The Rave Of Mind

Proposta di legge anti-rave: limitare la libertà sta diventando…

Il breve articolo uscito su DolceVita, per farsi un’idea della situazione, legiferare sulla libertà sta davvero diventando una pessima abitudine.

Non ci hanno fatto attendere molto.
Presentato dalla Lega un Disegno Di Legge che punta alla repressione dei free party, Matteo Salvini primo firmatario.
Andando oltre i fatti di cronaca e aggiungendo qualche considerazione personale a quanto scritto, mi chiedo se ci saranno delle ripercussioni o se questa insania alla fine non avrà alcun seguito, svanendo nel nulla come il blaterare di certi elementi. Scusate la franchezza, ma non è stato facile scrivere di una cosa che mi sta tanto a cuore in maniera obiettiva e imparziale. Ora mi posso finalmente sfogare! =)


bEAT bASS gROOVE 03 Magico! Davvero crediamo sia possibile soffocare l’anelito di libertà espresso in questi attimi fuori dal tempo?

Spero che questo mare implacabile, nel tentativo di annegare ogni forma di dissenso, non travolga e distrugga tutto per sempre, riportando a riva solo i rottami di quella caotica ma meravigliosa controcultura rappresentata dalla free-tekno in continua insurrezione. La mia ancora per tanti anni, un porto sicuro.
L’opinione pubblica si è scaldata, il teatrino politico è stato alimentato e com’era prevedibile viene battuta la strada dei “provvedimenti necessari”.

Non è il caso di perdere tempo sulla palese inadeguatezza del classico approccio proibizionista, insensato come il voler impedire al sole di sorgere o all’acqua di scorrere.
Dicevo, i giornali stanno già vociferando dopo le dichiarazioni sui social e tra le disposizioni a gran voce invocate riportano anche il possibile “utilizzo di agenti sotto copertura”. Sul serio? Una barzelletta.
“Ci sono un raver, un cane e un carabiniere…”.

Mi ha relativamente colpita “quest’ultima trovata”, come se alle feste non si fossero mai fatti vedere, con il borsello di pelle e il loro caratteristico portamento che riconoscevi da un kilometro di distanza in linea d’aria.
Ma ora è diverso, ora sono impiegati “in ottica di prevenzione”.
Ovviamente la butto sul ridere per sdrammatizzare, in realtà li ho sempre trovati abbastanza tranquilli e qualcuno di loro era pure simpatico, ciò che mi urta in questo caso è la volontà di nascondersi dietro al filo d’erba della sicurezza e alla ormai esacerbata salvaguardia della salute.
Più che prevenzione a me sembra controllo, controllo e ancora controllo.

Appresa la notizia ho iniziato a scrivere di getto e mi rendo conto che a far capolino nella mia testa è stata la vocina della paura. Disperatamente vorrei scorgere un barlume di resistenza a questo mondo sempre più omologato e sterile, perchè so di non poterci vivere.
Lascio andare quella sensazione di impotenza perchè le mie convinzioni sono poche, lo ammetto, variabili forse, ma di una cosa in particolare sono certa da sempre, e sempre lo sarò.

I cuori liberi non si fanno rinchiudere, non è possibile costringerli dentro un perimetro, non li tieni lontani da ciò che amano e dalle vibrazioni che li fanno battere all’unisono.

Tutto questo parlare di rave mi trascina indietro nel tempo, a quel clima fervido e vivido che adoro.
Crediamo ancora in un mondo diverso, dove condivisione, vicinanza e umanità sostituiscono brama, arrivismo e diffidenza.
Sta proprio qui il nocciolo della questione, la realtà che desideriamo non conviene a chi fonda tutto su profitto e speculazione. Ci interessa? No.

Continueremo a sincronizzare i battiti ballando. Ben radicati a terra, con le mani alzate verso quel cielo immenso che non potranno mai veramente controllare.



Foto tratta da questo interessante articolo, chiarificatore.
Una citazione di Hakim Bey sulla TAZ, che ho approfondito qui, seguita da una bellissima riflessione.
Non potrei condividerla di più.

~Lely~
Ricercando

L’avvenire di un’illusione

L’avvenire di un’illusione

di Pier.

L’inganno, diciamolo subito, è, agli occhi di scrive, un tema esecrabile sotto ogni punto di vista.
D’altronde è la costante del tempo, del nostro forse in misura maggiore rispetto a tutti gli altri. Cerchiamo allora di indagarne l’apporto in termini di valore nelle nostre vite: lo faremo cercando di integrare una prospettiva tradizionale con altre più recenti e sperimentali.

Voglio in primo luogo far ricorso ad un’immagine che è entrata a pieno titolo nell’immaginario simbolico del XXI secolo, vale a dire il film “Matrix”. Nel film la realtà è per i più una gigantesca simulazione computerizzata, per gli altri è un’illusione la cui causa affonda nella vecchia necessità di tenere schiavo il genere umano, declinata in chiave esteticamente cyberpunk ed essenzialmente materialista: non a caso in tutto il film non sentirete mai parlare di anima: basta la mente ad interfacciarsi con la macchina ed a tenere soggiogato il corpo. Ma cos’è questa immagine se non una reinterpretazione dell’antico, oggi abusato, mito della caverna di Platone?1 C’è, però, dell’altro: se noi volessimo spingerci a pensare anche la nostra realtà come un complesso gioco di forze che concorrono a costruire un’illusione estremamente stabile, alla quale appunto noi diamo il nome di realtà, la nostra vita non sarebbe allora un grande inganno? E chi sarebbe l’ingannatore, chi l’ingannato?

Un’ipotesi che appare via via più verosimile se ci addentriamo nelle teorie di David Bohm e Karl Pribram secondo le quali l’esistenza stessa dell’universo avviene in un unico punto senza dimensioni ed in un unico istante senza tempo in cui ognuno dei fotogrammi della storia del mondo è co-presente con tutti gli altri. Secondo questa tesi il nostro cervello non sarebbe altro che un lettore di ologrammi, poiché tutto ciò che nell’universo è percepito come materiale altro non sarebbe che la proiezione suprema di ciò che accade in quel punto, ovvero tutto ciò che è.
Tat twam asi2 ho sentito dire, a volte.

Nella filosofia indiana si riconoscono sei darśana tradizionali, sei visioni del mondo. Ce n’è una che stabilisce i criteri di base con i quali le altre hanno dovuto necessariamente confrontarsi, ed è il Samkhya3, un sistema filosofico che potrebbe apparire semplice da comprendere, ma, come tutte le dottrine indiane, ardua da realizzare. Secondo il Samkhya a monte c’è puruṣa che è pura coscienzialità ed esiste in un punto senza spazio, in un istante fuori dal tempo. Esso allo stesso modo non è causa del tempo e dello spazio ma ne è il principio. Puruṣa è coscienzialità pura, non genera e non è generato, non agisce, non muta, esso semplicemente è. Esiste ontologicamente come coscienza senza oggetto.

Poniamo tanta enfasi sulle connotazioni di puruṣa perché un ente di questo tipo sfugge al sentire dell’uomo moderno: una volta lo avremmo anche chiamato Dio, però questo è ormai un concetto desueto, che si è snaturato a forza di volerlo avvicinare al sentire quotidiano, a forza di rappresentarlo con sembianze antropomorfe.

L’immagine che i testi forniscono per rappresentare questo principio è una sfera perfetta nel cui volume le forme che le passano davanti si riflettono senza mai alterarne la natura e la struttura.

Puruṣa è il sogno di un ente al di fuori del corruttibile mondo e questo ci dice senz’altro qualcosa di quella categoria dell’essere che è necessaria per svelare le illusioni: l’inalterabilità, l’incorruttibilità, una categoria che non esiste nel mondo fenomenico, il quale deve essere trasceso. Ecco quindi un rimedio alle illusioni: il trascendente, una dimensione che non è facile né priva di pericoli.
La necessità dell’esistere che si accompagna alla coscienzialità pura che è puruṣa,di contro, si fa causa del dispiegarsi delle forme e a quel punto da esso scaturisce l’unica azione che ha una qualche probabilità di accadere: per comprendersi, per fare l’esperienza di ciò che è, puruṣa ha bisogno dell’alterità, di un oggetto di cui essere cosciente. Ecco allora che da puruṣa scaturisce prakṛti, che viene tradotta con “natura”. Essa è la rottura dell’uovo cosmico presente in alcune cosmogonie che dà origine all’atto della creazione. E’ altresì lo sforzo di una moltiplicazione infinita compiuta attraverso un atto di divisione, di frammentazione.

Come ci induce a pensare un altro passo di Platone, con il mito dell’ermafrodito, in ogni aspetto della creazione permane un senso di solitudine, una vaga nostalgia per quell’unità che era in origine e secondo diverse scuole filosofiche e correnti mistiche tutto ciò che appare non è che l’illusione della separazione, l’unità, un’unico, universale, organico “olos” pervade il creato sotto quel dispiegarsi illusorio delle forme.

Quello che iniziamo a comprendere a questo punto è che questo inganno, almeno dalla nostra limitata prospettiva, per quanto fastidioso, per quanto sia all’origine di tutte le nostre sofferenze, non è un ostacolo, come non è uno strumento di liberazione, esso è la causa ed è lo strumento della liberazione. E questo è un pensiero incoraggiante.

Come potrebbe il cavernicolo di Platone desiderare la libertà se non avesse visto di che illusioni sono fatte le catene che lo tengono schiavo? E se la nostra natura è intrecciata dall’inizio dei tempi a questa necessità, qual è lo scopo del nostro esistere?

Iniziate a vedere qual è il ruolo che ognuno di noi impersona nel grande gioco cosmico? Ne intuite la portata?

Accettando un simile punto di vista sorgono due grossi problemi: chi ordisce la grande illusione che ci tiene separati e pertanto schiavi? Perchè qualcuno ci tiene schiavi con l’inganno? Quest’ultima domanda pone una questione ancora più importante ma sottotraccia.

I più accaniti materialisti fra voi potranno pensare che tutt’al più questo è un problema che riguarda la vecchia dialettica fra corpo e mente, per cui il corpo, anche ridotto al paradigma olografico di Pribram, può rivelarsi un carcere per la mente che si emancipa, essendo divenuta cosciente dell’inganno.

Sbagliato.

Limitarsi a considerare la mente è un fatto accettabile per il materialista, che può ricondurla a processi plausibili e familiari come le sinapsi del cervello.
Il materialismo è diventato pertanto l’illusione delle illusioni, una peculiarità della modernità, perché rappresenta qualcosa (anima) che non partecipa del processo del dispiegarsi delle forme ma che vi è immersa in con-fusione al punto che essa si identifica con quella prakṛti che è velo di māyā.

Inoltre la mente è il campo privilegiato dell’inganno, non solo perchè può essere ingannata con grande facilità sia nelle percezioni sensibili (illusioni ottiche ad esempio), sia nelle sue conclusioni deduttive (basti pensare alla fallacia dei ragionamenti e alla contradditorietà di numerosi processi apparentemente logici e deduttivi) ma anche perchè alcuni fra cui Castaneda hanno suggerito che nel processo con cui un essere umano viene al mondo egli ad un certo punto prende una mente, che fino a quel momento esisteva come un essere inorganico, ma in qualche misura dotato di una volontà propria. E’ sulla base di simili concezioni che diverse scuole meditative orientali e non solo impongono di silenziare la mente fino a trascenderla, poichè ciò che essa suggerisce è giudicato del tutto inaffidabile e in certa misura menzognero. E di fatto i più attenti di noi avranno a volte fatto l’esperienza di rapportarsi con la propria mente come con qualcosa che non obbedisce alla nostra volontà: è nota la provocazione “prova a non pensare ad un elefante rosa”, in cui la volontà di non pensare a qualcosa non prevale sullo stimolo esteriore.
La mente per sua natura accetta/rigetta e se ci fate caso non fa molto altro, è facile provocarla e condizionarla al punto da poterne prevedere con costanza le reazioni di avversione; è altrettanto facile foraggiarla con input che provocano piacere al punto di addomesticarla a produrre con costanza reazioni di affezione e di attaccamento. Essa è l’alleato migliore di cui può disporre chi ha interesse a tenerci in catene. Per nostra fortuna la mente non è la sede della creatività, nè dell’intuizione, ma è al massimo una organizzatrice del lavoro creativo.

In tutte le possibilità che il mondo offre, esiste un solo ente al quale si riconosce un riverbero della scintilla divina che è puruṣa. Noi l’abbiamo chiamato anima, gli indiani atman, meglio nella formulazione di atman-brahman, l’anima individuale collegata al principio universale.

Poniamo questa come risposta alla nostra prima domanda: è anima a rimanere intrecciata nella trama della creazione, fino a dimenticarsi di sè, fino a perdersi nelle forme che esistono perché lei possa fare l’esperienza di se stessa, il viaggio di ritorno o di ascensione di cui ci parla la Pistis sophia, qualcosa che infine possa trascendere anche la sua stessa natura.
D’altronde anche in conclusione delle Samkhyakarika c’è una metafora apocalittica, laddove si afferma che quando puruṣa, da spettatore indifferente rivela la propria esistenza a prakṛti, che come ballerina danza, essa cessa di danzare e si ritrae in se stessa perché lo scopo della sua danza, del suo līlā, è compiuto e non sussiste altra ragione per ulteriore creazione.

Al nocciolo della questione chi è, dunque, il divino ingannatore? Lo definiamo divino non perché egli sia Dio, anche se talvolta è stato confuso con un’ipostasi divina, ma soprattutto perché egli deve precedere la grande illusione, ovvero deve essere principio di essa.
Vogliamo ricordarlo, dall’interno l’inganno non si vede, bisogna squarciarne il velo, diversamente può solo essere immaginato, se ne può postulare l’esistenza ma senza risolverne il mistero. E allo stesso modo postuliamo che l’autore del misfatto debba precederne la creazione o debba averla cooptata dal principio; lo definiamo Uomo Primo o, prendendo a prestito il gergo gnostico, è il demiurgo con la sua schiatta di arconti.

Non intendo dilungarmi oltre su tematiche che sono argomento di iniziazioni, pertanto lo scopo e la natura di certe entità dovrete scoprirlo da voi. Vi basti considerare, per ora, che ciò che accade, accade con uno scopo e che anche gli esseri sottili che giocano con l’inconsapevolezza dell’essere umano rispetto alla struttura della realtà, ingannano seguendo i loro scopi e perseguendo il proprio vantaggio, non il nostro.

La buona notizia è che inganni, grandi o piccoli che siano, esistono nella misura ed in ragione del fatto che noi stessi esistiamo, perciò sono qui per noi e noi soltanto, e questo, lo ripeto, è un pensiero incoraggiante, poichè se è vero che anima si presta ad essere ingannata facilmente perchè dimentica di sè, e sebbene tutto sembri contribuire ad accrescere la confusione e rinsaldare le catene, è vero anche che nelle sue capacità di creazione e di conoscenza diretta delle cose risiedono la nostra maggior forza e la capacità di essere liberi.

E, sebbene il più delle volte questo non accada, realizzare in vita il sussistere di questo grande inganno significa aver svelato il segreto più grande dell’universo e questo, secondo le antiche tradizioni ci condurrà a esplorare altri mondi sotto forma di nuovi stati dell’essere, i loka della tradizione indiana, il paradiso di quella occidentale.

Il punto di partenza di questa ricerca sia allora nelle domande su cui ritorniamo:

Chi inganna? Chi viene ingannato?

1Platone, La Repubblica.

2“Tu sei quello”. Massima tipica della

3Isvarakrisna, Samkhyakarika.

The Rave Of Mind

TAZ Temporary Autonomous Zone

TAZ Temporary Autonomous Zone

“L’esperienza di queste manifestazioni risponde all’esigenza di affermare una zona diversa dalle dinamiche imposte dalle istanze economiche, amministrative e istituzionali che regolano la quotidianità dello spazio “pubblico” e di chi lo attraversa.”

Introduciamo con questo virgolettato tratto dalla definizione di free party, un concetto estremamente importante per arrivare a comprendere l’originario potenziale, concreto e non solo strettamente simbolico di questa subcultura, che è delimitato dai confini delle Zone Temporaneamente Autonome.

E’ possibile approfondire leggendo TAZ La Zona Autonoma Temporanea di Hakim Bey:

“Non c’è processo rivoluzionario senza al contempo un percorso di crescita interiore rivolto alla totalità dell’esperienza e alla comprensione dei mille fili che tengono insieme la realtà.”

Una vera e propria protesta contro il controllo sociale in generale e in particolare un attacco alle sue strutture.
La creazione di queste aree durante i rave è vista come una tattica sociopolitica in grado di mettere “in piedi” un tipo di “orizzontalità” unico nel suo genere, eliminando di fatto ogni gerarchia, ma soprattutto stabilendo temporaneamente e in autonomia una visione alternativa che può essere individuale o collettiva, parziale o totalmente unificata.
Diversa da quella instauratasi durante l’ultima festa vissuta perchè in continua evoluzione, in mutamento grazie al cambio di luogo, di ambiente, di gestione, di persone e di altre infinite variabili che si susseguono sovvertendo sempre gli schemi imposti dalla società, ma rovesciando di volta in volta anche “l’ordine” precedentemente stabilito dalla TAZ creatasi durante l’utimo evento, senza concedergli il tempo necessario a radicarsi e a ripetersi, senza lasciargli spazio per sedimentarsi, per inquadrarsi rigidamente come succede, per definizione, ad ogni sistema.

Per questo è impossibile che la struttura della TAZ precedente si riproponga in quella successiva, nascendo appositamente per rompere gli schemi, perderebbero il loro senso, fondato sullo sforzo di creatività necessario a trovare l’equilibrio perfetto che si adatta a quel particolare allineamento.
Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che nonostante i rave abbiano una natura fortemente sovversiva, possano comunque facilmente ricadere nei propri schemi costituendo in definitiva una sorta di sistema, per quanto di nicchia e seppur circoscritto.

Non esiste una festa uguale all’altra.
Non mi riferisco esclusivamente agli aspetti tangibili della questione, che sono in ogni caso molto diversi, partendo dal luogo, passando al tempo, arrivando alle persone.
Mi riferisco in particolar modo a quella travolgente energia che si vive a livello percettivo, parlo sempre in base alle mie esperienze ma sono piuttosto certa che chiunque si sia avvicinato a quel mondo converrà con me, ogni esperienza è speciale nella sua unicità, ineguagliabile.

Link youtube. Per chi non visualizza il contenuto direttamente qui scegliendo di rifiutare i cookies.
Una delle migliori feste in assoluto!

Cerco di spiegarmi meglio facendomi aiutare da questo video, c’è un esempio lampante di ciò che intendo. Parte già con un gran bel basso, a 30 secondi dall’inizio viene inserita una citazione tratta da “Frankenstein Junior”.
Gli attacchi al minuto 1.00 e al minuto 8.00 valgono davvero tutto il caldo sopportato e tutta la polvere respirata, niente potrà mai rubarmi dal cuore l’intensità di quei giorni.
La traccia non si trova così com’è stata suonata in quel momento, è stata improvvisata live e in quel preciso modo è esistita in quel particolare istante soltanto, unica come l’energia trasmessa attraverso le vibrazioni che ti avvolgevano sottocassa e le sensazioni non saranno mai uguali a quelle che si proveranno davanti a un altro muro di casse, circondati da persone diverse, respirando un’aria nuova, immersi nell’ennesima TAZ in evoluzione. 

Il tentativo è quello di liberare la mente dagli automatismi nei quali rimane imbrigliata, è un ottimo esercizio di elasticità e assestamento, aiuta a costruire una realtà in fuga dalla piatta quotidianità che ci è imposta, per ricondurci verso un modo di vivere diverso, generato dalle relazioni e basato esclusivamente sul presente, nel qui ed ora

“Nel mondo era in atto un rapido cambiamento – la cosiddetta Fine della Storia – anche quando apparve il libro; ma T.A.Z. vedeva ancora il mondo sotto il segno di una dialettica che lo aveva governato fin dalla mia nascita: la Guerra Fredda e la menata capitalismo vs. stalinismo. La nozione di base della Zona Autonoma Temporanea era intesa come un contributo ad un’agognata Terza via, una sorta di evasione dalla dialettica, un’alternativa sia al Capitale che all’Ideologia.

Hakim Bey attribuisce all’informazione un ruolo fondamentale nello sviluppo delle TAZ, riconoscendone la centralità per quanto riguarda la messa in discussione del sistema e per l’evidente tentativo di manipolazione e censura.
Proprio lo scardinamento degli schemi di pensiero che questa zona rappresenta sta alla base del dubbio, con l’autenticità e la libertà dell’informazione, partendo da quest’area fisica alternativa, si genera un innovativo spazio mentale, decisamente personale. Terreno fertile per il cambiamento.
Lo scrittore, nell’introduzione alla nuova edizione del libro riconosce il fallimento nella ricerca dell’alternativa desiderata, “l’agognata Terza via”, la mancata rivoluzione che poteva nascere dalla realtà mossa dai suoi ideali.

“…ora siamo in presenza di una nuova fase del neoliberismo: la globalizzazione egemonica, “l’Impero”…Quello che abbiamo è un unico mondo, una triste parodia del vecchio sogno liberale e internazionalista; un unico mondo, ma con alcune zone escluse, e un’unica superpotenza che non deve sottostare ad alcuna regola.”

Una triste e troppo veritiera descrizione del nostro presente.
Un mondo unificato a forza, che necessita di un pensiero unico, di un modo di vivere unico.
Le esperienze personali formano, plasmano e modellano la percezione, per questo a qualcuno potrebbe sembrare un’assurdità il fatto che nel 2021, in un paese democratico, non sia concesso ad ognuno di vivere nel modo che ritiene più opportuno, ma succede.

Immagine piuttosto rappresentativa, anche se le indicazioni sullo schermo potrebbero variare in base alla direzione voluta in quel preciso momento, ovviamente il succo non cambia.

Viviamo quindi un’epoca in cui la velocità e il “feticismo della merce” hanno creato una tirannica falsa unità che tende a confondere tutte le diversità e individualità culturali, di modo che “un posto vale l’altro.

Si potrebbe aprire qui una lunga analisi su un altro cardine fondamentale del pensiero di Bey, il concetto di nomadismo psichico, ma stiamo parlando di TAZ, quindi semplicemente mi limiterò a sottolineare che esso non coincide con il presunto ma fortemente plausibile tentativo di sradicamento e conseguente perdita d’identità in atto, questo “traguardo” verrebbe raggiunto solo attraverso una non-risposta nata da un tipo di atteggiamento passivo e indifferente, niente a che vedere con quanto sostenuto dal saggista anarchico, credo lo si evinca facilmente dal tono critico del virgolettato.

E’ di particolare rilevanza a mio avviso la farsa orchestrata da qualcuno che ha utilizzato lo pseudonimo collettivo Luther Blissett e spacciandosi per un fantomatico Fabrizio P. Belletati, è riuscito a far stampare e distribuire dalla casa editrice Castelvecchi la traduzione di un libro “scritto da Hakim Bey” e intitolato: “A ruota libera”, rivelatosi un clamoroso falso.

Solo per chi è interessato alle origini della storia, andando a “spulciare” i riferimenti, ecco come viene non-definito il progetto da un Luther Blisset “in persona”:

“Proprio perché il Luther Blissett Project è un contesto aperto è assurdo pretendere che i tentativi di definirlo o trovargli per forza un’ascendenza non incontrino resistenze da parte di chi utilizza il nome…Personalmente, credo che la teoria a cui la prassi di Blissett somiglia di più sia quella che si dipana dai *Grundrisse* di Marx, opera su cui i situazionisti non sono mai stati in grado di articolare alcun discorso sensato. Mi riferisco al dibattito sul “General Intellect”, del quale LB può essere visto come una paradossale antropomorfizzazione; dopodiché, questo “flusso di coscienza” potrebbe essere fatto passare attraverso i commenti ai Grundrisse fatti da Amadeo Bordiga (e la pratica bordighiana dell'”anonimato rivoluzionario”) e alla definizione camattiana di “Homo Gemeinwesen”, l’uomo-comunanza, e oltre. Non è certo necessario conoscere queste cose per usare il nome, ma chiunque si prenda il mal di pancia di spulciarle capirà istantaneamente cosa intendo dire. D’altra parte, sfido chiunque a trovare una qualche similarità tra LB e la non-descrizione dello spettacolo data da Guy Debord.”

E continuando su questa linea:
“Sostenere che quello di Luther Blissett è un progetto di scontro frontale con l'”industria culturale” (o, ancora più stupidamente, di “assalto ai mass-media”) equivale a non aver capito un cazzo di niente. Blissett è un esperimento pratico (e gioioso) sul mito e sull’infiltrazione della cultura pop. Le “beffe mediatiche” non sono nemmeno la punta della punta dell’iceberg…”

Quest’ultima affermazione è indirizzata alle parole di Benedetto Vecchi, che riferendosi a LB avrebbe affermato:

“Nel suo obiettivo, però, c’è anche l’underground, spesso preso di mira perché considerato, a torto, come un “manipolatore delle coscienze” al pari dell’industria culturale.”

Anche se sono affascinata da tutto quello che ruota intorno a Luther Blissett e mi piacerebbe scoprire su cosa si reggono davvero le fondamenta dalle quali tutto si è edificato, non intendo speculare qui sulle sue reali intenzioni, non ora almeno.
Inoltre, sono convinta che l’underground potrebbe di certo essere in grado di manipolare le coscienze esattamente come qualsiasi altro genere di condizionamento, anche se ciò non toglie validità al potenziale rivoluzionario delle TAZ.

Con questo voglio dire che ormai non credo più nella buona fede di nessuno, non intendo osannare il Sig. Peter Lamborn Wilson, in arte Hakim Bey, semplicemente perchè è lui.
Trovo in realtà alquanto discutibili certe sue affermazioni ma non è necessario essere d’accordo con l’intero pensiero di un autore per riconoscere la fondatezza di una parte delle sue convinzioni.
Non mi interessa analizzare la sua intera produzione letteraria, nè discutere riguardo la sua figura, chissene frega.

Sto scrivendo sulla teoria della TAZ perchè l’ho vissuta senza rendermene nemmeno conto per parecchio tempo, in seguito l’ho percepita e intravista, l’ho inseguita fino a prenderne definitivamente coscienza e sono rimasta colpita dalla sua vitalità.
Ho riconosciuto la sua esistenza sperimentandola e l’ho abbracciata nel profondo perchè mi ha rapito, mi ha sempre scosso e aiutato molto.

Considerata questa premessa, il fatto che Vecchi venga in gran parte smentito da LB non incide sui pensieri che si sono concatenati in seguito alle sue parole, è stato per me un significativo spunto di riflessione sul ruolo dell’identificazione massiva e a volte rigida, che coinvolge le controculture, i movimenti, le idee.
Cosa intendo dire con questo?
Per cercare di spiegarmi meglio e far passare il concetto mi è utile questo articolo: Hakim Bey e la non-ideologia delle TAZ di G. Silvestri, della rivista “Indipendenza”, che riporta la seguente affermazione:
“Hakim Bey è divenuto perciò citatissimo, trasformato in una vera e propria icona della controcultura.”

Questa frase è particolarmente riassuntiva e contiene il nocciolo del discorso, non dovrebbe proprio esistere un’icona della controcultura, dalle quali labbra si pende rischiando di credere ciecamente a tutto ciò che dice esattamente come se incarnasse un’ideologia, adagiandosi comodamente nella propria zona di comfort, smettendo di porsi delle domande, idolatrando senza il minimo pensiero critico, così facendo non saremmo tanto lontani dal modo di vivere che intendiamo ripudiare.

In particolar modo se ci riferiamo alla cultura underground, un rapporto iconico con una singola personalità non ha senso di esistere, o meglio, per non generalizzare e senza voler in alcun modo imporre la mia visione, preferisco esprimermi così: tutto questo va contro la mia “definizione” di underground, contro la mia personale concezione, contro la mia individuale esperienza.
Siamo noi stessi emblema della nostra determinata modalità di pensiero e della conseguente volontà di vivere in quel preciso modo, proprio perchè unici e irripetibili.
E’ inevitabile trovare punti in comune con una specifica “categoria”, alla quale magari ci sentiamo più affini, nonostante ciò sarebbe bello mantenere intatta la nostra unicità e la vera rivoluzione secondo me starebbe proprio nel concretizzare questo pensiero, nella “realizzazione di tale utopia”.

Sempre nell’articolo di “Indipendenza” troviamo:
“Come sostiene lo stesso Bey: “La TAZ, da semplice comodo provvisorio acronimo, è diventata un alibi per l’assenza di strategia e abbonda oggi sulla bocca dei trendies e dei mediatisti”.

Non è in realtà Hakim Bay che lo sostiene visto che il libro è una presa in giro rivendicata dal Luther Blissett Project ma trovo il ragionamento più che sensato considerando la piega assunta dalla società odierna.
Nonostante l’autore abbia strutturato l’articolo basandosi su “A ruota libera”, cascando nel tranello di LB, l’idea riportata nel seguente virgolettato è in linea col mio sentire:
“ricostruire proprio intorno al cyberpunk una nuova identità antagonista capace di indicare, attraverso l’attenzione verso le nuove tecnologie, segnatamente quelle informatiche e della comunicazione, una possibile strada di ribellione e non acquiescenza rispetto allo spesso spietato ridisegnarsi dei bisogni sociali indotti dalla loro adozione su vasta scala nella società-mondo.”

Anticipiamo così un altro concetto chiave, che verrà approfondito in seguito, strettamente legato a questa controcultura e al rapporto tra rave e tecnologia. 

Link youtube. Una traccia dei Mad Factory con la qualità dell’audio migliore rispetto a quella sentita prima dal video in live

Cercando invece di non perdere il filo conduttore, in riferimento ai messaggi che intendo far passare attraverso queste righe, tirando le somme direi che qualsiasi spinta potenzialmente rivoluzionaria, partendo con tutte le buone intenzioni di questo mondo finisce per essere strumentalizzata, funzionalizzata e indirizzata verso il nuovo tipo di normalità voluto.
Considerato questo, a mio avviso non è la teoria delle TAZ il problema, ma la sua alterazione, la manomissione attraverso la spettacolarizzazione, tanto per fare un dispetto ai Blissett citando Debord. =)

Continuando invece a citare Bey:
“La Storia sostiene che la Rivoluzione arriva alla “permanenza”, o per lo meno alla durata, mentre l’insurrezione è “temporanea”. In questo senso la seconda è come un’esperienza estrema, tutto l’opposto rispetto allo standard della coscienza e dell’esperienza “normali”.
Come le feste, le insurrezioni non possono essere quotidiane, altrimenti non sarebbero più “a-normali”.
Tuttavia, questi momenti intensi danno forma e significato alla totalità della vita…
Che ne è del sogno anarchico dello stato senza Stato, della Comune, della zona autonoma con una durata, della società libera, della cultura libera?
Lo scopo è cambiare il mondo, non cambiare la coscienza. E’ una critica giusta.
Però vorrei fare due precisazioni: primo, finora la rivoluzione non è riuscita a realizzare questo sogno.
La visione prende vita nel momento della rivolta, ma appena la “Rivoluzione” trionfa e torna lo Stato il sogno e l’ideale sono già traditi. Non rinuncio alla speranza o anche all’attesa di un cambiamento, però diffido della parola Rivoluzione.”

Com’è possibile evitare il continuo ripetersi di questa dinamica? Come spezzare il circolo vizioso della storia?

“Insurrezione, dal latino insurrectio, è il termine utilizzato dagli storici per etichettare le rivoluzioni fallite, i movimenti che non seguono la parabola prevista, la traiettoria approvata consensualmente: rivoluzione, reazione, tradimento, fondazione di uno Stato più forte e ancor più repressivo.
La ruota gira, la storia torna sempre e sempre alla sua forma più elevata: schiacciare con pesanti stivali da SS la faccia dell’umanità…

La TAZ è come un’insurrezione che non si scontra direttamente con lo Stato, un’operazione guerrigliera che libera un’area (di terra, di tempo, di immaginario), poi svanisce per riformarsi altrove, in un altro tempo, prima che lo Stato possa schiacciarla…
La TAZ comincia con una semplice presa di coscienza…Abbiamo già citato l’aspetto festivo del momento non controllato che aderisce a un’auto-organizzazione spontanea, per quanto breve.
E’ “epifanico”, è un’esperienza forte a livello sociale quanto individuale.”

Quando parlo del grande potenziale dei rave mi riferisco essenzialmente a questo aspetto, alla forza di tali esperienze che possono essere viste come delle corte micce, il breve frangente nel quale bruciano fa esplodere la bomba in seguito.
Spesso non è necessario essere totalmente consapevoli di questa combustione, non ci è dato sapere il luogo dell’esplosione, nè il suo orario esatto, ma il momento dell’innesco viene vissuto ugualmente e la detonazione avverrà comunque, a tempo debito.
Potrebbe risultare difficile, se non impossibile, risalire al preciso istante che ha dato il via a tutto, ma è rilevante?

Il processo è in atto, questo è quello che conta.

Alla luce di quanto sopra descritto e valutando realisticamente la portata e la solidità del sistema vigente, che sembra troppo grande, complesso e radicato per essere anche solo scalfito con una semplice rivolta popolare, figuriamoci distrutto visto e considerato il perenne fallimento delle manifestazioni, in riferimento alla ricerca di una soluzione concreta che possa interrompere il subdolo meccanismo di ritorno che ci riconduce sempre e inesorabilmente in catene, trovo interessante il seguente spunto:

“Da come la vedo io, la sparizione sembra un’opzione radicale molto logica nella nostra epoca, niente affatto un disastro o la morte del progetto radicale…scavare alla ricerca di utili strategie nell’incessante “rivoluzione della vita quotidiana”: la lotta che non può cessare nemmeno con lo scacco definitivo della rivoluzione politica o sociale perchè soltanto la fine del mondo può far cessare la vita quotidiana e le nostre aspirazioni alle cose buone, al Meraviglioso…
Studiamo l’invisibilità, il fare rete, il nomadismo psichico.
E chi lo sa che cosa otterremo?”

Potranno privarci di tutti i diritti, decidere per noi, impedirci di viaggiare fisicamente, se non sotto ricatto. Sarà tutto inutile perchè siamo semplicemente e intrinsecamente liberi, liberi nella testa. Questo, se non saremo espressamente noi a permetterlo, nessuno lo potrà controllare, mai.

“Ho immaginato la Rete come un’appendice alla TAZ, una tecnologia al servizio della TAZ, un mezzo per potenziarne l’emergere. Ho proposto il termine “Web” per questa funzione della Rete.

Che beffa. La rivista “Time” mi ha identificato come un cyber-guru, “spiegandomi” che la TAZ esiste nel cyberspazio. Il termine “Web” è diventato il termine ufficiale per la funzione commerciale/di sorveglianza della Rete, e nel 1995 è riuscito a seppellire il potenziale anarchico della Rete (se esisteva davvero) sotto una massa di pubblicità e di truffe dot-com.

Ciò che resta della sinistra sembra ora abitare un mondo fantasma dove qualche migliaio di “hits” passano per azione politica e la “comunità virtuale” prende il posto della presenza umana.
Il Web è diventato lo specchio perfetto del Capitale globale: senza confini, trionfalista, evanescente, esteticamente fallimentare, monoculturale, violento – una forza finalizzata all’atomizzazione e all’isolamento, per la scomparsa della conoscenza, della sessualità, e di ogni sensibilità sottile. 
La TAZ deve esistere in uno spazio fisico tattile geografico pieno di odori e sapori altrimenti non è altro che un progetto sulla carta o un sogno. I sogni utopici hanno valore come strumenti critici e dispositivi euristici, ma non c’è sostituto per la vita vissuta, la presenza reale, l’avventura, il rischio, l’amore. Se si fa dei media il centro della vita, allora si condurrà una vita mediata – mentre la TAZ vuole essere immediata o altrimenti niente…deve esistere all’interno di un mondo di puro spazio, il mondo dei sensi.
Liminale, addirittura evanescente, deve combinare informazione e desiderio per portare a buon fine la sua avventura (il suo “av-venire”), per espandersi fino alle frontiere del destino, per saturarsi con il proprio divenire.

Eccola, è esattamente la filosofia che accompagna quella che dovrebbe essere la vera essenza delle feste, dalla loro nascita negli anni settanta in opposizione alle politiche repressive dell’epoca, per passare poi al movimento “Reclaim the street” degli anni ‘90 che protestava contro il capitalismo e la globalizzazione (dal quale si svilupperanno le street parade), arrivando poi ad influenzare la realtà italiana delle origini fino alla perdita di significato che sempre più sembra aver incrinato, se non cancellato totalmente quella sostanza, servendosi proprio dell’abuso di altre sostanze, quelle che hanno iniziato a dilagare tra i giovani.
Senza in alcun modo negare la gravità del problema evitiamo di soffermarci inutilmente ora sulla differenza tra uso, abuso e dipendenza perchè approfondiremo meglio questo aspetto nelle prossime uscite, semplicemente perchè questa sezione è dedicata alla parte ideologica del rave e al suo potenziale, non alle sue dolorose derive.

Ripartendo quindi dalle idee, scongiurando altre possibili aberrazioni e considerando la cattiva fama del cyberpunk, che potrebbe essere visto solo ed esclusivamente come tentativo disumanizzante, vorrei sottolineare un particolare importante che non merita di essere trascurato:

“La taz va d’accordo con gli hacker perchè vuole nascere, in parte, tramite la Rete, anche grazie alla mediazione della Rete. Ma va d’accordo anche con i verdi perchè mantiene una forte coscienza di sè in quanto corpo e prova solo schifo per la Cibergnosi, per il tentativo di trascendere il corpo tramite l’istantaneità e la simulazione.
La taz tende a ritenere fuorviante la dicotomia tech/anti-tech, come quasi tutte le dicotomie in cui gli apparenti contrari si rivelano falsificazioni o addirittura allucinazioni causate dalla semantica.

E’ un modo per dire che la taz vuole vivere in questo mondo , non nell’idea di un altro mondo, di un mondo visionario nato da una falsa unificazione (tutto verde OPPURE tutto metallo) che può esssere l’ennesimo miraggio…
La taz è utopica nel senso che punta a un’intensificazione della vita quotidiana o, come avrebbero detto i surrealisti, all’inserimento del Meraviglioso nella vita. Però non può essere utopistica nel vero senso della parola, cioè un nessun dove. La taz è in un dove.

Dopo il grande successo riscosso da TAZ la critica si è lanciata in profondi elogi e articolate recensioni sul famigerato, finto libro di Hakim Bey.
Parliamo soprattutto degli intellettuali di sinistra.

“Semplificando una TAZ può essere vista come un’isola, non necessariamente fisica, di territorio liberato dalle logiche di dominio economico e mentale capitalista.”

Sono d’accordo con questa chiarificazione ma credo che, anche se bacini di pensiero libero possano riempirsi nelle più vaste distese virtuali, la scintilla vitale che davvero è andata a perdersi scatti proprio nella fisicità di certi attimi.
Stiamo perdendo quell’innesco con tutta la forza che ne deriva. Vivere nel mondo reale è doloroso, difficile, spesso complicato ma bellissimo e irreplicabile.

Posso scrivere con l’anima solo il mio vissuto e le mie esperienze dirette, su tutto il resto posso farmi un’opinione, posso rifletterci, ma restano in ogni caso astrazioni e credo che oggi sia indispensabile ricollegarsi a quel tipo di realtà, lo vedo come punto di partenza per un percorso di consapevolezza e sono convinta che sia importante, ora come non mai.

In un mondo di apparenza immerso in un oceano di snaturamenti e distorsioni, dove la realtà è filtrata e scenografica, dove niente di quello che vediamo attraverso uno schermo, nulla di ciò che ci viene raccontato appare reale, quello che ci manca per ritrovare l’equilibrio necessario che ci permetterebbe di fare davvero la differenza è, in definitiva, l’esperienza diretta, seguita da tutto ciò che ne deriva.
Solo in questo modo si può ambire “alla comprensione dei mille fili che tengono insieme la realtà.” 

Finiamo con questo concetto chiave per chiudere il cerchio, perchè proprio da lì siamo partiti citando una delle più grandi “intuizioni” di Bey.

Concludo definitivamente con un piccolo pezzetto di quella che è stata la mia realtà, un minuscolo frammento di una TAZ che mi si è incisa nell’anima.

Questo video dura pochissimo, semplicemente perchè non volevo si vedessero troppo i volti e sul finale, per motivi tecnici, sono stata costretta a tagliarlo esattamente al ventitreesimo secondo. E’ una bella coincidenza, per chi crede nel caso.
Tralasciamo il mistero intorno al numero, i suoi molteplici significati e tutto quello che c’è dietro, perchè ci vorrebbe un approfondimento a parte e non ne so abbastanza.
In questo particolare momento lo vedo solo come un piccolo omaggio alle feste vista l’importanza che i ravers attribuiscono al 23, personalmente è un semplice ricordo di quello che i rave rappresentavano per me e di ciò che mi hanno lasciato dentro.

https://odysee.com/@Lely:2/TheRaveOfMindMadFactoryKarnival2k9:d

We Just Want Good Vibes
~Lely~
Antropologia

Chiara Vigo

Una Storia comincia: Un maestro, Un’arte, una vita.

Se nasci in una fredda serata di febbraio nell’isola di Sant’Antioco a Sud-Ovest della Sardegna, quando tutti non ti aspettano puoi pensare che tutto era già scritto..

Io Chiara Vigo nasco la sera del 1 febbraio dell’anno 1955, nel piccolo ridente paesino di Calasetta a 9 km dal paese di Sant’Antioco e nessuno mi aspetta, nemmeno mia madre, che aveva previsto nascessi 3 mesi più tardi. La sera non era adatta, faceva un gran freddo per il gran vento di tramontana che tirava gelido e il temporale e il vento cantavano la loro antica canzone. Mio padre era stato costretto a prendere il suo cavallo e a raggiungere il vicino paese di Sant’Antioco per cercare un’ostetrica collega di mamma.. e così, fragile come un piccolo fiore,venivo alla luce .

Mi viene messo il nome Chiara.
La nostra casa, che si trovava vicino al porto del piccolo e ridente paese di Calasetta, era composta di Una Camera, una sala e la cucina con pochi mobili e suppellettili di antico sapore… a me pareva grande e sicuramente vi regnava un energia che riempiva la mia anima sognatrice. Nel cortile adiacente c’era la stalla dove Babbo teneva il calesse e il Cavallo, che utilizzava tutte le mattine all’alba per recarsi nel nostro podere a Sisineddu, dove esercitava l’Antico lavoro di contadino del quale andava fiero. Ho pochissimi ricordi legati a mio padre, vista la sua brevissima vita. Ricordo la sua figura alta, che la sera al rientro dal lavoro dopo aver sistemato calesse e cavallo entra in casa, saluta mamma e dopo racconta seduto con noi in braccio, la storia dell’albero magico, che a Sisineddu produce caramelle che stranamente tutte le sere sono due, una per me e una per mio fratello Savio. Mia mamma oltre a occuparsi di tutti noi sei figli fra maschi e femmine, svolge la professione di Ostetrica. Dietro casa nostra vivono i miei nonni Paterni, che sono molto vecchi. Nel loro cortile, attorno al pozzo dell’acqua, stanno le latte di recupero dove non mancano le erbe aromatiche, che servono a cucinare: nel ricordo, il loro profumo accompagna quello del sugo e polpette della domenica di nonna Doloretta.

Della casa di campagna posso ricordare la roccia a forma di cavallo sulla quale ho cavalcato con principi e ho sognato di partire, per paesi e palazzi di principi e Re.

Una vita difficile forse se paragonata alla vita dei giovani di oggi ma indubbiamente ricca di odori, sapori, giochi indimenticabili, anche se per un periodo breve.

Ho vissuto in famiglia , circondata dall’affetto dei miei bisnonni e nonni materni, vezzeggiata e amata da tutti. Mia Nonna materna in modo speciale da subito, prepara per me abiti speciali e non c’è compleanno in cui Lei non sia venuta da noi con la torta per me, questo non piaceva molto a mio padre che sosteneva che questi gesti mi avrebbero montato la testa. Mio bisnonno Raffaele Mereu È un grande maestro di Sartoria e dalla sua scuola nascono diverse Sartorie per uomo, che per circa un cinquantennio operano nell’Isola di Sant’Antioco; l’Arte del taglio e cucito vive nelle sue mani e nei suoi gesti e io spesso godo di questi, mi piace e mi affascina vederlo vecchissimo rifarsi le asole del gilè che indossa sotto la giacca. La sua voce eccheggia nella sala di mezzo della vecchia casa, mentre davanti al grande specchio si rifà i baffi , che porta con fierezza. È particolarmente elegante e traspare nel suo muoversi con eleganza, l’appartenenza a una famiglia di alto lignaggio. Dalla sua bella grafia si capisce che le sue abitudini sono state dettate da un mondo ricco di cultura e di Arte. Mia Bisnonna Marongiu Cristina nonostante le sue origini meno Importanti È una donna molto bella e molto riservata. Ricama con amore su tele sottili, corredi che forse mai nessuno userà. Oculata nelle spese vanta in famiglia il Titolo di manager.

È vivo in me , il ricordo del suo camminare per casa col mazzo delle chiavi delle credenze appeso alla sottana e il suo autoritario modo di annunciare la buona notte a noi piccoli della casa, dopo averci fatto assistere alla cerimonia del caricamento del Pendolo, che ancora oggi segna il tempo della mia vita.

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Mia Nonna Mereu Maria Maddalena Rosina È un Maestro di tessuti antichi (bisogna tenere conto del fatto che nella famiglia Mereu da sempre si tesse e si tinge e si confezionano abiti, corredi e costumi), nella sua stanza da lavoro tante giovani si fermano e si raccontano e vivono in un grande gioco di incontri e di scambi artistici, politici e umani, dove la dimensione della sua maestria si respira e io anche se piccola, amo passare gran parte del mio tempo.
Mia Nonna traccerà nel mio cuore, il sentimento dell’amore per l’Arte del tessuto e della Maestria. Mi ama tantissimo e ha per me Mille grandi attenzioni, tra di noi senza parole, esiste un’intesa che ha dell’incredibile, ci capiamo senza bisogno di dirci nulla perchè le affinità che ci accomunano sono infinite. Nonna Leonilde, così tutti la chiamiamo, È una donna dalle doti eccezionali e dalle capacità carismatiche eccellenti, mi insegna tutto quello che serve perchè io diventi un buon Maestro di Bisso e di tessitura per museo. Suo fratello Mons. Mereu Teofilo Dario, Vive con tutti Noi. Il suo studio È il regno dove mi piace stare, pieno di libri antichi e di testi biblici, dove amo scrivere e leggere assieme a Nonno Raffaele, che, seduto nella sua poltrona di velluto rosso, legge il giornale. Zio Dario, sostituirà la figura di mio padre quando verrà a mancare e sarà il mio appoggio spirituale e materiale. Fra di noi due c’è un’intesa eccezionale, Lui è dentro il mio cuore e assieme a mia Nonna È la persona più importante della mia vita. Mi aiuterà nei momenti bui del mio vivere e mi sorreggerà durante le forti prove della mia esistenza. Con mio Nonno Luigi, marito di mia Nonna Leonilde, Maestro di Stucchi e di restauri in Pietra, ho un rapporto normale. Mi piace andare con lui nel giardino di famiglia a cogliere la frutta, gli alberi mi raccontano la loro storia e penso a quante genti prima di noi, in quel luogo hanno sperato e giocato. Spesso, con me ama cantare, ma il suo carattere nervoso e riservato non gli permette di essere comunicativo e mi dispiace, perchè, quando è sereno disegna in maniera eccellente e sicuramente molti segreti della sua Arte li ha portati via con sè. Tra Lui e mia nonna non c’è mai stata una grande storia, diciamo che, essendosi sposati giovanissimi, l’intesa fra i due non è durata molto, anche se con me sia l’uno che l’altra hanno giocato ad avermi in esclusiva. Sinceramente Io ho preferito non approfondire in dettaglio la loro storia, cercando di amarli così semplicemente e la cosa ha avuto ottimi risultati.
Mio Padre Vigo Luciano, muore nel 1963. Il ricordo che ho di Lui È molto vago, forse perchè tra di noi non c’era un grande rapporto: Papà faceva il contadino in un piccolo podere di sua proprietà e aveva riposto le sue speranze su mio fratello Savio, perchè sperava un giorno di lasciare all’uomo di casa l’eredità. Questi argomenti materiali già da allora mi lasciavano indifferente e inconsciamente mi rifugiavo nei miei pensieri fantastici, tanto da essere da sempre considerata in famiglia un po’ svampita.

Mia Madre Piras Seconda, ha avuto una vita difficile e faticosa. Forse per questo il suo carattere era troppo rigido, dovuto al fatto di dover allevare 6 figli da sola e allo stesso tempo di doversi occupare della sua professione di ostetrica perchè a noi fosse garantito tutto ciò di cui possono avere bisogno sei bambini; come preoccuparsi che una governante si potesse occupare a tempo pieno di noi, e così spesso già da allora il mio rifugio per il mio grande bisogno di affetto e coccole era mia nonna Leonilde. Mio Padre Muore nel 26 febbraio del 1963 e lascia mia madre vedova a soli 30 anni con sei figli da badare.


Mamma viene Mandata nel piccolo paese di Sardara, trasferita per lavoro A Ortacesus, un piccolo paesetto vicino a Cagliari e porta con sè solo il bambino più piccolo, Giuseppe. Noi restiamo a Sant’Antioco affidati alle cure di mia nonna Leonilde e mio nonno Luigi.

Mentre con mia nonna corre sempre un buon rapporto, con mio nonno la vita non È facile; È un uomo molto rigido e autoritario, pretende da noi che si lavori in giardino, che si vada a vendemmiare, tutte faccende che eseguo quasi automaticamente ma che non fanno parte del mio essere. Allora nella nostra realtà era normale che i bambini eseguissero lavori che facevano parte del vivere della famiglia. Ma spesso nonno fà delle sfuriate e così quando mamma viene trasferita a Sardara anche noi andiamo a vivere con lei assieme a Cesarina, la nostra governante. Non amo parlare di questo periodo della mia vita, non È stato per me felice, escluso qualche raro episodio, e preferisco evitare l’argomento.
Vivo a Sardara con mia Madre e i miei fratelli ma appena si presenta l’occasione e mia nonna viene a trovarci per farci sapere che seguirà Zio Dario, che è stato inviato a fare il parroco a San Giovanni Suergiu; io esprimo il desiderio di andare a vivere con Lei in Casa parrocchiale col fratello Dario, Mio Bisnonno, mia Bisnonna e mio nonno e vado a vivere con loro.

Gli anni corrono felici, e passo il mio tempo a seguire le orme artistiche di mia Nonna.

Nella sua stanza bottega il tempo non È mai troppo, le persone che passano a trovarla hanno tutte una storia da raccontare, così che il fascino del tessuto del vivere prende corpo nella mia anima e imparo avvolta dal fascino del patrimonio gestuale che la avvolge le leggi della Maestria i suoi formulari e i suoi segreti le sue storie antiche che spesso mi portano a chiedere a zio di potermi fermare con Lui a conoscere le lingue antiche. La mia vita scorre serena passano gli anni e con Lei insegno Tessitura in vari paesi del Sulcis. Mi piace questo suo mondo e capisco che quel patrimonio và salvato e protetto, accetto quindi di affinare le mie conoscenze in campo di Biologia marina e accetto di lavorare in un impianto di acquacoltura per studiare meglio e più da vicino la pinna nobilis setacea.

Zio nel frattempo decide di lasciare la Parrocchia e si torna a Sant’Antioco nella vecchia casa di famiglia, e dopo un po’ di tempo Io conosco Mario Spanu mi innamoro della sua natura cheta e schiva, del suo comprendere il mio animo artistico e la mia anima che nasconde segreti profondi: Lui capisce, mi ama e Io sono felice! Lega la sua vita alla mia, la sua anima alla mia e il 21 agosto del 1983 ci sposiamo nella vecchia cara Basilica dove Zio celebra il nostro Matrimonio silenzioso e privato, circondati dall’amore di fratelli e sorelle e genitori andiamo a vivere nella casa in viale Trieste dove il nostro amore viene presto allietato dalla nascita di Marianna che nasce nel 1984 e porta la sua luce e il suo sorriso con grande felicità di tutti.

Maddalena nasce nel 1985 e la casa si riempie di allegre risate, giochi sparsi, e mia nonna e mio zio accompagnano la nostra serena vita e noi la loro serena vecchiaia. Mia nonna dirige il centro Pilota I.S.O.L.A che nasce con lo scopo di divulgare la tessitura, Forma una cooperativa di giovani donne, ma io mi rendo subito conto che non trasferisce nulla o quasi del patrimonio a me trasmesso.

Io proseguo gli studi a mare e quando sono pronta Lei Intuisce che È arrivato il mio tempo e mi trasferisce col Giuramento dell’acqua i formulari che permettono le estrazioni di colore dalle piante e la lavorazione della fibra di Bisso.

Zio Dario si ammala e muore lasciando un vuoto ancora oggi nel mio cuore.

Mi dedico interamente a mia nonna , lasciamo la casa coniugale e ci trasferiamo a casa sua.

Io insegno tessitura per i vari enti regionali e assumo nel 1987 la presidenza di una cooperativa Tessile ma capisco che il patrimonio che ho in mano deve essere salvaguardato per le genti a venire e non può essere affidato a giovani che cercano lavoro ma ha bisogno di intere esistenze, capaci di mantenerlo intatto e scevro da attacchi commerciali e come prima di me mia nonna decido di ritirarmi a vita da Maestro e lascio la cooperativa. Nel 1987 assieme a mia nonna, accettiamo il primo invito della Rai a pubblicare l’Argomento Bisso, e Io in quell’occasione parlo della mia volontà di fare uno studio del fondale dell’isola per evitare la pesca dell’animale.

Fonte: Chiara Vigo

Ricercando

I valori della famiglia Schwab

I valori della famiglia Schwab

Il vero Klaus Schwab è una figura di vecchio zio gentile che desidera fare del bene all’umanità, o è davvero il figlio di un collaboratore nazista che ha usato il lavoro degli schiavi e ha aiutato gli sforzi nazisti per ottenere la prima bomba atomica? Johnny Vedmore indaga.

Di Johnny Vedmore
20 FEBBRAIO 2021
28′ di lettura


La mattina dell’11 settembre 2001, Klaus Schwab era seduto a fare colazione nella sinagoga di Park East a New York City con il rabbino Arthur Schneier, ex vicepresidente del World Jewish Congress e stretto collaboratore delle famiglie Bronfman e Lauder. Insieme, i due uomini hanno visto uno degli eventi più importanti dei vent’anni successivi, quando gli aerei hanno colpito gli edifici del World Trade Center. Ora, due decenni dopo, Klaus Schwab è di nuovo seduto in prima fila in un altro momento della moderna storia dell’umanità che ha segnato una generazione.

Sembra sempre avere un posto in prima fila quando la tragedia si avvicina, la vicinanza di Schwab agli eventi che cambiano il mondo si deve probabilmente al fatto che sia uno degli uomini più e meglio connessi sulla Terra. Come forza trainante del World Economic Forum, “l’organizzazione internazionale per la cooperazione tra pubblico e privato”, Schwab ha corteggiato capi di stato, dirigenti d’azienda e l’élite dei circoli accademici e scientifici a Davos per oltre 50 anni. Più recentemente, ha anche stuzzicato l’ira di molti a causa del suo più recente ruolo come frontman del Grande Reset, uno sforzo travolgente per rifare la civiltà a livello globale per l’espresso beneficio dell’élite del World Economic Forum e dei loro alleati.

Schwab, durante la riunione annuale del Forum nel gennaio 2021, ha sottolineato che la costruzione della fiducia sarebbe stata parte integrante del successo del Grande Reset, segnalando una successiva espansione della già massiccia campagna di pubbliche relazioni dell’iniziativa. Anche se Schwab ha chiesto di costruire la fiducia attraverso non meglio specificati “progressi”, la fiducia è normalmente incentivata dalla trasparenza. Forse questo è il motivo per cui così tanti hanno rifiutato di fidarsi del signor Schwab e delle sue motivazioni, dato che si sa così poco della storia dell’uomo e del suo background prima della fondazione da parte sua del World Economic Forum nei primi anni ’70.

Come molti importanti prestanome per i programmi sponsorizzati dall’élite, la documentazione online di Schwab è stata ben sterilizzata, rendendo difficile trovare informazioni sulla sua storia iniziale, così come informazioni sulla sua famiglia. Eppure, essendo nato a Ravensburg, in Germania, nel 1938, molti hanno ipotizzato negli ultimi mesi che la famiglia di Schwab possa aver avuto qualche legame con gli sforzi di guerra dell’Asse, legami che, se esposti, potrebbero minacciare la reputazione del World Economic Forum e portare un esame indesiderato alle sue missioni e motivazioni professate.

In questa indagine di Unlimited Hangout, il passato che Klaus Schwab ha lavorato per nascondere viene esplorato in dettaglio, rivelando il coinvolgimento della famiglia Schwab, non solo nella ricerca nazista di una bomba atomica, ma il programma nucleare illegale del Sudafrica dell’apartheid. Particolarmente rivelatrice è la storia del padre di Klaus, Eugen Schwab, che guidò la filiale tedesca, sostenuta dai nazisti, di una società di ingegneria svizzera nella guerra come un importante appaltatore militare. Quell’azienda, la Escher-Wyss, avrebbe usato il lavoro degli schiavi per produrre macchinari essenziali per lo sforzo bellico nazista, così come per sostenere il suo programma nucleare attraverso la produzione di acqua pesante. Anni dopo, nella stessa azienda, un giovane Klaus Schwab faceva parte del consiglio di amministrazione quando fu presa la decisione di fornire al regime razzista dell’apartheid in Sudafrica l’attrezzatura necessaria a promuovere la sua ricerca per diventare una potenza nucleare.

Con il Forum Economico Mondiale che ora è un importante sostenitore della non proliferazione nucleare e dell’energia nucleare “pulita”, il passato di Klaus Schwab lo rende un povero portavoce della sua agenda professata per il presente e il futuro. Eppure, scavando ancora più a fondo nelle sue attività, diventa chiaro che il vero ruolo di Schwab è stato a lungo quello di “plasmare le agende globali, regionali e industriali” del presente al fine di garantire la continuità di agende più grandi e molto più vecchie che sono cadute in discredito dopo la seconda guerra mondiale, non solo la tecnologia nucleare, ma anche le politiche di controllo della popolazione influenzate dall’eugenetica.

Art by Hal Hefner, for Unlimited Hangout


Una storia sveva
Il 10 luglio 1870, il nonno di Klaus Schwab, Jakob Wilhelm Gottfried Schwab, chiamato in seguito semplicemente Gottfried, nacque in una Germania in guerra con i suoi vicini francesi. Karlsruhe, la città dove nacque Gottfried Schwab, si trovava nel Granducato di Baden, governato nel 1870 dal 43enne Granduca di Baden, Federico I. L’anno seguente, il suddetto Duca sarebbe stato presente alla proclamazione dell’Impero tedesco che ebbe luogo nella Sala degli Specchi del Palazzo di Versailles. Era l’unico genero dell’imperatore in carica Guglielmo I e, come Federico I, era uno dei sovrani regnanti della Germania. Quando Gottfried Schwab compì 18 anni, la Germania avrebbe visto Guglielmo II salire al trono alla morte di suo padre, Federico III.

Nel 1893, il ventitreenne Gottfried Schwab lascerà ufficialmente la Germania rinunciando alla sua cittadinanza tedesca e lasciando Karlsruhe per emigrare in Svizzera. All’epoca, la sua occupazione era nota come quella di un semplice panettiere. Qui, Gottfried avrebbe incontrato Marie Lappert, che era di Kirchberg vicino a Berna, Svizzera, e che era cinque anni più giovane di lui. Si sposeranno a Roggwil, Berna, il 27 maggio 1898 e l’anno seguente, il 27 aprile 1899, nascerà il loro figlio Eugen Schwab. Al momento della sua nascita, Gottfried Schwab aveva fatto carriera, essendo diventato un ingegnere meccanico. Quando Eugen aveva circa un anno, Gottfried e Marie Schwab decisero di tornare a vivere a Karlsruhe e Gottfried richiese nuovamente la cittadinanza tedesca.

Eugen Schwab avrebbe seguito le orme di suo padre e sarebbe diventato un ingegnere meccanico e negli anni futuri avrebbe consigliato ai suoi figli di fare lo stesso. Eugen Schwab avrebbe iniziato a lavorare in una fabbrica in una città dell’Alta Svevia nella Germania meridionale, capitale del distretto di Ravensburg, Baden-Württemberg.

La fabbrica dove avrebbe forgiato la sua carriera era la filiale tedesca di una società svizzera chiamata Escher Wyss. La Svizzera aveva molti legami economici di lunga data con l’area di Ravensburg, con commercianti svizzeri all’inizio del 19° secolo che portavano filati e prodotti di tessitura. Nello stesso periodo, Ravensburg fornì grano a Rorschach fino al 1870, insieme ad animali da allevamento e vari formaggi, nel profondo delle Alpi svizzere. Tra il 1809 e il 1837, c’erano 375 svizzeri che vivevano a Ravensburg, anche se la popolazione svizzera era scesa a 133 nel 1910.

Negli anni 1830, abili operai svizzeri crearono una fabbrica di cotone con un impianto di sbiancamento e finitura incorporato, di proprietà e gestito dai fratelli Erpf. Il mercato dei cavalli di Ravensburg, creato intorno al 1840, attirò anche molte persone dalla Svizzera, specialmente dopo l’apertura nel 1847 della linea ferroviaria da Ravensburg a Friedrichshafen, una città situata sul vicino lago di Costanza al confine tra Svizzera e Germania.

I commercianti di grano di Rorsach facevano visite regolari al Ravensburger Kornhaus e alla fine questa cooperazione di commercio transfrontaliero portò anche all’apertura di una filiale della fabbrica di macchine di Zurigo, Escher-Wyss & Cie, nella città. Questa impresa fu resa possibile quando, tra il 1850 e il 1853, fu completata la linea ferroviaria che collegava la Svizzera alla rete stradale tedesca. La fabbrica fu creata da Walter Zuppinger tra il 1856 e il 1859 e avrebbe iniziato la produzione nel 1860. Nel 1861, possiamo vedere il primo brevetto ufficiale dei fabbricanti Escher-Wyss a Ravensburg di “impianti particolari su telai meccanici per la tessitura di nastri”. In questo periodo, la filiale di Ravensburg di Escher Wyss sarebbe stata diretta da Walter Zuppinger, e sarebbe stato il luogo dove avrebbe sviluppato la sua turbina tangenziale e dove avrebbe ottenuto una serie di brevetti aggiuntivi. Nel 1870, Zuppinger insieme ad altri avrebbe anche fondato una fabbrica di carta a Baienfurt vicino a Ravensburg. Si ritirò nel 1875 e dedicò tutte le sue energie all’ulteriore sviluppo delle turbine.

Documento di fondazione della fabbrica Escher-Wyss Ravensburg, datato 1860.

All’inizio del nuovo secolo, la Escher-Wyss aveva messo da parte la tessitura dei nastri e cominciò a concentrarsi su progetti molto più grandi come la produzione di grandi turbine industriali e, nel 1907, cercarono una “procedura di approvazione e concessione” per la costruzione di una centrale idroelettrica vicino a Dogern am Rhein, che fu riportata in un opuscolo di Basilea del 1925.

Nel 1920, la Escher-Wyss si trovò in gravi difficoltà economiche. Il trattato di Versailles aveva limitato la crescita militare ed economica della Germania dopo la Grande Guerra, e la società svizzera valutò la contrazione dei progetti di ingegneria civile delle nazioni vicine troppo grande da sostenere. La casa madre di Escher-Wyss si trovava a Zurigo e risaliva al 1805 e l’azienda, che godeva ancora di una buona reputazione e di una storia lunga più di un secolo, fu considerata troppo importante perché andasse perduta. Nel dicembre 1920, fu effettuata una riorganizzazione con la riduzione del capitale sociale da 11,5 a 4,015 milioni di franchi francesi ed esso più tardi fu aumentato di nuovo fino a 5,515 milioni di franchi svizzeri. Alla fine dell’anno fiscale del 1931, la Escher-Wyss è ancora in perdita.

Eppure, la coraggiosa azienda continuò a consegnare contratti di ingegneria civile su larga scala per tutti gli anni ’20, come si nota nella corrispondenza ufficiale scritta nel 1924 da Wilhelm III Principe di Urach alla società Escher-Wyss e al responsabile patrimoniale della Casa di Urach, il contabile Julius Heller. Questo documento tratta “Termini e condizioni generali dell’Associazione dei costruttori tedeschi di turbine idrauliche per la consegna di macchine e altre attrezzature per le centrali idroelettriche”. Lo stesso fatto è anche confermato in un opuscolo sulle “Condizioni dell’Associazione dei costruttori tedeschi di turbine idrauliche per l’installazione di turbine e parti di macchine all’interno del Reich tedesco”, stampato il 20 marzo 1923 in un opuscolo pubblicitario della Escher-Wyss per un regolatore universale della pressione dell’olio.

Dopo che la Grande Depressione all’inizio degli anni ’30 aveva devastato l’economia mondiale, la Escher-Wyss annunciò: “dato che lo sviluppo catastrofico della situazione economica in relazione alla valuta peggiora, La società [Escher-Wyss] è temporaneamente incapace di far fronte alle sue passività correnti in vari paesi clienti”. L’azienda, inoltre, rivelava che avrebbe chiesto un rinvio giudiziario al giornale svizzero Neue Zürcher Nachrichten, il quale il 1° dicembre 1931 riportò che “alla società Escher-Wyss è stata concessa una sospensione del fallimento fino alla fine di marzo 1932 e, in qualità di curatore in Svizzera, è stata nominata una società fiduciaria”. L’articolo affermava ottimisticamente che “ci dovrebbe essere la prospettiva di continuare le operazioni”. Nel 1931, la Escher-Wyss impiegava circa 1.300 lavoratori non contrattualizzati e 550 dipendenti.

A metà degli anni 30, la Escher-Wyss si trova di nuovo in difficoltà finanziarie. Al fine di salvare l’azienda questa volta, vanne istituito un consorzio per salvare la società ingegneristica in difficoltà. Il consorzio era formato in parte dalla Banca Federale Svizzera (che era casualmente guidata da un Max Schwab, che non è parente di Klaus Schwab) e un’ulteriore ristrutturazione ebbe luogo. Nel 1938, fu annunciato che un ingegnere della ditta, il colonnello Jacob Schmidheiny sarebbe diventato il nuovo presidente del consiglio di amministrazione di Escher-Wyss. Poco dopo lo scoppio della guerra nel 1939, Schmidheiny fu citato per aver detto: “Lo scoppio della guerra non significa necessariamente disoccupazione per l’industria meccanica in un paese neutrale, al contrario”. La Escher-Wyss, e la sua nuova gestione, erano apparentemente impazienti di trarre profitto dalla guerra, aprendo la strada alla loro trasformazione in un importante appaltatore militare nazista.

Una breve storia della persecuzione ebraica a Ravensburg
Quando Adolf Hitler andò al potere, molte cose cambiarono in Germania, e la storia della popolazione ebraica di Ravensburg durante quell’epoca è triste da raccontare. Eppure, non era certo la prima volta che l’antisemitismo veniva registrato come se avesse alzato la sua brutta testa nella regione.

Nel Medioevo, una sinagoga, menzionata già nel 1345, si trovava nel centro di Ravensburg e serviva una piccola comunità ebraica che può essere tracciata dal 1330 al 1429. Alla fine del 1429 e per tutto il 1430, gli ebrei di Ravensburg furono presi di mira e ne seguì un orribile massacro. Nei vicini insediamenti di Lindau, Überlingen, Buchhorn (poi rinominato Friedrichshafen), Meersburg e Konstanz, ci furono arresti di massa dei residenti ebrei. Gli ebrei di Lindau furono bruciati vivi durante il libello di sangue di Ravensburg del 1429/1430, in cui i membri della comunità ebraica furono accusati di sacrificare ritualmente i bambini. Nell’agosto 1430, a Überlingen, la comunità ebraica fu costretta a convertirsi, 11 di loro lo fecero e i 12 che rifiutarono furono uccisi. I massacri che ebbero luogo a Lindau, Überlingen e Ravensburg avvennero con la diretta approvazione del re regnante Sigmund e tutti gli ebrei rimasti furono presto espulsi dalla regione.

Ravensburg ebbe questo divieto confermato dall’imperatore Ferdinando I nel 1559 e fu mantenuto, per esempio, in un’istruzione del 1804 per la guardia cittadina, che recitava: “Dal momento che agli ebrei non è permesso intraprendere alcun commercio o attività qui, nessun altro è autorizzato ad entrare in città per posta o in carrozza, gli altri, tuttavia, se non hanno ricevuto un permesso per un soggiorno più o meno lungo dall’ufficio di polizia, devono essere allontanati dalla città dalla stazione di polizia”.

Solo nel XIX secolo gli ebrei poterono di nuovo stabilirsi legalmente a Ravensburg e, anche allora, il loro numero rimase così piccolo che non fu ricostruita una sinagoga. Nel 1858, c’erano solo 3 ebrei registrati a Ravensburg e, nel 1895, questo numero raggiunse il picco di 57. Dall’inizio del secolo fino al 1933, il numero di ebrei che vivevano a Ravensburg era costantemente diminuito fino a quando la comunità non fu composta che di 23 persone.

All’inizio degli anni ’30, a Ravensburg risiedevano sette principali famiglie ebree: Adler, Erlanger, Harburger, Herrmann, Landauer, Rose e Sondermann. Dopo che i nazionalsocialisti presero il potere, alcuni degli ebrei di Ravensburg furono inizialmente costretti ad emigrare, mentre altri sarebbero poi stati uccisi nei campi di concentramento nazisti. Prima della seconda guerra mondiale, ci furono molte dimostrazioni pubbliche di odio verso la piccola comunità di ebrei di Ravensburg e dintorni.

Già il 13 marzo 1933, circa tre settimane prima del boicottaggio nazista a livello nazionale di tutti i negozi ebrei in Germania, le guardie SA si appostarono davanti a due dei cinque negozi ebrei di Ravensburg e cercarono di impedire ai potenziali acquirenti di entrare, mettendo su un negozio dei cartelli che dicevano “Wohlwert chiuso fino all’arianizzazione”. Wohlwert sarebbe presto diventato “arianizzato” e sarebbe stato l’unico negozio di proprietà ebraica a sopravvivere al pogrom nazista. Gli altri proprietari dei quattro grandi magazzini ebraici di Ravensburg; Knopf; Merkur; Landauer e Wallersteiner furono tutti costretti a vendere le loro proprietà a commercianti non ebrei tra il 1935 e il 1938. Durante questo periodo, molti degli ebrei di Ravensburg furono in grado di fuggire all’estero prima che iniziasse il peggio della persecuzione nazionalsocialista. Mentre almeno otto morirono violentemente, fu riportato che tre cittadini ebrei che vivevano a Ravensburg sopravvissero grazie ai loro coniugi “ariani”. Alcuni degli ebrei che furono arrestati a Ravensburg durante la Notte dei Cristalli furono costretti a marciare per le strade di Baden-Baden sotto la supervisione delle SS il giorno seguente e furono poi deportati nel campo di concentramento di Sachsenhausen.

Orribili crimini nazisti contro l’umanità ebbero luogo a Ravensburg. Il 1° gennaio 1934, la “Legge per la prevenzione delle malattie ereditarie” entrò in vigore nella Germania nazista, il che significa che le persone con malattie diagnosticate come demenza, schizofrenia, epilessia, sordità ereditaria, e vari altri disturbi mentali, potevano essere legalmente sterilizzate con la forza. Nell’ospedale cittadino di Ravensburg, oggi chiamato ospedale Heilig-Geist, le sterilizzazioni forzate furono effettuate a partire dall’aprile 1934. Nel 1936, la sterilizzazione era la procedura medica più eseguita nell’ospedale comunale.

Negli anni pre-bellici del 1930 che portarono all’annessione tedesca della Polonia, la fabbrica Escher-Wyss di Ravensburg, ora gestita direttamente dal padre di Klaus Schwab, Eugen Schwab, continuò ad essere il più importante datore di lavoro a Ravensburg. Non solo la fabbrica era uno dei principali datori di lavoro della città, ma il partito nazista di Hitler stesso assegnò alla filiale Escher-Wyss di Ravensburg il titolo di “Azienda modello nazionalsocialista” mentre Schwab era al timone. I nazisti stavano potenzialmente corteggiando l’azienda svizzera per la cooperazione nella guerra imminente, e le loro avances furono alla fine ricambiate.

Escher-Wyss Ravensburg e la guerra

Ravensburg fu un’anomalia nella Germania di guerra, poiché non fu mai presa di mira da nessun attacco aereo alleato. La presenza della Croce Rossa, e un presunto accordo con varie aziende tra cui Escher-Wyss, ha visto le forze alleate accettare pubblicamente di non prendere di mira la città della Germania meridionale. Non è stata classificata come un obiettivo militare significativo durante tutta la guerra e, per questo motivo, la città mantiene ancora molte delle sue caratteristiche originali. Tuttavia, cose molto più oscure erano in corso a Ravensburg una volta iniziata la guerra.

Eugen Schwab continuò a gestire la “National Socialist Model Company” per Escher-Wyss, e l’azienda svizzera avrebbe aiutato la Wermacht nazista a produrre importanti armi da guerra così come armamenti più semplici. L’azienda Escher-Wyss era leader nella tecnologia delle grandi turbine per dighe idroelettriche e centrali elettriche, ma produceva anche parti per gli aerei da combattimento tedeschi. Erano anche intimamente coinvolti in progetti molto più sinistri che avvenivano dietro le quinte e che, se completati, avrebbero potuto cambiare l’esito della Seconda Guerra Mondiale.

Funzionari nazisti davanti al municipio di Ravensburg nel 1938, Fonte: Haus der Stadtgeschichte Ravensburg

L’intelligence militare occidentale era già a conoscenza della complicità e collaborazione di Escher-Wyss con i nazisti. Ci sono documenti disponibili dall’intelligence militare occidentale dell’epoca, in particolare il Record Group 226 (RG 226) dai dati compilati dall’Office of Strategic Services (OSS), che mostrano che le forze alleate erano a conoscenza di alcuni affari della Escher-Wyss con i nazisti.

All’interno di RG 226, ci sono tre menzioni specifiche di Escher-Wyss tra cui:

.Il fascicolo numero 47178 che recita: La svizzera Escher-Wyss lavora a un grosso ordine per la Germania. I lanciafiamme vengono spediti dalla Svizzera sotto il nome di Brennstoffbehaelter. Datato settembre 1944.

.Il fascicolo numero 41589 mostrava che gli svizzeri permettevano l’immagazzinamento delle esportazioni tedesche nel loro paese, una nazione apparentemente neutrale durante la seconda guerra mondiale. La voce recita: Relazioni commerciali tra Empresa Nacional Calvo Sotelo (ENCASO), Escher Wyss, e Mineral Celbau Gesellschaft. 1 p. luglio 1944; vedi anche L 42627 Relazione sulla collaborazione tra la spagnola Empresa Nacional Calvo Sotelo e la tedesca Rheinmetall Borsig, sulle esportazioni tedesche immagazzinate in Svizzera. 1 p. agosto 1944.

.Il fascicolo numero 72654 sosteneva che: la bauxite ungherese era precedentemente inviata in Germania e in Svizzera per essere raffinata. Poi un sindacato governativo costruì un impianto di alluminio a Dunaalmas, ai confini dell’Ungheria. Fu fornita energia elettrica; l’Ungheria contribuì con miniere di carbone e le attrezzature furono ordinate dalla ditta svizzera Escher-Wyss. La produzione iniziò nel 1941. 2 pp. Maggio 1944.

Tuttavia, Escher-Wyss erano leader in un campo in espansione in particolare, la creazione di una nuova tecnologia di turbine. L’azienda aveva progettato una turbina da 14.500 CV per l’impianto idroelettrico strategicamente importante della struttura industriale Norsk Hydro a Vemork, vicino a Rjukan in Norvegia. L’impianto Norsk Hydro, in parte alimentato da Escher Wyss, era l’unico impianto industriale sotto il controllo nazista in grado di produrre acqua pesante, un ingrediente essenziale per produrre plutonio per il programma nazista della bomba atomica. I tedeschi avevano messo tutte le risorse possibili dietro la produzione di acqua pesante, ma le forze alleate erano consapevoli dei progressi tecnologici potenzialmente rivoluzionari dei nazisti sempre più disperati.

Durante il 1942 e il 1943, l’impianto idroelettrico fu l’obiettivo di raid parzialmente riusciti del Commando britannico e della Resistenza norvegese, anche se la produzione di acqua pesante continuò. Le forze alleate sganciarono sull’impianto più di 400 bombe, che a malapena influenzarono le operazioni della struttura tentacolare. Nel 1944, le navi tedesche tentarono di trasportare l’acqua pesante in Germania, ma la Resistenza norvegese fu in grado di affondare la nave che trasportava il carico. Con l’aiuto di Escher-Wyss, i nazisti furono quasi in grado di cambiare le sorti della guerra e portare alla vittoria dell’Asse.

Tornando alla fabbrica Escher-Wyss di Ravensburg, Eugen Schwab era stato occupato ad impiegare i lavoratori forzati nella sua azienda modello nazista. Durante gli anni della seconda guerra mondiale, quasi 3.600 lavoratori forzati si trovavano a Ravensburg, anche alla Escher Wyss. Secondo l’archivista della città di Ravensburg, Andrea Schmuder, la fabbrica di macchine Escher-Wyss a Ravensburg impiegava durante la guerra tra 198 e 203 lavoratori civili e prigionieri di guerra. Karl Schweizer, uno storico locale di Lindau, afferma che la Escher-Wyss mantenne un piccolo campo speciale per i lavoratori forzati nei locali della fabbrica.

L’uso di masse di lavoratori forzati a Ravensburg rese necessario allestire uno dei più grandi campi di lavoro forzato nazisti registrati, nell’officina di un ex falegname in Ziegelstrasse 16. Un tempo, il campo in questione ospitava 125 prigionieri di guerra francesi che furono poi ridistribuiti in altri campi nel 1942. I lavoratori francesi furono sostituiti da 150 prigionieri di guerra russi che, si diceva, erano trattati peggio di tutti i prigionieri di guerra. Uno di questi prigionieri era Zina Jakuschewa, la cui scheda di lavoro e il libro di lavoro sono conservati dallo United States Holocaust Memorial Museum. Questi documenti la identificano come una lavoratrice forzata non ebrea assegnata a Ravensburg, Germania, durante il 1943 e il 1944.

Eugen Schwab avrebbe doverosamente mantenuto lo status quo durante gli anni della guerra. Dopo tutto, con il giovane Klaus Martin Schwab nato nel 1938 e suo fratello Urs Reiner Schwab nato pochi anni dopo, Eugen avrebbe voluto tenere i suoi figli lontani dal pericolo.

Klaus Martin Schwab – L’uomo internazionale del mistero

Nato il 30 marzo 1938 a Ravensburg, Germania, Klaus Schwab era il figlio maggiore di una normale famiglia nucleare. Tra il 1945 e il 1947, Klaus frequentò la scuola elementare a Au, in Germania. In un’intervista del 2006 all’Irish Times, Klaus Schwab ricorda: “Dopo la guerra, ho presieduto l’associazione regionale franco-tedesca dei giovani. I miei eroi erano Adenauer, De Gasperi e De Gaulle”.

Klaus Schwab e suo fratello minore, Urs Reiner Schwab, dovevano entrambi seguire le orme del loro nonno, Gottfried, e del loro padre, Eugen, e si sarebbero formati inizialmente come ingegneri meccanici. Il padre di Klaus aveva detto al giovane Schwab che, se voleva avere un impatto sul mondo, allora si sarebbe dovuto formare come ingegnere meccanico. Questo sarebbe stato solo l’inizio delle credenziali universitarie di Schwab.

Klaus avrebbe iniziato a studiare la sua pletora di lauree allo Spohn-Gymnasium di Ravensburg tra il 1949 e il 1957, diplomandosi infine all’Humanistisches Gymnasium di Ravensburg. Tra il 1958 e il 1962, Klaus iniziò a lavorare con diverse aziende di ingegneria e, nel 1962, completò i suoi studi di ingegneria meccanica presso il Politecnico Federale di Zurigo (ETH) con un diploma di ingegneria. L’anno seguente, completò anche un corso di economia all’Università di Friburgo, in Svizzera. Dal 1963 al 1966, Klaus lavorò come assistente del direttore generale dell’Associazione tedesca per la costruzione di macchine (VDMA), a Francoforte.

Nel 1965, Klaus stava anche lavorando al suo dottorato all’ETH di Zurigo, scrivendo la sua tesi su: “Il credito all’esportazione a lungo termine come problema commerciale nell’ingegneria meccanica”. Poi, nel 1966, ricevette il suo dottorato in ingegneria dall’Istituto Federale di Tecnologia (ETH) di Zurigo. A quel tempo, il padre di Klaus, Eugen Schwab, nuotava in cerchi più grandi di quelli in cui aveva nuotato in precedenza. Dopo essere stato una personalità ben nota a Ravensburg come amministratore delegato della fabbrica Escher-Wyss da prima della guerra, Eugen sarebbe stato eletto presidente della Camera di Commercio di Ravensburg. Nel 1966, durante la fondazione del comitato tedesco per il tunnel ferroviario di Splügen, Eugen Schwab definì la fondazione del comitato tedesco come un progetto “che crea un collegamento migliore e più veloce per grandi cerchie nella nostra Europa sempre più convergente e offre così nuove opportunità di sviluppo culturale, economico e sociale”.

Nel 1967, Klaus Schwab conseguì un dottorato in economia presso l’Università di Friburgo, in Svizzera, e un master in amministrazione pubblica presso la John F. Kennedy School of Government di Harvard, negli Stati Uniti. Mentre era ad Harvard, Schwab fu istruito da Henry Kissinger, che più tardi avrebbe detto essere tra le prime 3-4 figure che avevano maggiormente influenzato il suo pensiero nel corso di tutta la sua vita.

Henry Kissinger e il suo ex allievo, Klaus Schwab, danno il benvenuto all’ex premier britannico Ted Heath alla riunione annuale del WEF del 1980. Fonte: Forum Economico Mondiale

Nel già citato articolo dell’Irish Times del 2006, Klaus parla di quel periodo come molto importante per la formazione del suo attuale pensiero ideologico, affermando: “Anni dopo, quando tornai dagli Stati Uniti dopo i miei studi ad Harvard, ci furono due eventi che ebbero un effetto scatenante decisivo su di me. Il primo fu un libro di Jean-Jacques Servan-Schreiber, The American Challenge – che diceva che l’Europa avrebbe perso contro gli Stati Uniti a causa dei metodi di gestione inferiori dell’Europa. L’altro evento fu – e questo è rilevante per l’Irlanda – l’Europa dei sei divenne l’Europa dei nove”. Questi due eventi avrebbero aiutato a plasmare Klaus Schwab in un uomo che voleva cambiare il modo in cui le persone facevano i loro affari.

Quello stesso anno, il fratello minore di Klaus, Urs Reiner Schwab, si laureò all’ETH di Zurigo come ingegnere meccanico, e Klaus Schwab andò a lavorare per la vecchia azienda di suo padre, la Escher-Wyss, presto diventata Sulzer Escher-Wyss AG, Zurigo, come assistente del presidente per aiutare nella riorganizzazione delle aziende in fusione. Questo ci porta alle connessioni nucleari di Klaus.

L’ascesa di un tecnocrate

La Sulzer, un’azienda svizzera le cui origini risalgono al 1834, era salita alla ribalta dopo aver iniziato a costruire compressori nel 1906. Nel 1914, l’azienda a conduzione familiare era diventata parte di “tre società per azioni“, una delle quali era la holding ufficiale. Negli anni ’30, i profitti di Sulzer avrebbero sofferto durante la Grande Depressione e, come molte aziende all’epoca, dovettero affrontare interruzioni e azioni industriali da parte dei loro lavoratori.

La seconda guerra mondiale non ha forse colpito la Svizzera quanto i suoi vicini, ma il boom economico che seguì portò Sulzer a crescere in potenza e in dominio del mercato. Nel 1966, poco prima dell’arrivo di Klaus Schwab alla Escher-Wyss, i produttori svizzeri di turbine hanno firmato un accordo di cooperazione con i fratelli Sulzer a Winterthur. Sulzer e Escher-Wyss avrebbero iniziato a fondersi nel 1966, quando Sulzer acquistò il 53% delle azioni della società. Escher-Wyss sarebbe diventata ufficialmente Sulzer Escher-Wyss AG nel 1969, quando l’ultima delle azioni fu acquistata dai fratelli Sulzer.

Una volta avviata la fusione, Escher-Wyss avrebbe iniziato ad essere ristrutturata e due dei membri del consiglio di amministrazione furono i primi a vedere volgere al termine il loro servizio in Escher-Wyss. Il Dr. H. Schindler e W. Stoffel si ssarebbero dimessi dal Consiglio di Amministrazione guidato da Georg Sulzer e Alfred Schaffner. Il Dr. Schindler era stato membro del Consiglio di Amministrazione di Escher-Wyss per 28 anni e aveva lavorato a fianco di Eugen Schwab durante gran parte del suo servizio. Peter Schmidheiny avrebbe poi assunto la carica di presidente del Consiglio di amministrazione di Escher-Wyss, continuando il dominio della famiglia Schmidheiny sui dirigenti dell’azienda.

Durante il processo di ristrutturazione, fu deciso che Escher-Wyss e Sulzer si sarebbero concentrate su aree separate della progettazione delle macchine, con gli stabilimenti Escher-Wyss che lavoravano principalmente sulla costruzione di centrali elettriche idrauliche, comprese le turbine, le pompe di stoccaggio, le macchine di inversione, i dispositivi di chiusura e le tubazioni, così come le turbine a vapore, i turbo compressori, i sistemi di evaporazione, le centrifughe e le macchine per l’industria della carta e della cellulosa. Sulzer si concentrerà sull’industria della refrigerazione, così come sulla costruzione di caldaie a vapore e sulle turbine a gas.

Il 1° gennaio 1968, la Sulzer Escher-Wyss AG, appena riorganizzata, fu presentata pubblicamente e l’azienda era stata allegerita, una mossa ritenuta necessaria a causa di diverse grandi acquisizioni. Questo includeva una stretta collaborazione con Brown Boveri, un gruppo di società di ingegneria elettrica svizzera che aveva anche lavorato per i nazisti, fornendo ai tedeschi alcune delle tecnologie degli U-boat utilizzate durante la seconda guerra mondiale. La Brown Boveri era anche descritta come una ditta di “appaltatori elettrici legati alla difesa” e avrebbe trovato vantaggiose per i suoi affari le condizioni per la corsa agli armamenti della Guerra Fredda.

La fusione e la riorganizzazione di questi giganti svizzeri dell’ingegneria meccanica vide la loro collaborazione pagare in modo speciale. Durante le Olimpiadi invernali del 1968 a Grenoble, Sulzer e Escher-Wyss utilizzarono 8 compressori di refrigerazione per creare tonnellate di ghiaccio artificiale. Nel 1969, le due aziende si unirono per aiutare nella costruzione di una nuova nave passeggeri chiamata “Hamburg”, la prima nave al mondo ad essere completamente climatizzata grazie alla combinazione Sulzer Escher-Wyss.

Nel 1967, Klaus Schwab irrompe ufficialmente sulla scena della comunità economica svizzera e prende la guida della fusione tra Sulzer e Escher-Wyss, oltre a formare alleanze redditizie con Brown Boveri e altri. Nel dicembre 1967, Klaus parlò ad un evento a Zurigo alle principali organizzazioni svizzere di ingegneria meccanica: l’Associazione dei datori di lavoro dei costruttori svizzeri di macchine e metalli e l’Associazione dei costruttori meccanici svizzeri.

Nel suo discorso, avrebbe correttamente previsto l’importanza dell’incorporazione dei computer nella moderna ingegneria meccanica svizzera, affermando che:

“Nel 1971, prodotti che oggi non sono nemmeno sul mercato, potranno rappresentare fino a un quarto delle vendite. Ciò richiede alle aziende di ricercare sistematicamente i possibili sviluppi e di identificare le lacune del mercato. Oggi, 18 delle 20 maggiori aziende della nostra industria meccanica hanno dipartimenti di pianificazione a cui sono affidati tali compiti. Naturalmente, tutti devono fare uso degli ultimi progressi tecnologici, e il computer è uno di questi. Le molte piccole e medie imprese della nostra industria meccanica prendono la strada della cooperazione o utilizzano i servizi di speciali fornitori di servizi di elaborazione dati”.

I computer e i dati erano ovviamente visti come importanti per il futuro, secondo Schwab, e questo è stato ulteriormente proiettato nella riorganizzazione di Sulzer Escher-Wyss durante la loro fusione. Il moderno sito web di Sulzer riflette questo notevole cambiamento di direzione, affermando che, nel 1968: “Le attività della tecnologia dei materiali sono intensificate [da Sulzer] e costituiscono la base per i prodotti della tecnologia medica. Il cambiamento fondamentale da un’azienda costruttrice di macchine a un’azienda tecnologica comincia a diventare evidente”.

Klaus Schwab stava aiutando a trasformare Sulzer Escher-Wyss in qualcosa di più di un gigante della costruzione di macchine, la stava trasformando in una corporazione tecnologica che guidava ad alta velocità verso un futuro hi-tech. Va anche notato che Sulzer Escher-Wyss cambiò un altro punto focale della loro attività per aiutarli a “formare la base per i prodotti della tecnologia medica”, un’area che non era stata precedentemente menzionata come un settore di destinazione per Sulzer e/o Escher-Wyss.

Ma l’avanzamento tecnologico non era l’unico aggiornamento che Klaus Schwab voleva introdurre in Sulzer Escher-Wyss, voleva anche cambiare il modo in cui l’azienda pensava al suo stile di gestione degli affari. Schwab e i suoi stretti collaboratori stavano spingendo una filosofia aziendale completamente nuova che avrebbe permesso “a tutti i dipendenti di accettare gli imperativi della motivazione e di assicurare a casa un senso di flessibilità e manovrabilità”.

È qui, alla fine degli anni ’60, che vediamo Klaus iniziare ad emergere come una figura più pubblica. In questo periodo, l’azienda Sulzer Escher-Wyss divenne anche più interessata che mai ad impegnarsi con la stampa. Nel gennaio 1969, il gigante svizzero organizzò una sessione di consulenza pubblica intitolata “Conferenza stampa dell’industria meccanica“, che riguardava principalmente domande sulla gestione dell’azienda. Durante l’evento, Schwab avrebbe dichiarato che le aziende che utilizzano stili autoritari di gestione aziendale sono “incapaci di attivare pienamente il ‘capitale umano‘”, un argomento che avrebbe usato in molte altre occasioni durante la fine degli anni ’60.

Plutonio e Pretoria

Escher-Wyss sono stati pionieri in alcune delle tecnologie più importanti nella produzione di energia. Come sottolinea il Dipartimento dell’Energia degli Stati Uniti nel loro documento sullo sviluppo del ciclo Brayton a CO2 supercritico (CBC), un dispositivo usato nelle centrali idroelettriche e nucleari, “la Escher-Wyss fu la prima azienda conosciuta a sviluppare la turbomacchina per i sistemi CBC a partire dal 1939”. Prosegue affermando che furono costruiti 24 sistemi, “con Escher-Wyss che progettava i cicli di conversione di potenza e costruiva la turbina per tutti tranne 3”. Nel 1966, poco prima dell’entrata di Schwab in Escher-Wyss e l’inizio della fusione Sulzer, il compressore di elio Escher-Wyss fu progettato per La Fleur Corporation e continuò l’evoluzione dello sviluppo del ciclo Brayton. Questa tecnologia era ancora importante per l’industria delle armi nel 1986, con i droni a propulsione nucleare dotati di un reattore nucleare a ciclo Brayton raffreddato ad elio.

La Escher-Wyss era stata coinvolta nella produzione e nell’installazione di tecnologia nucleare almeno dal 1962, come dimostra questo brevetto per un “sistema di scambio di calore per una centrale nucleare” e questo brevetto del 1966 per un “impianto a gas-turbina per reattori nucleari con raffreddamento di emergenza”. Dopo che Schwab lasciò Sulzer Escher-Wyss, Sulzer avrebbe anche aiutato a sviluppare speciali turbocompressori per l’arricchimento dell’uranio per produrre combustibili per reattori.

Quando Klaus Schwab entrò in Sulzer Escher-Wyss nel 1967 e iniziò la riorganizzazione dell’azienda per diventare una società tecnologica, il coinvolgimento di Sulzer Escher-Wyss negli aspetti più oscuri della corsa globale alle armi nucleari divenne immediatamente più pronunciato. Prima che Klaus venisse coinvolto, Escher-Wyss si era spesso concentrata nell’aiutare a progettare e costruire parti per usi civili della tecnologia nucleare, ad esempio la produzione di energia nucleare. Tuttavia, con l’arrivo del desideroso signor Schwab arrivò anche la partecipazione dell’azienda alla proliferazione illegale della tecnologia delle armi nucleari. Entro il 1969, l’incorporazione di Escher Wyss in Sulzer era completamente completata e sarebbe stata ribattezzata in Sulzer AG, lasciando cadere lo storico Escher-Wyss dal loro nome.

Alla fine è venuto alla luce, grazie a una revisione e a un rapporto condotto dalle autorità svizzere e da un uomo di nome Peter Hug, che Sulzer Escher-Wyss aveva iniziato a procurare e costruire segretamente parti chiave per le armi nucleari durante gli anni ’60. L’azienda, mentre Schwab era nel consiglio di amministrazione, iniziò anche a giocare un ruolo chiave nello sviluppo del programma illegale di armi nucleari del Sudafrica durante gli anni più bui del regime dell’apartheid. Klaus Schwab fu una figura di spicco nella fondazione di una cultura aziendale che aiutò Pretoria a costruire sei armi nucleari e ad assemblarne parzialmente una settima.

Nel rapporto, Peter Hug ha delineato come la Sulzer Escher Wyss AG (indicata dopo la fusione solo come Sulzer AG) abbia fornito componenti vitali al governo sudafricano e ha trovato prove del ruolo della Germania nel sostenere il regime razzista, rivelando anche che il governo svizzero “era a conoscenza di accordi illegali ma ‘li ha tollerati in silenzio’, sostenendo alcuni di essi attivamente o criticandoli solo a metà”. Il rapporto di Hug è stato infine completato in un’opera intitolata: “Svizzera e Sudafrica 1948-1994 – Rapporto finale del PNF 42+ commissionato dal Consiglio federale svizzero”, compilato e scritto da Georg Kreis e pubblicato nel 2007.

Nel 1967 il Sudafrica aveva costruito un reattore per la produzione di plutonio, il SAFARI-2 situato a Pelindaba. SAFARI-2 faceva parte di un progetto per sviluppare un reattore moderato ad acqua pesante che sarebbe stato alimentato da uranio naturale e raffreddato con sodio. Questo legame con lo sviluppo dell’acqua pesante per la creazione di uranio, la stessa tecnologia che era stata utilizzata dai nazisti anche con l’aiuto di Escher-Wyss, può spiegare perché i sudafricani hanno inizialmente coinvolto Escher-Wyss. Ma nel 1969, il Sudafrica abbandonò il progetto del reattore ad acqua pesante a Pelindaba perché stava drenando risorse dal loro programma di arricchimento dell’uranio che era iniziato nel 1967.

Una testata nucleare sudafricana in deposito

Nel 1970, Escher-Wyss erano decisamente coinvolti nella tecnologia nucleare, come si vede in un documento disponibile nel Landesarchivs Baden-Württemberg. Il record mostra i dettagli di un processo di approvvigionamento pubblico e contiene informazioni su colloqui di aggiudicazione con specifiche aziende coinvolte nell’approvvigionamento di tecnologia e materiali nucleari. Le aziende citate includono: NUKEM; Uhde; Krantz; Preussag; Escher-Wyss; Siemens; Rheintal; Leybold; Lurgi; e la famigerata Transnuklear.

Gli svizzeri e i sudafricani ebbero una stretta relazione durante questo periodo storico, quando non era facile per il brutale regime sudafricano trovare alleati stretti. Il 4 novembre 1977, il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite aveva emanato la risoluzione 418 che imponeva un embargo obbligatorio sulle armi contro il Sudafrica, un embargo che non sarebbe stato revocato completamente fino al 1994.

Georg Kreis ha sottolineato quanto segue nella sua valutazione dettagliata del rapporto Hug:

“Il fatto che le autorità assunsero un atteggiamento di laisse-faire anche dopo il maggio 1978 emerge da uno scambio di lettere tra il Movimento Anti-Apartheid e la DFMA nell’ottobre/dicembre 1978. Come spiega lo studio di Hug, il Movimento Anti-Apartheid svizzero si basava su rapporti tedeschi secondo i quali la Sulzer Escher-Wyss e una società chiamata BBC avevano fornito parti per l’impianto sudafricano di arricchimento dell’uranio, e su ripetuti crediti all’ESCOM, che includevano anche considerevoli contributi da parte di banche svizzere. Queste affermazioni hanno portato a chiedersi se il Consiglio federale, alla luce del suo fondamentale sostegno all’embargo dell’ONU, non dovesse indurre la Banca nazionale a non autorizzare più in futuro crediti all’ESCOM”.

Le banche svizzere contribuiranno a finanziare la corsa sudafricana all’energia nucleare e, nel 1986, la Sulzer Escher-Wyss produce con successo compressori speciali per l’arricchimento dell’uranio.

La fondazione del Forum economico mondiale

Nel 1970, il giovane rampante Klaus Schwab scrisse alla Commissione Europea per chiedere aiuto nella creazione di un “think tank non commerciale per i leader d’affari europei”. Anche la Commissione europea avrebbe sponsorizzato l’evento, inviando il politico francese Raymond Barre come “mentore intellettuale” del forum. Raymond Barre, che all’epoca era commissario europeo per gli affari economici e finanziari, sarebbe poi diventato primo ministro francese e sarebbe stato accusato di fare commenti antisemiti mentre era in carica.

Così, nel 1970, Schwab lasciò la Escher-Wyss per organizzare una conferenza di due settimane sulla gestione degli affari. Nel 1971, il primo incontro del World Economic Forum – allora chiamato European Management Symposium – si riunì a Davos, Svizzera. Circa 450 partecipanti da 31 paesi avrebbero preso parte al primo Simposio Europeo di Management di Schwab, composto per lo più da manager di varie aziende europee, politici e accademici statunitensi. Il progetto è stato registrato come organizzato da Klaus Schwab e dalla sua segretaria Hilde Stoll che, più tardi lo stesso anno, sarebbe diventata la moglie di Klaus Schwab.

Il simposio europeo di Klaus non era un’idea originale. Come lo scrittore Ganga Jey Aratnam ha affermato abbastanza coerentemente nel 2018:

“Lo “Spirito di Davos” di Klaus Schwab era anche lo “Spirito di Harvard”. Non solo la business school aveva sostenuto l’idea di un simposio. L’eminente economista di Harvard John Kenneth Galbraith difendeva la società affluente, così come le esigenze di pianificazione del capitalismo e l’avvicinamento di Oriente e Occidente”.

È anche vero che, come ha sottolineato Aratnam, non era la prima volta che Davos ospitava eventi del genere. Tra il 1928 e il 1931, le Conferenze Universitarie di Davos si svolsero all’Hotel Belvédère, eventi che furono co-fondati da Albert Einstein e furono fermati solo dalla Grande Depressione e dalla minaccia di una guerra incombente.

Il Club di Roma e il WEF

Il gruppo più influente che ha stimolato la creazione del simposio di Klaus Schwab è stato il Club di Roma, un influente think tank dell’élite scientifica e monetaria che rispecchia il Forum Economico Mondiale in molti modi, anche nella sua promozione di un modello di governance globale guidato da un’élite tecnocratica. Il Club era stato fondato nel 1968 dall’industriale italiano Aurelio Peccei e dal chimico scozzese Alexander King durante un incontro privato in una residenza di proprietà della famiglia Rockefeller a Bellagio, Italia.

Tra i suoi primi risultati c’era un libro del 1972 intitolato “I limiti della crescita” che si concentrava in gran parte sulla sovrappopolazione globale, avvertendo che “se i modelli di consumo del mondo e la crescita della popolazione fossero continuati agli stessi alti tassi del tempo, la terra avrebbe raggiunto i suoi limiti entro un secolo”. Alla terza riunione del Forum Economico Mondiale nel 1973, Peccei tenne un discorso che riassumeva il libro, che il sito web del Forum Economico Mondiale ricorda come l’evento distintivo di questa riunione storica. Quello stesso anno, il Club di Roma avrebbe pubblicato un rapporto che dettagliava un modello “adattivo” per la governance globale che avrebbe diviso il mondo in dieci regioni economiche/politiche interconnesse.

Il Club di Roma a lungo è stato controverso per la sua ossessione di ridurre la popolazione globale e per molte delle sue precedenti politiche, che i critici hanno descritto come influenzate dall’eugenetica e neo-malthusiane. Tuttavia, nel famigerato libro del Club del 1991, La Prima Rivoluzione Globale, si sosteneva che tali politiche potevano ottenere il sostegno popolare se le masse erano in grado di collegarle con una lotta esistenziale contro un nemico comune.

A tal fine, La Prima Rivoluzione Globale contiene un passaggio intitolato “Il nemico comune dell’umanità è l’uomo”, che afferma quanto segue:

“Cercando un nemico comune contro il quale unirci, ci è venuta l’idea che l’inquinamento, la minaccia del riscaldamento globale, la scarsità d’acqua, la carestia e simili, sarebbero stati adatti. Nella loro totalità e nelle loro interazioni questi fenomeni costituiscono effettivamente una minaccia comune che deve essere affrontata da tutti insieme. Ma nel designare questi pericoli come il nemico, cadiamo nella trappola di cui abbiamo già avvertito i lettori, cioè scambiare i sintomi per cause. Tutti questi pericoli sono causati dall’intervento umano nei processi naturali, ed è solo attraverso un cambiamento di atteggiamento e di comportamento che possono essere superati. Il vero nemico allora è l’umanità stessa”.

Negli anni successivi, l’élite che popola il Club di Roma e il Forum economico mondiale ha spesso sostenuto che i metodi di controllo della popolazione sono essenziali per proteggere l’ambiente. Non è quindi sorprendente che il Forum Economico Mondiale usi analogamente le questioni del clima e dell’ambiente come un modo per vendere politiche altrimenti impopolari, cioè quelle del Grande Reset, come necessarie.

Il passato è un prologo

Dalla fondazione del World Economic Forum, Klaus Schwab è diventato una delle persone più potenti del mondo e il suo “Grande Reset” ha reso più importante che mai esaminare l’uomo seduto sul trono globalista.

Dato il suo ruolo prominente nello sforzo di vasta portata di trasformare ogni aspetto dell’ordine esistente, la storia di Klaus Schwab era difficile da ricostruire. Quando si inizia a scavare nella storia di un uomo come Schwab, che siede al di sopra di altri oscuri personaggi dell’élite, si scopre presto che molte informazioni sono state nascoste o rimosse. Klaus è qualcuno che vuole rimanere nascosto negli angoli oscuri della società e che permetterà alla persona media di vedere solo un costrutto ben presentato della sua personalità artificiosa.

Il vero Klaus Schwab è una figura di vecchio zio gentile che desidera fare del bene all’umanità, o è davvero il figlio di un collaboratore nazista che ha usato manodopera schiavizzata e ha aiutato gli sforzi nazisti per ottenere la prima bomba atomica? Klaus è l’onesto manager di cui dovremmo fidarci per creare una società e un posto di lavoro più giusti per l’uomo comune, o è la persona che ha aiutato a spingere Sulzer Escher-Wyss in una rivoluzione tecnologica che ha portato al suo ruolo nella creazione illegale di armi nucleari per il regime razzista di apartheid del Sud Africa? Le prove che ho esaminato non suggeriscono un uomo gentile, ma piuttosto un membro di una famiglia ricca e ben collegata che ha una storia di aiuto nella creazione di armi di distruzione di massa per governi aggressivi e razzisti.

Come disse Klaus Schwab nel 2006 “La conoscenza sarà presto disponibile ovunque – la chiamo la ‘googlisation’ della globalizzazione. Non è più importante cosa sai, ma come lo usi. Devi essere uno che detta il ritmo”. Klaus Schwab si considera un pace setter e un top player, e bisogna dire che le sue qualifiche e la sua esperienza sono impressionanti. Eppure, quando si tratta di mettere in pratica ciò che si predica, Klaus è stato scoperto. Una delle tre maggiori sfide nella lista delle priorità del World Economic Forum è la non proliferazione delle armi nucleari, eppure né Klaus Schwab né suo padre Eugen sono stati all’altezza di questi stessi principi quando erano in affari. Al contrario.

A gennaio, Klaus Schwab ha annunciato che il 2021 è l’anno in cui il World Economic Forum e i suoi alleati devono “ricostruire la fiducia” con le masse. Tuttavia, se Schwab continua a nascondere la sua storia e quella delle connessioni di suo padre con la “National Socialist Model Company” che era Escher-Wyss durante gli anni ’30 e ’40, allora la gente avrà buone ragioni per diffidare delle motivazioni sottostanti alla sua agenda di Great Reset, che è eccessiva e antidemocratica.

Nel caso degli Schwab, le prove non puntano semplicemente a cattive pratiche commerciali o a qualche tipo di malinteso. La storia della famiglia Schwab rivela invece un’abitudine a lavorare con dittatori genocidi per i motivi di base del profitto e del potere. I nazisti e il regime sudafricano dell’apartheid sono due dei peggiori esempi di leadership nella politica moderna, ma gli Schwab ovviamente non potevano o non volevano vederlo all’epoca.

Nel caso di Klaus Schwab stesso, sembra che abbia aiutato a riciclare le reliquie dell’era nazista, cioè le sue ambizioni nucleari e le sue ambizioni di controllo della popolazione, in modo da assicurare la continuità di un’agenda più profonda. Mentre serviva in qualità di dirigente alla Sulzer Escher Wyss, l’azienda ha cercato di aiutare le ambizioni nucleari del regime sudafricano, allora il governo più nazista del mondo, preservando l’eredità dell’era nazista della Escher Wyss stessa. Poi, attraverso il World Economic Forum, Schwab ha aiutato a riabilitare le politiche di controllo della popolazione influenzate dall’eugenetica durante il periodo successivo alla seconda guerra mondiale, un periodo in cui le rivelazioni delle atrocità naziste hanno rapidamente portato la pseudo-scienza in grande discredito. C’è qualche ragione per credere che Klaus Schwab, come esiste oggi, sia cambiato in qualche modo? O è ancora il volto pubblico di uno sforzo decennale per assicurare la sopravvivenza di un programma molto vecchio?

L’ultima domanda che dovrebbe essere posta sulle reali motivazioni dietro le azioni di Herr Schwab, potrebbe essere la più importante per il futuro dell’umanità: Klaus Schwab sta cercando di creare la quarta rivoluzione industriale, o sta cercando di creare il quarto Reich?

Fonte: https://unlimitedhangout.com/2021/02/investigative-reports/schwab-family-values/

Ricercando

“Come prendere vitamine in pillole” – Il primo vaccino…

“Come prendere vitamine in pillole” – Il primo vaccino orale per il C0VID si avvicina alla sperimentazione umana

Per la prima volta dall’inizio della pandemia, un vaccino COVID sotto forma di pillola è destinato ad entrare nelle prime fasi dei test clinici entro pochi mesi.

L’azienda che lavora sul farmaco (una Joint Venture dell’israeliana-americana Oramed Pharmaceuticals e dell’indiana Premas Biotech), ha annunciato in un comunicato stampa che spera di iniziare la prima fase dei test clinici per il suo farmaco Oravax sugli esseri umani entro giugno.

I vaccini orali sono un’opzione in fase di valutazione per i vaccini di “seconda generazione”, che sono progettati per essere più scalabili, più facili da somministrare e più semplici da distribuire.

Un vaccino orale potrebbe “potenzialmente [permettere] alle persone di prendere il vaccino autonomamente a casa“, ha detto Nadav Kidron, CEO di Oramed, nel comunicato. Le capsule diverrebbero particolarmente utili se i vaccini C0VID diventassero alla fine “raccomandati annualmente come l’inoculazione standard per l’influenza“, ha aggiunto.

Prabuddha Kundu, co-fondatore di Premas Biotech, ha detto ai media indiani che somministrare il vaccino sarebbe “come prendere una pillola di vitamine” e che “siamo sicuri al 100% che la tecnologia funziona e fa ben sperare“.

I risultati dei test preliminari sugli animali saranno presto pubblicati in una rivista scientifica, ha aggiunto.

La notizia arriva mentre Pfizer annuncia l’inizio dei test clinici sugli umani di una nuova pillola antivirale per trattare il covid che potrebbe essere usata al primo segno di malattia.

Se i test risultassero positivi, la pillola potrebbe essere prescritta all’inizio di un’infezione per bloccare la replicazione virale prima che i pazienti peggiorino. Il farmaco si lega ad un enzima chiamato proteasi per impedire al virus di replicarsi. I farmaci che inibiscono la proteasi hanno avuto successo nel trattamento di altri tipi di virus, tra cui HIV ed epatite C.

Tra i principali produttori di farmaci, Merck & Co. sta sviluppando una delle poche pillole contro il covid che è già molto avanti nella sperimentazione umana. Il suo farmaco antivirale sperimentale molnupiravir funziona con un meccanismo diverso dal farmaco Pfizer ed è in fase avanzata di sperimentazione umana.

Tuttavia, ‘pillolificare‘ il vaccino renderà più facile convincere la gente a prendere le X dosi all’anno di cui tutti abbiamo ‘bisogno’ per il resto della nostra vita.

Una parola: Soma

“Inghiottita mezz’ora prima dell’orario di chiusura, quella seconda dose di soma aveva innalzato un muro abbastanza impenetrabile tra l’universo reale e le loro menti”.

Traduzione a cura di Mer Curio

Fonte: LINK [A causa del recente aggiornamento del sito ZeroHedge, dopo un mese dalla pubblicazione dell’articolo, quest’ultimo verrà spostato nel loro archivio e diverrà disponibile solamente agli utenti premium, in questo caso dopo il 23 aprile. Ci scusiamo per l’inconveniente.]

Omnis

Gli Emirati Arabi Uniti stanno sviluppando droni “Turba-nubi” per…

Dai droni di sorveglianza ai droni per la guerra armata, dai droni con I.A. ai droni per le consegne, sembra che ogni anno gli sviluppatori e i ricercatori tecnologici escogitino qualche nuova applicazione inaspettata per gli UAV, portando l’umanità più vicina a un futuro scenario distopico alla Skynet dove i robot dominano i cieli sopra di noi.

Questo è precisamente ciò che viene in mente con l’ultimo progetto riguardante i droni dagli Emirati Arabi Uniti. L’ultra-ricco sceiccato del petrolio e del gas sta sviluppando “droni di ingegneria meteorologica” che possono produrre pioggia o alterare i modelli meteorologici.

La tecnologia viene descritta come incentrata sulla capacità dei droni di fornire una scossa elettrica mentre si librano tra le nuvole. Mentre gli Emirati Arabi Uniti investono già nella tecnologia di “cloud-seeding” con altri mezzi, a causa dei suoi soli 100 mm all’anno di precipitazioni medie, attualmente stanno cercando più modi per “seminare” ed essenzialmente “ingegnerizzare” ciò che fanno le nuvole.

La BBC descrive quest’ultima iniziativa come segue:

Droni che volano tra le nuvole, dando loro una scossa elettrica per "persuaderle" a produrre pioggia, stanno per essere testati negli Emirati Arabi Uniti.

Il paese utilizza già la tecnologia del cloud-seeding, lasciando cadere il sale per indurre le precipitazioni.

...Nel 2017, il governo ha fornito 15 milioni di dollari (10,8 milioni di sterline) per nove diversi progetti di aumento delle precipitazioni.

E citando un esperto del settore: “Il progetto mira a cambiare l’equilibrio della carica elettrica sulle particelle che compongono la nuvola, ha spiegato il Prof Maarten Ambaum, che ha lavorato al progetto”, continua la BBC.

La carica elettrica permette teoricamente alle minuscole goccioline d’acqua presenti nelle nuvole di “fondersi e attaccarsi insieme” per diventare abbastanza grandi da cadere come gocce di pioggia.

Un team di scienziati del Regno Unito dovrebbe dirigere l’iniziativa in collaborazione con il governo degli Emirati Arabi Uniti. Arab News riporta inoltre che “Gli Emirati Arabi Uniti hanno pagato 1,4 milioni di dollari al team britannico per testare come una carica elettrica possa espandere e unire le gocce d’acqua per svilupparsi in precipitazioni”.

Gli Emirati Arabi Uniti sono effettivamente noti per avere un’abbondanza di nuvole ogni giorno; tuttavia, raramente tali nubi diventano un’effettiva precipitazione.

Traduzione a cura di Mer Curio
FONTE:LINK [Disponibile fino al 19 aprile, dopo tale giorno diventerà disponibile solo agli utenti premium di ZeroHedge, ci scusiamo dell’inconveniente]

Transumanesimo

Gli scienziati propongono un'”arca lunare” per conservare 6,7 milioni…

La Svalbard Global Seed Vault sull’isola norvegese di Spitsbergen, nel remoto arcipelago artico delle Svalbard, sembra perdere il suo fascino, mentre gli scienziati propongono una “arca lunare” per ospitare milioni di specie di semi, sperma, uova e DNA.

Un team di ricercatori dell’Università dell’Arizona, guidato da Jekan Thanga, ha proposto di costruire una massiccia “arca” sulla luna come una “moderna politica di assicurazione globale” contro i disastri naturali, il caos socio-economico, gli asteroidi e la minaccia di una guerra nucleare.

“La Terra è naturalmente un ambiente volatile”, ha detto Thanga nello studio intitolato “Fosse lunari e tubi di lava per un’arca moderna”. Il team ha debuttato lo studio alla conferenza aerospaziale dell’Institute of Electrical and Electronics Engineers (IEEE) sabato scorso.

“Un’arca, proprio come quella di Noè nella Bibbia, potrebbe conservare le specie in pericolo in modo più conveniente che proteggerle sulla terra o creare un ecosistema artificiale”, ha detto Thanga.

Il ricercatore ha proposto di costruire l’arca in una fossa lunare e/o in tubi di lava, tenendo fino a 6,7 milioni di specie di semi, sperma, uova e DNA.

Thanga ha detto che a causa dell’instabilità, i depositi sulla Terra, come Svalbard, potrebbero rendere gli esemplari vulnerabili.

La presentazione di Thanga ha spiegato che varie specie verrebbero conservate criogenicamente. “Possiamo ancora salvarle fino a quando la tecnologia avanza per poi reintrodurre queste specie – in altre parole, salvarle per un altro giorno”, ha aggiunto.

Per trasportare più di 6,7 milioni di campioni, ci vorrebbero 250 lanci di razzi. In confronto, per costruire la Stazione Spaziale Internazionale ci sono voluti solo 40 lanci di razzi.

Lo scienziato ha suggerito che i pannelli solari potrebbero alimentare la struttura. Tuttavia, le future basi lunari saranno probabilmente alimentate con reattori nucleari in miniatura, come abbiamo già spiegato.

Ecco la presentazione completa:

"Proponiamo lo sviluppo di un'arca moderna in modo da ospitare al suo interno tubi di lava lunare. L'arca ospiterebbe uova, spermatozoi, semi e altro materiale genetico di tutte le specie in pericolo sulla Terra. Servirebbe come una polizza di assicurazione globale. La Terra affronta probabili pericoli da vari disastri naturali e minacce umane come la guerra nucleare globale che potrebbe spazzare via un gran numero di specie in poco tempo. I tubi di lava lunari sono stati scoperti nel 2013 e sono probabilmente rimasti incontaminati per 3-4 miliardi di anni. Sono a soli 4-5 giorni dalla Terra. Sono un ottimo rifugio contro gli sbalzi di temperatura della superficie lunare, le radiazioni cosmiche e i micro-meteoriti. L'arca ospiterebbe queste specie in pericolo di estinzione in condizioni di -180 C e più fredde. La nostra ricerca mostra che sono necessarie nuove tecnologie per rendere possibile questa iniziativa. Richiederà investimenti sostanziali e progressi nella robotica per operare in condizioni criogeniche", ha detto.

Al di fuori del mondo accademico, le superpotenze globali hanno proposto di costruire basi lunari e di estrarre dalla superficie lunare metalli rari.

Traduzione a cura di Mer Curio
Fonte:LINK [Disponibile dal 12 aprile solo per gli utenti premium di ZeroHedge]

Transumanesimo

Una sfera di Dyson potrebbe resuscitare gli esseri umani,…

Questa megastruttura cosmica potrebbe essere la chiave per la resurrezione e l’immortalità.

I ricercatori russi hanno delineato diversi modi in cui la resurrezione tecnologica potrebbe divenire possibile in futuro, compreso un metodo chiamato immortalità digitale: il "restauro" basato sulle informazioni registrate.
Con questo metodo, una IA superintelligente usa la megastruttura cosmica della Sfera di Dyson per sfruttare l'energia computazionale del sole.
Gli esseri umani non possono costruire una Sfera di Dyson - non ancora - ma i ricercatori dicono che i nanorobot potrebbero un giorno provvedere a tale lavoro.

Immaginate questo: In un futuro molto, molto lontano, molto tempo dopo la tua morte, tornerai in vita. Così come tutti quelli che hanno avuto un ruolo nella storia della civiltà umana. Ma in questo scenario, la resurrezione è la parte relativamente normale. Il viaggio di ritorno verso casa sarà molto più strano della destinazione.

Ecco come andrà a finire: Una megastruttura chiamata Sfera di Dyson fornirà ad un agente artificiale superintelligente (Super IA) l'enorme quantità di potere di cui ha bisogno per raccogliere quanti più dati storici e personali su di te, in modo da poter ricostruire la tua esatta copia digitale. Una volta finito, vivrai tutta la tua vita (di nuovo) in una realtà simulata, e quando arriverà il momento di morire (di nuovo), sarai trasportato in un aldilà simulato, nella "San Junipero" di Black Mirror, dove potrai uscire con i tuoi amici, familiari e celebrità preferite per sempre.

Sì, questo è sbalorditivo. Ma un giorno potrebbe anche essere molto reale.

Questo è il piano C della “Tabella di marcia verso l’immortalità”, un progetto su cui il transumanista russo ed estensore della vita Alexey Turchin sta lavorando dal 2014. Turchin ha recentemente esposto i dettagli in un documento che ha pubblicato con il collega transumanista Maxim Chernyakov chiamato “Classificazione degli approcci alla resurrezione tecnologica“. (I piani A, B e D coinvolgono rispettivamente l’estensione della vita, la crionica e l’immortalità quantistica. Potete trovare gli argomenti che giustificano come ognuno di essi può portare all’immortalità nel documento).

Quando Turchin aveva 11 anni, una sua compagna di classe morì. L’esperienza piantò i primi semi di riflessione sulla possibilità della vita eterna nella sua giovane mente. “Ho iniziato a pensare in termini fantascientifici su ciò che si poteva fare”, dice Turchin a Pop Mech.

Nel 2007, è diventato un membro del movimento transumanista russo, una comunità che lavora per preparare i russi ad abbracciare le tecnologie che li aiuteranno a trascendere le loro attuali limitazioni fisiche e mentali. Turchin ha cofondato il primo partito politico transumanista russo nel 2012, e negli ultimi anni ha perfezionato la sua Immortality Roadmap e ha registrato proattivamente ogni dettaglio della sua vita.

map of methods for resurrection of the dead
Mappa dei metodi per la resurrezione dei morti

Turchin sta registrando e tenendo diari di ogni sogno, conversazione ed esperienza quotidiana che ha. Questa pratica di “sorveglianza onnipresente” – attraverso la quale Turchin dice che registra anche i suoi stessi pregiudizi – è necessaria perché l’IA superintelligente ha bisogno di sottoporre i futuri resuscitati alle stesse identiche condizioni di sviluppo che hanno vissuto quando erano in vita per il bene della loro “autenticità”, dice.

Una volta che l’IA crea la vostra precisa copia digitale, tutto è possibile, anche il ripristino della vita biologica, dice Turchin. L’IA cercherà ostinatamente il tuo DNA – scaverà persino la tua tomba – perché solo allora sarà in grado di creare un clone del tuo corpo fisico, dove la tua copia digitale troverà il suo tempio.

Ora prendete il singolare esempio dell’immortalità digitale e moltiplicatelo per la scala dei miliardi di persone che hanno vissuto, tenendo conto delle molte copie della stessa simulazione con diverse varianti di come le cose avrebbero potuto svilupparsi, che cresceranno esponenzialmente in base a qualsiasi scelta fatta nello stesso momento. In nessun modo la Terra può fornirci le risorse computazionali per questa impresa. Abbiamo bisogno del sole. Meglio ancora, abbiamo bisogno di una Sfera di Dyson intorno al sole.

dyson sphere
Rendering di una sfera di Dyson

Il defunto fisico Freeman Dyson ha proposto il suo concetto di megastruttura in un articolo di Science del 1960, “Search for Artificial Stellar Sources of Infrared Radiation“. Il succo: Si tratta di un ipotetico guscio che circonda il sole per sfruttare gran parte dei maestosi 400 settilioni di watt al secondo di energia che la nostra stella emette in un dato giorno. Ciò è nell’ordine di un trilione di volte il nostro attuale consumo di energia in tutto il mondo.

Pensate a una Sfera di Dyson come a molti satelliti separati con orbite separate, poiché un’unica enorme struttura sarebbe gravitazionalmente instabile, dice Turchin. Egli immagina la megastruttura come una flotta di fattorie solari nere o leggermente arancioni, unite insieme in uno sbalorditivo guscio di 300 milioni di chilometri intorno al sole. Sarà la megastruttura aliena definitiva, quella che segnerà il passaggio della nostra specie da una specie planetaria a una interstellare.

C’è solo un piccolo problema: non possiamo effettivamente costruire una cosa del genere.

“Una vera e propria sfera intorno al sole è completamente impraticabile”, ha detto tempo fa a Pop Mech Stuart Armstrong, un ricercatore del Future of Humanity Institute dell’Università di Oxford che ha studiato i concetti della megastruttura.

La resistenza alla trazione necessaria per evitare che la Sfera di Dyson si strappi supera di gran lunga quella di qualsiasi materiale conosciuto, ha detto Armstrong. Inoltre, la sfera non si legherebbe gravitazionalmente alla sua stella in modo stabile. Se una qualsiasi parte della sfera venisse spinta più vicino alla stella, per esempio da un impatto con un meteorite, allora quella parte verrebbe attratta preferenzialmente verso la stella, creando instabilità.

Ok, quindi gli umani non possono costruire una Sfera di Dyson (ancora). “Ma i nanorobot potrebbero farlo”, dice Turchin. I piccoli robot potrebbero iniziare a estrarre da un piccolo pianeta il ferro e l’ossigeno, e usare queste risorse per creare una superficie riflettente di ematite intorno al sole.

Anche se le macchine arrivano e risolvono il problema di come sfruttare tutta quell’energia, tuttavia, il concetto di resurrezione digitale non suona ancora fattibile per Stephen Holler, professore associato di fisica alla Fordham University.

“Non credo che si possa sottoporre qualcuno alle stesse condizioni di sviluppo che ha avuto in vita, perché questo presuppone che si conoscano tutte le loro condizioni di sviluppo, dal tizio che ha preso di mira quella persona quando era molto giovane, al giorno in cui quella persona ha ricevuto tale premio”, dice Holler a Pop Mech.

“Ci sono molte cose che non sappiamo che storicamente hanno plasmato il modo in cui la vita di una persona è diventata,” dice Holler. “Quelle non fanno parte di nessun documento, il che rende molto difficile resuscitare qualcuno”.

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Un gemello digitale, quindi, è probabilmente più probabile di un sé digitale. Ma il vostro gemello digitale sarebbe davvero voi? Beh, più o meno.

“Sei tu fino al momento in cui lo scarichi”, dice Holler. “Dopo di che, si evolve in una persona diversa. Diventa una nuova entità. La copia digitale sarà sempre diversa dalla copia biologica”.

Kelly Smith, professore di filosofia e scienze biologiche alla Clemson University, che fa ricerche sulle questioni sociali, concettuali ed etiche che circondano l’esplorazione spaziale, vede la produzione di una mastodontica Sfera di Dyson come un problema politico più che una sfida ingegneristica.

“Tutta l’umanità dovrebbe lavorarci per 100 anni”, dice Smith a Pop Mech. Ma le persone si sono evolute per essere pensatori a breve termine, preoccupati di questioni di profitto e perdita nella loro breve vita. “Chi vorrà dedicare tutta la sua vita alla costruzione di qualcosa di cui non beneficeranno né loro né i loro figli, né i figli dei loro figli, né i figli dei loro figli, ma gli umani che vivranno tra 1000 anni?”, si chiede.

Inoltre, anche se sviluppassimo ogni tipo di tecnologia avanzata e caricassimo la nostra personalità su un computer alimentato da una Sfera di Dyson, staremmo comunque parlando di un’estensione molto ampia della durata della vita umana, non dell’immortalità. Colpa dell’entropia: “La stella che alimenta la Sfera di Dyson prima o poi diventerà una supernova, e così se ne andrà la nostra fonte di energia”, dice Smith.

Smith condivide le preoccupazioni di Holler circa le sfide di replicare le esatte condizioni di sviluppo per la creazione di un essere umano. “Non c’è modo di farlo in questo momento, non importa quanto proattivamente registriamo la nostra vita”, dice.

alien mega structure, dyson sphere around a distant star in front of the milky way

Nel corso dei miliardi di anni in cui una simulazione potrebbe funzionare, gli errori possono sicuramente insinuarsi nel codice del computer. “Potremmo finire per duplicare essenzialmente il 90% di qualcuno, ma il risultato è lo stesso?” Si chiede Smith. “Non so quanto sarei felice di sapere che una copia di me stesso, simile a me all’80%, sopravviverà per sempre”.

Anche Turchin, l’uomo dietro il Piano C, è infastidito da questo problema, anche se dice che è più un dilemma filosofico che un enigma fisico: “Se una copia è sufficientemente simile al suo originale al punto che non siamo in grado di distinguere l’una dall’altra, la copia è uguale all’originale?”

No, il piano C di Turchin per l’immortalità non può riportare indietro gli esseri umani nel modo in cui le religioni abramitiche, che comprendono il concetto di anima, intendono. Ma con l’aiuto di una Sfera di Dyson colossalmente grande e di IA amichevoli, la resurrezione digitale è miglior prossima cosa, dice.

Pensate alla fine della vostra vita e a cosa potrebbe succedere dopo. Ci sono due possibili risultati: Se la tua anima esiste, tutto continua dopo la morte e tutto è meraviglioso. E se non esiste e il tuo destino è la totale scomparsa, beh, una parte di te potrebbe continuare ad esistere all’infinito come copia digitale. “È una situazione vincente in entrambi gli scenari”, dice Turchin.

Traduzione a cura di Mer Curio

Fonte: LINK

Ricercando

Se la bellezza non basta.

Se la bellezza non basta.

di Pier.

Questa storia inizia da una vicenda di più di 11 anni fa, in una cittadina tranquilla sulla baia di Cadice, dove durante un viaggio io e un mio amico, decidemmo di passare la notte perché nel capoluogo non c’era neanche una stanza. Telefonammo e ci rispose una signora di indole vivace all’apparenza e prenotammo per la sera. Quando arrivammo, trovammo un portone e, suonando, la signora ci aprì dal citofono. Dopo un piccolo atrio c’era un cancelletto che chiudeva il piccolo arco del portico e permetteva di accedere alla corte interna: la signora lo apriva con una corda fissata fuori dalla sua finestra al primo piano attraverso un sistema di carrucole, sul lato opposto del cortile un altro cancello proteggeva una scalinata. La signora ci salutò dal suo davanzale, ci disse le condizioni e ci spiegò le regole, poi calò dalla finestra, sempre con una corda un vassoio in cui depositare il denaro per la stanza, lo tirò su e poi ci calò la chiave, una vecchia chiave di ferro forgiata, quindi ci congedò per la notte, chiuse la finestra e non la vedemmo mai più, ma la sua presenza invisibile ci salutò il mattino seguente molto presto con una colazione già pronta; ed io la ricordo come un personaggio uscito fuori da un racconto di Gabriel Garcia Marquez.

Sono anni che quando mi torna alla mente il pensiero di quella donna mi concedo per qualche minuto a congetture su quella vita, chissà quali condizionamenti, quale indole indirizzi a volte le nostre scelte, forse viveva da sola in una clausura volontaria per qualche voto fatto in gioventù, forse aveva un marito con cui condivideva la solitudine o forse aveva solo preso delle precauzioni per proteggersi.
Di certo ha un che di bizzarro dedicarsi al mestiere dell’accoglienza mantenendo un tale isolamento dalle persone.

Tutto ciò mi porta a riflettere su un aspetto importante della natura umana, il tema della sospensione, la rinuncia alla vita, che di solito si configura come rinuncia ad uno o più aspetti dell’esistenza legati al principio del piacere. Le forme di questa ritrazione sono molteplici, interessano le relazioni sociali, la fruizione dei luoghi, lo sfruttamento di determinate risorse nelle proprie disponibilità e ciò che essa determina è sempre un vuoto culturalmente connotato. Occorre però fare un distinguo, fra rinuncia autoimposta e imposta dall’esterno. Quando sono le circostanze o le autorità a porre un veto su determinati ambiti o sulla totalità della nostra vita, si formano tendenzialmente delle forme di cultura residuali o che comunque ricollocano l’individuo in base a ciò che resta del suo campo d’azione al fine di risignificare la propria agentività nel mondo.
Ciò che io trovo particolarmente affascinante però, sono le forme di cultura che determinano e sono determinate da scelte di individui che rinunciano a fare qualcosa, ad essere qualcosa, a fruire del mondo in tutte le sue forme.

Sono figli di questa idea tanto il concetto di dono come rinuncia ad un interesse utilitaristico nello scambio, quanto l’idea dei baNande di conservare attraverso l’attitudine al “vuoto culturale”, un piccolo angolo di foresta intonsa, laddove al posto di quella che veniva tagliata cresceva di nuovo solo boscaglia, qualitativamente inferiore, poiché solo la foresta è dimora degli spiriti degli antenati e, una volta tagliata, non cresce con la stessa Qualità.

Allo stesso modo passeremo a fare alcune considerazioni sul fenomeno degli hikikomori, a partire proprio dall’idea che rinchiudersi volontariamente in casa, ritirandosi dalla vita sociale rappresenti una precisa risposta culturale, di “vuoto culturale” nello specifico a precise istanze della società, a precisi sentimenti e alla necessità di sostenerli.

Questa forma di auto-isolamento viene spesso derubricata ad una specie di disordine mentale, una disfunzione dell’organo sociale, specifica dell’adolescenza lunga e vede gli individui scegliere di restringere i confini del proprio mondo alle pareti di una stanza, spesso nella casa della propria famiglia.

Il primo a coniare il termine fu il dr. Saito nel suo “Hikikomori: adolescenza senza fine” (1998)1. Lo psichiatra di formazione lacaniana, a seguito dei vari casi di studio presentati, criticava la definizione di ritiro dal sociale fornita nel DSM- IV2, in quanto il fenomeno veniva presentato come sintomo di altri disturbi, laddove lui identificava una vera e propria sindrome, che si manifestava con una prolungata reclusione volontaria in una stanza della casa, e con il rifiuto di qualsiasi relazione sociale, quanto meno in presenza, perché, come vedremo, la possibilità di interagire con persone lontane e spesso sconosciute sulle reti virtuali del web rappresenta un elemento imprescindibile.

Il termine che il dottore utilizzò inizialmente fu shakaiteki-hikikomori (completo ritiro dalla società) e nella sua abbreviazione divenne presto una parola d’ordine negli ambienti giovanili.

Cosa succede dunque nella mente dell’individuo che diventa hikikomori?

Non intendiamo considerare fenomeni di emulazione, per lo più transitori ed associati a tendenze e influenze culturali, ma quella scelta che affonda le radici prima di tutto in un profondo disagio nella società.

Ciò su cui ritengo sia necessario meditare è il retroterra culturale ed educativo nel quale si sviluppa questo fenomeno tipico della modernità. Il contesto di riferimento è il Giappone degli ultimi tre decenni, ancora caratterizzato dalle vestigia di una impalcatura di rigore morale e valori tradizionali, educazione severa e disciplina imposta con modi silenziosi e sguardi deferenti. Queste caratteristiche della società nipponica però, sono integrate e soverchiate nella sostanza dalla macchina dell’innovazione tecnologica, dalla velocità del progresso e della produzione, sotto la spinta pressante di un conformismo pervasivo, i cui effetti sono tristemente noti in quelle valvole di sfogo tipiche della società giapponese contemporanea. Il fenomeno hikikomori è chiaramente una di esse, ed una manifestazione che corrisponda perfettamente ad essa in un’altra parte del mondo, di fatto non c’è; anche se- e questo è molto interessante- il dr. Saito nel suo studio del 1998 rilevava che in Corea esisteva un gruppo di giovani che definiva se stesso hikikomori, ma a quanto risulta furono prelevati di forza dalla polizia e ricacciati nella società, interrompendo il loro isolamento.

Una volta attuato questo ritrarsi dalla società cosa fa un hikikomori? La risposta ricorrente a questa domanda ai tempi del dr. Saito era: “assolutamente niente”, come anche risultava ricorrente nella spirale dei pensieri depressivi la tendenza al suicidio della metà dei soggetti. Oggi anche quella dell’hikikomori è una realtà molto diversa, in cui le tecnologie di comunicazione attraverso internet cambiano radicalmente il modo in cui l’isolamento viene vissuto e, non di rado, i soggetti cercano e aprono numerosi canali di comunicazione. Nella cultura popolare e in maniera trasversale anche lontano dai confini del Giappone, anche al gamer o a colui che trasferisce vasta parte della propria vita nelle interazioni e relazioni virtuali con altre persone viene ormai attribuito tale termine come una definizione, sebbene dal significato più edulcorato dell’originale.

Giungiamo in questo modo al problema del tempo moderno, in cui è avvenuto un ribaltamento dell’orizzonte di senso e nelle vite di una grande fetta della popolazione anche del vecchio continente lo spazio pubblico si è rovesciato nel privato e, anche se tralasciamo il proliferare di casi patologici di isolamento continuativo dall’esterno, il modello di vita che si è imposto grazie al cavallo di troia della pandemia virale, prevede sempre più tempo da trascorrere confinati in casa, a fronte delle politiche di restrizioni coatte applicate e sostenuti dall’infrastruttura tecnologica che media, organizza, filtra le nostre relazioni e orienta così l’agentività che abbiamo accettato di avere sul mondo.

Molti di noi, dunque, hanno sperimentato l’isolamento, sviluppando vari livelli di accettazione e di rifiuto, esprimendo individualità a vari livelli, che è la grande differenza con il modello di devianza specificamente giapponese.

Sta accadendo forse che veniamo condotti verso una società di completi devianti , ma conformi?

Se riflettiamo su cosa può insegnarci il modello giapponese, potremmo scoprire alcune chiavi di lettura illuminanti in merito ai messaggi che ci vengono proposti, a volte in maniera ossessiva, perché chi ha interesse a imporre un radicale cambiamento nello stile di vita, come quello in atto nella popolazione italiana e più estesamente del vecchio mondo, punta ormai ad un regime che non sia di repressione attiva, molto dispendiosa in termini di risorse e instabile sul lungo periodo, ma ad un regime di autocontrollo, di isolamento volontario duraturo perché disciplinato, come quello dell’hikikomori.

Il problema su cui queste parole intendono portare il lettore a riflettere è: cosa ci rende così disciplinati? Cosa in sintesi ci condiziona fino al punto di essere remissivi, nell’adesione a questo nuovo pervasivo modello di contratto sociale che a chi scrive appare più simile ad un ricatto sociale, che può essere solo accettato cliccando sull’apposito pulsante, pena la rinuncia alla fruizione del nuovo ordine sociale?

A ben vedere l’utilizzo sapiente di senso di colpa, conformismo e stati depressivi possono ottenere un risultato utile allo scopo, ma ritengo ci sia dell’altro.

La retorica del senso di colpa e il necessario, conseguente, parossistico conformismo li osserviamo chiaramente nelle “misure di prevenzione del contagio” applicate al corpo dell’individuo, non in funzione della propria tutela ma con un tranello, rivolte alla tutela dell’altro poiché non è possibile tutelare se stessi malgrado gli espedienti messi in atto. Gli stati depressivi invece sono indotti da tutta una serie di misure indiscutibili ma che non hanno evidentemente nulla a che fare con il contenimento di un qualche tipo di contagio. Di converso corrispondono precisamente alle attività svolte nel contesto sociale che maggiormente stimolano la produzione di dopamina, noradrenalina e ossitocina, cioè sono tutte quelle cose che soddisfano il nostro bisogno di entusiasmo, piacere, legame attraverso la frequentazione e la relazione.

Alla fine, se l’esperimento avrà successo, e ci auguriamo di no, l’umanità che ne verrà fuori svilupperà l’attitudine all’isolamento come una sua propria scelta, perché sarà stata indotta ad anteporre l’interesse del gruppo, così come presentato da una fonte esterna al discernimento del singolo e avrà imparato ad accettare in nome di quello stesso interesse uno stato di nuova costante frustrazione dei desideri, adiuvata dalla massiccia presenza di surrogati tecnologici nella sua vita, trucchi per emulare ciò che si può fare nel mondo. Il problema è che i trucchi in questione soddisfano la quasi totalità dei bisogni psicologici umani ad un livello giudicato accettabile dai più e talvolta il cervello umano non sa interpretare con la dovuta efficacia la differenza fra un’interazione e la sua emulazione digitale, il che dà un’enorme contributo al processo di accettazione della “nuova normalità”.

Come si può immmaginare, allora, di prendere una strada che non conduca ad un simile scenario?

Quello che mi chiedo e chiedo spesso anche nelle maniere più indirette alle persone che ho intorno è se davvero non riescono a vederla più.

La bellezza.
E se la vedono, come la vedo ancora io, davvero non hanno più l’anelito a cercarla nel mondo?

Abbiamo iniziato questo articolo parlando di una vecchina, di cui conservo il ricordo come una fotografia preziosa e bellissima. Ebbene quella donna, benchè vivesse nella sua clausura, sapeva cos’era il bello e, anche se per me quell’esistenza rimane un mistero, non ho dubbi al riguardo, a lei non avrei mai chiesto se non avesse voglia di venir fuori a riempirsi un po’ gli occhi di meraviglia.

Invece da quasi un anno mi accompagna questo domandarmi se davvero non basta tutta la bellezza che c’è nel mondo per spingervi ad uscire fuori e tornare a gustarla, ad accarezzarla, scoprirla, come il sorriso che alcuni di voi ancora nascondono sotto un’inutile mascherina: vi ho visto.

1Saito, Hikikomori: adolescence without end. 1998

2Manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali, quarta versione. n.d.a.

Omnis

Polvere radioattiva proveniente dal Sahara sta travolgendo alcune parti…

Sembrerebbe che si stia svolgendo un allarmante disastro sanitario e, da com’è stato ampiamente segnalato questa settimana, una polvere radioattiva sta travolgendo il deserto Algerino fino ad arrivare alla regione del Sahara attraverso il Mediterraneo. Diversi scienziati dicono che questa minacciosa polvere radioattiva Sahariana sta causando un picco di inquinamento persino nelle zone dell’Europa del Sud.

L’Associazione per il Controllo della Radioattività nell’Ovest (Acro), ha riferito che gli scienziati hanno osservato come questo fenomeno sia in corso già da febbraio, quando hanno notato che tale polvere veniva rilevata in alcune aree della Francia. Dei campioni confermano che nella polvere esaminata sono state trovate alcune particelle radioattive, sollevate da una forte tempesta che di recente ha travolto il Marocco, creando a sua volta enormi nuvole polverose che hanno raccolto il materiale radioattivo rilasciato da test nucleari condotti in passato dalla Francia sull’Algeria, ai tempi loro possesso coloniale, nei primi anni ’60.

Mentre alcuni scienziati sostengono che non ciò non comporti del pericolo, altri invece avvertono che i residui del cesio 137 – un isotopo radioattivo – può richiedere delle precauzioni, come il restare chiusi in casa.

L’organizzazione non governativa francese, che monitora l’Europa per controllare i segni della contaminazione nucleare, questa settimana ha fatto sì che l’Euronews riportasse la seguente frase: “L’Acro ha detto di aver eseguito dei test sulla recente polvere Sahariana che è stata prelevata nell’area del Giura, vicino al confine francese con la Svizzera.”

“Considerando i depositi omogenei in un’ampia area, basati su questo risultato analitico, l’Acro stima che sono stati trovati 80,000 becquerel/km quadrato di cesio 137”, ha dichiarato l’organizzazione.

Ha inoltre aggiunto che “Questa contaminazione radioattiva, che arriva da molto lontano, 60 anni dopo le esplosioni nucleari, ci ricorda della perenne contaminazione radioattiva presente nel Sahara, della quale è responsabile la Francia.”

Mentre gli effetti sulla salute dovuti all’esposizione possono essere a breve termine trascurabili, si mette in dubbio che molti Europei possano sentirsi a loro agio con una tale nuvola di particelle così minacciosa che si trova in bilico sul continente.

E non è tutto, sembra che forse arriveranno molti altri depositi di polvere radioattiva:

Una nuvola piuttosto densa sta attraversando il Mediterraneo, coprendo parti della Spagna, della Francia, del Regno Unito e della Germania”, dove ora ci si aspetta il fenomeno delle piogge fangose.

E poiché questa tempesta di cui si è parlato colpisce di nuovo l’Algeria, è probabile che le particelle al suo interno riportino del cesio-137 dall’area del test nucleare francese eseguito il 13 febbraio 1960.

Quella storica detonazione aveva come nome in codice “Gerboise Bleue” – e in molti stanno ora sottolineando la profonda ironia del test atomico che è stato eseguito “attentamente” ed intenzionalmente su una colonia lontana dalla Francia, solo perché si è temuto che i suoi effetti postumi radioattivi di durata a lungo termine potessero tornare ad infestare di nuovo la popolazione francese.

Si teme anche che la polvere radioattiva possa soffiare così tanto ad est fino ad arrivare alla Turchia, infatti le autorità sanitarie turche hanno già chiesto a diverse parti della popolazione di prepararsi a restare dentro casa nei giorni a venire.

Nota del revisore: che episodi del genere siano il preludio alla presenza di un nuovo “nemico invisibile”, in grado di porre ulteriori restrizioni nelle nostre già martoriate vite? Seguiranno aggiornamenti.

Traduzione a cura di Chiara Giagnolini.
Revisione a cura di Mer Curio.
Link all’articolo originale, pubblicato il 6 marzo 2021

Musica

XVI Religion – Religion

XVI Religion – Religion

John Princekin, una mente infinita la sua, a tratti difficile da decifrare perchè immensa nella sua profondità.
Visto che l’abbiamo incontrato per ben tre giorni, andiamo a chiudere la settimana tematica riportando qualche stralcio di una sua intervista, rilasciata in occasione dell’uscita di Pyramid.
Chi meglio di lui puà farci comprendere gli intenti che spingono l’arte dei XVI Religion sempre avanti e sempre più su?

“A noi piace la fantascienza, ci mettiamo delle visioni un po’ nostre, un po’ di quello che vediamo in giro, un po’ di come ci immaginiamo l’incubo della vita che tentiamo di riprodurre tramite la nostra musica…tentiamo sempre di far pensare con noi il nostro ascoltatore, facciamo una riflessione insieme a loro. Abbiamo un riscontro di determinati tipi di persone che la pensano come noi su quello che può essere la società e il pensiero dell’uomo. Sono delle riflessioni su quello che è odierno tramite immagini di fantasia e mostri…Lo scopo è non sentirsi soli…Noi tentiamo con la nostra musica di far capire a tutte queste persone che si sono distaccate dalla società che non sono da sole, ci siamo anche noi che la pensiamo come loro e insieme a noi tantissima gente…”.

Jodorowsky diceva che bisognava pensare ad ogni nostra cellula come se fosse un universo infinito, concludiamo con una delle visioni più belle di Princekin in risposta a questo pensiero.

“…noi siamo tutti universi, differenti ed ingiudicabili perchè nessuno può giudicare il trascorso di un universo. Però allo stesso tempo tanti universi non si accorgono di essere infiniti e quando noi parliamo nei testi di questo non facciamo mai riferimenti odierni, ma aurei proprio per far capire che la coscienza di ogni individuo è infinita e ineguagliabile. Dobbiamo sentirci universi per essere davvero infiniti.”

Link canzone youtube. Per chi non visualizza il contenuto scegliendo di rifiutare i cookies.

Testo Completo

Il pezzo si apre con una bellissima citazione tratta dal film “Stalker”.
Può apparire paradossale una visione nella quale la musica è totalmente slegata dall’ideologia viste le analisi dei testi presi in considerazione finora, che rappresentano l’esatto opposto, l’attivismo che si manifesta proprio attraverso l’arte per arrivare dritto al cuore.
La vera essenza della vecchia scuola e dell’underground è senza dubbio questa, è l’espressione di tale concetto.
In particolare se parliamo di rap, è la rappresentazione e la condivisione dei propri ideali, le rime come strumento, come mezzo comunicativo per il raggiungimento di una consapevolezza maggiore anche a livello di crescita individuale, traguardi che diventano il fine ultimo in un continuo vorticare di pensieri e riflessioni, il piacere che deriva dai semplici incastri di parole, dai riferimenti fino alle analogie.

L’intro si riferisce quindi alla musica come suono universale, in questo caso può alludere alla base con tutte le sue sfaccettature, dalla più semplice alla più elaborata con loop e campionamenti vari.
Credo che in gran parte sia una questione di gusti personali, anche se la complessità di un singolo beat può lasciare senza fiato, a volte il grezzo “bum cha” con la classica e “semplice” metrica o con gli stratagemmi del flow per stare sui 4/4 può essere altrettanto sconvolgente, questa è solo la mia opinione e non vorrei risultare troppo di parte perchè per certi versi adoro quello stile, così come nell’elettronica adoro la minimal, quindi forse non faccio testo.

Mi piace pensare che più nello specifico la citazione possa rappresentare un omaggio allo scratch, altra caratteristica distintiva della cultura hip hop che merita il suo spazio.
Ho scelto “Religion” proprio per questo motivo, per gli scratch che contiene, per valorizzare questa tecnica che è in grado di regalare momenti di intensa emozione mentre ti ritrovi a scivolare anche tu avanti e indietro con la manipolazione del tempo perdendoti nella distorsione del suono sul vinile, mentre ti abbandoni facendoti cullare o trascinare, a seconda dei pezzi, dal cursore.

La musica può andare oltre le parole, forse può arrivare molto più in profondità, lo si capisce quando ci si ritrova accanto a persone che non parlano la stessa lingua, il banco di nebbia comunicativo si dissolve in un secondo, spazzato via dall’incalcolabile potere unificante del suono.
Niente a che vedere con quello che siamo soliti chiamare linguaggio, ma ciò non è inteso come l’ allontanamento dal concetto di comunicazione, al contrario, è il soffermarsi a riflettere sulle sue più svariate molteplicità, quelle ritenute possibili e perchè no, anche quelle che vengono confinate nell’ambito della suggestione.

Per intenderci, la sinergia che provano le persone accalcate sottopalco, mentre il battito dei loro cuori si sincronizza, non si può considerare vera comunicazione?
Le esperienze telepatiche sono tutte sapientemente spiegate dalla scienza con la sua tipica prospettiva riduzionistica? Spesso vengono catalogate come semplici allucinazioni.
La musica assume un ruolo centrale in tutto questo, almeno per quanto riguarda la mia personale esperienza.

Tornando alle pulsazioni, Benni apre la prima strofa con uno dei contenuti che preferisco, è il cuore che indica la strada.
Non importa se le avversità contribuiscono alla costruzione di quella corazza che lo rende inaccessibile dall’esterno, lo possiamo sempre raggiungere dall’interno.
Possiamo scegliere di tenerlo stretto, tendere l’orecchio per afferrare i suoi sussurri, per capire cosa davvero intende dirci, dove vuole portarci. Sta a noi decidere se seguirlo o soffocarlo.
In un mondo che non sentiamo più nostro, lasciamo andare tutto e il tutto perde il suo significato, non ci facciamo più impressionare dall’assurdità dei tempi che corrono, ormai non inorridiamo più di fronte all’insensatezza inumana.

L’unico baluardo ancora in piedi è la nostra musica, che fa sempre rabbrividire di piacere, è la schiettezza e la genuinità di questa passione condivisa.
Tornando alla sinergia del sottopalco, non è in alcun modo possibile scordarsi delle sensazioni che si provano ai live, quando chi sta sopra al palco versa ogni singola goccia di se stesso nelle casse e attraverso di esse colma le anime aperte e recettive, stabilendo un contatto.
Contatto che in qualche modo si trasforma in legame e si salda indissolubilmente.
Mai più soli.

“Dieci di noi posson bastare per cento di loro”


Vari riferimenti all’ipocrisia, all’alienazione e alla perdita di valori umani.
Non sono poche le difficoltà che si riscontrano di continuo nei rapporti con le persone, con la maggior parte di loro almeno.

Rarissimo invece trovare teste in sintonia, combattiamo perciò in pochi, ma compatti.
Delusi dal genere umano per l’ennesima volta perchè abbiamo creduto, di nuovo, in un legame fittizio, che in realtà esisteva solo in funzione di qualche tornaconto, qualunque sia l’interesse in questione.
Non ha importanza. Materiale o immateriale.
Per ottenere qualcosa di concreto o semplicemente per il bisogno di gonfiare l’ego e per la volontà di ostentare ciò che non si è realmente.
Questo genere di comportamento è diffusissimo, per gli eterni idealisti diventa pesante incorrere in queste dinamiche di continuo, perchè il fatto che siano ricorrenti purtroppo non riduce la delusione che portano con sè, accompagnata da una disillusione profonda, con il tempo ci si fa l’abitudine, isolandosi automaticamente per non dover affrontare quel tipo di mondo.
Una nota positiva non manca mai, anche nelle situazioni peggiori si può trovare qualcosa di buono, di certo trarne insegnamento, in questo caso sbattere contro la falsità non ci spezza, ci rinforza e soprattutto ci ricorda di restare sempre veri, in ogni istante.

“Per ogni scambio di coscienza che mi porterò per sempre dentro
Per ogni notte in cui ci penso mentre mi addormento
Cerco qualcosa di introvabile, roba da lacrime”

Pura poesia che merita di essere riportata e semplicemente sottolineata, perchè non è necessario aggiungere altro, non avrebbe senso.
Non poteva mancare un accenno alla Placca Pioneer che richiama buona parte delle tematiche ricorrenti del gruppo.

Segue lo scratch con il campionamento dei seguenti versi:
“Goditi il presente perché da domani non t’assicuro niente”
tratto da “Goditi il Presente” dei Lyricalz.
“A favore di chi è nella merda da una vita e fa parlare di sé” 
tratto dalla strofa di Lord Bean nel brano “Gli occhi della strada” in “Dio Lodato” di Joe Cassano.

Lo scratch alla fine del pezzo è favoloso, sono pittosto certa si tratti della voce campionata di Gruff ma non sono riuscita a trovare la traccia originale. Se qualcuno la riconosce me lo può far sapere??? Pleeeease!

Avanti…Entra Princekin nella seconda strofa con il suo dono evocativo, facendoci sempre alzare il mento verso il cielo, col suo sentirsi radicato e indivisibile dall’universo intero che alimenta l’arte, che accompagna le anime sul sentiero tracciato da un ideale, valori tanto forti da non poter essere dimenticati.

La passione che unisce, arde incessantemente, ci fa sentire meno soli e dona la forza di andare avanti, qualsiasi sia la condizione nella quale ci troviamo.

Con “rifugio di fortuna” potrebbe far riferimento anche alla nostra Terra, che ospita ma non possiede per citare Princekin in un’altro suo pezzo, lo sguardo sempre rivolto verso qualche nebulosa lontana, l’essere parte del tutto, il percepirsi come universi infiniti.

Unificati da questo ardore non solo smettiamo di sentirci dispersi e isolati, ritroviamo lo slancio e la conseguente energia che ci permette di mantenere un’attitudine positiva verso la vita, l’atteggiamento costruttivo necessario a realizzare ciò in cui crediamo.

In cosa crediamo?
In un sogno, in un futuro progettato su fogli scarabocchiati, sui quali l’inchiostro dilaga dando forma ad oceani sconfinati, senza più ostacoli.

I sogni e l’amore sono sullo stesso piano e non si vendono, nè si comprano; non si possono proprio stimare, nè sciupare o depredare.
Questo è un concetto che si comprende solo ed esclusivamente vivendolo.
Il verso che segue riguardo ai social lo condivido molto.
Non ho mai avuto un profilo facebook, quando mi chiedevano un contatto spesso ero costretta a giustificarmi, a sorbirmi la stessa, inutile retorica.
Sei tagliato fuori dal “mondo”, perdi l’opportunità di tenerti in “contatto” con gli “amici”, rinunci a tutte le comodità “gentilmente offerte” e non puoi evitarlo per sempre, dovrai adeguarti.

Spero sia già abbastanza chiaro il senso di tutte quelle virgolette, a volte le parole assumono un significato estremamente diverso da quello che potrebbe essere il loro valore universale, in base ai caratteri intrinseci che ognuno associa a quel determinato vocabolo.

Quando due persone pronunciano lo stesso identico termine non stanno necessariamente dicendo la stessa cosa, vogliono comunicare quello che secondo loro quella parola rappresenta ma non è detto che entrambi ci vedano dentro le stesse cose. Per questo a volte il linguaggio crea delle grosse interferenze.

Tornando ai social, esclusa l’unione iniziale per la scelta vaccinale, i primi gruppi che mi è capitato di frequentare su telegram sono quelli che stanno spuntando come i funghi in questo periodo pandemico di azioni liberticide e continue violazioni dei diritti individuali e collettivi.

Potrebbe essere una forma di aggregazione positiva se non fosse per l’atteggiamento generalizzato che si riscontra in questi contenitori di dissenso già altamente compartimentati dove una buona parte di chi si definisce “illuminato” giudica il resto del mondo con la stessa arroganza che dice di voler combattere, torna nello stesso recinto dal quale dice di voler uscire focalizzandosi sempre sui soliti argomenti nel tentativo di scardinare quei meccanismi che invece si ritrova inconsapevolmente ad alimentare.

Seguendo l’esempio di Princekin: chi ha orecchie per intendere, intenda. Chiusa parentesi.

Non poteva mancare infine un accenno ai viaggi interstellari tanto amati dai XVI Religion, che già nel 2016, forse percependo l’avvicinarsi di un periodo buio come quello che stiamo attraversando ora mentre scrivo, sentirono il bisogno di “radunare adepti per la fine dell’opera”.

Anime libere da ogni limite imposto, che sviluppano la capacità di elevarsi oltre i loro confini, che non hanno bisogno dell’approvazione di nessuno e “brillano di luce propria”.

Quella luminosità essenziale a spazzare via l’oscurità che avanza inesorabile, quella tenebra che ci avvolge, troppo spesso senza incontrare resistenza, senza alcuna difficoltà.

~Lely~