel periodo post-Classico, si realizzavano alcune attività rituale.

Calakmul è conosciuta grazie al biologo Cyrus Longworth Lundell, chi, lavorando per una impresa di gomma da masticare arrivò al sito nel 1931. É stato solamente mezzo secolo dopo, dal 1982, quando si realizzarono scavi in grande scala sotto la coordinazione di William Folan, del Centro di Investigazioni Storiche e Sociali della Università Autonoma di Campeche.

SULLA SICCITÀ CHE PORTÒ AL CROLLO:

La fine del periodo classico della civiltà Maya, avvenuta tra l’800 e il 1000 d.C., viene spesso utilizzata per mostrare come l’andamento del clima possa contribuire al crollo di intere società. In una ricerca, pubblicata su Science, un team di ricercatori di Cambridge e della University of Florida ha fatto luce su intensità e durata di questa intensa siccità che ha contribuito ad una crisi sociopolitica in grado di destabilizzare l’intera civiltà dei Maya.
[Link allo studio pubblicato sulla rivista Science, in lingua inglese]

SULL’ANTROPOLOGA BETTY J.MEGGERS

L’antropologa Betty J. Meggers ha pubblicato il suo primo lavoro scientifico, intitolato “The Beal-Steere Collection of Pottery from Marajó Island, Brazil”, nel 1945. Sarebbe stato il primo di più di 300 libri, articoli di giornale, monografie e traduzioni di cui Meggers sarebbe stata autrice. Il punto focale della sua carriera, che si estendeva per più di sei decenni, era la storia e la gente del bacino del Rio delle Amazzoni.

Mentre lavorava al suo dottorato di ricerca alla Columbia University, Meggers ha incontrato Clifford Evans, che stava anche lui seguendo un dottorato di ricerca in antropologia, e che aveva svolto un lavoro sul campo negli Stati Uniti sud-occidentali e in Perù. Clifford Evans ha ricevuto il suo dottorato di ricerca nel 1950 e subito dopo ha ricevuto un incarico come Istruttore di Antropologia all’Università della Virginia. Betty Meggers ha ricevuto il dottorato di ricerca nel 1952, quando le donne erano candidate per appena il 10% dei dottorati rilasciati negli Stati Uniti.

Evans e Meggers si sposarono nel 1946 e diventarono due degli archeologi più influenti del ventesimo secolo. La maggior parte del loro lavoro collettivo si è concentrato sulla popolazione e la cultura del bacino del Rio delle Amazzoni, tra cui Brasile, Ecuador, Venezuela e Guyana. Insieme, sono diventati i primi archeologi a concentrare le loro ricerche su come l’ambiente afoso della foresta pluviale ha influenzato la vita quotidiana degli antichi amazzonici. Attraverso l’esame del suolo, che si è rivelato sottile e privo di nutrienti, Meggers e Evans hanno concluso che l’intenso clima della foresta pluviale non avrebbe potuto alimentare i livelli di produzione agricola necessari per sostenere gli insediamenti permanenti, e hanno proposto che i residenti delle aree di altopiano creassero solo abitazioni temporanee e stagionali sul suolo della foresta pluviale. Nel 1957, Meggers e Evans pubblicarono Archeological Investigations at the Mouth of the Amazon. Sebbene questa ricerca sia stata accolta con notevole scetticismo, Meggers ha continuato a rivedere le prove e i dati relativi per più di 50 anni.

L’esame della ceramica, un’arte umana, può rivelare una ricchezza di informazioni sui popoli che hanno occupato un sito archeologico. All’inizio degli anni Sessanta, Meggers ha esaminato le ceramiche stratificate rinvenute in Valdivia, in Ecuador. Utilizzando un sistema di analisi della ceramica sviluppato da lei e da Evans, che comprende la datazione al radiocarbonio, la termoluminescenza e lo scavo stratificato, gli esemplari valdiviani risalgono al 2700 a.C. circa. Sorprendentemente, ha trovato molte somiglianze con le ceramiche scavate a Kyushu, in Giappone, attribuite all’antico periodo Jōmon. Meggers e Evans conclusero che ci poteva essere stato un contatto tra le due culture, nonostante fossero separate da più di 9.000 miglia di Oceano Pacifico. Tuttavia, il periodo Jōmon è un periodo piuttosto ampio, 14.000–300 a.C. Questo ampio intervallo di tempo, e la mancanza di prove che suggeriscano solide tecniche di navigazione, ha portato ancora una volta allo scetticismo in tutta la professione archeologica.

SU COPAN:

E’ l’8 marzo dell’anno 1576. 
Don Diego Garcia de Palacio invia una lettera a Filippo II, re di Spagna, per informarlo della scoperta di meravigliose rovine in una località dell’attuale Honduras che le popolazioni indigene chiamavano Copán.

La segnalazione di Palacio fu però ignorata fino al 1839, quando un diplomatico statunitense J.L. Stephens e il suo accompagnatore F. Cathervwood iniziarono l’esplorazione del sito. Pochi anni dopo, Sthephens, pubblica “Incidents of travel in Yucatan”, in cui descrive le rovine di Copán.

Da allora ebbe inizio un’indagine sistematica della città Maya alla quale parteciparono alcuni dei massimi esperti di civiltà precolombiane.
A differenza delle principali città come Tikal o Palenque, Copán è famosa, più che per l’imponenza delle architetture, per la mole artistica ritrovata.

Impressionante il numero delle sculture e delle stele ritrovate.4509 strutture, 3450 delle quali si trovano in un’area di soli ventiquattro chilometri quadrati attorno al gruppo principale, che ricopre una superficie di quaranta ettari, costituito da una spianata artificiale per la quale è stato impiegato un milione di metri cubi di terra.


Traduzione a cura di Mer Curio


Antropologia

Halloween iberico, le teste mozzate e il Crouga

Halloween è una delle feste più popolari e celebrate nel mondo moderno, sia che la gente lo ami o lo odi. Ovunque si vada durante il mese di ottobre, si vedono decorazioni ad esso correlate. A causa della commercializzazione e di altre bastardizzazioni delle celebrazioni di Halloween importate nella maggior parte dei paesi, la gente tende a credere che si tratti di un moderno americanismo senza radici, liquidandolo come qualcosa di stupido o poco importante, o semplicemente una scusa per i bambini per travestirsi e fare malizia generale.Questo non potrebbe essere più lontano dalla verità, dato che Halloween e il relativo All Hallows’ Day hanno radici profonde nelle culture native europee, essendo una delle più importanti feste pagane dell’anno.

In questo post, esploreremo le antiche tradizioni iberiche relative ad Halloween, alcune delle quali ancora praticate fino ad oggi o comunque ancora vive nelle nostre leggende e nel folklore. Daremo anche un’occhiata a cosa significa veramente Halloween e a quale scopo è stato celebrato.

Il Dio iberico occidentale Crouga

Il primo aspetto che dovremmo analizzare in primo luogo è il teonimo Crouga che appare nell’Iberia occidentale, nelle zone dove vivevano le tribù dei Galleghi e dei Lusitani. In totale sono state trovate ancora oggi 4 iscrizioni dedicate a questo Dio: 1 in Galizia, nella provincia di Ourense, e 3 in Portogallo, di cui 1 si trova a Braga e le altre 2 a Viseu.

È praticamente accettato che l’etimologia di Crouga deriva da Proto-Celtico *krowko-, che significa “mucchio”, “collina”, “uomo di pietra”[1]. Questa radice protoceltica ha dato anche la parola irlandese cruach, con lo stesso significato, e la parola gallica crug, che significa “tumulo”. Inoltre, questa radice protoceltica può anche avere il significato di “testa” o “cranio”, poiché ha dato anche le parole galiziano-portoghesi “croca/crouca/coca”, tutte con questo stesso significato. Sono anche cognate con il crogen della Cornovaglia e il clocán irlandese, che significa anche “testa” o “cranio”.

Crouga appare con epiteti relativi a rocce come Toudadigoe (“roccia del popolo/villaggio”), e a toponimi come l’epiteto di Magareaigoi dall’iscrizione lusitana di Lamas de Moledo (vedi altro nel mio post sulla lingua lusitana).
Da un’analisi etimologica, è facile concludere che il Crouga è un Dio della morte, forse la sua personificazione in qualche misura, ma si potrebbero anche sostenere funzioni che riguardano la protezione dei pastori, dei viaggiatori e degli insediamenti. I “Cairn” rappresentano ancora oggi una componente importante dello stile di vita dei pastori in Portogallo, essendo spesso utilizzati come punto di riferimento per facilitare la navigazione. Li chiamiamo “moledros” in portoghese, che può derivare dal protoceltico *mol-a, che significa “lodare”[2]. Il nostro folclore dice che se si toglie una pietra da un tumulo, questa tornerà ad essa entro l’alba. I cairn erano storicamente usati anche come luoghi di sepoltura, il che potrebbe spiegare la radice protoceltica della parola “moledro”, come nel “lodare i morti”.

Moledro a Gerês, Portogallo

Se guardiamo un po’ più in profondità nei detti popolari dei moledros, la presa della pietra, la forza vitale, e il suo ritorno al cairn (al luogo di sepoltura, agli inferi) all’alba può indicare il simbolismo della reincarnazione, che rappresenta le eterne fasi cicliche della vita viste nelle credenze pagane europee.
Questa analisi può anche spiegare il legame tra Crouga e le teste/teschi di cui si è parlato sopra. Il cranio è una delle rappresentazioni più importanti della morte e dei morti, che contiene simbolicamente i ricordi dell’antenato morto, pronto per essere trasmesso alla prossima incarnazione o alla prossima vita.
Il Portogallo e alcune parti della Spagna conservano una creatura molto interessante nel loro folklore chiamato Coca, anche se appare anche come Couca, Cuca o Cuco a seconda della regione. Avrete già notato la somiglianza del nome di questa creatura con Crouga. L’etimologia è la stessa, e oggi questa creatura è usata per spaventare i bambini quando si comportano male, poiché si dice che Coca porti via i bambini dalla loro famiglia se sono cattivi. È molto probabile che Coca sia la vecchia divinità pagana Crouga, conservata nella memoria popolare collettiva, ma demonizzata dal cristianesimo e oggi ridotta a una specie di spauracchio.

Que Viene el Coco, Francisco de Goya

Da notare anche la somiglianza del nome e dell’etimologia di Crouga con il Dio irlandese Crom Cruach. Crom Cruach sembra aver avuto funzioni di fertilità, di agricoltura e di rinnovamento della vita, e si dice che il suo culto sia stato terminato da San Patrizio, essendo stato in seguito demonizzato dai cristiani, non diversamente da Crouga che segue la nostra teoria di cui sopra.

Ma perché questa divinità è rilevante per le celebrazioni di Halloween nella penisola iberica? Vediamo come si lega ulteriormente al motivo di Halloween che ci è più familiare…

La zucca di Halloween intagliata

Intagliare volti in una zucca è una tradizione di Halloween diffusa in tutto il mondo, con radici molto probabilmente molto antiche. Tuttavia, la zucca non è sempre stata la pianta utilizzata per questo scopo. Le rape erano comunemente utilizzate in diversi paesi europei per intagliare i volti, mentre in Portogallo si utilizzavano invece le zucche. In ogni caso, lo scopo di questo rituale era lo stesso: il volto scolpito rappresenta l’antenato morto, essendo quindi oggetto di anamnesi per aiutarvi a ricordare le vostre vite passate o, in altre parole, per facilitare la reincarnazione dei vostri antenati in voi.

La cosa interessante è che la zucca scolpita, o la zucca di jack-o’-lantern, come siamo arrivati a chiamarla in lingua inglese, viene chiamata “coca” o “coco” in alcune regioni portoghesi, in particolare nel Minho[3], dove vengono realizzate maschere scolpite nelle zucche, che ricevono il nome di “coco”. Qui vediamo, ancora una volta, un possibile parallelo con Crouga e il significato del suo nome, legando ulteriormente i temi della morte, dei teschi e degli antenati morti alla celebrazione di Halloween.

Zucca con toro e rune iberiche preromane, scolpite da un mio caro amico.

Nella regione di Beira, in Portogallo, era tradizione tra i giovani ragazzi intagliare un volto in zucche o piante simili, mettere una candela all’interno e mettere un bastone attraverso la pianta intagliata, sfilando poi per le strade con loro. Questo avveniva il 31 ottobre o il 1° novembre[4]. A Coimbra, i ragazzi chiedevano torte e/o pane mentre facevano questa sfilata. Questo rituale mostra ulteriormente i rituali di reincarnazione e la celebrazione degli antenati morti di cui si occupa Halloween.

Ma quale potrebbe essere l’origine di questi rituali? Quanti anni hanno? Sono sempre stati presenti nelle tradizioni del nostro popolo? Torniamo al Neolitico per rispondere a queste domande…

Il Laje das Côcas

La catena montuosa del Caramulo, situata nella regione di Beira in Portogallo, ospita molti monumenti megalitici. Uno di essi, il Laje das Côcas, risalente al 3000 a.C., è una roccia con incisioni di quelle che i ricercatori ritengono semplici rappresentazioni di volti umani (gli occhi e il naso)[5].

Laje das Côcas

Mentre un’altra possibile interpretazione potrebbe essere che si tratti di simboli fallici (comuni anche nell’arte neolitica), la ragione per cui i ricercatori ritengono che rappresenti volti umani è dovuta al nome della roccia (risalendo al significato della parola “coca”) e confrontandola con altri antichi manufatti trovati in territorio portoghese (nella foto sotto), che contengono motivi simili al Laje das Côcas e rappresentano più ovviamente la somiglianza di un volto umano.

Artefatti analoghi trovati in Portogallo

Inoltre, il Laje si trova vicino a un dolmen, il che fa credere agli studiosi che siano rappresentazioni dei morti. Ancora una volta, continuiamo a vedere l’importanza della rappresentazione della testa o del volto dell’antenato morto nella religione nativa europea.
Andremo ora avanti nel tempo di qualche migliaio di anni, fino all’età del ferro, dove il culto delle teste degli antenati diventa ancora più evidente…

Il culto delle teste mozzate in Iberia

Uno degli aspetti più interessanti dell’arte iberica dell’età del ferro e del simbolismo religioso è la prevalenza di teste mozzate. Per molti anni si è pensato che fossero legate al sacrificio umano, queste teste sono infatti legate a culti ancestrali e al culto dei morti. Uno degli esempi più famosi sono le numerose statue di teste che si trovano nella cultura gallega castrista del nord del Portogallo e di Galiza.

I Celtiberiani della Spagna centrale spesso raffiguravano teste mozzate nei loro manufatti, il migliore esempio è la fibula celtibera in bronzo che raffigura un uomo a cavallo con una testa mozzata sotto la testa del cavallo. I cavalli hanno un simbolismo molto importante nel paganesimo europeo, essendo spesso visti come psicopompi e guide dei morti in generale. Potremmo dire che la testa mozzata in questo perone rappresenta l’antenato morto, mentre l’uomo sopra il cavallo rappresenta l’iniziato che “cavalca” nella sua vita successiva, completando il processo di rinascita e diventando il suo antenato morto.

Fibula celtiberiana, 300 a.C. circa.

Simbolismo simile appare con l’Orso di Porcuna, realizzato dalla tribù iberica meridionale dei Turdetani intorno al I secolo a.C. Raffigura un orso che regge una testa umana. Il significato dovrebbe essere ovvio. Gli orsi sono un altro animale carico di simbolismo nella mitologia europea. Spesso venerato come antenato e guardiano degli inferi (in quanto abitano le grotte), l’orso di Porcuna si erge come custode dei ricordi ancestrali, contenuti nel cranio dell’antenato che tiene in mano. È necessario sconfiggere simbolicamente questo orso (in altre parole, completare il processo di reincarnazione) per riacquistare i ricordi delle vite passate.

Un caso molto simile è stato trovato nell’Iberia orientale con il Leone di Bienservida, realizzato dai Bastetani nel VI secolo a.C.. Al posto di un orso, abbiamo un leone che protegge un teschio umano. Il simbolismo è lo stesso, in quanto i leoni hanno una funzione molto simile a quella degli orsi.

Come ultimo esempio, vorrei mostrarvi la patera di Perotito, che si trova a Jaén, nel sud-est della Spagna. Realizzata dagli Oretani intorno al 300 a.C., questa patera raffigura un lupo che divora una testa umana. Il lupo è a sua volta circondato da serpenti. La patera ha poi un cerchio interno diviso in 9 parti, ognuna con una scena di caccia. Anche il cerchio esterno è diviso in 9 parti, ma queste contengono centauri che svolgono diverse attività come suonare strumenti o portare cibo e bevande.

Patera di Perotito, 300 a.C. circa

Il lupo è un altro animale molto comune nella mitologia europea. È anche associato agli elementi ctonici e al passaggio alla vita successiva. La patera è una palese scena di rinascita, con il lupo che divora la testa umana a simboleggiare la fine di questa vita. Ricordiamo che il lupo è un simbolo di Endovelico, un dio iberico degli Inferi simile all’Ade. Tutto ciò che circonda il lupo, tuttavia, riguarda il rinnovamento del ciclo e il viaggio verso la vita successiva. I serpenti sono un simbolo degli antenati, il marchio della Terra-Madre e uno degli animali sacri della dea iberica della rinascita Ataegina. Può anche rappresentare il cordone ombelicale. I cerchi intorno al centro della patera che si dividono in 9 parti potrebbero essere un cenno ai 9 mesi di gravidanza. Le scene di caccia sono estremamente importanti, poiché la caccia era un rito di passaggio all’età adulta in molte culture. I centauri che suonano gli strumenti alludono all’importanza della musica come potente strumento di memoria. Il cibo e le bevande che portano con sé sono in relazione con le offerte fatte ai morti, ma anche, forse, con il nutrimento degli iniziati nel grembo materno.

Dettaglio della Patera de Perotito

Possiamo chiaramente vedere una cultura comune e condivisa tra le diverse tribù iberiche nell’età del ferro, essendo la continuazione di tradizioni molto più antiche con radici estremamente profonde. Ora daremo uno sguardo a come queste tradizioni hanno portato ai tempi moderni, nonostante una parte della nostra saggezza ancestrale sia stata dimenticata o comunque soppressa dalle religioni abramitiche come il cristianesimo.

Le celebrazioni iberiche di Halloween nella storia contemporanea

Abbiamo già vissuto due dei festeggiamenti di Halloween della Storia recente in Portogallo: l’intaglio delle zucche e la sfilata per strada con le zucche sui bastoncini mentre si chiede del pane o dei dolci (una vecchia forma di “dolcetto o scherzetto”).

La cosa interessante di quest’ultima è che, nell’antichità, i soldati iberici adornavano la punta delle loro lance con la testa o il cranio dei loro nemici dopo una battaglia vittoriosa, sfilando e festeggiando con loro in seguito[6]. Queste due pratiche possono quindi essere collegate, essendo conservate nella memoria popolare nel corso dei secoli.

Non è una coincidenza che il pane sia stato chiesto in questa prima forma di scherzo o delizia. Oltre all’ovvia ragione che il pane è alla base della nostra dieta e che è un alimento economico e ampiamente disponibile, dobbiamo anche comprendere le sue connotazioni simboliche. Il pane è considerato il cibo dei morti in Portogallo, e nella notte che va dal 31 ottobre al 1° novembre, la gente in alcune regioni del Portogallo lasciava il pane e altri alimenti sulla tavola durante la notte, perché gli spiriti degli antenati visitavano le loro case quella notte. Era una forma per accogliere gli antenati, mostrare rispetto per loro e per facilitare ulteriormente il processo di reincarnazione. Sfortunatamente, alla fine del XX secolo, questa pratica si è in gran parte estinta, forse è stata mantenuta in vita solo da persone anziane in zone più rurali.

Un’altra pratica comune in tutto il Portogallo è quella di riempire i cimiteri di candele ad Halloween o nel giorno di Tutti i Doni, creando una bella vista quando arriva la notte. Il rituale delle candele accese nei cimiteri è, infatti, una pratica pagana, come ci racconta il canonico 34 del Sinodo di Elvira, uno dei primi grandi sinodi cristiani tenutisi in Iberia intorno al 306 d.C.. Il suo scopo era soprattutto quello di analizzare le pratiche pagane del popolo iberico (poiché la maggior parte non si era ancora convertita) e di stabilire codici di condotta della comunità cristiana per evitare atti di “paganesimo”. Dice il can. 34 di questo Sinodo:

Le candele non devono essere bruciate in un cimitero durante il giorno. Questa pratica è legata al paganesimo ed è dannosa per i cristiani. A coloro che lo fanno è da negare la comunione della Chiesa.

Il canone parla da sé. Come si vede, anche il semplice atto di lasciare una candela ai morti, che facciamo quasi inconsciamente, ha radici precristiane molto antiche.

Voglio concludere questa sezione con il Magusto. Magusto è una festa fatta ad Halloween, All Hallows’ Day o altrimenti l’11 novembre in tutta l’Iberia. Nel Magusto si cucina e si mangia castagne, si beve una quantità considerevole di alcol e ci si macchia il viso con la cenere del fuoco usato per cuocere le castagne. Ma qual è il significato di Magusto e qual è lo scopo della castagna, del bere alcolici e del macchiarsi il viso con la cenere?

Bambini portoghesi con la cenere che si macchiano il viso e le mani che macchiano il loro insegnante ad una festa di Magusto

Il primo aspetto interessante è che l’etimologia di Magusto è sconosciuta. Questo suggerisce già una possibile origine in un substrato iberico preromano, che ne fa una tradizione antichissima. Secondo il più importante etnografo portoghese Leite de Vasconcelos, il Magusto è un’antica celebrazione degli antenati morti[7]. In alcune regioni del Portogallo, invece di lasciare il pane nelle tavole durante la notte, la gente lasciava le castagne. Ai vivi era proibito toccare o mangiare le castagne destinate ai morti.

Le castagne assomigliano di per sé a teste umane. Nella regione di Trás-os-Montes in Portogallo, “cócora” è il nome dato alle castagne cotte parzialmente sbucciate (si noti la somiglianza del nome con Crouga e “coca”)[8]. Curiosamente, “coca” significa anche castagna in lingua occitana (che è una delle lingue ufficiali della Catalogna).

Il consumo di alcol ha sempre avuto un ruolo di primo piano nei riti e nelle celebrazioni pagane europee, in particolare nei culti di Dioniso e di altre divinità simili. L’alcol lascia il bevitore in uno stato frenetico, il che significa simbolicamente che è posseduto dagli Dei o dal sangue ancestrale. Naturalmente, questo non significa che i nostri antenati fossero costantemente ubriachi o approvavano un consumo eccessivo di alcol. Questa pratica era riservata alle alte feste religiose, e molte volte esclusiva dei sacerdoti di certi Dei, come le Menadi, seguaci di Dioniso e di Bacco.

Menadi danzanti, 330 a.C. circa. La danza, insieme al consumo di alcol, induceva il seguace di Dioniso in una frenesia divina.

La colorazione del volto con la cenere è molto probabilmente legata all’impersonificazione dell’antenato. È come indossare una maschera, o forse perché ha lo scopo di somigliare a un cadavere. Questo è l’ennesimo rituale per impersonare, emulare o diventare l’antenato.

Ora abbiamo i pezzi di questo puzzle completi. Come potete vedere, gli aspetti della pratica del Magusto si adattano tutti perfettamente, portandoci di nuovo ai temi della morte, della rinascita e del risveglio degli antenati di cui abbiamo parlato finora. Certo, il cristianesimo ha soppresso il vero significato del Magusto, attribuendo questa festa alla celebrazione di San Martino di Tours in tempi più recenti, ma un’attenta analisi mostra quanto ciò sia completamente falso, senza che nulla suggerisca che questo Santo sia l’origine della celebrazione del Magusto.

Conclusione — il vero scopo di Halloween

Dovrebbe essere ovvio ora lo scopo di questa famosa celebrazione: Halloween è un rito di iniziazione annuale che ha lo scopo di risvegliare gli antenati che sono in voi. Si tratta di un’importantissima festa pagana, che permette la continuazione dell’eterno ciclo della morte e della (ri)nascita. Il suo scopo è quello di mantenere vive le tradizioni, i ricordi e, soprattutto, il sangue dei vostri antenati. O in altre parole, le NOSTRE tradizioni, le nostre memorie e il nostro sangue, come noi e i nostri antenati siamo uguali.

A questo scopo, ci circondiamo di motivi che riguardano crani o teste, le somiglianze degli antenati. La vista degli antenati risveglia in voi gli antenati. Dobbiamo anche tener conto del fatto che i ricordi sono immagazzinati nella mente, caricando ancora di più i teschi o le teste di simbolismo.

Possiamo anche supporre che Crouga fosse una divinità invocata nell’antichità per questi rituali. Forse era visto come gli stessi antenati, o una sorta di psicopompo che facilitava le transizioni tra la morte e la rinascita. Il suo rapporto con le teste potrebbe farne una delle origini delle moderne zucche di Halloween intagliate, e il fatto che sia forse sopravvissuto nel nostro folklore come creatura Coca è una testimonianza della sua importanza nelle nostre antiche credenze.

Halloween è, quindi, una celebrazione importante per lo spirito europeo. Mettendo da parte il vaporoso simbolismo moderno che lo ha sovvertito e guardando alle vecchie pratiche cariche di significato, possiamo vedere che si tratta di una celebrazione nativa europea, con l’Iberia che ha una sua versione con radici altrettanto profonde. Non è in alcun modo una tradizione importata, né è priva di spiritualità. Anzi, direi che Halloween è una delle feste che dovremmo prendere più seriamente. Diventare i vostri antenati, ricordare chi siete veramente e garantire la sopravvivenza delle nostre tradizioni e del nostro sangue è l’obiettivo più importante della visione del mondo nativo europeo.

Referenze

1. Olivares Pedreño: Los Dioses de la Hispania Céltica, p. 94.

2. Matasovic: An etymological lexicon of Proto-Celtic, p. 180.

3. Munícipio de Monção, Corpo de Deus.

4. Assembleia Distrital de Viseu: Beira Alta, 1946, p. 198.

5. Ibidem, p. 194.

6. José Martínez: La creencia en la ultratumba en la Hispania romana a través de sus monumentos, p. 3.

7. Jornal dos Sabores, Magusto de Todos os Santos.

8. Dicionário Priberam — cócora.

Other useful resources consulted:

Robert Williams: Lexicon Cornu-Britannicum.

Centro de Cultura Popular Xaquin Lorenzo — O Samhain.

Simone-Jules Honnorat: Dictionnaire provençal-français, ou Dictionnaire de langue d’oc ancienne et moderne, Volume 1.

Ernst Windisch: Compendium of Irish Grammar.

José Martínez: Cabezas Cortadas, in Historia 16, nº 26, 1978.

Francisco Simón: Religion and Religious Practices of the Ancient Celts of the
 Iberian Peninsula, in Journal of Interdisciplinary Celtic Studies, vol. 6.

Fernanda Frazão and Gabriela Morais: Portugal, Mundo dos Mortos e das Mouras Encantadas.


Traduzione a cura di Mer Curio — Link all’articolo originale

Transumanesimo

Una linea temporale del transumanesimo

Caricamento mentale, crionica, intelligenza artificiale, robotica, esplorazione dello spazio, modificazioni del cervello e del corpo e le radici fantascientifiche di un futuro tecnologico

1906
 Nikolai Fyodorov stabilisce il
cosmismo russo, un sistema di credenze spirituali e precursore del transumanesimo che sostiene l’immortalità fisica, l’esplorazione dello spazio e la resurrezione dei morti attraverso la scienza.

1923
 Lo scienziato e marxista britannico J. B. S. Haldane
pubblica Dedalo; o, Science and the Future, che offre una visione precoce del pensiero transumanista, particolarmente interessato alle implicazioni etiche del progresso della scienza.

1929
 Lo scienziato britannico John Desmond Bernal pubblica
Il mondo, la carne e il diavolo, introducendo idee centrali per il transumanesimo, compresi gli habitat spaziali vivibili, e i futuri cambiamenti che la scienza potrebbe apportare all’intelligenza e alla fisicità umana.

1931
 Amazing Stories pubblica “The
Jameson Satellite”, un breve racconto di Neil R. Jones, su un uomo il cui cadavere viene mandato in orbita, dove rimane vicino allo zero assoluto per milioni di anni fino a quando una razza di cyborg lo scopre, ne scongela il cervello e lo installa nel corpo di un robot.

1948
 Ispirato dal fondatore della crionica “The Jameson Satellite” Robert Ettinger pubblica il suo racconto “The Penultimate
Trump” in Startling Stories. In esso, Ettinger propone la crionica come “viaggio nel tempo medico a senso unico verso il futuro”.

1951
 Il noto eugenista e biologo evoluzionista Julian Huxley conia il termine “transumanesimo” in una conferenza tenuta a Washington dal titolo Conoscenza,
Moralità e Destino. Huxley descrive la sua filosofia come “l’idea di un’umanità che cerca di superare i propri limiti e di arrivare a una maggiore fruizione”.

1954
 Jerry Sohl pubblica il suo racconto di fantascienza “The
Altered Ego”, in cui un uomo è in grado di fare un duplicato digitale della sua mente e di accedervi dopo la sua morte. Questo segna la prima apparizione del caricamento della mente nella narrativa.

1959
 Il fisico Richard P. Feynman presenta la lezione,
There’s Plenty of Room at the Bottom, suggerendo la possibilità di manipolazione degli atomi nella chimica sintetica. La lezione ispirerà in seguito il campo delle nanotecnologie.

1964
Robert Ettinger pubblica “La
prospettiva dell’immortalità”, un manifesto per la crionica. Un piccolo numero di società crioniche sono state create in tutti gli Stati Uniti.

1965
 Il crittografo e informatico Irving John Good pubblica “Speculations
Concerning the First Ultraintelligent Machine”, la prima proposta per una possibile esplosione di intelligenza futura nell’apprendimento delle macchine.

1967
 Il filosofo
Harry Overstreet fa la prima menzione di “estropia” — il tentativo di contrastare la legge naturale dell’entropia — in un volume del 1967 della rivista Physics.

1967
 La prima persona è criogenicamente congelata alla Cryonics Society of California dal presidente della società — 
Robert Nelson, un riparatore televisivo. Alla fine l’operazione è stata ritenuta infruttuosa e i clienti di Nelson sono stati “persi”.

1972
 Fred & Linda Chamberlain fondano la Alcor Society for Solid State Hypothermia, poi rinominata Alcor Life Extension Foundation, a Los Angeles. Fred Chamberlain aveva precedentemente lavorato come ingegnere del programma spaziale presso il Jet Propulsion Laboratory della NASA.

1972
 L’Apollo 17 diventa l’ultima missione con equipaggio sulla Luna.

1972
Il Club di Roma pubblica
The Limits to Growth (I limiti della crescita), con proiezioni disastrose di una popolazione globale in crescita e di risorse in calo.

1973
 FM-2030, allora noto come Fereidoun M. Esfandiary, pubblica
Up-Wingers: Un Manifesto Futurista.

1974
 Il fisico Gerard K. O’Neil pubblica “La colonizzazione dello spazio” in
Phisics Today. O’Neil sostiene “la ricerca di uno spazio vitale di alta qualità per una popolazione mondiale che raddoppia ogni 35 anni; la ricerca di fonti di energia pulite e pratiche; la prevenzione del sovraccarico dell’equilibrio termico della Terra”.

1975
 La
L5 Society è stata fondata per continuare il lavoro di O’Neil a favore della colonizzazione dello spazio. Tra i suoi membri c’è Eric Drexler.

1976
 
Il Cryonics Institute viene fondato e congela i suoi primi clienti in azoto liquido.

1980
 La L5 Society aiuta a sconfiggere la ratifica del Trattato sulla Luna da parte degli Stati Uniti, aprendo la strada all’esplorazione spaziale privata e allo sfruttamento delle risorse dei corpi celesti.

1983
 Natasha Vita-More pubblica
il Manifesto Transumano.

1986
 In parte in risposta a The Limits to Growth, Eric Drexler, allora affiliato di ricerca del MIT’s Artificial Intelligence Laboratory, pubblica The
Engines of Creation, che propone la teoria della nanotecnologia; “‘assemblatori molecolari’, dispositivi in grado di posizionare atomi e molecole per reazioni definite con precisione in quasi tutti gli ambienti,” come potenziale soluzione alle limitate risorse della Terra.

1986
 Eric Drexler e Christine Peterson
fondano il Foresight Institute per “garantire un’applicazione vantaggiosa delle nanotecnologie”.

1988
 La prima rivista transumanista,
Extropy: Vaccine for Future Shock, è pubblicata da Max More e T.O. Morrow. In seguito viene ribattezzata The Journal of Transhumanist Thought.

1989
 
FM-2030 pubblica il libro, Sei un transumano?

1990
 Hans Morvac pubblica
Mind Children, prevedendo robot superintelligenti entro il 2030.

1991
 Viene creata la
Mailing list Extropians, il primo grande hub online per lo scambio di idee transumaniste. Diversi scrittori, teorici e tecnologi di spicco del movimento postano regolarmente nei consigli di amministrazione, che continuano ad essere attivi anche oggi.

1993
 L’autore di fantascienza, scienziato informatico e matematico Vernor Vinge pubblica
The Coming Technological Singularity, divulgando la teoria della Singolarità e predicendone l’arrivo prima del 2030.

1994
 Ed Regis presenta i profili di Max More e T.O. Morrow e altri sulla rivista Wired, “Meet
The Extropians”.

1994
 La prima
conferenza dell’Extropy Institute sul pensiero transumanista si tiene a Sunnyvale, in California.

1995
 
Peter Diamandis istituisce l’X Prize per finanziare “scoperte radicali a beneficio dell’umanità”. Il consiglio di amministrazione includerà in seguito Larry Page e Elon Musk.

1997
 Una versione aggiornata del Manifesto di Natasha Vita-More The Transhuman Manifesto viene inviata con la sonda spaziale Cassini Huygens a
Saturno.

1998
 Il filosofo
Nick Bostrom fonda con David Pearce la World Transhumanist Association. In seguito viene ribattezzata Humanity Plus.

2000
 Il teorico dell’Intelligenza Artificiale
Eliezer Yudkowsky fonda il Singularity Institute for Artificial Intelligence, che diventerà poi il Center for Applied Rationality, The Singularity Institute, e infine il Machine Intelligence Research Institute.

2000
 
FM-2030, autore di fantascienza e futurista, entra in sospensione ad Alcor.

2000
 
Peter Diamandis, Ray Kurzweil e Salim Ismail fondano la Singularity University con i finanziamenti di Google, Nokia, Autodesk, ePlanet Capital, la X Prize Foundation, la Kauffman Foundation e Genentech.

2002
 Elon Musk fonda la società privata di esplorazione spaziale
SpaceX.

2004
 Nick Bostrom e James Hughes fondano l’Institute for Ethics and Emerging Technologies, che pubblica il
Journal of Transhumanism.

2005
 Ray Kurzweil pubblica
The Singularity is Near, diffondendo ulteriormente l’idea.

2005
 Nick Bostrom fonda il
Future of Humanity Institute, con i soci Anders Sanberg ed Eric Drexler.

2006
 Peter Thiel dona 100.000 dollari al
Machine Intelligence Research Institute e si unisce al suo consiglio di amministrazione. Thiel promette inoltre 3,5 milioni di dollari alla fondazione Methuselah Mouse Prize per trovare una cura per l’invecchiamento.

2008
 Nick Bostrom e Anders Sanberg pubblicano “Whole Brain
Emulation Roadmap”, un manifesto per il caricamento della mente.

2008
 Peter Thiel dona 500.000 dollari per finanziare il
The Seasteading Institute per creare strutture di ricerca sperimentale in acque internazionali. Thiel donerà oltre un milione di dollari all’istituto.

2009
 Eliezer Yudkowsky pubblica il blog e il forum LessWrong, dove la discussione sull’intelligenza artificiale culmina nel famigerato esperimento del pensiero, il
Basilik di Roko e la messa al bando della sua discussione sui forum.

2009
 Aubrey de Grey fonda la
Fondazione SENS per portare avanti la ricerca sulla cura dell’invecchiamento con il sostegno della Fondazione Thiel.

2011
 Max More diventa CEO di Alcor Life Extension Foundation.

2011
 X Lab di Google inizia a lavorare a Google Brain, un progetto di ricerca sull’intelligenza artificiale.

2012
 Insieme alla
CIA, il CEO di Amazon Jeff Bezos investe 15 milioni di dollari in D-Wave, una società di calcolo quantistico.

2012
 Google assume Ray Kurzweil per
lavorare su machine learning e IA.

2013
 Larry Page fonda
Calico Labs con Arthur D. Levinson, ex presidente di Apple, come parte di Google (da allora ristrutturato come filiale di Alphabet). Calico persegue una cura per l’invecchiamento e le malattie associate.

2013
 Al Congresso Internazionale
Global Futures 2045, Ray Kurweil prevede che gli esseri umani raggiungeranno l’immortalità digitale attraverso il caricamento della mente entro il 2045.

2013
 Zoltan Istvan pubblica il romanzo di fantascienza distopico,
The Transhumanist Wager, su una futura guerra tra i transumanisti e il governo degli Stati Uniti.

2014
 Mark Zuckerberg, Sergey Brin e Arthur D. Levinson istituiscono il
Breakthrough Prize in Life Sciences per finanziare la ricerca sulla comprensione dei sistemi viventi e la promozione dell’estensione della vita.

2014
 Nick Bostrom pubblica il
Superintelligence: Percorsi, pericoli, strategie, ponendo l’IA come la minaccia esistenziale numero uno per l’umanità.

2014
 Google acquisisce DeepMind Technologies per fondersi con il suo progetto Google Brain nella sua ricerca di “risolvere l’
intelligenza”.

2014
 Leggendo il Superintelligence di Bostrom, Elon Musk twitta che l’intelligenza artificiale potrebbe rappresentare una minaccia per l’umanità “
più pericolosa delle bombe atomiche”.

2014
 Viene annunciato il
Premio Palo Alto Longevità da 1 milione di dollari per finanziare la ricerca sulla cura dell’invecchiamento.

2014
 Elon Musk
dice alla rivista Aeon che entro il 2040 ci saranno persone che vivranno su Marte.

2014
 Il CEO di Google Larry Page dice ai partecipanti alla TED Conference che
preferirebbe lasciare la sua fortuna a Elon Musk piuttosto che donarla in beneficenza per garantire che la gente arrivi su Marte.

2015
 Elon Musk dona 10 milioni di dollari a
The Future Of Life Institute per investire nella ricerca per la creazione di “AI amichevole”.

2015
 Il tecnologo e autore di fantascienza Ramez Naam scrive che
qualsiasi Singolarità è molto più lontana di qualsiasi previsione fatta finora.

2015
 Zoltan Istvan lancia un’offerta presidenziale per il biglietto del Partito transumanista.

Traduzione a cura di Mer Curio