Silvio Gesell, il terrore degli usurai e del sistema…

Silvio Gesell è stato probabilmente il più misconosciuto fra i grandi geni della storia e ciononostante è, proprio per noi oggi, il più grande benefattore dell’umanità. Vediamo perché. 

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       Gesell non era un superuomo. Egli nacque il 17 marzo 1862 nel paesino di Sankt Vith nella Vallonia belga, come settimo dei nove figli di un modesto impiegato statale. Dopo aver frequentato nel suo paese natio la scuola elementare e media statale per i figli delle famiglie disagiate, si iscrisse ad un liceo privato, perché la sua mente acuta lo predisponeva per il proseguimento universitario degli studi. Una grave malattia di suo padre lo costrinse però ad abbandonare la scuola, per iniziare a guadagnare come impiegato postale qualche soldo necessario alla famiglia. Quando i suoi fratelli maggiori riuscirono ad aprire a Berlino una ditta per il commercio di prodotti odontoiatrici egli decise di unirsi a loro e presto venne inviato da questi come rappresentante a Malaga in Spagna. Dovette tuttavia ritornare a Berlino per prestarvi il servizio militare obbligatorio. 
       Nel 1887 all’età di venticinque anni, Silvio Gesell decise di mettersi in proprio, aprendo una filiale della ditta dei fratelli a Buenos Aires, e quindi emigrò in Argentina. Nonostante il grande successo iniziale di questa attività del giovane Gesell, essa venne travolta dopo pochi anni dalla Grande Depressione argentina, che per anni paralizzò completamente l’economia di quel Paese. Tale fenomeno stimolò Gesell a sottoporre ad un esame approfondito la problematica strutturale del sistema monetario e nel 1891 egli pubblicò la sua prima opera dal titolo “La riforma del sistema monetario come accesso allo Stato sociale”, in cui egli esponeva già in embrione la più rilevante scoperta che mai fosse stata fatta in campo monetario. Seguirono in breve tempo altre due opere di approfondimento della questione monetaria, nelle quali tra l’altro veniva esposta l’idea innovativa della necessaria ri-nazionalizzazione della valuta. 

       Gesell cedette la sua ditta argentina nel 1892 al fratello e fece ritorno in Europa. Arrivò in Germania, ma non poté rimanere in questo Paese perché a causa del suo libro veniva considerato un pericoloso sovversivo. Emigrò quindi in Svizzera, dove acquistò una piccola fattoria, vivendo come agricoltore, e dove approfondì le sue ricerche sulla moneta. Nel 1900 pubblicò la rivista Geld-und Bodenreform (“Denaro e riforma agraria”) per diffondere le sue idee innovative, ma già tre anni dopo dovette cessarne la pubblicazione per problemi economici. Dal 1907 al 1911 Gesell si trasferì nuovamente in Argentina per aiutare il proprio fratello e al ritorno si stabilì nei pressi di Berlino dove con degli amici diede vita ad una comunità agricola. Qui iniziò a pubblicare una nuova rivista, Der Physiokrat (“Il Fisiocrate”), che uscì regolarmente fino a quando venne vietata dalla censura di guerra all’inizio del 1916. Questo fatto costrinse Silvio a rifugiarsi nuovamente nella sua fattoria in Svizzera.  

       Venne chiamato a ritornare in Germania dall’effimero governo della Repubblica dei Consigli Bavarese e ricevette l’incarico di ministro delle Finanze. Il suo mandato ebbe però vita breve e durò soli sette giorni, durante i quali Gesell preparò un’unica legge per istituire libere corporazioni. Poi il giovane governo della neonata repubblica bavarese venne deposto dal sanguinoso colpo di stato dei Corpi Franchi e Gesell venne imprigionato. Sebbene entro pochi mesi il tribunale avesse accertato la sua innocenza e lo avesse prosciolto da tutti a capi d’accusa, una volta libero non poté però più fare ritorno alla sua casa in Svizzera, perché a causa della sua partecipazione al governo rivoluzionario bavarese le autorità svizzere gli negarono il rientro. Fece quindi ritorno alla comunità agricola a nord di Berlino, dove continuò con i suoi amici l’opera di diffusione delle nuove idee. La permanenza di Gesell nella comunità di Eden venne interrotta solo da un suo ultimo viaggio in Argentina, dal 1924 al 1927. Gesell morì l’11 marzo 1930, stroncato da una polmonite. 

       All’inizio del 16° secolo il genio universale Niccolò Copernico (1473-1543) scoprì che non era il Sole a ruotare intorno alla Terra, bensì che tutti i pianeti orbitavano attorno al Sole centrale. Questa fu una scoperta dalla portata immane che cambiò radicalmente la visione del mondo di tutta l’umanità. La sostituzione della concezione geocentrica con quella eliocentrica spianò la strada all’Illuminismo e al progresso scientifico, dando l’avvio all’era moderna. Analoga è l’importanza per l’umanità della scoperta epocale di Silvio Gesell, che per questo motivo viene anche spesso chiamato il “Copernico dell’economia”. Egli infatti asserì di aver scoperto che la funzione del denaro è di servire l’essere umano e non, viceversa, l’uomo servire il denaro, minando con ciò l’intero ordinamento finanziario capitalista.  

       Secondo Gesell, ogni approfondita analisi delle cause dei mali del mondo mostra inevitabilmente che tutte le disfunzioni hanno una radice comune e che questa risiede in un errore strutturale del sistema valutario. Povertà, guerre, concorrenza, coercizioni, ingiustizie, inquinamento, manipolazione, e tutto il resto, hanno origine da questa anomalia innaturale insita nella maniera in cui è concepito essenzialmente il nostro denaro. 
       Silvio Gesell pubblicò durante la sua movimentata vita innumerevoli libri e articoli per illustrare e spiegare comprensibilmente al mondo la sua sensazionale scoperta. Come egli espone dettagliatamente nel suo capolavoro, dal titolo “L’ordine economico naturale per mezzo di terra e denaro liberi”, tutti i nostri problemi sono provocati in origine da una caratteristica intrinseca alla moneta che viola completamente le leggi naturali. L’innaturalezza della moneta consiste nel fatto che, al contrario di tutte le cose create dalla Natura, questa non si consuma. Anche John Maynard Keynes (1883-1946) ha constatato nella sua opera Teoria generale dell’occupazione, dell’interesse e della moneta

«La maggior parte dei valori patrimoniali, a eccezione del denaro, sono soggetti a calo o causano costi semplicemente a causa dello scorrere del tempo». 

Infatti, ogni essere vivente invecchia e ogni oggetto si degrada e perde valore con il tempo. I commercianti ben lo sanno, che se non vendono entro breve tempo la loro merce questa perde il suo valore, e lo sa anche ogni proprietario di casa che lo scorrere del tempo causa danni e che gli immobili hanno bisogno di periodiche riparazioni per non svalutarsi. Le verdure invendute vanno a male, i vestiti passano di moda e gli smartphone diventano obsoleti. E tra tutte le merci che vengono offerte sul mercato, il lavoro è quella che deperisce più in fretta, dato che se non viene venduto subito è irrimediabilmente perduto. 

       Il denaro contronatura invece è egemone sul mercato perché il suo detentore non ha la stessa urgenza allo scambio dei detentori di merci. Anche Henry Ford aveva riconosciuto che: 

«Il fatto che il banchiere possa chiudere in faccia al creditore il forziere, se questo non è disposto a sborsare interessi, e che non sappia nulla delle preoccupazioni che assillano il detentore di merci, è dovuto unicamente alla supremazia che il denaro possiede di per sé e riguardo alle merci: e questo è il punto dolente». 

Da questa supremazia del denaro derivano tutte le aberrazioni del sistema capitalista. 

       Gesell individuò il difetto strutturale della moneta nella sua accumulabilità, che permette a coloro che hanno denaro in eccesso di trattenerlo dal circolare e di sbloccarlo soltanto quando qualcuno è disposto a corrispondere loro un premio sotto forma di interessi al tasso richiesto. Da questa circostanza nascono tutti i redditi da capitale, che sono redditi senza corrispondente prestazione e che per secoli venivano definiti senza mezzi termini “usura”. La Chiesa cattolica aveva avversato sin dalle sue origini con tutta fermezza l’usura, basandosi sugli insegnamenti di Aristotele e dei Padri della Chiesa, e parecchi concili avevano stabilito che esigere interessi sul denaro prestato fosse un peccato particolarmente grave, per il quale decretarono la scomunica. Con l’abbandono di questo precetto fondamentale la Chiesa non solo iniziò il suo inesorabile declino, ma permise contemporaneamente alla piovra finanziaria di avvinghiare con i suoi tentacoli il mondo intero. 
       La condanna dell’usura da parte del cristianesimo aveva un solido fondamento nelle leggi universali della Natura ed era unicamente dettata dal buon senso dei nostri avi. Infatti i soldi non si riproducono da soli, ma vengono sempre generati in ultima analisi dal lavoro. Quindi, come diceva Tolstoj

“Se qualcuno percepisce un reddito senza aver lavorato, qualcun altro ha lavorato senza percepire reddito”. 

Infatti l’interesse è l’unica ragione della necessità di crescita economica. 

“Crescita” è un vocabolo fondamentale nelle discussioni economiche. L’economia nazionale deve crescere, il prodotto lordo deve crescere, i fatturati devono crescere. Anche gli alberi, i bambini e i polli devono crescere. Ma questi non crescono indefinitamente. I processi di crescita naturali sono contrassegnati normalmente da una forte crescita iniziale, che rallenta col tempo fino a stabilizzarsi su un livello costante. In Natura la crescita illimitata è distruttiva come nel tumore e non è mai alla base di processi stabili. Non esistono polli che crescono fino a diventare grandi come campanili. Solo l’economia deve continuare a crescere, prima fino alle nuvole, poi fino alle stelle. Può funzionare? Solamente fino a quando la popolazione sia abbastanza stupida da credere a quest’assurdità perversa, la crescita può essere sventolata come una carota davanti agli asini durante le campagne elettorali.

 (Cit. da Mario Haussmann, Il Manifesto della Sociosofia, Shiva Editore). 

La crescita obbligatoria imposta dal sistema capitalista è il fattore contronatura che oltre a distruggere l’ambiente, intacca la stabilità della collettività, producendo crescenti squilibri sociali. 
       L’interesse sul capitale prestato è la ragione per cui chi possiede strumenti finanziari diventa più ricco anche mentre dorme, mentre chi vive di solo lavoro diventa necessariamente sempre più povero. L’attività finanziaria è la vera fonte della grande ricchezza e cresce a ritmi di tre o quattro volte quelli dell’economia reale. Questa crescita deve avvenire a discapito della produzione reale, poiché la prima non produce nulla, ma toglie la prosperità a coloro che l’hanno prodotta con il proprio lavoro, gravandoli dell’indebitamento crescente. 
       Nel suo libro L’Ordine Economico Naturale Gesell ci dona una nuova teoria della moneta, basata su quattro fattori principali: un nuovo tipo di denaro che rende impossibile l’usura, il ristabilimento della proprietà pubblica del suolo, la completa libertà del mercato e dei suoi attori, e infine la completa assenza di povertà e ogni forma di tassazione. 

       Il grande merito di Gesell fu che, studiando i problemi di fondo della moneta, si accorse dell’essenza del suo difetto strutturale che la rende contrastante ai principi della grande Natura universale. Egli scoprì che nel sistema monetario attuale vi sono tre contraddizioni fondamentali. Primo: il denaro è una proprietà pubblica e anche privata. Secondo: il denaro è mezzo di trasferimento del valore e anche strumento per preservarlo. Terzo: i crediti sono denaro. Osserviamo più in dettaglio questi punti. 

       Gesell notò che se il denaro è un’istituzione di diritto pubblico, cioè un bene concesso in prestito a tutti allo scopo di agevolare gli scambi economici, esso non può essere simultaneamente un bene privato. Le istituzioni pubbliche sono a disposizione di tutti, ma nessuno può strumentalizzarle per i propri fini. Qualsiasi intralcio arrecato a un’istituzione pubblica ne impedisce l’uso ad altri. Ogni utilizzo di una struttura pubblica comporta dei costi, che gli utenti pagano in maniera diretta o indiretta. Dunque quando abbiamo in mano una banconota, sorge il problema della proprietà fisica della stessa. Il buon senso di Gesell giunse alla conclusione che il denaro, quale istituzione pubblica, doveva avere un costo d’uso da corrispondere alle casse pubbliche. 
       I soldi sono solo un simbolo del valore, non il valore stesso. Il denaro è un concetto, utile come unità e strumento di misura del valore. Esso non è commerciabile. La farina è commerciabile, il chilo no. Il denaro solo un’unità di misura, e la sua apparenza fisica è il simbolo di un diritto. Per esempio quando tengo in mano una banconota da 50 euro, sono miei i 50 euro di diritto a percepire. Il valore di quella banconota è sicuramente mio, ma non il mezzo fisico che lo supporta, la banconota stessa, che appartiene a tutti. Come se fosse mio il carico di un camion, ma non il camion preso a noleggio. E il camion a noleggio deve essere restituito. 
       Tutto il problema del sistema monetario consiste nel fatto che la velocità di circolazione del denaro non è costante. Se, per esempio, una banconota da 50 euro passa di mano 20 volte in un anno, essa genera un potere di acquisto di 1000 euro. Se, però, essa viene scambiata 40 volte, il volume di affari che essa genera è di 2000 euro. Quindi, la stessa banconota ha raddoppiato il suo potere di acquisto solo girando più velocemente ed è paradossale che nell’attuale ordinamento monetario sia possibile interrompere arbitrariamente questo flusso, per farsi pagare con gli interessi quando si cessa di farlo. 

       Abbiamo detto che Gesell identificò l’errore basilare sistemico della moneta nella sua funzione di conservazione del valore, poiché questa contraddice la sua funzione di mezzo di scambio e di misura. E se si lascia che venga utilizzata a tal fine, il denaro stesso diviene impropriamente una merce con cui alcuni possono bloccare gli altri e danneggiare l’economia. Ciò è anche la causa della disoccupazione, poiché una banconota che viene spesa richiede lavoro, mentre una banconota che rimane ferma causa disoccupazione. Gesell comprese che un meccanismo finanziario che obblighi la moneta a circolare produrrebbe come effetto una netta tendenza alla piena occupazione. 
       Già il filosofo John Locke (1632-1704) aveva riconosciuto che il denaro deve rimanere un puro strumento di misura degli scambi e non può diventare una merce. Diceva: 

«È un errore largamente diffuso quello di rappresentare il denaro come una merce». 

Silvio Gesell identificava nel sistema bancario a riserva frazionaria l’“usura istituzionale”. Egli vedeva nelle qualità da jolly del denaro l’origine del sistema capitalista e di tutte le crisi economiche che questo genera. La riforma da lui proposta è infatti un rimedio efficace per impedire ostacoli nella circolazione monetaria e rendere impossibili i bubboni della speculazione. 

       Gesell era giunto alla conclusione che il denaro sarebbe fluito con regolarità quando fosse stato più desiderabile possedere beni e merci che denaro. Quindi, il potenziale capitale finanziario doveva causare dei costi al proprietario. Ciò rende più lucrativo investire, prestare senza interesse o spendere il capitale. Sicuramente questo impedisce di sottrarre il capitale al mercato e di abusarne privatamente, per accumulare valore e generare profitti da interesse. Nelle sue parole: 

«Invece di dare un premio (detto interesse) a coloro che hanno più denaro di quanto abbisognano, affinché lo rimettano in circolazione devono essere costoro a pagare un piccolo canone (detto canone di utilizzo) se trattengono denaro dalla circolazione». 

       Questa fu l’idea che fece di Gesell il Copernico dell’economia, perché in modo del tutto analogo pose le cose al posto giusto nell’ordine naturale. Con il nuovo tipo di moneta proposto da Silvio Gesell, egli in pratica inventò da solo l’”anti-usura”, trovando il rimedio a tutti i nostri problemi economici. 

       Con questo nuovo strumento concettuale fornitoci da Gesell la liberazione definitiva dell’economia di mercato dalla piovra del capitalismo non è più un’utopia, ma una meta concretamente raggiungibile. Perfino Keynes, nella “Teoria generale”, riteneva del tutto possibile che con un denaro non tesaurizzabile l’interesse potesse scomparire «entro una generazione» e lo considerava «la via più razionale per… liberarci delle forme più ripugnanti del capitalismo».

       Il denaro è il sangue dell’economia e affinché l’economia possa funzionare senza intoppi, il denaro deve circolare costantemente. Ad ogni blocco del flusso, in una qualsiasi sua parte, consegue una mancanza di soldi da qualche altra parte. Quando una banconota viene sottratta alla circolazione, si impedisce tutta la catena di transazioni che quella banconota avrebbe prodotto passando di mano in mano. Il numero dei passaggi impediti è tanto più grande quanto più a lungo la banconota viene trattenuta. 
       Dunque la geniale idea di Silvio Gesell era in pratica di richiedere una tariffa, un canone per l’utilizzo privato del bene pubblico costituito dal denaro. Il denaro inutilizzato sarebbe semplicemente diminuito di valore. La differenza, incamerata dalla nazione, avrebbe finanziato lo Stato, sostituendo tutte le tasse. Ciò avrebbe messo in circolazione tutto il denaro trattenuto da qualsiasi parte, riducendo praticamente a zero i tassi di interesse. Così si sarebbe realizzato il sogno di Proudhon, che auspicava la scomparsa dell’interesse per aumentare il capitale da investimento a vantaggio di tutta l’economia. Inoltre un canone richiesto dallo Stato per l’utilizzo privato della moneta costituisce anche l’unica fonte di finanziamento sensata atta ad istituire un dignitoso reddito di cittadinanza (altra invenzione di Silvio Gesell) da erogare a tutti incondizionatamente. 

       Un onorario da pagare alla collettività per l’utilizzo del denaro è come pagare il biglietto per l’utilizzo dell’autobus. Esso si rende necessario perché gli altri meccanismi di flusso del denaro, interesse e inflazione, hanno fallito in pieno. Questi due meccanismi si generano a vicenda. Quando l’inflazione è bassa, il denaro viene trattenuto. Questo alza i tassi di interesse e il denaro fluisce negli investimenti a breve termine, aumentando il fabbisogno di denaro. Ciò costringe la banca centrale a emettere più denaro, producendo inflazione, per abbassare così i tassi. Allora il denaro viene trattenuto finché i tassi non salgono. Eccetera.
       Il denaro di Gesell, emesso da un ente pubblico e costretto a fluire costantemente, avrebbe come conseguenza una nuova fioritura della civiltà e della cultura. Così come avvenne durante il periodo gotico grazie al sistema monetario dei Brakteati, in quei quasi  tre secoli che uno studio di Harvard ha classificato come il periodo storico in cui la vita umana era più piacevole. Infatti la completa assenza di tasse, di debito pubblico, di inflazione e di interessi da pagare nonché di fluttuazioni economiche, il sistema bancario trasparente, sempre solido e solvibile, e la triplicazione dei redditi da lavoro dovuta alla scomparsa dei redditi da capitale, renderebbero tutti incommensurabilmente più ricchi e più liberi di oggi. La premessa per realizzare tutto ciò è un denaro neutrale, che si comporti in maniera equa rispetto a chi lavora e a chi possiede. Un denaro che non permetta di arricchirsi senza produrre valore tramite il lavoro, un denaro al servizio dell’uomo e non viceversa. 

       Oggi le banche creano dal nulla il denaro, come fa la banca centrale, se ne arrogano arbitrariamente e abusivamente la proprietà. Ma essendo la moneta espressione della sovranità, essa è di diritto proprietà del popolo, cioè un bene comune e un’istituzione pubblica. È bene precisarlo adeguatamente: il denaro creato non appartiene a qualcuno, nemmeno alle banche che lo creano, ma è di tutti: un bene collettivo. L’errore giuridico fondamentale del nostro sistema è che esso assegna al portatore anche la proprietà del pezzo di carta che rappresenta il denaro. È come se in aeroporto la legge assegnasse ai passeggeri anche la proprietà del carrellino su cui trasportano la loro valigia. Un’assurdità, insomma. I “luminari” a capo delle facoltà di economia non hanno mai insegnato la verità, e cioè che se il denaro perde le qualità che lo rendono “capitale”, la gente non viene più derubata dei frutti del proprio lavoro. Per loro solo il denaro che permette il massimo della rendita è un buon denaro. 
       Silvio Gesell, le sue scoperte grandiose in campo monetario e fondiario e la sua geniale opera, sono tra le cose più taciute dalla cupola che gestisce l’establishment. Infatti, ci sono poche cose che questi diabolici signori del potere mondiale temono tanto quanto le scoperte e le idee di Gesell. Essi ne hanno una paura folle, perché questo geniale autodidatta ha creato modelli veramente originali nel campo dell’economia e delle scienze sociali. Tali cose sono estremamente pericolose per le tradizionali strutture di potere e per la cupola delle 13 famiglie, in particolare. D’altro canto, gli scritti di Gesell contengono materiale prodigioso per il futuro, scoperte scientifiche preziosissime e idee fertili che diverranno presto tesoro dell’umanità intera e la libereranno dalle catene della tirannia. 

       Non si dirà mai abbastanza del grande genio misconosciuto Silvio Gesell e delle sue sbalorditive scoperte. Saranno le generazioni future ad onorare la sua figura e a valorizzare le sue idee, poiché avranno riconosciuto l’immenso debito di gratitudine che l’umanità ha nei confronti di questo suo eminente membro. Le scoperte di Gesell hanno ribaltato completamente la più radicata e deleteria delle false dottrine vigenti, e così ci forniscono la chiave d’accesso ad un sistema economico a misura d’uomo, regolato in maniera da permettere la massima felicità a tutti, poiché tutti i suoi parametri sono posti in armonia con le immutabili leggi naturali. 
       Sicuramente le generazioni future vedranno l’epoca attuale come un’era buia di sfruttamento pubblico generale da parte dello Stato, nella quale le misure necessarie a eliminare la povertà e diffondere la ricchezza che i singoli cittadini vorrebbero intraprendere non possono nemmeno essere prese in considerazione. Per superarla velocemente e addivenire a condizioni di buon senso abbiamo ora a disposizione gli inediti metodi scientifici della Sociosofia, che permettono di raggiungere gli obiettivi con precisione matematica. E appena introdotto il sistema di fiscalità monetaria tutta l’economia si orienta automaticamente ai bisogni degli esseri umani e tutta la progettazione economica al benessere comune a lungo termine. Finalmente divengono possibili tutte quelle riforme e innovazioni che spalancano la strada al raggiungimento della felicità collettiva, del benessere e del tempo libero.
 
       I sociosofi hanno abbracciato le basilari idee di Silvio Gesell e le hanno nel frattempo elaborate e perfezionate. Ne è risultato un adeguamento ai mutamenti sociali e tecnologici intervenuti dal tempo in cui Gesell formulò il suo pensiero. Così ora abbiamo anche a disposizione adeguate linee guida per istituire un sistema bancario completamente differente, onesto ed esente da speculazioni, sistemi moderni e pratici per l’esazione del canone sul circolante, e innovative proposte sul piano giuridico per adeguare il sistema ai bisogni del popolo e metterlo in armonia con i principi di Madre Natura. 
       Silvio Gesell ci ha fornito in mano la chiave per accedere al futuro che ogni creatura sogna nel profondo del suo cuore. La messa in pratica dei suoi insegnamenti permette il coronamento dei sogni di tutti i grandi pensatori libertari della storia. Ora sta a noi fare in modo che tutti lo sappiano e che al più presto le sue grandiose scoperte trovino applicazione pratica, per il bene di tutti. 


Ricordiamo il matematico Ennio De Giorgi (1928 – 1996)

Ennio De Giorgi è stato uno dei più grandi matematici del XX secolo. Nacque a Lecce l’8 febbraio 1928. Nel 1946, dopo la maturità classica, si iscrisse alla Facoltà di Ingegneria di Roma, ma l’anno successivo passò a matematica, laureandosi nel 1950 con Mauro Picone. Subito dopo divenne borsista presso l’IAC a Roma, e, nel 1951, assistente di Picone all’Istituto Castelnuovo. Nel 1958 vinse la cattedra di analisi matematica bandita dall’Università di Messina, dove prese servizio in dicembre. Nell’autunno del 1959, su proposta di Alessandro Faedo, venne chiamato alla Scuola Normale di Pisa, dove ha ricoperto per quasi quarant’anni la cattedra di analisi matematica, algebrica ed infinitesimale. Nel settembre del 1996 fu ricoverato all’ospedale di Pisa. Dopo aver subito vari interventi chirurgici, si spense il 25 ottobre dello stesso anno. Nel corso della sua lunga carriera ha ricevuto innumerevoli riconoscimenti accademici. Ricordiamo in particolare il Premio Caccioppoli nel 1960, appena istituito, e il prestigioso premio Wolf nel 1990. Nel 1983, nel corso di una solenne cerimonia alla Sorbona, fu insignito della Laurea ad honorem in Matematica dell’Università di Parigi. Fu socio delle più importanti istituzioni scientifiche, in particolare dell’Accademia dei Lincei e dell’Accademia Pontificia, dove svolse fino all’ultimo un ruolo molto attivo.

De Giorgi è stato un grande e per certi versi insuperabile matematico sotto tutti i punti di vista: come risolutore di problemi, come inventore di teorie, come creatore di una “scuola” comprendente diverse generazioni di allievi e collaboratori, ora sparsi in diverse università italiane e nel mondo. Ha dato un grande slancio alla scuola matematica pisana, nella grande tradizione di Dini e Tonelli.

E’ difficile, se non impossibile, sintetizzare in poche righe i suoi fondamentali contributi, e rinviamo al necrologio apparso sul Bollettino dell’Unione Matematica Italiana e alla prefazione dell’opera “Ennio De Giorgi selecta”, pubblicata da Springer nel 2005, per una descrizione piu’ esauriente. De Giorgi è certamente noto in tutto il mondo per aver fornito nel 1957 il tassello mancante alla risoluzione completa del XIX problema di Hilbert, precedendo di un anno John Nash. Al di là del risultato, le tecniche da lui introdotte per risolvere questo problema sono al giorno d’oggi uno strumento fondamentale di lavoro nella teoria delle equazioni alle derivate parziali. Ma già prima di questo lavoro, che lo impose all’attenzione del grande pubblico, De Giorgi fondò in un’impressionante serie di lavori la moderna teoria geometrica della misura e delle superfici minime. Questo programma, in qualche modo già delineato ma tecnicamente non realizzato da Caccioppoli, porta a un rovesciamento di prospettiva e ad un abbandono quasi totale, nello studio del problema, di considerazioni topologiche, a favore un uso molto piu’ sofisticato di tecniche di teoria della misura. In una serie di lavori, culminante in una collaborazione con Bombieri e Giusti, De Giorgi risolve completamente il problema di Bernstein riguardanti soluzioni intere dell’equazione delle superfici minime, mostrando l’esistenza di soluzioni non banali da 8 dimensioni spaziali in su. Al tempo stesso, nello spazio Euclideo di dimensione 8, viene esibito il primo esempio di ipersuperficie minima con singolarità, il cosiddetto cono di Simons. Nel 1960 la serie di lavori sulla teoria delle superfici minime culmina nella pubblicazione del teorema di regolarità: ancora una volta, i metodi da lui introdotti per risolvere hanno una tale profondità e naturalità da imporsi anche in molti altri contesti, ad esempio in problemi di tipo evolutivo o nello studio delle singolarità di mappe tra varietà. Negli anni ‘70 De Giorgi sviluppa la Gamma-convergenza, una teoria disegnata per descrivere successioni di problemi di calcolo delle variazioni, i limiti delle loro soluzioni, il problema variazionale limite. Questa teoria riprende e interpreta in un contesto variazionale la teoria della G-convergenza, sviluppata da Spagnolo negli anni ‘60. Questi sono gli anni di massima espansione della “scuola” di De Giorgi e la teoria viene sviluppata in innumerevoli direzioni. Al giorno d’oggi, per il suo carattere fondamentale, la Gamma-convergenza è uno strumento di uso comune, e ormai noto anche in ambito applicativo, nella descrizione di transizioni di fase, perturbazioni singolari, elasticità non lineare. A partire dalla metà degli anni ‘70, stimolato dalle problematiche e dalle difficoltà emerse nelle sue esperienze di insegnamento di base presso l’Università dell’Asmara, Ennio De Giorgi decise di trasformare uno dei suoi tradizionali corsi presso la Scuola Normale in un seminario in cui discutere ed approfondire tematiche fondazionali insieme a studenti e ricercatori interessati, non necessariamente specialisti di logica. Inizialmente si proponeva soltanto di trovare una formulazione dei consueti fondamenti insiemistici, atta a fornire una base assiomatica chiara e naturale su cui innestare i concetti fondamentali dell’analisi matematica. Dal punto di vista metodologico, De Giorgi seguiva il tradizionale metodo assiomatico contenutistico usato nella matematica classica, cercando gli assiomi fra le proprietà più rilevanti degli oggetti presi in considerazione, ben sapendo che gli assiomi prescelti non possono comunque esaurire tutte le proprietà degli oggetti considerati; la sua presentazione era rigorosa, ma non legata ad alcun formalismo, anche se apprezzava la possibilità di fornire formalizzazioni da confrontare con le correnti teorie fondazionali di tipo formale. Gradualmente le sue riflessioni e le discussioni dentro e fuori del seminario portarono De Giorgi ad elaborare e proporre teorie sempre più generali: nel suo approccio ai fondamenti era essenziale individuare ed analizzare alcuni concetti da prendere come fondamentali, senza però dimenticare che l’infinita varietà del reale non si può mai cogliere completamente, in accordo con l’ammonimento “ci sono più cose fra cielo e terra di quante ne sogni la tua filosofia” che l’Amleto di Shakespeare dà ad Orazio, e che De Giorgi aveva eletto a sintesi della propria posizione filosofica.

Le caratteristiche essenziali delle sue teorie possono essere sintetizzate in quattro punti:

  • non riduzionismo: ogni teoria considera molte specie di oggetti, collegate ma non riducibili l’una all’altra;
  • apertura: si deve sempre lasciare aperto lo spazio per introdurre liberamente e naturalmente in ogni teoria nuove specie di oggetti con le loro proprietà;
  • autodescrizione: le più importanti proprietà, relazioni ed operazioni che coinvolgono gli oggetti studiati dalla teoria, così come le asserzioni ed i predicati che vi si formulano, debbono essere a loro volta oggetti della teoria;
  • assiomatizzazione semi-formale: la teoria viene esposta utilizzando il metodo assiomatico della matematica tradizionale.

Sul piano più eminentemente tecnico, il cosiddetto “Principio di Libera Costruzione” è il contributo più importante dato da De Giorgi alla Logica Matematica. La generalità e la naturalezza della formulazione del principio, analizzato a fondo in un lavoro di Forti e Honsell, hanno permesso analisi più approfondite e la determinazione di “assiomi di antifondazione” che sono ora considerati i più appropriati per le applicazioni della teoria degli insiemi alla semantica e all’informatica. Negli ultimi anni della sua vita, forse anche a causa di alcuni problemi di salute, De Giorgi preferì ritagliarsi un ruolo meno attivo ma non per questo meno incisivo nella comunità dei matematici: più che fornire dimostrazioni o dare indicazioni di tipo tecnico, preferiva delineare e proporre a tutti gli amici, colleghi e allievi, ambiziosi e ampi programmi di ricerca. Nel delineare questi programmi, tutt’altro che velleitari, era guidato dalla sua profonda intuizione e dalla sua esperienza, che lo portavano a cogliere gli aspetti veramente decisivi dei problemi, sfrondati dei loro artificiali tecnicismi. Alcuni di questi programmi sono stati concretamente sviluppati dai suoi ultimi allievi, altri sono rimasti incompiuti in forma di congetture, ancora al centro dell’interesse degli specialisti.

(Luigi Ambrosio)

Necrologio UMI

  • Luigi Ambrosio, Necrologio di Ennio De Giorgi , Bollettino dell’Unione Matematica Italiana, serie 8, volume 2-B (1999), n. 1, p. 3-31.
  • http://mathematica.sns.it/autori/919/

Sumerian Fallout

Riproponiamo quest’interessante articolo pubblicato originalmente da Giuliano C. per il sito www.traterraecielo.live

Vorrei iniziare quest’articolo con una frase credo fin troppo inflazionata poiché… forse non tutti sanno che le teorie su un antico conflitto nucleare avvenuto in un passato remoto della storia dell’uomo abbondano in modo sempre più insistente sia sul web che sulla carta stampata, basterà digitare su un motore di ricerca “esplosione nucleare nel passato” è vedrete che sorprese.

Certo ci sono molte speculazioni in merito soprattutto da quando è stata sdoganata la “teoria degli antichi astronauti” in base alla quale numerose riviste e stazioni sia radio che TV più o meno importanti hanno dato largo respiro.

Ma uno degli aspetti più interessanti della questione bombe atomiche nel passato risiede nel fatto che se ne parli in diversi testi sacri facendo riferimento sia agli effetti della ricaduta radioattiva, ad opera dei venti e delle piogge, sia sulle persone che sull’ambiente. A riguardo cito due episodi, uno noto ai più l’altro forse un po’ meno e per certi versi un pò forzato.

Il primo è quello di “Sodoma e Gomorra” l’altro è quello relativo all’antica città indiana di Mohenjo-Daro1. Ma per semplicità di esposizione ci soffermeremo solo sul primo.

Sodoma e Gomorra

Leggendo i passi della Genesi 14, 1-2-3:

1 Al tempo di Amrafel re di Sennaar, di Arioch re di Ellasar, di Chedorlaomer re dell’Elam e di Tideal re di Goim, 2 costoro mossero guerra contro Bera re di Sòdoma, Birsa re di Gomorra, Sinab re di Adma, Semeber re di Zeboim, e contro il re di Bela, cioè Zoar. 3 Tutti questi si concentrarono nella valle di Siddim, cioè il Mar Morto.

Tali versi narrano della guerra (durata circa 12 anni) che il Dio Yahweh mosse loro per la rottura del giuramento fatto da questi Re che sanciva l’alleanza con lui.

Racconti sumero-accadici esposti dallo studioso Mauro Biglino

Quindi abbiamo un riferimento geografico preciso e che a quanto pare in base a racconti di storici sia greci che romani coincideva con una valle che venne ricoperta d’acqua a seguito di tragici eventi (Valle di Siddim vuol dire “valle dei campi”).

vaduta googlemaps della valle di Siddim
La depressione a sud del Mar Morto ove si ipotizzano le collocazioni di Sodoma e Gomorra.

Riferimenti più antichi si possono trovare nel Epopea di Erra/Nergal, un antico scritto sumero-accadico stando al quale, secondo le traduzioni di Sitchin, Erra mosse guerra contro il fratello Marduk a causa della quale non solo furono distrutte le due città bibliche ma provocarono anche la “creazione” del Mar Morto!

Questo scontro si verificò con modalità e ricadute sull’ambiente che ricordano gli effetti di un esplosione nucleare. Tanto è vero che questi si estesero fino alla bassa valle tra il Tigri e L’Eufrate! Ciò è riportato in particolare, ma non solo, in un testo sumero chiamato “Lamentazione per la Distruzione di Ur” ove si piangeva l’abbandono della città (non la sua distruzione fisica) a causa di un “vento malefico” che si abbatté su tutta l’antica Sumer.

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La guerra coinvolse anche altri siti considerati militarmente strategici come il “porto spaziale” del Sinai.

Gli effetti di questo vento cagionavano una morte orribile e vengono descritti con singolare precisione: “Tosse e muco riempiono il petto, le bocche traboccano di saliva e schiuma, ottusità e stordimento s’impadronivano degli uomini” e ancora quando questo vento ormai avviluppava le sue vittime “le loro bocche si riempivano di sangue“.

I testi raccontano anche che tale vento non era naturale ma frutto di un evento “generato da un unico atto, in un bagliore accecante!” e che proveniva “dalle montagne […] come un veleno era arrivato dall’occidente“.

Non mi dilungo nel citare le traduzioni delle tavolette sumere ma da queste appare fin troppo chiaramente che si sta parlando di esplosioni nucleari e del successivo vento radioattivo con tutte le conseguenze che porta con se.

E quando ho notato la foto sotto riportata ho visto una prova concreta offerta da una fonte autorevole e attendibile che certi fenomeni meteorologici avvengono e possono essere avvenuti anche in passato.

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Una grande tempesta di polvere cielo oscurato su gran parte del Iraq e Arabia Saudita. Il Moderate Resolution Imaging Spectroradiometer (MODIS) sul satellite Terra della NASA ha catturato questa immagine naturale colore di polvere che soffia sopra i due paesi la mattina del 29 ottobre, 2017.

1 il temine “bufala” a me non piace, tuttavia in merito alla teoria dell’esplosione nucleare che avrebbe interressato l’antica città indiana invito a leggere il seguente articolo – Mohenjo-Daro la bufala dell’esplosione nucleare -, sempre per non perdere la bussola e considerare gli argomenti a 360° per farsi poi una propria idea in merito, al fine di tenere sempre viva la fiamma della dialettica e della ricerca delle risposte.

Fonti:

Z.Sitchin – Il giorno degli Dei

N.A.S.A.

Approfondimenti:

L’EPOPEA DI GILGAMESH – Dalla civiltà sumerica a quella babilonese

Armi, rifiuti e militari.

Storie di ordinaria devastazione ed assassinio nel Mare Nostrum

Vincenzo P.

All’inizio degli anni 90 l’Italia è alle prese con una serie di questioni interne piuttosto complicate da gestire. Dalla fine traumatica della Prima Repubblica a suon di processi e monetine alla speculazione finanziaria costataci qualche miliardo di Lire da parte dello squalo Soros. Con l’opinione pubblica così impegnata, molti eventi avvenuti in quegli anni di notevole gravità ed importanza geopolitica, sono passati quasi inosservati all’epoca e, vengono flebilmente ricordati oggi da qualche giornalista curioso e ancora affamato di verità.

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NAVI IN FIAMME
Il primo episodio, che getta una piccola luce su tutta una serie di traffici e movimenti che stanno interessando il bacino Mediterraneo in quegli anni, è il disastro del Moby Prince, avvenuto la sera del 10 aprile 1991

Il traghetto all’alba completamente carbonizzato

La sera del 10 aprile 1991, intorno alle 22:00 il traghetto della compagnia armatrice Nav.Ar.Ma in servizio sulla tratta Livorno-Olbia ha da poco lasciato il porto della città toscana quando, nel buio della notte, urta violentemente contro un altro marittimo, la petroliera Agip Abruzzo. Durante l’impatto, la prua del Moby Prince perfora una delle cisterne della petroliera causando una fuoriuscita di greggio che, a causa delle scintille provocate dall’urto, prende fuoco innescando poi l’incendio che divora la nave durante tutta la notte. Muoiono 140 persone, tutti a bordo del traghetto. L’unico superstite, il mozzo Alessio Bertrand, diverrà uno dei personaggi controversi di questa assurda vicenda che verrà poi riconosciuta come la “Ustica del mare”. Inchieste approssimative, depistaggi, falsità e ricostruzioni alquanto inverosimili hanno fatto di questo incidente, uno dei classici misteri italiani senza ancora una verità.

https://it.wikipedia.org/wiki/Disastro_del_Moby_Prince

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/04/08/moby-prince-storia-di-poteri-forti-il-patto-anomalo-tra-compagnie-che-narcotizzo-le-inchieste-in-un-libro-i-documenti-inediti/5069726/

https://petalidiloto.com/2007/11/il-caso-di-ilaria-alpi-e-il-moby-prince.html

A questo punto è importante sottolineare e focalizzare l’attenzione su questi nomi: Shifco, il peschereccio XI Oktobar II e la cooperazione internazionale.

Dunque, arrivati qui, con un quadro della situazione decisamente chiaro sulla vicenda, propongo questo articolo ricchissimo di dettagli di Famiglia Cristiana che ha seguito questa vicenda sin dall’inizio svolgendo delle inchieste preziosissime e ricchissime di dettagli, tanto inquietanti quanto utili per comprenderla. Vorrei che si osservasse come l’Italia fosse a tutti gli effetti un centro di smistamento di armi, rifiuti e droga che usava il mediterraneo come hub logistico. Faccendieri internazionali già operativi nella vicenda Iran-Contras (resto a disposizione per chiarimenti in merito) e le controversie dei Balcani che, sempre in quel periodo, erano infiammati da una sanguinolenta guerra civile che lo stesso Miran Hrovatin aveva contribuito a documentare essendo originario di quelle zone, sono ulteriori elementi alquanto torbidi che, i loschi personaggi legati a questa storia, si portano dietro. Sottolineo, inoltre, il ruolo ambiguo dei vertici militari italiani e dei servizi di intelligence che, sottobanco trattavano proprio con i paesi della ex-Jugoslavia già dai tempi di Ustica, sfruttando sempre il Mediterraneo, per consentire ai Mig libici (caccia di fabbricazione sovietica) di attraversare il mare facendo anche spola in Italia, sfruttando i coni d’ombra dei radar NATO, per raggiungere i paesi balcanici e permettere a Gheddafi di far manutenzione ai suoi aerei da guerra. Molti ufficiali dell’Aeronautica italiana, in quegli anni, una volta andati in pensione andavano a lavorare per il leader libico come consulenti per aiutare i piloti a raggiungere le basi aeree jugoslave sani e salvi. Chiedo scusa per le divagazioni, mi rendo conto della complessità dei fatti che però sono tutti inevitabilmente intrecciati tra loro; dopo il crollo della Jugoslavia, con la guerra civile che infuriava, iniziarono a circolare ingenti quantità di armi e munizioni, proprio sul pianerottolo orientale dell’Adriatico italiano. Armi e munizioni che finirono per rientrare in questo enorme traffico internazionale del quale l’Italia era uno degli attori principali. Resto a disposizione per chiarimenti anche in questo caso. L’articolo di Famiglia Cristiana:

https://www.famigliacristiana.it/articolo/il-moby-prince-e-quelle-navi-di-armi-americane.aspx

Presupponendo uno studio di questo dossier inevitabilmente spalmato nel tempo a causa della sua complessità, inserisco ulteriori documenti video a testimonianza della tragedia consumatasi quella notte e portatori di ulteriori elementi utili.

https://telegra.ph/embed/youtube?url=https%3A%2F%2Fwww.youtube.com%2Fwatch%3Fv%3DucFdXIOVk7g

Uno speciale di Andrea Purgatori


Le comunicazioni radio di quella serata tra il porto e le imbarcazioni coinvolte

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L’OMICIDIO ROSTAGNO
Un giornalista e sociologo amante della cultura orientale fonda una comunità di recupero per tossicodipendenti in Sicilia e, come molti in quegli anni, muore in maniera violenta ed inspiegabile.

Mauro Rostagno.

Rostagno nasce a Torino nel 1942 in una famiglia di umili origini. E’ un uomo curioso e brillante che, come molti giovani in quegli anni, si unisce ai movimenti studenteschi del’68 e viaggia tra la Francia e la Germania. Spinto da una forte passione politica è tra i fondatori del movimento Lotta Continua; frequenta l’università a Trento dove anima la protesta studentesca vicina ai movimenti della sinistra estrema e armata. Qui conosce anche il brigatista Renato Curcio.

Le successive vicende della sua vita lo porteranno ad aprire una comunità di recupero per tossicodipendenti a Lenzi, in provincia di Trapani, chiamata Saman. A collaborare con lui, la seconda moglie Francesca Roveri e il controverso personaggio Francesco Cardella.

In Sicilia, Rostagno intensifica la sua attività di giornalista, fonda una emittente locale attraverso la quale intraprende una intensa campagna di denuncia contro la mafia. Viene assassinato la sera del 26 settembre del 1988 in un vero e proprio agguato, mentre tornava alla sua comunità.

L’auto di Rostagno dopo l’agguato mortale

https://it.wikipedia.org/wiki/Mauro_Rostagno

https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/05/alpi-hrovatin-lombra-del-depistaggio-e-quel-filo-che-lega-lagguato-di-mogadiscio-al-caso-rostagno-dal-traffico-darmi-a-gladio/5496731/

Fermo qui la pubblicazione di articoli inerenti la vicenda Rostagno, l’ultimo lo reputo oltremodo ricco di dettagli molto chiari in merito alla sua uccisione. Mi preme tuttavia sottolineare alcuni aspetti a mio avviso importantissimi: Il giornalista viene assassinato nel 1988, tre anni prima della strage del Moby Prince e ben sei prima della morte della Alpi. La sua attività, peraltro, andava avanti già da diverso tempo per cui, sorge spontanea la domanda: da quanto tempo erano in atto i traffici illeciti nel Mediterraneo tra Italia e Africa? Possiamo dunque supporre che queste attività erano in essere già dagli anni ’80?

Un altro aspetto importante che viene fuori proprio da questo omicidio e la collaborazione stretta tra Mafia, apparati deviati delle istituzioni e mondo dell’imprenditoria. Ancora una volta, se mai ce ne fosse il bisogno di ricordarlo, la ragnatela vasta di rapporti tra questi mondi apparentemente slegati tra loro appare quasi naturale e fortemente consolidata.

Un’ultima ma importantissima analisi reputo importante farla per l’agente dei servizi italiani operante per la struttura segreta della NATO Gladio Stay Behind, Vincenzo Li Causi, a capo del nebuloso centro Scorpione operante proprio a Trapani, nella stessa zona dove era sorta la comunità di recupero di Rostagno. Li Causi è stato una delle vittime italiane in Somalia in quegli anni di cui nessuno parla, assassinato in un agguato molto simile a quello che hanno subito la Alpi e il suo operatore un anno dopo. Le inchieste in alcuni casi hanno evidenziato la possibilità che il militare, a conoscenza di moltissimi dettagli dei traffici illeciti che, della Sicilia facevano uno dei porti logistici più importanti, fosse diventato uno degli informatori privilegiati della giornalista della Rai e che addirittura, stesse cercando di proteggerla; anche lui non potrà mai raccontarci la sua versione dei fatti.

https://www.affarinternazionali.it/segnalazioni/skorpio-li-causi-giannantoni/
Vincenzo Li Causi

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MISTERI VOLANTI
Torniamo ai primi anni ’90: in Sardegna accadono strani incidenti. Anche l’isola mediterranea è una base logistica di un traffico internazionale di armi e rifiuti tossici?

A questo proposito mi permetto di allegare il link ad un dossier nel dossier. Una lettura completa, ricchissima, illuminata, precisa ed esaustiva di quanto avvenuto in Sardegna una bella sera del 2 marzo del 1994. Lascio parlare questo blogger che con dovizia di particolari riesce a raccontare di una vicenda oscura, labirintica e, soprattutto, sconosciuta.

http://www.noncicredo.org/index.php/le-storie/41-che-fine-ha-fatto-volpe-132

Mi permetto solo di fare un piccolo appunto temporale: in questo piccolo dossier c’è un errore rispetto alla data dell’omicidio di Ilaria Alpi e Miran Hrovatin: i due vengono assassinati il 20 marzo del 1994, non il 27. L’abbattimento del Volpe 132 avviene esattamente 18 giorni prima. Una vicinanza temporale quantomeno curiosa.

Mi permetto anche di riprendere uno degli ultimi passi del racconto per provare ad esternare una mia visione d’insieme dei fatti: a volte la verità legata ad alcune vicende, non è l’unica verità. Nel cercare di svelare i fatti che si nascondono dietro alcuni episodi, se ne possono scoprire di altri ancor più sorprendenti che sono in grado di farci apparire la verità che inseguivamo inizialmente, un piccolo aneddoto di vita quotidiana. I missili utilizzati per l’abbattimento del Volpe 132, con tutta probabilità, sono dei missili “Stinger” (in inglese, urticante). Sono missili antiaerei a guida di infrarossi (inseguono il calore rilasciato dal motore dei velivoli) lanciati da tubolari a spalla, di fabbricazione americana. Sono diventati famosi durante la guerra di liberazione afghana dei mujaheddin contro le truppe sovietiche negli anni ’80 in quanto vennero donati in massa dalla CIA ai combattenti per fare piazza pulita dei temibili elicotteri da combattimento russi Hind (Mil-Mi 24 il nome russo). In effetti queste armi leggere e semplici da maneggiare, riuscirono ad abbattere un gran numero di elicotteri costringendo i russi a montare dei sistemi di raffreddamento aggiuntivi sugli scarichi dei motori per rendere più difficile il compito dei sensori di calore dei missili. Sistemi di difesa che, l’Agusta della Guardia di Finanza, non possedeva non essendo un elicottero progettato per missioni di combattimento. Perché questa digressione tecnica? Perché una delle armi principali che viene associata ai ribelli e ai terroristi di tutto il mondo, oltre all’intramontabile Ak-47, è il famoso Rpg-7, un lancia granate a spalla di fabbricazione russa che non ha nulla di particolarmente complesso, il sistema di puntamento è un semplice mirino meccanico e i proietti sparati non hanno nessuna guida elettronica. Questa era una delle armi con tutta probabilità più in voga nei traffici che coinvolgevano il Mediterraneo all’epoca dei fatti. Durante la guerra in Somalia che ha portato all’intervento militare ONU e NATO dal 1992 al 1994, non sono mai stati utilizzati lanciarazzi Stinger per colpire i velivoli delle truppe occidentali, le mie ricerche non hanno mai portato alla luce la presenza di questo sistema d’arma tra le truppe di Aidid. Truppe che, al contrario, disponevano di ingenti numeri di lanciagranate Rpg-7, con i quali hanno anche abbattuto alcuni elicotteri americani. (battaglia di Mogadiscio 3-4 ottobre 1993, consiglio la visione del film Black hawk down). Sorge dunque un dubbio: quei missili Stinger, quelli che hanno abbattuto l’elicottero e che, presumibilmente, erano a bordo del Lucina, a chi erano destinati? Per quale scopo?

Un elicottero della Guardia di Finanza Agusta A109-A Mk.II Hirundo identico al Volpe 132
I due piloti morti nell’abbattimento: il brigadiere Fabrizio Sedda, 28 e il maresciallo Gianfranco Deriu, 41. Entrambi sardi
Il lanciamissili a spalla antiaereo Stinger
Il lanciarazzi controcarro Rpg-7

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Ilaria Alpi, Miran Hrovatin e le navi a perdere
Una giovane giornalista affamata di verità e il suo cameraman vengono assassinati in Somalia. E molte navi vengono inghiottite dal Mediterraneo.

20 aprile 1994. Il giorno precedente, la Camorra, ha assassinato don Giuseppe Diana, impegnato in prima linea nello strappare i ragazzi dalle fauci della criminalità organizzata. In Africa orientale, in Somalia, i militari italiani della missione Ibis a guida NATO si stanno organizzando per il ritorno in patria; la missione militare internazionale iniziata nel 1992 e capeggiata da ONU e USA, denominata “Restore Hope” , la speranza non è proprio riuscita a ripristinarla e ne viene decretata la fine per fallimento. Una figuraccia. Anche dal punto di vista militare; eserciti ben addestrati e armati con le più moderne tecnologie non sono riusciti a catturare il signore della guerra Aidid e non sono riusciti a rafforzare l’egemonia del suo rivale, il generale Ali Mahdi. Il Paese è sempre più senza alcun controllo e nelle mani delle bande armate che si fanno la guerra, uccidono senza pietà e, spartendosi gli aiuti alimentari internazionali, lasciano morire di fame la popolazione civile. Ma non si tratta solo di questo, c’è dell’altro. E una giovane giornalista di Rai 3 molto curiosa e attenta, ha deciso di volare a Mogadiscio come inviata per il telegiornale grazie alla sua conoscenza dell’arabo. Ma non è lì solo per fare l’inviata dal fronte, è lì perché ha scoperto qualcosa di molto interessante e vuole seguire la sua pista fino in fondo anche perché le sue informazioni hanno portato alla luce un qualcosa di davvero grosso, qualcosa che potrebbe creare scompiglio in Italia e nel mondo.

Un documento originale dell’ultima intervista di Ilaria, al sultano di Bosaso. Documento prezioso nel quale è possibile notare il cambio di toni e il nervosismo quando la giornalista incalza con domande specifiche l’intervistato. Probabilmente, questa è l’intervista che è costata la vita ai due giornalisti.

A questo punto, avendo arricchito il dossier con questi impostanti documenti, mi permetto di fare un piccolo focus sulla questione navi. La Somalia è una ex colonia italiana e, come tutte le colonie, è rimasta molto legata al nostro paese anche nel momento in cui quest’ultimo si è ufficialmente svincolato. Di fatto, in quegli anni, la nazione africana, era un protettorato italiano nel quale i nostri politici, le nostre associazioni criminali e i nostri imprenditori facevano affari d’oro, di fango (radioattivo), e di sangue. Il grosso del denaro lo metteva sul piatto lo stato italiano attraverso i fondi per la cooperazione internazionale che, almeno in apparenza, avevano lo scopo di aiutare le ex-colonie a svincolarsi definitivamente dai paesi colonizzatori e mettersi alle spalle povertà e miseria. Di buone intenzioni però, sono lastricate le vie dell’inferno, infatti dei miliardi che l’Italia utilizzava per alimentare il fondo, i cittadini africani ne vedevano una piccolissima quantità. Nel caso somalo, molti di questi soldi sono stati con tutta probabilità spesi per acquistare una flotta di pescherecci d’altura che dovevano aiutare i pescatori somali ad intraprendere la loro attività in autonomia e con mezzi più efficienti e che invece, sarebbero stati utilizzati come mezzi di trasporto di armi e rifiuti tossici in giro per il Mediterraneo. Uno di questi pescherecci pare fosse proprio il XXI Oktobar II, proprio quello che si trovava nel porto di Livorno la notte del disastro Moby Prince. Spunta sovente il nome della Shifco, la compagnia che avrebbe dovuto coordinare le attività dei pescherecci, il nome del faccendiere Giorgio Comerio, noto per i suoi bizzarri progetti di interramento dei rifiuti nucleari nei fondali marini con dei siluri perforanti, il quale custodiva il certificato di morte originale di Ilaria in casa sua, in una cartellina. Spuntano le strane rotte dei pescherecci, spuntano nomi, contatti, porti e strade costruiti da imprenditori italiani legati a strani ambienti con lo scopo di interrare rifiuti radioattivi e sanitari; il tutto in cambio di armi per vincere una guerra. Ma la presenza in questa storia di personaggi come Comerio, dei servizi segreti, della criminalità organizzata e delle alte sfere politiche ci porta a pensare che il fenomeno non fosse solo circoscritto alla Somalia. In quegli anni, le navi, tante navi, erano uno strumento molto utilizzato in questi loschi traffici: si acquistavano, passavano di mano, vagavano per il Mediterraneo seguendo strane rotte e, purtroppo, affondavano. Certo, qualcuno potrà obiettare che a molte navi capita di affondare, può succedere in mare. Ma in quegli anni, alcune navi affondavano in maniera alquanto strana e a ritmi piuttosto serrati e, cosa ancor più sconcertante, affondavano a pieno carico. Anche questa è una storia di sangue, misteri, morti sospette, depistaggi e di una verità che forse non verrà mai alla luce se non a piccole dosi edulcorate

Curiosamente, ne ha parlato anche fanpage
https://youtube.com/watch?v=nCHbajNQqqE
Perché inquinare solo la Somalia quando c’è tutto il Mediterraneo a disposizione?

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Negli ultimi tempi, abbiamo assistito al proliferare del fenomeno della pirateria somala. I pirati, a bordo dei loro barchini, assaltano le navi mercantili che transitano nella zona marittima di competenza somala ed in particolare nella zona del Golfo di Aden, passaggio obbligatorio per tutte le navi che hanno necessità di entrare nell’oceano Indiano. Il fenomeno ha interessato molto la comunità internazionale, sono state realizzate inchieste giornalistiche, film e sono operazioni militari su larga scala per contenere il fenomeno. E’ curioso osservare come la storia si ripeta, come il potere riesca ad invertire l’ordine dei fatti, a diluire le verità e a rivoltarle. Quelli che oggi vengono dipinti come i cattivi pirati somali che vanno a caccia di navi occidentali da assalire, sono in molti casi ex pescatori che, a causa dei rifiuti tossici seppelliti nei loro porti e nel loro mare, non solo hanno assistito ad un terribile aumento di malattie gravi e malformazioni neonatali tra la loro gente, ma hanno visto anche ridurre in maniera significativa la quantità di pesce da poter pescare. Avvelenati, affamati e criminalizzati, manca qualcosa?

Sperando di aver fornito un quadro preciso del contesto storico, geografico e politico e scusandomi in anticipo per eventuali imprecisioni e per la complessità degli argomenti trattati chiudo questo dossier con un piccolo ricordo di Ilaria e del suo operatore Miran. Una bella ragazza, giovane e curiosa che personalmente, non reputo una eroina in quanto non ha scelto di morire per la sua causa, non era questo il suo obiettivo. Ilaria e Miran erano due persone normalissime, come tutti noi, che lavoravano seriamente e che hanno deciso di non voltarsi dall’altra parte, di non stare zitti ma di fare ciò che per tutte quelle persone le quali si reputano di sani principi, dovrebbe essere la normalità: alzarsi in piedi e provare a raccontare la verità. Non è un caso, a mio parere, che Ilaria e Miran siano morti a distanza di poche ora da don Giuseppe Diana il quale, esattamente come loro, aveva deciso di seguire la sua strada, di non voltarsi per convenienza od opportunismo e di voler provare, nel suo piccolo, a costruire un percorso diverso da quello che stava percorrendo la sua comunità. Ilaria e Miran non ci sono più da 26 anni ed oggi, in questi tempi così difficili caratterizzati da menzogne e falsità, la loro mancanza pesa più che in passato. Un pensiero va anche a Luciana, la madre di Ilaria che tanto aveva sofferto per la perdita della sua unica figlia. Aveva intrapreso una lotta personale e instancabile per non far calare il silenzio sulla morte di Ilaria, aveva deciso di diventare la spina nel fianco di tutte quelle istituzioni che in maniera odiosa rimbalzavano processi, udienze e verità come fossero dei pacchi, magari anche scomodi, da sistemare in qualche modo. Una donna fragile, consumata dalla sofferenza che però ha lottato caparbiamente e con una compostezza disarmante. Un esempio, almeno pari a quello di sua figlia. Aveva detto che se ne sarebbe andata solo dopo aver ottenuto giustizia, così non è stato e forse ne siamo tutti un po’ responsabili; spero che ci perdonerà. Un pensiero va a Patrizia, la moglie di Miran e a suo figlio che oggi sarà diventato grande ma che ha perso il suo gigante buono in un’età in cui nessun figlio dovrebbe perdere il padre. Anche loro, con grandissima compostezza e dignità, hanno affrontato il dolore e la battaglia per la verità sperando che, a differenza di Luciana Alpi, un giorno la potranno finalmente ottenere. Un pensiero va alle 140 vittime del Moby Prince e ai loro cari. Dopo 28 anni, per alcuni sono solo dei nomi incisi su delle lapidi, per altri sono fantasmi mai esistiti.