Bring Me The Horizon – Il potere terapeutico dei live…

I live per qualcuno potrebbero rappresentare un capriccio, un modo per accrescere l’ego, un businness, o qualsiasi altra cosa, potrebbero essere considerati semplicemente superflui. Potrebbero.

Per me, i live sono essenzialmente e fondamentalmente terapeutici.

La condivisione di certi stati d’animo, espressi attraverso la musica, ti mette in connessione.
Prima con delle parti di te, poi con gli altri.
Questo succede quando sei in auto, mentre fai le pulizie o prepari il pranzo, sul divano con una birra in mano dopo una giornata estenuante, sotto la doccia, quando scivoli lentamente tra le braccia di Morfeo, quando piangi, fumi o ridi. Quando vivi.

Provo queste sensazioni con la loro arte, succede a distanza e continuamente.
Nei live tutto è semplicemente amplificato, alla massima intensità, ci si fonde e al tempo stesso i contorni sono così vividi, è paradossale e mai del tutto descrivibile a parole.
Si passa il tempo dell’attesa fianco a fianco, ci si entusiasma allo stesso modo quando finalmente si spengono le luci a pochi secondi dall’inizio, ci si fa travolgere insieme dalla forza della musica e si sincronizzano i battiti del cuore.
L’energia è palpabile e condividere le transenne è un’esperienza di unione, spalla a spalla.
Lo prova la sinergia che si manifesta in piccoli gesti di solidarietà, una sigaretta offerta, dell’acqua o una stecca di liquirizia per un calo di pressione.
Quando tutto finisce ti ritrovi a dare e ricevere abbracci, anche sconosciuti, ma di una naturalezza e un’autenticità spiazzanti.

I-Days 2024
Qualche mio scatto traballante del palco e durante l’attesa, attaccati alle transenne nel caldo torrido di luglio, l’idrante una manna dal cielo =)
Dal web, una bellissima foto del parterre 💜

Ho scoperto i BMTH così, con Shadow Moses, e sono rimasta irrimediabilmente folgorata.
Le loro canzoni mi hanno accompagnata, sostenuta, fatta smarrire per poi farmi ritrovare casa, più forte.
Sono stata commossa ed entusiasmata dalla voce, scossa dai giri di batteria, pervasa dai brividi per la chitarra, con il basso che risuonava in profondità.
Mi hanno fatta sentire nel flusso, nell’esatto momento presente, mentre mi scioglievo dentro quelle note e vibravo alla stessa frequenza, come se non ci fosse più confine tra dentro e fuori, sopra o sotto, sfumano tutti i contorni ma si creano e ricreano nuove forme e col tempo, si definisce e ridefinisce l’identità.
La musica plasma.

Bologna Sonic Park – Arena Parco Nord 2019 Oli mentre canta Can you feel my heart?
La qualità delle foto è pessima, ma ho solo queste =)

Sempiternal è il mio album preferito, in pieno stile BMTH, ed è stato concepito volutamente così, senza collaborazioni, è stata una scelta quella di creare qualcosa che incarnasse solo la loro essenza, che li rappresentasse totalmente, che avesse vita eterna, uno scrigno di gemme destinate a brillare, appunto, imperituro.
E cazzo se ce l’hanno fatta. È un viaggio.

I BMTH sono un viaggio, un tortuoso, emozionante, vorticosamente caotico e bellissimo, viaggio.
Oscuro e luminoso al contempo.
Ti portano in giro, a spasso nell’anima, attraverso il loro percorso, puoi quasi scorgerne i processi. Attraversando in lungo e in largo le loro vie, intravedi e inizi a comprendere meglio le tue.

Non c’è bisogno di aggiungere alcuna parola a queste immagini

Tempo fa mi sono chiesta se le loro genuinità non fosse andata persa, rapita o corrotta da chissà quali falsi bagliori e abbaglianti promesse di nulla cosmico.

Autentica evoluzione artistica o spinte commerciali?
Nella mia testa si è staccata una valanga, di dubbi e domande, nate dalla paura delle delusioni, non perché li abbia in qualche modo idealizzati, non è il caso di erigere immutabili statue su piedistalli, ma per il semplice fatto che mi avrebbe rattristato tantissimo pensare a quella scintilla creativa chiusa in una gabbia.


Mi avrebbe proprio reso triste pensare alla loro fiamma imbrigliata da un’etichetta. Elucubrazioni.

Si tratta della cattiva abitudine chiamata rassegnazione, è l’equilibrio tra la sana accettazione dell’ineluttabile incertezza della vita e il rischio di abituarsi al bruttume dilagante, accogliendolo acriticamente.
Mi sono interrogata parecchio sulla loro evoluzione, ma sempre a livello mentale, la risposta è arrivata dalla pancia invece, dritta al cuore, e sono stati altri sensi a renderla così chiara e cristallina.
Un po’ come la loro musica, unita alla poesia che si sprigiona dal suono delle inconfondibili corde vocali di Oli. Arriva e basta.
È un linguaggio che va oltre l’ordinaria comprensione.

Questo video è spettacolare, fa arrivare tanto, in 4 minuti.
Tanto di quel che ho scritto in più di 6000 caratteri, che alla fine sono circa 4 minuti di lettura 😂

La forza di Empire è qualcosa di unico.
E il live con l’orchestra è imperdibile! Live at Royal Albert Hall

So scrivere solo riguardo a ciò che vivo realmente sulla mia pelle e queste poche righe vengono da lì, dal mio vissuto.
Quando rileggo mi sembra tutto eccessivo, come se potessi risultare ridondante a causa della mia emotività, ma riesco ad esprimermi solo in questo modo.
Quando traduco in lettere quel che sento ho il timore di risultare comprensibile solo a me stessa, quindi riporterò di seguito due considerazioni tratte da un paio di brevi articoli che sintetizzano bene ciò che vorrei passasse.

La magia della Musica sta nelle Nostre Emozioni

Il collegamento con l’immenso lavoro della Poli è lampante.

Sul canale di CgS, inserendo nella ricerca “#Poli” si trovano riassunte le citazioni per me più significative, tratte dal suo libro, per chi volesse approfondire.

L’impatto di un concerto sul benessere psicologico 

I benefici a livello fisico sarebbero riconducibili all’effetto positivo sull’intero sistema immunitario, mentre quelli a livello emotivo sono dovuti al potente senso di comunità e appartenenza.

Non sono solita leggere recensioni di album, preferisco godermeli senza condizionamenti, dalla mia prospettiva, perciò sono incappata solo ora in questo articolo del 2015, arrivato giusto giusto a conferma di quel che ho capito durante l’ultimo concerto.

L’ho capito dal sorriso di Oli mentre canta kool-aid (a 2 min. e 50 sec. nel video del post sul canale).
Il suo sguardo ha ancora quella luce, e la trasmette al suo sorriso, che brilla allo stesso modo.
Amore. Questo trasmette.

~Lely~

Gli Emirati Arabi Uniti stanno sviluppando droni “Turba-nubi” per…

Dai droni di sorveglianza ai droni per la guerra armata, dai droni con I.A. ai droni per le consegne, sembra che ogni anno gli sviluppatori e i ricercatori tecnologici escogitino qualche nuova applicazione inaspettata per gli UAV, portando l’umanità più vicina a un futuro scenario distopico alla Skynet dove i robot dominano i cieli sopra di noi.

Questo è precisamente ciò che viene in mente con l’ultimo progetto riguardante i droni dagli Emirati Arabi Uniti. L’ultra-ricco sceiccato del petrolio e del gas sta sviluppando “droni di ingegneria meteorologica” che possono produrre pioggia o alterare i modelli meteorologici.

La tecnologia viene descritta come incentrata sulla capacità dei droni di fornire una scossa elettrica mentre si librano tra le nuvole. Mentre gli Emirati Arabi Uniti investono già nella tecnologia di “cloud-seeding” con altri mezzi, a causa dei suoi soli 100 mm all’anno di precipitazioni medie, attualmente stanno cercando più modi per “seminare” ed essenzialmente “ingegnerizzare” ciò che fanno le nuvole.

La BBC descrive quest’ultima iniziativa come segue:

Droni che volano tra le nuvole, dando loro una scossa elettrica per "persuaderle" a produrre pioggia, stanno per essere testati negli Emirati Arabi Uniti.

Il paese utilizza già la tecnologia del cloud-seeding, lasciando cadere il sale per indurre le precipitazioni.

...Nel 2017, il governo ha fornito 15 milioni di dollari (10,8 milioni di sterline) per nove diversi progetti di aumento delle precipitazioni.

E citando un esperto del settore: “Il progetto mira a cambiare l’equilibrio della carica elettrica sulle particelle che compongono la nuvola, ha spiegato il Prof Maarten Ambaum, che ha lavorato al progetto”, continua la BBC.

La carica elettrica permette teoricamente alle minuscole goccioline d’acqua presenti nelle nuvole di “fondersi e attaccarsi insieme” per diventare abbastanza grandi da cadere come gocce di pioggia.

Un team di scienziati del Regno Unito dovrebbe dirigere l’iniziativa in collaborazione con il governo degli Emirati Arabi Uniti. Arab News riporta inoltre che “Gli Emirati Arabi Uniti hanno pagato 1,4 milioni di dollari al team britannico per testare come una carica elettrica possa espandere e unire le gocce d’acqua per svilupparsi in precipitazioni”.

Gli Emirati Arabi Uniti sono effettivamente noti per avere un’abbondanza di nuvole ogni giorno; tuttavia, raramente tali nubi diventano un’effettiva precipitazione.

Traduzione a cura di Mer Curio
FONTE:LINK [Disponibile fino al 19 aprile, dopo tale giorno diventerà disponibile solo agli utenti premium di ZeroHedge, ci scusiamo dell’inconveniente]

Polvere radioattiva proveniente dal Sahara sta travolgendo alcune parti…

Sembrerebbe che si stia svolgendo un allarmante disastro sanitario e, da com’è stato ampiamente segnalato questa settimana, una polvere radioattiva sta travolgendo il deserto Algerino fino ad arrivare alla regione del Sahara attraverso il Mediterraneo. Diversi scienziati dicono che questa minacciosa polvere radioattiva Sahariana sta causando un picco di inquinamento persino nelle zone dell’Europa del Sud.

L’Associazione per il Controllo della Radioattività nell’Ovest (Acro), ha riferito che gli scienziati hanno osservato come questo fenomeno sia in corso già da febbraio, quando hanno notato che tale polvere veniva rilevata in alcune aree della Francia. Dei campioni confermano che nella polvere esaminata sono state trovate alcune particelle radioattive, sollevate da una forte tempesta che di recente ha travolto il Marocco, creando a sua volta enormi nuvole polverose che hanno raccolto il materiale radioattivo rilasciato da test nucleari condotti in passato dalla Francia sull’Algeria, ai tempi loro possesso coloniale, nei primi anni ’60.

Mentre alcuni scienziati sostengono che non ciò non comporti del pericolo, altri invece avvertono che i residui del cesio 137 – un isotopo radioattivo – può richiedere delle precauzioni, come il restare chiusi in casa.

L’organizzazione non governativa francese, che monitora l’Europa per controllare i segni della contaminazione nucleare, questa settimana ha fatto sì che l’Euronews riportasse la seguente frase: “L’Acro ha detto di aver eseguito dei test sulla recente polvere Sahariana che è stata prelevata nell’area del Giura, vicino al confine francese con la Svizzera.”

“Considerando i depositi omogenei in un’ampia area, basati su questo risultato analitico, l’Acro stima che sono stati trovati 80,000 becquerel/km quadrato di cesio 137”, ha dichiarato l’organizzazione.

Ha inoltre aggiunto che “Questa contaminazione radioattiva, che arriva da molto lontano, 60 anni dopo le esplosioni nucleari, ci ricorda della perenne contaminazione radioattiva presente nel Sahara, della quale è responsabile la Francia.”

Mentre gli effetti sulla salute dovuti all’esposizione possono essere a breve termine trascurabili, si mette in dubbio che molti Europei possano sentirsi a loro agio con una tale nuvola di particelle così minacciosa che si trova in bilico sul continente.

E non è tutto, sembra che forse arriveranno molti altri depositi di polvere radioattiva:

Una nuvola piuttosto densa sta attraversando il Mediterraneo, coprendo parti della Spagna, della Francia, del Regno Unito e della Germania”, dove ora ci si aspetta il fenomeno delle piogge fangose.

E poiché questa tempesta di cui si è parlato colpisce di nuovo l’Algeria, è probabile che le particelle al suo interno riportino del cesio-137 dall’area del test nucleare francese eseguito il 13 febbraio 1960.

Quella storica detonazione aveva come nome in codice “Gerboise Bleue” – e in molti stanno ora sottolineando la profonda ironia del test atomico che è stato eseguito “attentamente” ed intenzionalmente su una colonia lontana dalla Francia, solo perché si è temuto che i suoi effetti postumi radioattivi di durata a lungo termine potessero tornare ad infestare di nuovo la popolazione francese.

Si teme anche che la polvere radioattiva possa soffiare così tanto ad est fino ad arrivare alla Turchia, infatti le autorità sanitarie turche hanno già chiesto a diverse parti della popolazione di prepararsi a restare dentro casa nei giorni a venire.

Nota del revisore: che episodi del genere siano il preludio alla presenza di un nuovo “nemico invisibile”, in grado di porre ulteriori restrizioni nelle nostre già martoriate vite? Seguiranno aggiornamenti.

Traduzione a cura di Chiara Giagnolini.
Revisione a cura di Mer Curio.
Link all’articolo originale, pubblicato il 6 marzo 2021

Perché WhatsApp non sarà mai sicuro

Pavel Durov (May 15, 2019) – traduzione di A.Solinas

Il mondo sembra essere scioccato dalla notizia che WhatsApp abbia trasformato qualsiasi telefono in uno spyware. Tutto ciò che è presente sul tuo telefono, comprese foto, e-mail e testi, è accessibile agli hacker solo perché hai installato WhatsApp [1].

Questa notizia non mi ha sorpreso, però. L’anno scorso WhatsApp ha dovuto ammettere che aveva un problema molto simile: una singola videochiamata tramite WhatsApp era tutto quello che un hacker necessitava per ottenere l’accesso a tutti i dati del telefono [2].

Ogni volta che WhatsApp deve risolvere una vulnerabilità critica nella loro app, una nuova sembra prendere il suo posto. Tutti i loro problemi di sicurezza sono efficacemente adatti per la sorveglianza, sembrando e lavorando molto, come backdoor.

A differenza di Telegram, WhatsApp non è open source, quindi non c’è modo per i ricercatori sulla sicurezza di verificare facilmente se ci sono backdoor nel suo codice. WhatsApp non solo non pubblica il suo codice, ma fa esattamente l’opposto: WhatsApp oscura deliberatamente i binari della sua app per assicurarsi che nessuno sia in grado di studiarli a fondo.

WhatsApp e la sua società madre Facebook potrebbero persino essere obbligati a implementare backdoor – tramite processi segreti come gli ordini di aprire bocca dell’FBI [3]. Non è facile eseguire un’applicazione di comunicazione protetta dagli Stati Uniti. La nostra squadra ha passato una singola settimana negli Stati Uniti nel 2016 procurandosi tre tentativi di infiltrazione da parte dell’FBI [4] [5]. Immagina cosa possono fare 10 anni in quell’ambiente in un’azienda americana.

Le agenzie di sicurezza usano gli sforzi anti-terrorismo per giustificare l’impianto di backdoor. Il problema è che tali backdoor possono essere utilizzate anche da criminali e governi autoritari. Non c’è da stupirsi che i dittatori sembrino adorare WhatsApp: la sua mancanza di sicurezza consente loro di spiare la propria gente, quindi WhatsApp continua a essere liberamente disponibile in posti come la Russia o l’Iran, dove Telegram è bandito dalle autorità [6].

In effetti, ho iniziato a lavorare su Telegram come risposta diretta alla pressione personale delle autorità russe. Allora, nel 2012, WhatsApp stava ancora trasferendo messaggi in plaintext (ndr, testo semplice). Era folle. Non solo governi o hacker, ma i provider di telefonia mobile e gli amministratori WiFi avevano accesso a tutti i testi di WhatsApp [7] [8].

Successivamente WhatsApp ha aggiunto un po ‘di crittografia, che si è rivelata rapidamente uno stratagemma di marketing: la chiave per decodificare i messaggi era disponibile per diversi governi, incluso quello russo [9]. Poi, mentre Telegram iniziava a guadagnare popolarità, i fondatori di WhatsApp vendettero la loro azienda a Facebook e dichiararono che “La privacy era nel loro DNA” [10]. Se fosse vero, doveva essere in un gene dormiente o recessivo.

3 anni fa WhatsApp ha annunciato di aver implementato la crittografia end-to-end in modo che “nessun terzo possa accedere ai messaggi”. Questo ha coinciso con una spinta aggressiva per tutti i suoi utenti a eseguire il backup delle chat nel cloud. Quando ha effettuato questa operazione, WhatsApp non ha comunicato ai propri utenti che, una volta eseguito il backup, i messaggi non erano più protetti dalla crittografia end-to-end e dunque accessibili agli hacker e alle forze dell’ordine [11]. Un marketing brillante per il quale alcune persone ingenue stanno ancora scontando il loro tempo in prigione come risultato [12].

Gli utenti di WhatsApp abbastanza resilienti da non cadere ai pop-up costanti che dicono loro di eseguire il backup delle loro chat possono ancora essere tracciati da una serie di altri trucchi: dall’accesso ai backup dei loro contatti alle modifiche invisibili della chiave di crittografia [13]. I metadati generati dagli utenti di WhatsApp – tracce che descrivono chi chatta con chi e quando – vengono divulgati a tutti i tipi di agenzie, in grandi volumi dalla società madre di WhatsApp [14].

WhatsApp ha una storia consistente – dalla crittografia zero all’inizio, fino a una serie di problemi di sicurezza stranamente adatti a scopi di sorveglianza. Guardando indietro, non c’è stato un solo giorno nel tragitto di 10 anni di WhatsApp, in cui il servizio è stato sicuro. Ecco perché non penso che solo l’aggiornamento dell’app mobile di WhatsApp, possa renderlo sicuro per chiunque. Perché WhatsApp diventi un servizio orientato alla privacy, deve rischiare di perdere interi mercati e scontrarsi con le autorità nel suo paese d’origine. Non sembrano essere pronti per quello [15].

L’anno scorso, i fondatori di WhatsApp hanno lasciato la società a causa delle preoccupazioni sulla privacy degli utenti [16]. Sono sicuramente legati da ordini di bavaglio o NDA (accordo di non divulgazione, ndr), quindi non sono in grado di discutere apertamente sulle backdoor, senza rischiare la loro fortuna e libertà. Sono stati in grado di ammettere, tuttavia, che “hanno venduto la privacy dei loro utenti” [17].

Riesco a capire la riluttanza dei fondatori di WhatsApp a fornire maggiori dettagli: non è facile mettere a repentaglio il tuo comfort. Diversi anni fa ho dovuto lasciare il mio paese dopo aver rifiutato di conformarmi alle violazioni della privacy degli utenti di VK sanzionate dal governo [18]. Non è stato piacevole. Farei qualcosa di simile di nuovo? Con piacere. Alla fine ognuno di noi morirà, ma noi, come specie, resteremo per un po ‘. Ecco perché penso che accumulare denaro, fama o potere sia irrilevante. Servire l’umanità è l’unica cosa che conta davvero nel lungo periodo.

Eppure, nonostante le nostre intenzioni, sento di deludere l’umanità in questa faccenda dello spyware di WhatsApp. Un sacco di persone non possono smettere di usare WhatsApp, perché i loro amici e familiari sono ancora lì. Ciò significa che noi di Telegram abbiamo fatto un brutto lavoro nel persuadere le persone a passare. Mentre abbiamo attirato centinaia di milioni di utenti negli ultimi cinque anni, non era abbastanza. La maggior parte degli utenti di Internet è ancora in ostaggio dall’impero Facebook / WhatsApp / Instagram. Molti di coloro che usano Telegram sono anche su WhatsApp, il che significa che i loro telefoni sono ancora vulnerabili. Anche chi ha abbandonato completamente WhatsApp probabilmente sta ancora usando Facebook o Instagram, entrambi pensano che sia OK archiviare le password in chiaro [19] [20] (Non riesco ancora a credere che un’azienda tecnologica possa fare qualcosa del genere e farla franca con esso).

Nei suoi quasi 6 anni di esistenza, Telegram non ha avuto perdite di dati o falle di sicurezza del tipo che WhatsApp dimostra ogni pochi mesi. Negli stessi 6 anni, abbiamo rivelato esattamente zero byte di dati a terze parti, mentre Facebook / WhatsApp hanno condiviso praticamente tutto con tutti coloro che hanno affermato di aver lavorato per un governo [13].

Poche persone al di fuori della community dei fan di Telegram si rendono conto che la maggior parte delle nuove funzionalità di messaggistica vengono visualizzate per la prima volta su Telegram e quindi vengono copiate in carta carbone da WhatsApp fino ai minimi dettagli. Più recentemente stiamo assistendo al tentativo di Facebook di prendere in prestito l’intera filosofia di Telegram, con Zuckerberg che improvvisamente dichiara l’importanza della privacy e della velocità, citando praticamente la descrizione dell’app di Telegram parola per parola nel suo discorso F8.

Ma lamentarsi dell’ipocrisia di Facebook e della mancanza di creatività non aiuterà. Dobbiamo ammettere che Facebook sta attuando una strategia efficiente. Guarda cosa hanno fatto a Snapchat [21].

Noi di Telegram dobbiamo riconoscere la nostra responsabilità nel formare il futuro. Siamo noi o il monopolio di Facebook. È o libertà e privacy o avidità e ipocrisia. Il nostro team ha gareggiato con Facebook negli ultimi 13 anni. Li abbiamo già battuti una volta, nel mercato dei social network dell’Europa orientale [22]. Li batteremo di nuovo nel mercato globale della messaggistica. Dobbiamo farlo.

Non sarà facile. Il reparto commerciale di Facebook è enorme. Noi di Telegram, invece, facciamo zero marketing. Non vogliamo pagare giornalisti e ricercatori per dire al mondo di Telegram. Per questo, ci affidiamo a te, ai milioni di nostri utenti. Se ti piace abbastanza Telegram, lo dirai ai tuoi amici. E se ogni utente di Telegram persuade 3 dei propri amici a cancellare WhatsApp e a spostarsi permanentemente su Telegram, Telegram sarà già più popolare di WhatsApp.

L’epoca dell’avidità e dell’ipocrisia finirà. Inizia un’era di libertà e privacy. È molto più vicino di quanto sembri.

References

[1] Business Insider WhatsApp was hacked and attackers installed spyware on people’s phonesMay 15, 2019

[2] Security Today WhatsApp Bug Allowed Hackers to Hijack AccountsOctober 12, 2018

[3] Wikipedia Gag order – United States

[4] Neowin FBI asked Durov and developer for Telegram backdoor – September 19, 0271

[5] The Baffler The Crypto-Keepers – September 17, 2017

[6] New York Times What Is Telegram, and Why Are Iran and Russia Trying to Ban It? – May 2, 2018

[7] YourDailyMac Whatsapp leaks usernames, telephone numbers and messages – May 19, 2011

[8] The H Security Sniffer tool displays other people’s WhatsApp messages – May 13, 2012

[9] FilePerms WhatsApp is broken, really broken – September 12, 2012

[10] International Business Times Respect for Privacy Is Coded Into WhatsApp’s DNA: Founder Jan Koum – March 18, 2014

[11] Independent WhatsApp Update Brings Backups That Are Not Encrypted and So Could Allow People to Read Messages – August 28, 2018

[12] Slate How Did the FBI Access Paul Manafort’s Encrypted Messages? – June 5, 2018

[13] AppleInsider WhatsApp backdoor defeats end-to-end encryption, potentially allows Facebook to read messages – January 13, 2017

[14] Forbes Forget About Backdoors, This Is The Data WhatsApp Actually Hands To Cops – January 22, 2017

[15] New York Times Facebook Said to Create Censorship Tool to Get Back Into China – November 22, 2016

[16] The Verge WhatsApp co-founder Jan Koum is leaving Facebook after clashing over data privacy – April 30, 2018

[17] CNET WhatsApp co-founder: ‘I sold my users’ privacy’ with Facebook acquisition – September 25, 2018

[18] New York Times Once celebrated in Russia, programmer Pavel Durov chooses exile – December 2, 2014

[19] TechCrunch Facebook admits it stored ‘hundreds of millions’ of account passwords in plaintext – March 21, 2019

[20] Engadget Facebook stored millions of Instagram passwords in plain text – 18 April, 2019

[21] Vanity Fair Snapchat is doing so badly, the feds are getting involved – November 14, 2018

[22] HuffPost Vkontakte, Facebook Competitor In Russia, Dominates – October 26, 2012

L’errore medico è la terza causa di morte negli…

Scritto da Marcia Frellick il 3 maggio 2016, traduce Mer Curio.

L’errore medico è la terza causa di morte negli Stati Uniti, dopo le malattie cardiache e il cancro, secondo i risultati pubblicati sul British Medical Journal.

Come tale, gli errori medici dovrebbero essere una priorità assoluta per la ricerca e le risorse, dicono gli autori Martin Makary, MD, MPH, professore di chirurgia, e il suo collega ricercatore Michael Daniel, della Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora, Maryland.

Ma le informazioni accurate e trasparenti su tali errori non vengono trascritti nei certificati di morte, che sono i documenti che i Centers for Disease Control and Prevention (CDC) usano per classificare le cause di morte e stabilire le priorità sanitarie. I certificati di morte dipendono dai codici della Classificazione Internazionale delle Malattie (ICD) per la causa della morte, quindi cause come gli errori umani e di sistema non sono registrati su di essi.

E non si tratta solo degli Stati Uniti. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, 117 paesi codificano le loro statistiche di mortalità usando il sistema ICD come indicatore primario dello stato di salute.

Gli autori chiedono una migliore segnalazione per aiutare a catturare la scala del problema e creare strategie per ridurlo.

Cancro e malattie cardiache ottengono l’attenzione

“Le prime cause di morte riportate dal CDC indirizzano il finanziamento della ricerca del nostro paese e le priorità della salute pubblica”, ha detto il dottor Makary in un comunicato stampa dell’università. “In questo momento, il cancro e le malattie cardiache ricevono un sacco di attenzione, ma poiché gli errori medici non appaiono nella lista, il problema non riceve i finanziamenti e l’attenzione che merita”.

Egli aggiunge: “I tassi d’incidenza delle morti direttamente attribuibili a cure mediche sbagliate non sono stati riconosciuti in nessun metodo standardizzato per la raccolta di statistiche nazionali. Il sistema di codifica medica è stato progettato per massimizzare la fatturazione dei servizi medici, non per raccogliere statistiche sanitarie nazionali, come è attualmente utilizzato”.

I ricercatori hanno esaminato quattro studi che hanno analizzato i dati del tasso di mortalità medica dal 2000 al 2008. Poi, utilizzando i tassi di ammissione dell’ospedale dal 2013, hanno estrapolato che, sulla base di 35.416.020 ricoveri, 251.454 morti derivavano da un errore medico.

Questo numero di morti si traduce nel 9,5% di tutte le morti ogni anno negli Stati Uniti – e mette l’errore medico sopra la precedente terza causa principale, le malattie respiratorie.

Nel 2013, 611.105 persone sono morte di malattie cardiache, 584.881 di cancro e 149.205 di malattie respiratorie croniche, secondo il CDC.

Le nuove stime sono notevolmente superiori a quelle del rapporto dell’Istituto di Medicina del 1999 “To Err Is Human”. Tuttavia, gli autori notano che i dati usati per quel rapporto “sono limitati e superati”.

Strategie per il cambiamento

Gli autori suggeriscono diversi cambiamenti, tra cui rendere gli errori più visibili in modo che i loro effetti possano essere compresi. Spesso, le discussioni sulla prevenzione avvengono in forum limitati e confidenziali, come le conferenze di dipartimento sulla morbilità e mortalità.

Un altro è modificare i certificati di morte per includere non solo la causa della morte, ma un campo extra che chiede se una complicazione prevenibile derivante dalla cura del paziente ha contribuito alla morte.

Gli autori suggeriscono anche che gli ospedali svolgano un’indagine indipendente rapida ed efficiente sui decessi per determinare se l’errore ha avuto un ruolo in esso. Un approccio di analisi delle cause alla radice aiuterebbe, pur offrendo la protezione dell’anonimato, dicono.

La raccolta di dati standardizzati e la segnalazione sono anche necessari per costruire un quadro nazionale accurato del problema.

Jim Rickert, MD, un ortopedico di Bedford, Indiana, e presidente della Society for Patient Centered Orthopedics, ha detto a Medscape Medical News di non essere sorpreso che gli errori siano arrivati al terzo posto e che anche questi calcoli non raccontano tutta la storia.

“Questi numeri non includono nemmeno gli uffici dei medici e i centri di assistenza ambulatoriale”, nota. “Questi riguardano solo gli errori durante il ricovero ospedaliero“.

Penso che la maggior parte della gente sottovaluti il rischio di errore quando cerca cure mediche“, ha detto.

Inoltre concorda sul fatto che aggiungere un campo ai certificati di morte per indicare l’errore medico è probabilmente il modo per ottenere l’attenzione che gli errori medici meritano.

“È la pressione pubblica che porta al cambiamento. Gli ospedali non hanno alcun incentivo a pubblicizzare gli errori, né i medici o qualsiasi altro fornitore”.
“Tuttavia, un passo così importante come l’aggiunta di informazioni sugli errori ai certificati di morte è improbabile se non accompagnato da una riforma sugli illeciti in ambito medico”, continua.

“Tuttavia, questo studio aiuta a sottolineare la prevalenza degli errori”, ha aggiunto.

L’errore umano è inevitabile, riconoscono gli autori, ma “possiamo misurare meglio il problema per progettare sistemi più sicuri che mitigano la sua frequenza, visibilità e conseguenze”.

Aggiungono che la maggior parte degli errori non sono causati da “cattivi” medici ma da fallimenti sistemici e non dovrebbero “essere affrontati con punizioni o azioni legali”.

La nascita dell’agricoltura ha provocato anche aumento esponenziale della…

Notizia pubblicata il 4 marzo 2020

Un nuovo studio pubblicato su Environmental Archaeology mostra un interessante collegamento: la crescita dell’agricoltura ha portato ad una collaborazione tra gruppi umani sempre più ampia ma al contempo ha portato anche ad un aumento e a picchi di violenza.
I ricercatori dell’UConn, dell’Università dello Utah, della Troy University e della California State University, Sacramento, hanno esaminato in particolare lo sviluppo della crescita dell’agricoltura da 7500 a 5000 anni fa.

I ricercatori sono arrivati alla conclusione che l’agricoltura ha favorito nuove tipologie di cooperazione tra gli esseri umani, cosa per certi versi anche prevedibile, ma ha favorito anche la nascita di un tipo di violenza sempre più elaborata, in particolare di quella perpetrata da gruppi o vere e proprie organizzazioni.
Inizialmente i ricercatori non si aspettavano un collegamento con l’aumento della violenza: erano interessati a capire perché gli esseri umani, ad un certo punto della loro storia, sono passati dalla caccia e dalla raccolta ad un sistema come quello dell’agricoltura. Uno studio antropologico come tanti.

Poi Elic Weitzel, ricercatore con dottorato di ricerca alla UConn in antropologia, ha cominciato a collezionare dati sempre più ampi e su larga scala. Ha cominciato a capire come gli individui si distribuiscono in un’area e come i gruppi iniziano ad occupare per primi le posizioni migliori.
Le aree migliori sono quelle che favoriscono l’accesso a cibo, acqua, materie prime e rifugi.
Il ricercatore notava che nelle aree con le migliori posizioni c’erano gruppi di persone più ampi e maggiori conflitti sociali, cosa che conseguenzialmente portava ad un livello maggiore di violenza.

“Se vivi in ​​un’area adatta, puoi rivendicarla e impedire ad altri di accedere a ciò che hai. Questo diventa un processo cooperativo, perché una persona non è efficace quanto un intero gruppo nella difesa di un territorio”.
Secondo un altro autore dello studio, Stephen Carmody, ricercatore della Troy University, l’agricoltura è stata una delle transizioni che ha avuto più conseguenze nella storia dell’umanità e che ha cambiato, tra l’altro, l’intera situazione economica umana.

L’agricoltura stessa ha portato a sforzi sempre più combinati, tra gruppi di persone, per favorire non solo la raccolta ma anche la difesa del raccolto stesso e delle scorte, cosa che ha aumentato la cooperazione interpersonale ma che ha portato anche ad una maggiore violenza.
Sempre più gruppi, infatti, miravano ad acquisire il raccolto di altri gruppi nei casi in cui il loro raccolto era fallito, per esempio.
L’aumento della violenza viene testimoniato anche dall’aumento degli scheletri di persone morte per atti violenti risalenti proprio al periodo dell’inizio dell’agricoltura.

Approfondimenti

Articoli correlati

Cannibalismo e identità. Spunti di riflessione

Riproponiamo qui l’articolo pubblicato da Antonella Modica su “Dialoghi Mediterranei” il 1 luglio 2015.

 Théodore De Bry,Scene di Cannibalismo
Théodore De Bry, Scene di Cannibalismo

«Era con noi un ragazzo che aveva in mano un osso della gamba dello schiavo con su ancora un po’ di carne e la stava mangiando. Gli dissi di gettar via l’osso. Allora si arrabbiò e con lui gli altri: affermarono che quello era il loro giusto pasto» (Staden, 1991:69). Uomini che mangiano uomini, uomini che cucinano uomini. Il cannibalismo, tra tutti, è il tabù che più spaventa l’uomo poiché mette in pericolo non solo l’individuo in quanto ipotetica vittima ma la prosecuzione stessa delle specie.

Cibarsi volontariamente di un proprio conspecifico è universalmente considerato un atto ripugnante, meschino e privo di qualunque logicità. È necessario amare i nostri simili, accudirli e proteggerli se necessario: il cannibale infrange tali regole e ciò lo pone in una condizione liminare, tra l’umanità e la bestialità. È questo uno dei motivi per cui il cannibalismo ha da sempre destato l’interesse e la curiosità dell’Occidente “civilizzato” che lo ha associato a forme estreme di barbarie umana, attribuendolo a uomini simili ad animali, privi delle elementari regole della convivenza sociale. Accuse di cannibalismo rivolte da un gruppo umano ad un altro sono frequenti nella storia e sono ben spiegabili con la paura degli “estranei” e con la necessità di distinguere la propria “civiltà” dall’altrui “barbarie”.

L’interesse per il fenomeno cannibalico si palesa soprattutto nella produzione letteraria: molte opere, a partire già dalle Storie di Erodoto, rivelano spesso la curiosità, l’interesse ma anche l’orrore e il disgusto per una pratica considerata selvaggia e primitiva. Nelle Storie così Erodoto scrive:

A settentrione, al di là del deserto che si estende oltre le terre degli Sciti, vivono gli Androfagi, tra di loro si praticano gli usi più selvaggi del mondo e sono un popolo senza giustizia e senza nessuna legge. Sono nomadi, vanno vestiti in modo simile agli Sciti, parlano una loro lingua e, tra quei popoli, sono gli unici che mangiano carne umana (Erodoto, IV: 106).

Il cannibalismo, però, è stato oggetto di grande interesse e attenzione solo a partire dal XVI secolo; viaggiatori, missionari e funzionari coloniali hanno raccolto e pubblicato una gran quantità di testimonianze sul fenomeno che rappresentava, a loro dire, una delle caratteristiche principali dei popoli primitivi con cui erano entrati in contatto durante i loro viaggi. Ciononostante, paradossalmente, è il fenomeno meno conosciuto ed esplorato dalla letteratura antropologica. Uno studio scientifico sulle sue origini comincia solo tra la fine del XIX e l’inizio del XX secolo ma, vista l’impossibilità e la difficoltà di elaborare risposte soddisfacenti ed univoche al problema, l’antropologia ha abbandonato questo filone di ricerca impegnandosi nell’analisi del fenomeno da prospettive differenti, approssimative e influenzate da pregiudizi, ponendo spesso le basi per giudizi di valore negativi.

Allo studio del cannibalismo si dedicarono soprattutto gli antropologi della scuola storico-culturale, fra cui Ewald Volhard, giovane antropologo che nel 1939 pubblicò un volume dal titolo Il cannibalismo, nel quale raccolse, con minuzia di particolari, una gran quantità di testimonianze relative a pratiche che implicano il consumo di carne umana, basate su racconti diretti di esploratori, missionari ed etnologi.

Gli innumerevoli fenomeni singolari del cannibalismo possono classificarsi, in base a quello che essi stessi offrono come contenuto significativo, in quattro gruppi principali: cannibalismo profano, giuridico, magico e rituale. Come il cannibalismo profano è quello più povero di significato, così quello rituale è il più ricco (Volhard, 1991: 441).

L’opera di Volhard contribuì a collocare il fenomeno cannibalico all’interno di un più ampio contesto simbolico e religioso, scartando l’idea di una ipotetica origine primitiva e selvaggia, distruggendo il mito del cannibalismo che si configurava come una forma estrema di razzismo e paura dell’altro, del diverso da noi, che spingeva ad attribuire tale pratica, spesso in maniera del tutto fantasiosa, a popolazioni lontane nel tempo e nello spazio e quindi facilmente etichettabili come barbare. Si è oggi ben compreso che

l’orizzonte cannibale […] è un elemento costitutivo della cultura, di tutte le culture in diverso grado. A questo titolo è produttore di pratiche sociali, culturali, politiche e religiose e si manifesta nelle forme più varie: il mito, il racconto, l’attività artistica, le produzioni inconsce, l’espressione amorosa, la manifestazione delle identità, i simboli religiosi, le relazioni di potere, le rappresentazioni del corpo e della malattia, lo spazio della parentela (Kilani, 2005: 276).

Si è però ancora lontani dall’inserire l’analisi del fenomeno all’interno di una problematica antropologica più ampia che ricomprenda al suo interno tutti gli aspetti del problema e che ne possa restituire una visione il più possibile completa e coerente, libera da giudizi di valore. Semplificando, l’universalità del cannibalismo, nelle varie forme che assume e sotto le quali si presenta, risiede nella sua straordinaria capacità di organizzare e discretizzare la realtà, di costruire identità e alterità: attraverso la pratica cannibalica l’uomo si presenta e si rappresenta, costruisce modelli che servono ad articolare il suo rapporto con gli altri, con la vita e la morte, ad organizzare campi di significati derivanti dalla produzione culturale dell’uomo e della cultura. L’appartenenza di un individuo ad un gruppo sociale dipende dalla condivisione, anche parziale, da parte di tutti i membri, di determinati modelli culturali attraverso i quali costruire i confini che delimitano il “noi” dagli “altri”, gli “uguali” dai “diversi”. Le pratiche cannibaliche, al pari di qualunque attività politica, religiosa, sociale e culturale, possono così essere considerate come uno spazio all’interno del quale si costruiscono e si affermano le identità del singolo e del gruppo in relazione all’altro da loro.

Théodore De Bry,Scene di cannibalismo
Théodore De Bry, Scene di cannibalismo (1596)

Comprendere il complesso meccanismo alla base del processo di costruzione identitaria, attraverso la particolare pratica del cannibalismo, può diventare, se usato correttamente, un utile strumento di interpretazione critica della realtà contemporanea in cui quotidianamente agiscono sistemi di codificazione identitaria simili nella sostanza ma dissimili nella forma.

Per tentare di comprendere tale fenomeno è importante inserirlo e collocarlo all’interno del vasto universo simbolico comprendente la concezione della vita, della morte e la continuità di un gruppo sociale. Prescindendo dai casi di cannibalismo per necessità quando, a causa di carestie, guerre o situazioni eccezionali, di fatto la carne umana costituisce l’unico cibo disponibile, nelle società che lo praticano il cannibalismo si configura come un atto rituale che presuppone l’esistenza di regole condivise dal gruppo, relativamente, per esempio, alle modalità di uccisione e smembramento del corpo della vittima, alla distinzione tra parti commestibili e parti proibite, alla loro attribuzione (alcuni organi possono essere riservati o vietati a determinate categorie di persone), alle modalità di preparazione delle carni.

Quindi nell’analizzare il fenomeno una prima importante distinzione da fare è quella tra cannibalismo rituale, di specifico interesse per l’antropologia culturale, consistente nel mangiare parti del corpo umano a scopo magico o religioso, e cannibalismo di penuria. Quest’ultimo ha un significato puramente alimentare, è un mezzo per sopravvivere in situazioni di grave carestia, assoluta mancanza di cibo o gravi difficoltà nell’approvvigionamento alimentare.

A questo particolare tipo di cannibalismo si riferisce Polibio nelle Storie quando scrive:

Nel periodo in cui Annibale progettava di preparare con le truppe la marcia dall’Iberia in Italia, e si preannunciavano enormi difficoltà per i viveri e la disponibilità di rifornimenti per le truppe […] uno degli amici […] espresse il parere secondo cui gli si presentava una sola via che consentisse di arrivare in Italia. Quando Annibale lo invitò a parlare, disse che bisognava addestrare e abituare le truppe a mangiare carne umana (Polibio, IX; 24).

Interessante è quanto scritto da Lévi Strauss in Tristi Tropici:

Nessuna società è profondamente buona e nessuna è assolutamente cattiva […] Prendiamo il caso dell’antropofagia che, di tutti gli usi selvaggi è senza dubbio quello che ci ispira più orrore e disgusto. Bisognerà prima di tutto dissociarne le forme propriamente alimentari, cioè quelle per cui l’appetito della carne umana si spiega con la mancanza di altro nutrimento animale, come in alcune isole polinesiane. Da quella fame violenta nessuna società è moralmente protetta; la fame può spingere gli uomini a mangiare qualsiasi cosa e ne è prova l’esempio recente dei campi di sterminio (Lévi Strauss, 2008: 331-332).
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Un’ulteriore importante distinzione è quella tra endocannibalismo ed esocannibalismo. L’endocannibalismo si presenta come una fase delle cerimonie funebri in cui viene consumata parte del corpo del defunto affinché il suo spirito possa continuare a sopravvivere, evitando così che il gruppo, con la morte del congiunto, ne perda le qualità. Tale forma di cannibalismo solitamente non prevede l’uccisione della vittima ma si focalizza su persone già morte. La loro carne e le loro ossa rappresentano simbolicamente la rigenerazione e la trasmissione dei valori sociali e della fertilità da una generazione alla successiva. In molti popoli era previsto il consumo delle ceneri dei defunti, della loro carne carbonizzata o delle ossa triturate che, mescolate con bevande, venivano ingerite, prolungando la vita dell’estinto. Esempio di tale pratica sono i Yanoama dell’Amazzonia e della Nuova Guinea che cremano i resti dei loro defunti ingerendone le ceneri durante particolari cerimonie rituali. Secondo le loro credenze soltanto così sarà possibile all’anima del defunto abbandonare il corpo e tornare alla casa del Tuono dove vivrà in eterna giovinezza.

Viceversa, l’esocannibalismo vede i nemici catturati o uccisi in guerra, schiavi e stranieri, trasformarsi in cibo. La vittima è sempre una persona esterna al gruppo di appartenenza. In un contesto ritualizzato, quale quello bellico, in cui la violenza viene rivolta all’esterno del gruppo di appartenenza, cibarsi del nemico significa assorbirne il valore, le qualità e l’energia, impedendo allo spirito nemico di vendicarsi o nuocere al gruppo.

Le pratiche esocannibaliche erano in passato assai diffuse tra le tribù di cacciatori di teste in Polinesia, Melanesia, Nuova Guinea, Africa ed America Latina. Proprio qui tra i Tupinamba, il mercenario tedesco Hans Staden visse per quasi un anno con l’incubo di essere divorato. Nel racconto della sua avventura nel Nuovo Mondo ci fornisce numerosi particolari sulle pratiche esocannibaliche del raggruppamento Tupi-Guaranì. Costretto dai suoi carcerieri a partecipare ad un rito di uccisione e consumazione delle carni di uno schiavo, così racconta:

Venne il momento di bere per la morte dello schiavo; perché questa è la loro usanza: Quando decidono di mangiare un uomo, preparano con le radici una bevanda che chiamano cauim, e solo quando il cauim è completamente bevuto uccidono la vittima […] Gli dissi «sono anch’io un prigioniero come te, e non sono venuto qui per mangiarti, ma i miei padroni mi hanno portato con sé», mi rispose che sapeva bene come la nostra gente non mangiasse carne umana (Staden, 1991: 68).

Francesco Remotti dedica il saggio Contro l’identità, pubblicato nel 1996, alla comprensione dei rituali che accompagnano la cannibalizzazione dei nemici tenuti prigionieri presso i Tupinamba. Dalla lettura del racconto di Staden e influenzato da Montaigne, Remotti vede nella ritualità cannibalica una contrapposizione tra “noi” e “loro”. Negli Essais Montaigne descrive i vizi e i difetti della società francese ed europea del suo tempo e poi così afferma:

Mi sembra [che in quei popoli] non vi sia nulla di barbaro e di selvaggio […] se non che ognuno chiama barbarie quello che non è nei suoi usi; sembra infatti che noi non abbiamo altro punto di riferimento per la verità e la ragione che l’esempio e l’idea delle opinioni e degli usi del paese in cui siamo (Montaigne, 1966: 272).

L’appellativo barbarie nasce dai nostri limiti conoscitivi, dalla nostra incapacità di comprendere ciò che a noi è estraneo, dalla trasformazione delle nostre idee, opinioni e costumi in certezze e verità dogmatiche e assolute. «Possiamo ben definirli barbari» concede Montaigne, ma solo «se li giudichiamo secondo le regole della ragione», non se li confrontiamo «con noi stessi, che li superiamo in ogni sorta di barbarie» (Montaigne, 1966: 278).

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Tale contrapposizione nasce dalla guerra guerreggiata praticata dalle tribù di caccia e raccolta, non per acquisire nuovi beni o nuove terre ma per dimostrare la propria superiorità, singola o di gruppo, nei confronti dell’altro; una volta sconfitti si è consapevoli di diventare cibo dei vincitori. In tale opposizione è possibile individuare la volontà di annientamento e di acquisizione dell’altro diverso da noi attraverso l’ingestione, inglobandolo sotto forma di alimento. I gruppi che si contrappongono e combattono si intrecciano senza fine: il guerriero sconfitto diventa il pasto del nuovo vincitore il cui corpo a sua volta diventerà la tomba del vinto che ritroverà i suoi compagni precedentemente divorati, in una sfida continua alimentata dalla volontà di voler imporre la propria identità, individuale e di gruppo, sugli altri. Inoltre, ulteriore elemento di coesione sociale e gruppale, «la trasformazione del nemico in alimento richiede tempo e passaggi» (Remotti, 1996: 77), viene cioè modificato nel suo aspetto esteriore e adattato ai canoni estetici del gruppo vincitore, non viene disprezzato ma gli vengono riconosciute qualità e valore. Il processo di manipolazione del cibo, nello specifico carne umana, ne esorcizza la pericolosità, in quanto corpo estraneo potenzialmente contaminante che immettiamo all’interno del nostro organismo. L’alimentazione rientra a pieno titolo tra le pratiche fondamentali del sé, dirette alla propria cura attraverso il costante nutrimento del corpo con cibi considerati culturalmente appropriati che, oltre a costituire una fonte di piacere, agiscono simbolicamente rivelando l’identità di un individuo a sé stesso e agli altri.

Comincia ad esser chiaro che il cannibalismo non può essere considerato semplicemente un gesto di inaudita ferocia, compiuto da barbare e folli popolazioni, ma deve essere analizzato e osservato con occhio attento per riuscire a cogliere le motivazioni che stanno alla sua base, in un continuo intrecciarsi di diversi livelli di lettura e differenti modalità di analisi.

Qualche anno fa venne pubblicato un articolo, probabilmente frutto della fervida fantasia del giornalista di turno, che narrava di cinque immigrati clandestini sopravvissuti per quindici giorni ad un naufragio essendosi cibati del corpo dei loro compagni morti. Testualmente: «Alcuni dei cadaveri sono stati buttati in mare, ma i cinque rimasti a bordo, allo stremo delle forze, si sono trovati davanti ad una orribile scelta: morire o diventare cannibali». Morire di stenti ma “civilmente” o sopravvivere e diventare cannibali, avvicinandosi pericolosamente al confine tra umanità e animalità? Il cannibalismo si viene quindi a configurare, ancora una volta, come segno tangibile della stigmatizzazione del diverso, di quel processo di produzione dell’alterità attraverso il quale passa la creazione della propria identità. Quindi quale miglior infamante accusa? Mangiare un proprio simile, nutrirsi della sua carne e dissetarsi con il suo sangue…il massimo dell’alterità cui corrisponde il massimo dell’identità. Noi, abitanti della civilizzata Europa, loro pericolosi migranti clandestini che si mangiano l’un l’altro…

Dialoghi Mediterranei, n.14, luglio 2015
Riferimenti bibliografici
W. Burkert, La creazione del sacro. Orme biologiche nell’esperienzareligiosa, Milano, Adelphi Edizioni, 2003.
M. Godelier, Le corpshumain: concu, possédé, supplicié, cannibalisé, CNRS Eds, 2009.
A. Guglielmino, Cannibali a confronto. L’uomo è ciò che mangia, Roma, Edizioni Memori, 2007.
M. Kilani, Cannibalismo e antropoiesi o del buon uso della metafora, in AA.VV., Figure dell’umano. Le rappresentazioni dell’antropologia, Roma, Meltemi, 2005: 261-306.
C. Lévi Strauss, Tristi Tropici, Milano, Il Saggiatore, 2008.
V. Lusetti, Cannibalismo ed evoluzione, Roma, Armando editore, 2006.
V. Lusetti, Il cannibalismo e la nascita della coscienza, Roma, Armando Editore, 2008.
L. Monferdini, Il cannibalismo, Milano, Xenia, 2000.
M. Montaigne, Dei Cannibali, in Fausta Garavini (a cura di), Saggi, Milano, Adelphi, 1966.
F. Remotti, Contro l’identità, Bari, Laterza, 1996.
H. Staden, La mia prigionia tra I cannibali (1553-1555), a cura di A. Guadagnin, Milano, EDT, 1991.
A. Tartabini, Cannibalismo e antropofagia. Uomini e animali, vittime e carnefici, Milano, Mursia, 1997.
R. Villeneuve, Les cannibals, Paris, Pygmalion/Gerard Watelet, 1979.
E. Volhard, Il cannibalismo, Torino, Bollati Boringhieri,1991.

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Antonella Modica, laureata in Antropologia Culturale ed Etnologia presso l’Università degli Studi di Palermo con un lavoro di ricerca dal titolo Cannibalismo e sacrifici umani: quando l’uomo diventa buono da mangiare, si è successivamente specializzata nella valorizzazione e musealizzazione delle tradizioni etno-antropologiche. Tra i suoi interessi questioni relative soprattutto al recupero della conoscenza degli antichi mestieri e della cultura immateriale ad essi connessa.

‘CyberPandemia, la prossima crisi renderà quella attuale INSIGNIFICANTE’

‘CyberPandemia, la prossima crisi renderà quella attuale INSIGNIFICANTE’

A rischio saranno la rete elettrica ed il sistema finanzario.

Qui sotto potrete trovare il video introduttivo, oltre ai riferimenti contenuti in esso.
Seguiranno ulteriori approfondimenti sulla materia.

LINKS:
[Sul World Economic Forum]

https://www.weforum.org/people/jeremy-jurgens
https://www.weforum.org/agenda/2020/01/what-are-the-cybersecurity-trends-for-2020/
https://www.weforum.org/projects/cyber-polygon
https://www.weforum.org/platforms/shaping-the-future-of-cybersecurity-and-digital-trust

[Su SalesForce e Accenture sul tema CyberSicurezza]

-SalesForce (partner) sulla “Cybersecurity nella nuova normalità”:
Accenture:

Il linguaggio globalista
(“Nessuna organizzazione o paese può risolvere…”) sulla reazione a catena alimentare:


L’ordine Esecutivo 13800 di Trump per rinforzare le infrastrutture critiche contro i cyber-attacchi:

Trump’s EO 13800 to harden critical infrastructure against cyberattacks:

Propaganda mediatica intorno a problemi di sicurezza informatica incombenti, sulla rete elettrica:
https://www.nytimes.com/2020/10/23/us/politics/energetic-bear-russian-hackers.html
https://www.claimsjournal.com/news/international/2020/07/30/298497.htm
https://www.powermag.com/cybersecurity-is-more-important-than-ever-due-to-covid-19/
https://www.weforum.org/agenda/2020/04/why-covid-19-is-making-utilities-more-vulnerable-to-cyberattack-and-what-to-do-about-it/
https://thehill.com/policy/cybersecurity/510755-officials-warn-of-increasing-foreign-cyber-threats-to-electric-grid
https://microgridknowledge.com/cybersecurity-pandemic-power/
https://www.power-technology.com/comment/cybersecurity-power-utilities-agenda-covid-19-globaldata/
https://www.utilitydive.com/news/the-us-power-sector-has-prevented-millions-of-cyberattacks-in-2020-that-t/587949/