TAZ Temporary Autonomous Zone
“L’esperienza di queste manifestazioni risponde all’esigenza di affermare una zona diversa dalle dinamiche imposte dalle istanze economiche, amministrative e istituzionali che regolano la quotidianità dello spazio “pubblico” e di chi lo attraversa.”
Introduciamo con questo virgolettato tratto dalla definizione di free party, un concetto estremamente importante per arrivare a comprendere l’originario potenziale, concreto e non solo strettamente simbolico di questa subcultura, che è delimitato dai confini delle Zone Temporaneamente Autonome.
E’ possibile approfondire leggendo TAZ La Zona Autonoma Temporanea di Hakim Bey:
“Non c’è processo rivoluzionario senza al contempo un percorso di crescita interiore rivolto alla totalità dell’esperienza e alla comprensione dei mille fili che tengono insieme la realtà.”
Una vera e propria protesta contro il controllo sociale in generale e in particolare un attacco alle sue strutture.
La creazione di queste aree durante i rave è vista come una tattica sociopolitica in grado di mettere “in piedi” un tipo di “orizzontalità” unico nel suo genere, eliminando di fatto ogni gerarchia, ma soprattutto stabilendo temporaneamente e in autonomia una visione alternativa che può essere individuale o collettiva, parziale o totalmente unificata.
Diversa da quella instauratasi durante l’ultima festa vissuta perchè in continua evoluzione, in mutamento grazie al cambio di luogo, di ambiente, di gestione, di persone e di altre infinite variabili che si susseguono sovvertendo sempre gli schemi imposti dalla società, ma rovesciando di volta in volta anche “l’ordine” precedentemente stabilito dalla TAZ creatasi durante l’utimo evento, senza concedergli il tempo necessario a radicarsi e a ripetersi, senza lasciargli spazio per sedimentarsi, per inquadrarsi rigidamente come succede, per definizione, ad ogni sistema.
Per questo è impossibile che la struttura della TAZ precedente si riproponga in quella successiva, nascendo appositamente per rompere gli schemi, perderebbero il loro senso, fondato sullo sforzo di creatività necessario a trovare l’equilibrio perfetto che si adatta a quel particolare allineamento.
Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che nonostante i rave abbiano una natura fortemente sovversiva, possano comunque facilmente ricadere nei propri schemi costituendo in definitiva una sorta di sistema, per quanto di nicchia e seppur circoscritto.
Non esiste una festa uguale all’altra.
Non mi riferisco esclusivamente agli aspetti tangibili della questione, che sono in ogni caso molto diversi, partendo dal luogo, passando al tempo, arrivando alle persone.
Mi riferisco in particolar modo a quella travolgente energia che si vive a livello percettivo, parlo sempre in base alle mie esperienze ma sono piuttosto certa che chiunque si sia avvicinato a quel mondo converrà con me, ogni esperienza è speciale nella sua unicità, ineguagliabile.
Cerco di spiegarmi meglio facendomi aiutare da questo video, c’è un esempio lampante di ciò che intendo. Parte già con un gran bel basso, a 30 secondi dall’inizio viene inserita una citazione tratta da “Frankenstein Junior”.
Gli attacchi al minuto 1.00 e al minuto 8.00 valgono davvero tutto il caldo sopportato e tutta la polvere respirata, niente potrà mai rubarmi dal cuore l’intensità di quei giorni.
La traccia non si trova così com’è stata suonata in quel momento, è stata improvvisata live e in quel preciso modo è esistita in quel particolare istante soltanto, unica come l’energia trasmessa attraverso le vibrazioni che ti avvolgevano sottocassa e le sensazioni non saranno mai uguali a quelle che si proveranno davanti a un altro muro di casse, circondati da persone diverse, respirando un’aria nuova, immersi nell’ennesima TAZ in evoluzione.
Il tentativo è quello di liberare la mente dagli automatismi nei quali rimane imbrigliata, è un ottimo esercizio di elasticità e assestamento, aiuta a costruire una realtà in fuga dalla piatta quotidianità che ci è imposta, per ricondurci verso un modo di vivere diverso, generato dalle relazioni e basato esclusivamente sul presente, nel qui ed ora.
“Nel mondo era in atto un rapido cambiamento – la cosiddetta Fine della Storia – anche quando apparve il libro; ma T.A.Z. vedeva ancora il mondo sotto il segno di una dialettica che lo aveva governato fin dalla mia nascita: la Guerra Fredda e la menata capitalismo vs. stalinismo. La nozione di base della Zona Autonoma Temporanea era intesa come un contributo ad un’agognata Terza via, una sorta di evasione dalla dialettica, un’alternativa sia al Capitale che all’Ideologia.”
Hakim Bey attribuisce all’informazione un ruolo fondamentale nello sviluppo delle TAZ, riconoscendone la centralità per quanto riguarda la messa in discussione del sistema e per l’evidente tentativo di manipolazione e censura.
Proprio lo scardinamento degli schemi di pensiero che questa zona rappresenta sta alla base del dubbio, con l’autenticità e la libertà dell’informazione, partendo da quest’area fisica alternativa, si genera un innovativo spazio mentale, decisamente personale. Terreno fertile per il cambiamento.
Lo scrittore, nell’introduzione alla nuova edizione del libro riconosce il fallimento nella ricerca dell’alternativa desiderata, “l’agognata Terza via”, la mancata rivoluzione che poteva nascere dalla realtà mossa dai suoi ideali.
“…ora siamo in presenza di una nuova fase del neoliberismo: la globalizzazione egemonica, “l’Impero”…Quello che abbiamo è un unico mondo, una triste parodia del vecchio sogno liberale e internazionalista; un unico mondo, ma con alcune zone escluse, e un’unica superpotenza che non deve sottostare ad alcuna regola.”
Una triste e troppo veritiera descrizione del nostro presente.
Un mondo unificato a forza, che necessita di un pensiero unico, di un modo di vivere unico.
Le esperienze personali formano, plasmano e modellano la percezione, per questo a qualcuno potrebbe sembrare un’assurdità il fatto che nel 2021, in un paese democratico, non sia concesso ad ognuno di vivere nel modo che ritiene più opportuno, ma succede.
Immagine piuttosto rappresentativa, anche se le indicazioni sullo schermo potrebbero variare in base alla direzione voluta in quel preciso momento, ovviamente il succo non cambia.
Viviamo quindi un’epoca in cui la velocità e il “feticismo della merce” hanno creato una tirannica falsa unità che tende a confondere tutte le diversità e individualità culturali, di modo che “un posto vale l’altro.
Si potrebbe aprire qui una lunga analisi su un altro cardine fondamentale del pensiero di Bey, il concetto di nomadismo psichico, ma stiamo parlando di TAZ, quindi semplicemente mi limiterò a sottolineare che esso non coincide con il presunto ma fortemente plausibile tentativo di sradicamento e conseguente perdita d’identità in atto, questo “traguardo” verrebbe raggiunto solo attraverso una non-risposta nata da un tipo di atteggiamento passivo e indifferente, niente a che vedere con quanto sostenuto dal saggista anarchico, credo lo si evinca facilmente dal tono critico del virgolettato.
E’ di particolare rilevanza a mio avviso la farsa orchestrata da qualcuno che ha utilizzato lo pseudonimo collettivo Luther Blissett e spacciandosi per un fantomatico Fabrizio P. Belletati, è riuscito a far stampare e distribuire dalla casa editrice Castelvecchi la traduzione di un libro “scritto da Hakim Bey” e intitolato: “A ruota libera”, rivelatosi un clamoroso falso.
Solo per chi è interessato alle origini della storia, andando a “spulciare” i riferimenti, ecco come viene non-definito il progetto da un Luther Blisset “in persona”:
“Proprio perché il Luther Blissett Project è un contesto aperto è assurdo pretendere che i tentativi di definirlo o trovargli per forza un’ascendenza non incontrino resistenze da parte di chi utilizza il nome…Personalmente, credo che la teoria a cui la prassi di Blissett somiglia di più sia quella che si dipana dai *Grundrisse* di Marx, opera su cui i situazionisti non sono mai stati in grado di articolare alcun discorso sensato. Mi riferisco al dibattito sul “General Intellect”, del quale LB può essere visto come una paradossale antropomorfizzazione; dopodiché, questo “flusso di coscienza” potrebbe essere fatto passare attraverso i commenti ai Grundrisse fatti da Amadeo Bordiga (e la pratica bordighiana dell'”anonimato rivoluzionario”) e alla definizione camattiana di “Homo Gemeinwesen”, l’uomo-comunanza, e oltre. Non è certo necessario conoscere queste cose per usare il nome, ma chiunque si prenda il mal di pancia di spulciarle capirà istantaneamente cosa intendo dire. D’altra parte, sfido chiunque a trovare una qualche similarità tra LB e la non-descrizione dello spettacolo data da Guy Debord.”
E continuando su questa linea:
“Sostenere che quello di Luther Blissett è un progetto di scontro frontale con l'”industria culturale” (o, ancora più stupidamente, di “assalto ai mass-media”) equivale a non aver capito un cazzo di niente. Blissett è un esperimento pratico (e gioioso) sul mito e sull’infiltrazione della cultura pop. Le “beffe mediatiche” non sono nemmeno la punta della punta dell’iceberg…”
Quest’ultima affermazione è indirizzata alle parole di Benedetto Vecchi, che riferendosi a LB avrebbe affermato:
“Nel suo obiettivo, però, c’è anche l’underground, spesso preso di mira perché considerato, a torto, come un “manipolatore delle coscienze” al pari dell’industria culturale.”
Anche se sono affascinata da tutto quello che ruota intorno a Luther Blissett e mi piacerebbe scoprire su cosa si reggono davvero le fondamenta dalle quali tutto si è edificato, non intendo speculare qui sulle sue reali intenzioni, non ora almeno.
Inoltre, sono convinta che l’underground potrebbe di certo essere in grado di manipolare le coscienze esattamente come qualsiasi altro genere di condizionamento, anche se ciò non toglie validità al potenziale rivoluzionario delle TAZ.
Con questo voglio dire che ormai non credo più nella buona fede di nessuno, non intendo osannare il Sig. Peter Lamborn Wilson, in arte Hakim Bey, semplicemente perchè è lui.
Trovo in realtà alquanto discutibili certe sue affermazioni ma non è necessario essere d’accordo con l’intero pensiero di un autore per riconoscere la fondatezza di una parte delle sue convinzioni.
Non mi interessa analizzare la sua intera produzione letteraria, nè discutere riguardo la sua figura, chissene frega.
Sto scrivendo sulla teoria della TAZ perchè l’ho vissuta senza rendermene nemmeno conto per parecchio tempo, in seguito l’ho percepita e intravista, l’ho inseguita fino a prenderne definitivamente coscienza e sono rimasta colpita dalla sua vitalità.
Ho riconosciuto la sua esistenza sperimentandola e l’ho abbracciata nel profondo perchè mi ha rapito, mi ha sempre scosso e aiutato molto.
Considerata questa premessa, il fatto che Vecchi venga in gran parte smentito da LB non incide sui pensieri che si sono concatenati in seguito alle sue parole, è stato per me un significativo spunto di riflessione sul ruolo dell’identificazione massiva e a volte rigida, che coinvolge le controculture, i movimenti, le idee.
Cosa intendo dire con questo?
Per cercare di spiegarmi meglio e far passare il concetto mi è utile questo articolo: Hakim Bey e la non-ideologia delle TAZ di G. Silvestri, della rivista “Indipendenza”, che riporta la seguente affermazione:
“Hakim Bey è divenuto perciò citatissimo, trasformato in una vera e propria icona della controcultura.”
Questa frase è particolarmente riassuntiva e contiene il nocciolo del discorso, non dovrebbe proprio esistere un’icona della controcultura, dalle quali labbra si pende rischiando di credere ciecamente a tutto ciò che dice esattamente come se incarnasse un’ideologia, adagiandosi comodamente nella propria zona di comfort, smettendo di porsi delle domande, idolatrando senza il minimo pensiero critico, così facendo non saremmo tanto lontani dal modo di vivere che intendiamo ripudiare.
In particolar modo se ci riferiamo alla cultura underground, un rapporto iconico con una singola personalità non ha senso di esistere, o meglio, per non generalizzare e senza voler in alcun modo imporre la mia visione, preferisco esprimermi così: tutto questo va contro la mia “definizione” di underground, contro la mia personale concezione, contro la mia individuale esperienza.
Siamo noi stessi emblema della nostra determinata modalità di pensiero e della conseguente volontà di vivere in quel preciso modo, proprio perchè unici e irripetibili.
E’ inevitabile trovare punti in comune con una specifica “categoria”, alla quale magari ci sentiamo più affini, nonostante ciò sarebbe bello mantenere intatta la nostra unicità e la vera rivoluzione secondo me starebbe proprio nel concretizzare questo pensiero, nella “realizzazione di tale utopia”.
Sempre nell’articolo di “Indipendenza” troviamo:
“Come sostiene lo stesso Bey: “La TAZ, da semplice comodo provvisorio acronimo, è diventata un alibi per l’assenza di strategia e abbonda oggi sulla bocca dei trendies e dei mediatisti”.
Non è in realtà Hakim Bay che lo sostiene visto che il libro è una presa in giro rivendicata dal Luther Blissett Project ma trovo il ragionamento più che sensato considerando la piega assunta dalla società odierna.
Nonostante l’autore abbia strutturato l’articolo basandosi su “A ruota libera”, cascando nel tranello di LB, l’idea riportata nel seguente virgolettato è in linea col mio sentire:
“ricostruire proprio intorno al cyberpunk una nuova identità antagonista capace di indicare, attraverso l’attenzione verso le nuove tecnologie, segnatamente quelle informatiche e della comunicazione, una possibile strada di ribellione e non acquiescenza rispetto allo spesso spietato ridisegnarsi dei bisogni sociali indotti dalla loro adozione su vasta scala nella società-mondo.”
Anticipiamo così un altro concetto chiave, che verrà approfondito in seguito, strettamente legato a questa controcultura e al rapporto tra rave e tecnologia.
Cercando invece di non perdere il filo conduttore, in riferimento ai messaggi che intendo far passare attraverso queste righe, tirando le somme direi che qualsiasi spinta potenzialmente rivoluzionaria, partendo con tutte le buone intenzioni di questo mondo finisce per essere strumentalizzata, funzionalizzata e indirizzata verso il nuovo tipo di normalità voluto.
Considerato questo, a mio avviso non è la teoria delle TAZ il problema, ma la sua alterazione, la manomissione attraverso la spettacolarizzazione, tanto per fare un dispetto ai Blissett citando Debord. =)
Continuando invece a citare Bey:
“La Storia sostiene che la Rivoluzione arriva alla “permanenza”, o per lo meno alla durata, mentre l’insurrezione è “temporanea”. In questo senso la seconda è come un’esperienza estrema, tutto l’opposto rispetto allo standard della coscienza e dell’esperienza “normali”.
Come le feste, le insurrezioni non possono essere quotidiane, altrimenti non sarebbero più “a-normali”.
Tuttavia, questi momenti intensi danno forma e significato alla totalità della vita…
Che ne è del sogno anarchico dello stato senza Stato, della Comune, della zona autonoma con una durata, della società libera, della cultura libera?
Lo scopo è cambiare il mondo, non cambiare la coscienza. E’ una critica giusta.
Però vorrei fare due precisazioni: primo, finora la rivoluzione non è riuscita a realizzare questo sogno.
La visione prende vita nel momento della rivolta, ma appena la “Rivoluzione” trionfa e torna lo Stato il sogno e l’ideale sono già traditi. Non rinuncio alla speranza o anche all’attesa di un cambiamento, però diffido della parola Rivoluzione.”
Com’è possibile evitare il continuo ripetersi di questa dinamica? Come spezzare il circolo vizioso della storia?
“Insurrezione, dal latino insurrectio, è il termine utilizzato dagli storici per etichettare le rivoluzioni fallite, i movimenti che non seguono la parabola prevista, la traiettoria approvata consensualmente: rivoluzione, reazione, tradimento, fondazione di uno Stato più forte e ancor più repressivo.
La ruota gira, la storia torna sempre e sempre alla sua forma più elevata: schiacciare con pesanti stivali da SS la faccia dell’umanità…
La TAZ è come un’insurrezione che non si scontra direttamente con lo Stato, un’operazione guerrigliera che libera un’area (di terra, di tempo, di immaginario), poi svanisce per riformarsi altrove, in un altro tempo, prima che lo Stato possa schiacciarla…
La TAZ comincia con una semplice presa di coscienza…Abbiamo già citato l’aspetto festivo del momento non controllato che aderisce a un’auto-organizzazione spontanea, per quanto breve.
E’ “epifanico”, è un’esperienza forte a livello sociale quanto individuale.”
Quando parlo del grande potenziale dei rave mi riferisco essenzialmente a questo aspetto, alla forza di tali esperienze che possono essere viste come delle corte micce, il breve frangente nel quale bruciano fa esplodere la bomba in seguito.
Spesso non è necessario essere totalmente consapevoli di questa combustione, non ci è dato sapere il luogo dell’esplosione, nè il suo orario esatto, ma il momento dell’innesco viene vissuto ugualmente e la detonazione avverrà comunque, a tempo debito.
Potrebbe risultare difficile, se non impossibile, risalire al preciso istante che ha dato il via a tutto, ma è rilevante?
Il processo è in atto, questo è quello che conta.
Alla luce di quanto sopra descritto e valutando realisticamente la portata e la solidità del sistema vigente, che sembra troppo grande, complesso e radicato per essere anche solo scalfito con una semplice rivolta popolare, figuriamoci distrutto visto e considerato il perenne fallimento delle manifestazioni, in riferimento alla ricerca di una soluzione concreta che possa interrompere il subdolo meccanismo di ritorno che ci riconduce sempre e inesorabilmente in catene, trovo interessante il seguente spunto:
“Da come la vedo io, la sparizione sembra un’opzione radicale molto logica nella nostra epoca, niente affatto un disastro o la morte del progetto radicale…scavare alla ricerca di utili strategie nell’incessante “rivoluzione della vita quotidiana”: la lotta che non può cessare nemmeno con lo scacco definitivo della rivoluzione politica o sociale perchè soltanto la fine del mondo può far cessare la vita quotidiana e le nostre aspirazioni alle cose buone, al Meraviglioso…
Studiamo l’invisibilità, il fare rete, il nomadismo psichico.
E chi lo sa che cosa otterremo?”
“Ho immaginato la Rete come un’appendice alla TAZ, una tecnologia al servizio della TAZ, un mezzo per potenziarne l’emergere. Ho proposto il termine “Web” per questa funzione della Rete.
Che beffa. La rivista “Time” mi ha identificato come un cyber-guru, “spiegandomi” che la TAZ esiste nel cyberspazio. Il termine “Web” è diventato il termine ufficiale per la funzione commerciale/di sorveglianza della Rete, e nel 1995 è riuscito a seppellire il potenziale anarchico della Rete (se esisteva davvero) sotto una massa di pubblicità e di truffe dot-com.
Ciò che resta della sinistra sembra ora abitare un mondo fantasma dove qualche migliaio di “hits” passano per azione politica e la “comunità virtuale” prende il posto della presenza umana.
Il Web è diventato lo specchio perfetto del Capitale globale: senza confini, trionfalista, evanescente, esteticamente fallimentare, monoculturale, violento – una forza finalizzata all’atomizzazione e all’isolamento, per la scomparsa della conoscenza, della sessualità, e di ogni sensibilità sottile.
La TAZ deve esistere in uno spazio fisico tattile geografico pieno di odori e sapori altrimenti non è altro che un progetto sulla carta o un sogno. I sogni utopici hanno valore come strumenti critici e dispositivi euristici, ma non c’è sostituto per la vita vissuta, la presenza reale, l’avventura, il rischio, l’amore. Se si fa dei media il centro della vita, allora si condurrà una vita mediata – mentre la TAZ vuole essere immediata o altrimenti niente…deve esistere all’interno di un mondo di puro spazio, il mondo dei sensi.
Liminale, addirittura evanescente, deve combinare informazione e desiderio per portare a buon fine la sua avventura (il suo “av-venire”), per espandersi fino alle frontiere del destino, per saturarsi con il proprio divenire.”
Eccola, è esattamente la filosofia che accompagna quella che dovrebbe essere la vera essenza delle feste, dalla loro nascita negli anni settanta in opposizione alle politiche repressive dell’epoca, per passare poi al movimento “Reclaim the street” degli anni ‘90 che protestava contro il capitalismo e la globalizzazione (dal quale si svilupperanno le street parade), arrivando poi ad influenzare la realtà italiana delle origini fino alla perdita di significato che sempre più sembra aver incrinato, se non cancellato totalmente quella sostanza, servendosi proprio dell’abuso di altre sostanze, quelle che hanno iniziato a dilagare tra i giovani.
Senza in alcun modo negare la gravità del problema evitiamo di soffermarci inutilmente ora sulla differenza tra uso, abuso e dipendenza perchè approfondiremo meglio questo aspetto nelle prossime uscite, semplicemente perchè questa sezione è dedicata alla parte ideologica del rave e al suo potenziale, non alle sue dolorose derive.
Ripartendo quindi dalle idee, scongiurando altre possibili aberrazioni e considerando la cattiva fama del cyberpunk, che potrebbe essere visto solo ed esclusivamente come tentativo disumanizzante, vorrei sottolineare un particolare importante che non merita di essere trascurato:
“La taz va d’accordo con gli hacker perchè vuole nascere, in parte, tramite la Rete, anche grazie alla mediazione della Rete. Ma va d’accordo anche con i verdi perchè mantiene una forte coscienza di sè in quanto corpo e prova solo schifo per la Cibergnosi, per il tentativo di trascendere il corpo tramite l’istantaneità e la simulazione.
La taz tende a ritenere fuorviante la dicotomia tech/anti-tech, come quasi tutte le dicotomie in cui gli apparenti contrari si rivelano falsificazioni o addirittura allucinazioni causate dalla semantica.
E’ un modo per dire che la taz vuole vivere in questo mondo , non nell’idea di un altro mondo, di un mondo visionario nato da una falsa unificazione (tutto verde OPPURE tutto metallo) che può esssere l’ennesimo miraggio…
La taz è utopica nel senso che punta a un’intensificazione della vita quotidiana o, come avrebbero detto i surrealisti, all’inserimento del Meraviglioso nella vita. Però non può essere utopistica nel vero senso della parola, cioè un nessun dove. La taz è in un dove.”
Dopo il grande successo riscosso da TAZ la critica si è lanciata in profondi elogi e articolate recensioni sul famigerato, finto libro di Hakim Bey.
Parliamo soprattutto degli intellettuali di sinistra.
“Semplificando una TAZ può essere vista come un’isola, non necessariamente fisica, di territorio liberato dalle logiche di dominio economico e mentale capitalista.”
Sono d’accordo con questa chiarificazione ma credo che, anche se bacini di pensiero libero possano riempirsi nelle più vaste distese virtuali, la scintilla vitale che davvero è andata a perdersi scatti proprio nella fisicità di certi attimi.
Stiamo perdendo quell’innesco con tutta la forza che ne deriva. Vivere nel mondo reale è doloroso, difficile, spesso complicato ma bellissimo e irreplicabile.
Posso scrivere con l’anima solo il mio vissuto e le mie esperienze dirette, su tutto il resto posso farmi un’opinione, posso rifletterci, ma restano in ogni caso astrazioni e credo che oggi sia indispensabile ricollegarsi a quel tipo di realtà, lo vedo come punto di partenza per un percorso di consapevolezza e sono convinta che sia importante, ora come non mai.
In un mondo di apparenza immerso in un oceano di snaturamenti e distorsioni, dove la realtà è filtrata e scenografica, dove niente di quello che vediamo attraverso uno schermo, nulla di ciò che ci viene raccontato appare reale, quello che ci manca per ritrovare l’equilibrio necessario che ci permetterebbe di fare davvero la differenza è, in definitiva, l’esperienza diretta, seguita da tutto ciò che ne deriva.
Solo in questo modo si può ambire “alla comprensione dei mille fili che tengono insieme la realtà.”
Finiamo con questo concetto chiave per chiudere il cerchio, perchè proprio da lì siamo partiti citando una delle più grandi “intuizioni” di Bey.
Concludo definitivamente con un piccolo pezzetto di quella che è stata la mia realtà, un minuscolo frammento di una TAZ che mi si è incisa nell’anima.
Questo video dura pochissimo, semplicemente perchè non volevo si vedessero troppo i volti e sul finale, per motivi tecnici, sono stata costretta a tagliarlo esattamente al ventitreesimo secondo. E’ una bella coincidenza, per chi crede nel caso.
Tralasciamo il mistero intorno al numero, i suoi molteplici significati e tutto quello che c’è dietro, perchè ci vorrebbe un approfondimento a parte e non ne so abbastanza.
In questo particolare momento lo vedo solo come un piccolo omaggio alle feste vista l’importanza che i ravers attribuiscono al 23, personalmente è un semplice ricordo di quello che i rave rappresentavano per me e di ciò che mi hanno lasciato dentro.
https://odysee.com/@Lely:2/TheRaveOfMindMadFactoryKarnival2k9:d