Emergenza Rave – Di che parliamo?

Emergenza Rave – Di che parliamo?

Mentre parecchie famiglie si interrogano sul futuro cercando di capire come arrivare a fine mese e le aziende cadono.
Mentre le persone si chiedono come ammortizzare il colpo della prossima bolletta dopo anni di speculazioni e insensatezze.
Mentre sbiadiscono gli infiniti discorsi senza alcun costrutto, concedendo visibilità ad altri sproloqui dello stesso stampo che andranno a sovrapporsi ai vecchi in un continuum di…nulla assoluto.
Con più di una guerra in corso e l’inesorabile deriva valoriale in atto…cosa ci riserva il teatrino mediatico?

Indignazione e preoccupazione, non saprei dire quale viene prima.
Per cosa? Per le feste. 

Dopo aver dimenticato lo Space Travel, meglio conosciuto come il famigerato “Rave di Valentano”, i media tornano a dar fiato alla bocca, polemizzando sul raduno di Halloween, Witchtek 2k22, Modena.

Rieccoci, illusionisti da palcoscenico in pieno assetto distrattivo.
Dopo le strumentalizzazioni dell’estate, i “professionisti dell’informazione” tornano a parlare di rave e “la politica” interviene con un decreto legge, provvedimento tanto in voga ultimamente.
Mah. Non credo di essere l’unica a trovare tutto ciò ridicolo.

Proprio per questo non perderò tempo elencando le loro trovate repressive, ormai ne saranno a conoscenza anche i muri con tutto quel cianciare, aspetteremo la fine del loro grottesco work in progress per ragionare sulla “serietà” delle eventuali modifiche, perchè al momento ritengo sia inutile, senza contare il rischio di farmi venire il vomito.
Meglio affidarsi a chi ne sa di più per approfondire i tecnicismi giuridici, e in ogni caso immagino sarà tutto assurdo.

Eviterò di riportare i semplici fatti di cronaca, per questo ci sono tgcom24, ANSA&CO, tutte le linee editoriali che si attengono alla sintesi, alla superficialità dell’informazione obiettiva e all’assenza di sentimento.

Tornando al punto, cerco di farmi un’idea sull’evoluzione di questo circo leggendo velocemente alcuni articoli, che assolvono il nobile compito di aggiornarci e rassicurarci sul buon operato di istituzioni e forze dell’ordine.
Si susseguono, tutti uguali, in coro.
Continuo a cercare, ci sarà pur qualcuno che prova ad andare un poco più in profondità.
Continuo a cercare perchè alle feste ho lasciato un pezzo di cuore, perchè le ho vissute e amate, perchè mi fa incazzare vedere l’immagine distorta che emerge, non è possibile comprendere il quadro generale di un fenomeno tanto controverso, scorgendone solo un angolo.

Mi fa male prendere atto della deviazione distruttiva che ha in parte causato lo smarrimento del potenziale filosofico insito nei free party, mi fa male rendermi conto di essere stata parte del processo, allontanandomi da quella dimensione, chiudendo quel canale di resistenza per concentrarmi su altro invece di lottare per la sua sopravvivenza, di continuo messa a rischio da atteggiamenti irrispettosi, dagli inevitabili errori e dalla lenta perdita di senso.
Quel mondo, quello che stanno cercando di distruggere, con l’aiuto di tutti, è stato anche il mio mondo, per parecchio tempo, con le sue potenzialità, i suoi rischi, con le possibilità e le criticità.
Per questo, sento il bisogno di condividere la mia visione.

Come spesso mi capita, percepisco le varie dichiarazioni pubbliche come spocchiose e paternalistiche, un inutile blaterare senza cognizione di causa, privo di ogni autentica spinta verso una vera comprensione.

“Basta rave party illegali, delinquenti che spadroneggiano, istituzioni umiliate: ora si cambia! Complimenti al ministro Piantedosi, avanti cosi'” Matteo Salvini, vicepremier tweet (or twit?).

Il ragazzo nel video che compare dopo la sovraccitata e sprezzante sentenza del leader leghista dice molto, pur non essendo consapevole delle implicazioni politiche e dei fattori di denuncia sociale essenziali per altri, con molta semplicità centra un punto fondamentale della questione, che evidenzia l’assurdità di un così cospicuo spiegamento di militari.

Il succo è questo: stiamo solo ballando…easy.
Capisco ci sia un problema di legalità, questo è indubbio.
Un reato è un reato, ok. Come la violazione della privacy.

E’ lecito citofonare alla gente accusandola di spaccio aizzati dalla folla o improvvisarsi paparazzi sui social per denunciare al popolo la problematica che ci tocca più da vicino?
Gli esempi si riferiscono alle trovate da cowboy di Salvini.
Una cosa sono i fatti, un’altra è pensare siano giustificabili o meno, che è invece riconducibile alla propria percezione della realtà, in definitiva un atto arbitrario.

In sintesi: hanno rotto con le finte paternali, gli abusi di autorità, l’ipocrisia e soprattutto con le sceneggiate. Hanno rotto.

E forse sì, possiamo anche essere definiti tutti delinquenti, va benissimo, il mio cartone animato preferito è Robin Hood.
Preferisco stare nella “legalità della mia coscienza” che avvalorare delle leggi che remano contro tutto ciò in cui credo, partorite da un sistema malato, alienante, iperburocratico, altamente divisivo, gerarchico e privo di ogni senso che vada oltre la profondità di certi portafogli e certe posizioni di potere, di qualunque genere esso sia.

Se “delinquente spadroneggiante” è inteso in tal modo, mi dichiaro colpevole, se invece parliamo di atteggiamento arrogante e autoritario, credo si debba guardare altrove.
Forse dovremmo riflettere sull’autoritarismo e sulla natura delle istituzioni.
Da dove viene, dove affonda le sue radici l’ostracismo ai rave?
Le droghe sono ovunque, legali e illegali, c’è abuso e uso, consapevolezza e attenzione come incoscienza e pericoli.
Un sacco di variabili insomma, è un discorso complesso che merita di avere il suo spazio e necessita di riflessioni accurate, non certo di tifo da stadio, dogmi, nauseanti moralismi o di assunti generati da tabù.

Se davvero la preoccupazione principale fosse stata l’incolumità dei ragazzi per l’apparente e inevitabile crollo dell’edificio non avremmo visto più ambulanze che camionette, all’esterno?

E l’elicottero? Ma scherziamo? Soldi pubblici ben spesi direi.
Sicuramente possono verificarsi errori di valutazione sulla scelta della location, ma proviamo a scrivere nel browser “crollo di un capannone” e vediamo se il primo link che esce parla di rave.
Ah no. Si parla di operai, di maiali in un allevamento e persino di Amazon.
Già, gli incidenti capitano di continuo, anche alle feste.
Gli incidenti e gli errori di valutazione sono ovunque, come la droga.
Crollano i ponti e la sicurezza sul lavoro in certi casi è un miraggio, serve la montatura di un processo mediatico?

Nella morsa sempre più stretta del controllo, si cerca di mantenere quell’autonomia e quell’autodeterminazione di cui necessita l’espressione dell’arte fuori da certe logiche, anche quelle che la nostra mente a volte ci impone. Non è facile da spiegare, è un percorso.

Capita che il fiume straripi dal letto che qualcun’altro ha scavato per lui, l’acqua è incontenibile, a volte fa danni, ma da lei dipende la vita.
Quindi, come si dovrebbe fare? Non piacciono a nessuno le alluvioni.
Il livello di degrado che a volte si sfiora o si supera, non solo alle feste, è un punto sul quale si dovrebbe riflettere per migliorare.

Il traffico stradale del weekend verso i centri commerciali, al contrario, piace ed è socialmente accettato, la bulimia di materialismo che va a riempire quell’inspiegabile vuoto allo stomaco non è un problema, in fin dei conti conviene sempre…a qualcuno.
E’ di certo un toccasana per quelle dinamiche economiche che sembrano animare le lamentele sui party illegali, simili a quelle dell’Associazione Italiana Imprese di intrattenimento da ballo e di spettacolo SILB o di Confcommercio.

Con mia grande sorpresa, trovo uno spunto interessante su Repubblica nell’intervista a don Luigi Ciotti:

“Onestamente, direi che prima di applicare misure restrittive di carattere anche penale, il fenomeno dei rave deve essere innanzitutto compreso nelle sue radici. Dividersi tra “indulgenti” e “proibizionisti” può rassicurare forse gli elettorati di riferimento e creare nuovi consensi, ma non aiuta a capire i bisogni e i desideri profondi che animano questi raduni […] Mi sembra così evidente che – come i giovani degli anni ’80 e ’90 cercavano nelle droghe pesanti una via di fuga da un modello di vita borghese percepito come “alienante” – così i giovani di oggi cercano in questi raduni estemporanei, organizzati per vie informali, la Comunità Perduta: un sentimento del convivere e del condividere di cui nella società del profitto, del consumo e delle guerre non è rimasta traccia”.

In poche righe sintetizza il messaggio che vorrei riuscisse a passare.

Per non andare avanti all’infinito e concludere, lo spirito di quel mondo non è morto.
Finalmente ho trovato un video dove vengono coperti i volti, vedo unicità.
Ho visto anche autentico disagio a volte, fragilità e insicurezze ma…di nuovo, vedo identità.

Viviamo e siamo, anche se ciondolanti, impolverati e stanchi.
Emozionati, nel delirio e in connessione con la terra e l’aria.

Il suono che vibra tra i sorrisi e gli sguardi.
Il buio che piano piano lascia spazio alla luce.
L’immensità del cielo che si tinge di quel meraviglioso carta da zucchero in cui ombre e profili si iniziano a delineare, la sensazione tipica della mancanza di sonno che si fa sentire, la stanchezza e la voglia di non staccarsi mai da quelle casse si fondono in uno stato di bellezza che ti riempie corpo e anima.
Momenti introspettivi sola con te stessa, tu e la musica soltanto, si alternano a scambi di visioni, seduti ai margini, in una fusione di attimi significanti che non finiscono semplicemente, si dissolvono con il ritorno forse, ma lasciano un segno indelebile.

Il tuo vissuto in condivisione.

Per la gif lancio di questo articolo (su telegram) ho scelto il flyer del lontano Witchtek III.
Correva l’anno 2008.

Ho riesumato il vecchio hard-disk e per un po’ mi sono persa nei ricordi.
Nel 2021 ad Halloween c’è stato il quindicesimo dei Revolt, questi pochi secondi bastano per intuirne lo spirito.
Sempre festeggiato, lontano dalle telecamere e dalle chiacchiere.
Mi chiedo quale sia, ora, la vera funzione di questi riflettori.

~Lely~

Proposta di legge anti-rave: limitare la libertà sta diventando…

Il breve articolo uscito su DolceVita, per farsi un’idea della situazione, legiferare sulla libertà sta davvero diventando una pessima abitudine.

Non ci hanno fatto attendere molto.
Presentato dalla Lega un Disegno Di Legge che punta alla repressione dei free party, Matteo Salvini primo firmatario.
Andando oltre i fatti di cronaca e aggiungendo qualche considerazione personale a quanto scritto, mi chiedo se ci saranno delle ripercussioni o se questa insania alla fine non avrà alcun seguito, svanendo nel nulla come il blaterare di certi elementi. Scusate la franchezza, ma non è stato facile scrivere di una cosa che mi sta tanto a cuore in maniera obiettiva e imparziale. Ora mi posso finalmente sfogare! =)


bEAT bASS gROOVE 03 Magico! Davvero crediamo sia possibile soffocare l’anelito di libertà espresso in questi attimi fuori dal tempo?

Spero che questo mare implacabile, nel tentativo di annegare ogni forma di dissenso, non travolga e distrugga tutto per sempre, riportando a riva solo i rottami di quella caotica ma meravigliosa controcultura rappresentata dalla free-tekno in continua insurrezione. La mia ancora per tanti anni, un porto sicuro.
L’opinione pubblica si è scaldata, il teatrino politico è stato alimentato e com’era prevedibile viene battuta la strada dei “provvedimenti necessari”.

Non è il caso di perdere tempo sulla palese inadeguatezza del classico approccio proibizionista, insensato come il voler impedire al sole di sorgere o all’acqua di scorrere.
Dicevo, i giornali stanno già vociferando dopo le dichiarazioni sui social e tra le disposizioni a gran voce invocate riportano anche il possibile “utilizzo di agenti sotto copertura”. Sul serio? Una barzelletta.
“Ci sono un raver, un cane e un carabiniere…”.

Mi ha relativamente colpita “quest’ultima trovata”, come se alle feste non si fossero mai fatti vedere, con il borsello di pelle e il loro caratteristico portamento che riconoscevi da un kilometro di distanza in linea d’aria.
Ma ora è diverso, ora sono impiegati “in ottica di prevenzione”.
Ovviamente la butto sul ridere per sdrammatizzare, in realtà li ho sempre trovati abbastanza tranquilli e qualcuno di loro era pure simpatico, ciò che mi urta in questo caso è la volontà di nascondersi dietro al filo d’erba della sicurezza e alla ormai esacerbata salvaguardia della salute.
Più che prevenzione a me sembra controllo, controllo e ancora controllo.

Appresa la notizia ho iniziato a scrivere di getto e mi rendo conto che a far capolino nella mia testa è stata la vocina della paura. Disperatamente vorrei scorgere un barlume di resistenza a questo mondo sempre più omologato e sterile, perchè so di non poterci vivere.
Lascio andare quella sensazione di impotenza perchè le mie convinzioni sono poche, lo ammetto, variabili forse, ma di una cosa in particolare sono certa da sempre, e sempre lo sarò.

I cuori liberi non si fanno rinchiudere, non è possibile costringerli dentro un perimetro, non li tieni lontani da ciò che amano e dalle vibrazioni che li fanno battere all’unisono.

Tutto questo parlare di rave mi trascina indietro nel tempo, a quel clima fervido e vivido che adoro.
Crediamo ancora in un mondo diverso, dove condivisione, vicinanza e umanità sostituiscono brama, arrivismo e diffidenza.
Sta proprio qui il nocciolo della questione, la realtà che desideriamo non conviene a chi fonda tutto su profitto e speculazione. Ci interessa? No.

Continueremo a sincronizzare i battiti ballando. Ben radicati a terra, con le mani alzate verso quel cielo immenso che non potranno mai veramente controllare.



Foto tratta da questo interessante articolo, chiarificatore.
Una citazione di Hakim Bey sulla TAZ, che ho approfondito qui, seguita da una bellissima riflessione.
Non potrei condividerla di più.

~Lely~

TAZ Temporary Autonomous Zone

TAZ Temporary Autonomous Zone

“L’esperienza di queste manifestazioni risponde all’esigenza di affermare una zona diversa dalle dinamiche imposte dalle istanze economiche, amministrative e istituzionali che regolano la quotidianità dello spazio “pubblico” e di chi lo attraversa.”

Introduciamo con questo virgolettato tratto dalla definizione di free party, un concetto estremamente importante per arrivare a comprendere l’originario potenziale, concreto e non solo strettamente simbolico di questa subcultura, che è delimitato dai confini delle Zone Temporaneamente Autonome.

E’ possibile approfondire leggendo TAZ La Zona Autonoma Temporanea di Hakim Bey:

“Non c’è processo rivoluzionario senza al contempo un percorso di crescita interiore rivolto alla totalità dell’esperienza e alla comprensione dei mille fili che tengono insieme la realtà.”

Una vera e propria protesta contro il controllo sociale in generale e in particolare un attacco alle sue strutture.
La creazione di queste aree durante i rave è vista come una tattica sociopolitica in grado di mettere “in piedi” un tipo di “orizzontalità” unico nel suo genere, eliminando di fatto ogni gerarchia, ma soprattutto stabilendo temporaneamente e in autonomia una visione alternativa che può essere individuale o collettiva, parziale o totalmente unificata.
Diversa da quella instauratasi durante l’ultima festa vissuta perchè in continua evoluzione, in mutamento grazie al cambio di luogo, di ambiente, di gestione, di persone e di altre infinite variabili che si susseguono sovvertendo sempre gli schemi imposti dalla società, ma rovesciando di volta in volta anche “l’ordine” precedentemente stabilito dalla TAZ creatasi durante l’utimo evento, senza concedergli il tempo necessario a radicarsi e a ripetersi, senza lasciargli spazio per sedimentarsi, per inquadrarsi rigidamente come succede, per definizione, ad ogni sistema.

Per questo è impossibile che la struttura della TAZ precedente si riproponga in quella successiva, nascendo appositamente per rompere gli schemi, perderebbero il loro senso, fondato sullo sforzo di creatività necessario a trovare l’equilibrio perfetto che si adatta a quel particolare allineamento.
Qualcuno potrebbe obiettare dicendo che nonostante i rave abbiano una natura fortemente sovversiva, possano comunque facilmente ricadere nei propri schemi costituendo in definitiva una sorta di sistema, per quanto di nicchia e seppur circoscritto.

Non esiste una festa uguale all’altra.
Non mi riferisco esclusivamente agli aspetti tangibili della questione, che sono in ogni caso molto diversi, partendo dal luogo, passando al tempo, arrivando alle persone.
Mi riferisco in particolar modo a quella travolgente energia che si vive a livello percettivo, parlo sempre in base alle mie esperienze ma sono piuttosto certa che chiunque si sia avvicinato a quel mondo converrà con me, ogni esperienza è speciale nella sua unicità, ineguagliabile.

Link youtube. Per chi non visualizza il contenuto direttamente qui scegliendo di rifiutare i cookies.
Una delle migliori feste in assoluto!

Cerco di spiegarmi meglio facendomi aiutare da questo video, c’è un esempio lampante di ciò che intendo. Parte già con un gran bel basso, a 30 secondi dall’inizio viene inserita una citazione tratta da “Frankenstein Junior”.
Gli attacchi al minuto 1.00 e al minuto 8.00 valgono davvero tutto il caldo sopportato e tutta la polvere respirata, niente potrà mai rubarmi dal cuore l’intensità di quei giorni.
La traccia non si trova così com’è stata suonata in quel momento, è stata improvvisata live e in quel preciso modo è esistita in quel particolare istante soltanto, unica come l’energia trasmessa attraverso le vibrazioni che ti avvolgevano sottocassa e le sensazioni non saranno mai uguali a quelle che si proveranno davanti a un altro muro di casse, circondati da persone diverse, respirando un’aria nuova, immersi nell’ennesima TAZ in evoluzione. 

Il tentativo è quello di liberare la mente dagli automatismi nei quali rimane imbrigliata, è un ottimo esercizio di elasticità e assestamento, aiuta a costruire una realtà in fuga dalla piatta quotidianità che ci è imposta, per ricondurci verso un modo di vivere diverso, generato dalle relazioni e basato esclusivamente sul presente, nel qui ed ora

“Nel mondo era in atto un rapido cambiamento – la cosiddetta Fine della Storia – anche quando apparve il libro; ma T.A.Z. vedeva ancora il mondo sotto il segno di una dialettica che lo aveva governato fin dalla mia nascita: la Guerra Fredda e la menata capitalismo vs. stalinismo. La nozione di base della Zona Autonoma Temporanea era intesa come un contributo ad un’agognata Terza via, una sorta di evasione dalla dialettica, un’alternativa sia al Capitale che all’Ideologia.

Hakim Bey attribuisce all’informazione un ruolo fondamentale nello sviluppo delle TAZ, riconoscendone la centralità per quanto riguarda la messa in discussione del sistema e per l’evidente tentativo di manipolazione e censura.
Proprio lo scardinamento degli schemi di pensiero che questa zona rappresenta sta alla base del dubbio, con l’autenticità e la libertà dell’informazione, partendo da quest’area fisica alternativa, si genera un innovativo spazio mentale, decisamente personale. Terreno fertile per il cambiamento.
Lo scrittore, nell’introduzione alla nuova edizione del libro riconosce il fallimento nella ricerca dell’alternativa desiderata, “l’agognata Terza via”, la mancata rivoluzione che poteva nascere dalla realtà mossa dai suoi ideali.

“…ora siamo in presenza di una nuova fase del neoliberismo: la globalizzazione egemonica, “l’Impero”…Quello che abbiamo è un unico mondo, una triste parodia del vecchio sogno liberale e internazionalista; un unico mondo, ma con alcune zone escluse, e un’unica superpotenza che non deve sottostare ad alcuna regola.”

Una triste e troppo veritiera descrizione del nostro presente.
Un mondo unificato a forza, che necessita di un pensiero unico, di un modo di vivere unico.
Le esperienze personali formano, plasmano e modellano la percezione, per questo a qualcuno potrebbe sembrare un’assurdità il fatto che nel 2021, in un paese democratico, non sia concesso ad ognuno di vivere nel modo che ritiene più opportuno, ma succede.

Immagine piuttosto rappresentativa, anche se le indicazioni sullo schermo potrebbero variare in base alla direzione voluta in quel preciso momento, ovviamente il succo non cambia.

Viviamo quindi un’epoca in cui la velocità e il “feticismo della merce” hanno creato una tirannica falsa unità che tende a confondere tutte le diversità e individualità culturali, di modo che “un posto vale l’altro.

Si potrebbe aprire qui una lunga analisi su un altro cardine fondamentale del pensiero di Bey, il concetto di nomadismo psichico, ma stiamo parlando di TAZ, quindi semplicemente mi limiterò a sottolineare che esso non coincide con il presunto ma fortemente plausibile tentativo di sradicamento e conseguente perdita d’identità in atto, questo “traguardo” verrebbe raggiunto solo attraverso una non-risposta nata da un tipo di atteggiamento passivo e indifferente, niente a che vedere con quanto sostenuto dal saggista anarchico, credo lo si evinca facilmente dal tono critico del virgolettato.

E’ di particolare rilevanza a mio avviso la farsa orchestrata da qualcuno che ha utilizzato lo pseudonimo collettivo Luther Blissett e spacciandosi per un fantomatico Fabrizio P. Belletati, è riuscito a far stampare e distribuire dalla casa editrice Castelvecchi la traduzione di un libro “scritto da Hakim Bey” e intitolato: “A ruota libera”, rivelatosi un clamoroso falso.

Solo per chi è interessato alle origini della storia, andando a “spulciare” i riferimenti, ecco come viene non-definito il progetto da un Luther Blisset “in persona”:

“Proprio perché il Luther Blissett Project è un contesto aperto è assurdo pretendere che i tentativi di definirlo o trovargli per forza un’ascendenza non incontrino resistenze da parte di chi utilizza il nome…Personalmente, credo che la teoria a cui la prassi di Blissett somiglia di più sia quella che si dipana dai *Grundrisse* di Marx, opera su cui i situazionisti non sono mai stati in grado di articolare alcun discorso sensato. Mi riferisco al dibattito sul “General Intellect”, del quale LB può essere visto come una paradossale antropomorfizzazione; dopodiché, questo “flusso di coscienza” potrebbe essere fatto passare attraverso i commenti ai Grundrisse fatti da Amadeo Bordiga (e la pratica bordighiana dell'”anonimato rivoluzionario”) e alla definizione camattiana di “Homo Gemeinwesen”, l’uomo-comunanza, e oltre. Non è certo necessario conoscere queste cose per usare il nome, ma chiunque si prenda il mal di pancia di spulciarle capirà istantaneamente cosa intendo dire. D’altra parte, sfido chiunque a trovare una qualche similarità tra LB e la non-descrizione dello spettacolo data da Guy Debord.”

E continuando su questa linea:
“Sostenere che quello di Luther Blissett è un progetto di scontro frontale con l'”industria culturale” (o, ancora più stupidamente, di “assalto ai mass-media”) equivale a non aver capito un cazzo di niente. Blissett è un esperimento pratico (e gioioso) sul mito e sull’infiltrazione della cultura pop. Le “beffe mediatiche” non sono nemmeno la punta della punta dell’iceberg…”

Quest’ultima affermazione è indirizzata alle parole di Benedetto Vecchi, che riferendosi a LB avrebbe affermato:

“Nel suo obiettivo, però, c’è anche l’underground, spesso preso di mira perché considerato, a torto, come un “manipolatore delle coscienze” al pari dell’industria culturale.”

Anche se sono affascinata da tutto quello che ruota intorno a Luther Blissett e mi piacerebbe scoprire su cosa si reggono davvero le fondamenta dalle quali tutto si è edificato, non intendo speculare qui sulle sue reali intenzioni, non ora almeno.
Inoltre, sono convinta che l’underground potrebbe di certo essere in grado di manipolare le coscienze esattamente come qualsiasi altro genere di condizionamento, anche se ciò non toglie validità al potenziale rivoluzionario delle TAZ.

Con questo voglio dire che ormai non credo più nella buona fede di nessuno, non intendo osannare il Sig. Peter Lamborn Wilson, in arte Hakim Bey, semplicemente perchè è lui.
Trovo in realtà alquanto discutibili certe sue affermazioni ma non è necessario essere d’accordo con l’intero pensiero di un autore per riconoscere la fondatezza di una parte delle sue convinzioni.
Non mi interessa analizzare la sua intera produzione letteraria, nè discutere riguardo la sua figura, chissene frega.

Sto scrivendo sulla teoria della TAZ perchè l’ho vissuta senza rendermene nemmeno conto per parecchio tempo, in seguito l’ho percepita e intravista, l’ho inseguita fino a prenderne definitivamente coscienza e sono rimasta colpita dalla sua vitalità.
Ho riconosciuto la sua esistenza sperimentandola e l’ho abbracciata nel profondo perchè mi ha rapito, mi ha sempre scosso e aiutato molto.

Considerata questa premessa, il fatto che Vecchi venga in gran parte smentito da LB non incide sui pensieri che si sono concatenati in seguito alle sue parole, è stato per me un significativo spunto di riflessione sul ruolo dell’identificazione massiva e a volte rigida, che coinvolge le controculture, i movimenti, le idee.
Cosa intendo dire con questo?
Per cercare di spiegarmi meglio e far passare il concetto mi è utile questo articolo: Hakim Bey e la non-ideologia delle TAZ di G. Silvestri, della rivista “Indipendenza”, che riporta la seguente affermazione:
“Hakim Bey è divenuto perciò citatissimo, trasformato in una vera e propria icona della controcultura.”

Questa frase è particolarmente riassuntiva e contiene il nocciolo del discorso, non dovrebbe proprio esistere un’icona della controcultura, dalle quali labbra si pende rischiando di credere ciecamente a tutto ciò che dice esattamente come se incarnasse un’ideologia, adagiandosi comodamente nella propria zona di comfort, smettendo di porsi delle domande, idolatrando senza il minimo pensiero critico, così facendo non saremmo tanto lontani dal modo di vivere che intendiamo ripudiare.

In particolar modo se ci riferiamo alla cultura underground, un rapporto iconico con una singola personalità non ha senso di esistere, o meglio, per non generalizzare e senza voler in alcun modo imporre la mia visione, preferisco esprimermi così: tutto questo va contro la mia “definizione” di underground, contro la mia personale concezione, contro la mia individuale esperienza.
Siamo noi stessi emblema della nostra determinata modalità di pensiero e della conseguente volontà di vivere in quel preciso modo, proprio perchè unici e irripetibili.
E’ inevitabile trovare punti in comune con una specifica “categoria”, alla quale magari ci sentiamo più affini, nonostante ciò sarebbe bello mantenere intatta la nostra unicità e la vera rivoluzione secondo me starebbe proprio nel concretizzare questo pensiero, nella “realizzazione di tale utopia”.

Sempre nell’articolo di “Indipendenza” troviamo:
“Come sostiene lo stesso Bey: “La TAZ, da semplice comodo provvisorio acronimo, è diventata un alibi per l’assenza di strategia e abbonda oggi sulla bocca dei trendies e dei mediatisti”.

Non è in realtà Hakim Bay che lo sostiene visto che il libro è una presa in giro rivendicata dal Luther Blissett Project ma trovo il ragionamento più che sensato considerando la piega assunta dalla società odierna.
Nonostante l’autore abbia strutturato l’articolo basandosi su “A ruota libera”, cascando nel tranello di LB, l’idea riportata nel seguente virgolettato è in linea col mio sentire:
“ricostruire proprio intorno al cyberpunk una nuova identità antagonista capace di indicare, attraverso l’attenzione verso le nuove tecnologie, segnatamente quelle informatiche e della comunicazione, una possibile strada di ribellione e non acquiescenza rispetto allo spesso spietato ridisegnarsi dei bisogni sociali indotti dalla loro adozione su vasta scala nella società-mondo.”

Anticipiamo così un altro concetto chiave, che verrà approfondito in seguito, strettamente legato a questa controcultura e al rapporto tra rave e tecnologia. 

Link youtube. Una traccia dei Mad Factory con la qualità dell’audio migliore rispetto a quella sentita prima dal video in live

Cercando invece di non perdere il filo conduttore, in riferimento ai messaggi che intendo far passare attraverso queste righe, tirando le somme direi che qualsiasi spinta potenzialmente rivoluzionaria, partendo con tutte le buone intenzioni di questo mondo finisce per essere strumentalizzata, funzionalizzata e indirizzata verso il nuovo tipo di normalità voluto.
Considerato questo, a mio avviso non è la teoria delle TAZ il problema, ma la sua alterazione, la manomissione attraverso la spettacolarizzazione, tanto per fare un dispetto ai Blissett citando Debord. =)

Continuando invece a citare Bey:
“La Storia sostiene che la Rivoluzione arriva alla “permanenza”, o per lo meno alla durata, mentre l’insurrezione è “temporanea”. In questo senso la seconda è come un’esperienza estrema, tutto l’opposto rispetto allo standard della coscienza e dell’esperienza “normali”.
Come le feste, le insurrezioni non possono essere quotidiane, altrimenti non sarebbero più “a-normali”.
Tuttavia, questi momenti intensi danno forma e significato alla totalità della vita…
Che ne è del sogno anarchico dello stato senza Stato, della Comune, della zona autonoma con una durata, della società libera, della cultura libera?
Lo scopo è cambiare il mondo, non cambiare la coscienza. E’ una critica giusta.
Però vorrei fare due precisazioni: primo, finora la rivoluzione non è riuscita a realizzare questo sogno.
La visione prende vita nel momento della rivolta, ma appena la “Rivoluzione” trionfa e torna lo Stato il sogno e l’ideale sono già traditi. Non rinuncio alla speranza o anche all’attesa di un cambiamento, però diffido della parola Rivoluzione.”

Com’è possibile evitare il continuo ripetersi di questa dinamica? Come spezzare il circolo vizioso della storia?

“Insurrezione, dal latino insurrectio, è il termine utilizzato dagli storici per etichettare le rivoluzioni fallite, i movimenti che non seguono la parabola prevista, la traiettoria approvata consensualmente: rivoluzione, reazione, tradimento, fondazione di uno Stato più forte e ancor più repressivo.
La ruota gira, la storia torna sempre e sempre alla sua forma più elevata: schiacciare con pesanti stivali da SS la faccia dell’umanità…

La TAZ è come un’insurrezione che non si scontra direttamente con lo Stato, un’operazione guerrigliera che libera un’area (di terra, di tempo, di immaginario), poi svanisce per riformarsi altrove, in un altro tempo, prima che lo Stato possa schiacciarla…
La TAZ comincia con una semplice presa di coscienza…Abbiamo già citato l’aspetto festivo del momento non controllato che aderisce a un’auto-organizzazione spontanea, per quanto breve.
E’ “epifanico”, è un’esperienza forte a livello sociale quanto individuale.”

Quando parlo del grande potenziale dei rave mi riferisco essenzialmente a questo aspetto, alla forza di tali esperienze che possono essere viste come delle corte micce, il breve frangente nel quale bruciano fa esplodere la bomba in seguito.
Spesso non è necessario essere totalmente consapevoli di questa combustione, non ci è dato sapere il luogo dell’esplosione, nè il suo orario esatto, ma il momento dell’innesco viene vissuto ugualmente e la detonazione avverrà comunque, a tempo debito.
Potrebbe risultare difficile, se non impossibile, risalire al preciso istante che ha dato il via a tutto, ma è rilevante?

Il processo è in atto, questo è quello che conta.

Alla luce di quanto sopra descritto e valutando realisticamente la portata e la solidità del sistema vigente, che sembra troppo grande, complesso e radicato per essere anche solo scalfito con una semplice rivolta popolare, figuriamoci distrutto visto e considerato il perenne fallimento delle manifestazioni, in riferimento alla ricerca di una soluzione concreta che possa interrompere il subdolo meccanismo di ritorno che ci riconduce sempre e inesorabilmente in catene, trovo interessante il seguente spunto:

“Da come la vedo io, la sparizione sembra un’opzione radicale molto logica nella nostra epoca, niente affatto un disastro o la morte del progetto radicale…scavare alla ricerca di utili strategie nell’incessante “rivoluzione della vita quotidiana”: la lotta che non può cessare nemmeno con lo scacco definitivo della rivoluzione politica o sociale perchè soltanto la fine del mondo può far cessare la vita quotidiana e le nostre aspirazioni alle cose buone, al Meraviglioso…
Studiamo l’invisibilità, il fare rete, il nomadismo psichico.
E chi lo sa che cosa otterremo?”

Potranno privarci di tutti i diritti, decidere per noi, impedirci di viaggiare fisicamente, se non sotto ricatto. Sarà tutto inutile perchè siamo semplicemente e intrinsecamente liberi, liberi nella testa. Questo, se non saremo espressamente noi a permetterlo, nessuno lo potrà controllare, mai.

“Ho immaginato la Rete come un’appendice alla TAZ, una tecnologia al servizio della TAZ, un mezzo per potenziarne l’emergere. Ho proposto il termine “Web” per questa funzione della Rete.

Che beffa. La rivista “Time” mi ha identificato come un cyber-guru, “spiegandomi” che la TAZ esiste nel cyberspazio. Il termine “Web” è diventato il termine ufficiale per la funzione commerciale/di sorveglianza della Rete, e nel 1995 è riuscito a seppellire il potenziale anarchico della Rete (se esisteva davvero) sotto una massa di pubblicità e di truffe dot-com.

Ciò che resta della sinistra sembra ora abitare un mondo fantasma dove qualche migliaio di “hits” passano per azione politica e la “comunità virtuale” prende il posto della presenza umana.
Il Web è diventato lo specchio perfetto del Capitale globale: senza confini, trionfalista, evanescente, esteticamente fallimentare, monoculturale, violento – una forza finalizzata all’atomizzazione e all’isolamento, per la scomparsa della conoscenza, della sessualità, e di ogni sensibilità sottile. 
La TAZ deve esistere in uno spazio fisico tattile geografico pieno di odori e sapori altrimenti non è altro che un progetto sulla carta o un sogno. I sogni utopici hanno valore come strumenti critici e dispositivi euristici, ma non c’è sostituto per la vita vissuta, la presenza reale, l’avventura, il rischio, l’amore. Se si fa dei media il centro della vita, allora si condurrà una vita mediata – mentre la TAZ vuole essere immediata o altrimenti niente…deve esistere all’interno di un mondo di puro spazio, il mondo dei sensi.
Liminale, addirittura evanescente, deve combinare informazione e desiderio per portare a buon fine la sua avventura (il suo “av-venire”), per espandersi fino alle frontiere del destino, per saturarsi con il proprio divenire.

Eccola, è esattamente la filosofia che accompagna quella che dovrebbe essere la vera essenza delle feste, dalla loro nascita negli anni settanta in opposizione alle politiche repressive dell’epoca, per passare poi al movimento “Reclaim the street” degli anni ‘90 che protestava contro il capitalismo e la globalizzazione (dal quale si svilupperanno le street parade), arrivando poi ad influenzare la realtà italiana delle origini fino alla perdita di significato che sempre più sembra aver incrinato, se non cancellato totalmente quella sostanza, servendosi proprio dell’abuso di altre sostanze, quelle che hanno iniziato a dilagare tra i giovani.
Senza in alcun modo negare la gravità del problema evitiamo di soffermarci inutilmente ora sulla differenza tra uso, abuso e dipendenza perchè approfondiremo meglio questo aspetto nelle prossime uscite, semplicemente perchè questa sezione è dedicata alla parte ideologica del rave e al suo potenziale, non alle sue dolorose derive.

Ripartendo quindi dalle idee, scongiurando altre possibili aberrazioni e considerando la cattiva fama del cyberpunk, che potrebbe essere visto solo ed esclusivamente come tentativo disumanizzante, vorrei sottolineare un particolare importante che non merita di essere trascurato:

“La taz va d’accordo con gli hacker perchè vuole nascere, in parte, tramite la Rete, anche grazie alla mediazione della Rete. Ma va d’accordo anche con i verdi perchè mantiene una forte coscienza di sè in quanto corpo e prova solo schifo per la Cibergnosi, per il tentativo di trascendere il corpo tramite l’istantaneità e la simulazione.
La taz tende a ritenere fuorviante la dicotomia tech/anti-tech, come quasi tutte le dicotomie in cui gli apparenti contrari si rivelano falsificazioni o addirittura allucinazioni causate dalla semantica.

E’ un modo per dire che la taz vuole vivere in questo mondo , non nell’idea di un altro mondo, di un mondo visionario nato da una falsa unificazione (tutto verde OPPURE tutto metallo) che può esssere l’ennesimo miraggio…
La taz è utopica nel senso che punta a un’intensificazione della vita quotidiana o, come avrebbero detto i surrealisti, all’inserimento del Meraviglioso nella vita. Però non può essere utopistica nel vero senso della parola, cioè un nessun dove. La taz è in un dove.

Dopo il grande successo riscosso da TAZ la critica si è lanciata in profondi elogi e articolate recensioni sul famigerato, finto libro di Hakim Bey.
Parliamo soprattutto degli intellettuali di sinistra.

“Semplificando una TAZ può essere vista come un’isola, non necessariamente fisica, di territorio liberato dalle logiche di dominio economico e mentale capitalista.”

Sono d’accordo con questa chiarificazione ma credo che, anche se bacini di pensiero libero possano riempirsi nelle più vaste distese virtuali, la scintilla vitale che davvero è andata a perdersi scatti proprio nella fisicità di certi attimi.
Stiamo perdendo quell’innesco con tutta la forza che ne deriva. Vivere nel mondo reale è doloroso, difficile, spesso complicato ma bellissimo e irreplicabile.

Posso scrivere con l’anima solo il mio vissuto e le mie esperienze dirette, su tutto il resto posso farmi un’opinione, posso rifletterci, ma restano in ogni caso astrazioni e credo che oggi sia indispensabile ricollegarsi a quel tipo di realtà, lo vedo come punto di partenza per un percorso di consapevolezza e sono convinta che sia importante, ora come non mai.

In un mondo di apparenza immerso in un oceano di snaturamenti e distorsioni, dove la realtà è filtrata e scenografica, dove niente di quello che vediamo attraverso uno schermo, nulla di ciò che ci viene raccontato appare reale, quello che ci manca per ritrovare l’equilibrio necessario che ci permetterebbe di fare davvero la differenza è, in definitiva, l’esperienza diretta, seguita da tutto ciò che ne deriva.
Solo in questo modo si può ambire “alla comprensione dei mille fili che tengono insieme la realtà.” 

Finiamo con questo concetto chiave per chiudere il cerchio, perchè proprio da lì siamo partiti citando una delle più grandi “intuizioni” di Bey.

Concludo definitivamente con un piccolo pezzetto di quella che è stata la mia realtà, un minuscolo frammento di una TAZ che mi si è incisa nell’anima.

Questo video dura pochissimo, semplicemente perchè non volevo si vedessero troppo i volti e sul finale, per motivi tecnici, sono stata costretta a tagliarlo esattamente al ventitreesimo secondo. E’ una bella coincidenza, per chi crede nel caso.
Tralasciamo il mistero intorno al numero, i suoi molteplici significati e tutto quello che c’è dietro, perchè ci vorrebbe un approfondimento a parte e non ne so abbastanza.
In questo particolare momento lo vedo solo come un piccolo omaggio alle feste vista l’importanza che i ravers attribuiscono al 23, personalmente è un semplice ricordo di quello che i rave rappresentavano per me e di ciò che mi hanno lasciato dentro.

https://odysee.com/@Lely:2/TheRaveOfMindMadFactoryKarnival2k9:d

We Just Want Good Vibes
~Lely~

Free Party

Free Party

Non è possibile parlare davvero di underground senza far riferimento al rave.
Il termine mondo è in questo caso tanto azzeccato quanto necessario per cercare di fornire una panoramica sufficientemente ampia e una visione quanto più possibile completa del fenomeno.
La “festa”, come viene semplicemente e comunemente chiamate da chi la vive, è in effetti, senza ombra di dubbio, un universo parallelo.

“La caratteristica più sorprendente dei rave è che essi sono riusciti a crearsi un mondo ed un linguaggio tanto particolari da generare un vero e proprio fenomeno di cultura.”
Questa subcultura è stata dapprima totalmente ignorata e successivamente mal raccontata, fino ad arrivare alla tipica polarizzazione delle opinioni.
Posso capire sia apparentemente incomprensibile e difficile da credere ma posso anche assicurare che alla base c’è molto più di quanto si possa superficialmente immaginare.
E’ sopravvissuta una parte della filosofia delle origini nata negli anni 60, questo almeno fino al 2011, quando ho scelto, in parte dolorosamente, di allontanarmi da quel mondo che nonostante le sue contraddizioni e prima della sua degenerazione celava un grande potenziale.

Oltre al fastidio per il turbamento dell’ordine pubblico causato da alcune, e ripeto, alcune di queste realtà, c’era di più, oltre alle sacrosante lamentele per certi comportamenti poco opportuni, se non assolutamente inaccettabili di alcuni, e sottolineo di nuovo, alcuni personaggi al limite della follia…c’era dell’altro.
Dietro all’immagine generalizzata e strumentalizzata che ha dato vita allo stereotipo si nascondeva un universo di infinite sfaccettature.
Cercherò quindi di rendere visibili anche gli angoli che restano fuori dai coni di luce, direzionati dalle mani che impugnano le torce.

Chiunque sia incappato in un servizio del mainstream sull’argomento può essersi facilmente fatto un’idea riguardo le mie sopracitate allusioni, accenni che per ora, rimarranno tali per un semplice motivo: ci ha già pensato la stampa di regime a mettere l’accento sulle criticità e sui problemi legati alle feste, con il suo solito modus operandi, quell’abile lavoro di taglia e cuci montato ad arte tra distorsioni e omissioni.

La situazione non migliora nemmeno se ci si avventura in rete digitando la parola “rave” e aprendo a caso le pagine che ci vengono proposte, anche in questo caso è probabile cadere nel tranello del giudizio basato sull’incompletezza degli elementi, a volte pure snaturati, che rischiano di andare a creare dei preconcetti come minimo limitanti se non totalmente alterati. Meccanismo che si ripete di continuo, non mi riferisco solo al tema trattato, è una dinamica diffusa ovunque.

֎֎֎

Partendo dal significato

Rave significa scatenarsi in modo eccitato e incontrollato ma è anche il parlare o lo scrivere di qualcosa con grande entusiasmo, ed è proprio ciò che mi sto accingendo a fare.
Sorrido nel rendermi conto che, a parte qualche documentario di nicchia e qualche blog, la fonte alla quale dobbiamo la maggiore esaustività e oserei aggiungere imparzialità sul tema è wikipedia, alla voce “free party” ,credo basti per rendersi conto dell’immensa lacuna comunicativa esistente.

“Nella sua connotazione più politicizzata questo fenomeno vuole creare una zona libera dai grossi flussi economici e dai tempi della società civile, in cui la musica può andare avanti per interi giorni, ottenuta mediante la pratica dell’occupazione e regolata attraverso la possibilità di accedervi liberamente.
L’organizzazione di questi eventi non riconosce, e spesso contesta, la legalità come limite applicabile alla propria possibilità di articolazione e le forme di socialità offerte e comunemente imposte.” Direi che questa è un ottima definizione.

Uno degli scopi principali era quello di staccarsi completamente dalle dinamiche economiche che facevano girare l’industria del “divertimento”.
Pagare cifre esorbitanti un biglietto d’ingresso per ballare solo qualche ora accanto a persone che non sentivi simili a te, magari ringraziando se ti concedevano un cocktail annacquato, la musica che non ti rispecchiava, il tragitto dal guardaroba al bar visto come una passerella, per sfoggiare l’ultimo paio di jeans Armani anche mentre ci si dirige verso il bagno per ritoccarsi la maschera, tornare in pista ad idolatrare il DJ come se camminasse senza toccare il suolo.
Anche no, grazie.

La rappresentazione perfetta di questa società gerarchica fondata sull’apparenza più che sulla sostanza.
Non è mia intenzione generalizzare, non credo fosse così ovunque e non credo nemmeno fosse così per tutti.
Parlo basandomi sulla mia personale esperienza e sulle mie sensazioni che di fatto, sono queste.

Crescendo ho imparato ad apprezzare anche alcune serate nei locali, a concentrarmi solo su ciò che di buono vedevo e a pagare riconoscendo il valore di certi artisti ma c’è stato qualcosa allora, molto più di qualcosa, che mi ha spinto con una forza prorompente verso il mondo dei rave quando ero ancora una ragazzina.

Ho sempre preferito il fango sugli anfibi alla lacca sulle scarpe immacolate, la polvere che i subwoofer mi lasciavano sulle mani alle tracce di fondotinta e i jeans strappati a quelli firmati, non che potessi permettermeli ma anche se avessi potuto, avrei speso quei soldi in altro, questo poco ma sicuro.

Ho sempre visto la festa come un luogo dove potermi esprimere liberamente, come ciò che sentivo di essere in quel momento, senza correre il rischio di farmi sputare addosso giudizi gratuiti e non richiesti.
Un luogo aperto di ricerca e sostanza, non una scatola di imposizioni e di esteriorità.
Un luogo dove non fregava un cazzo a nessuno se la mattina avevo quel poco di matita per gli occhi che mettevo sbavata fino alle guance perchè avevo riso fino alle lacrime e infine, con i DJ al massimo ci scherzavo condividendo una birra, non mi pare di ricordarli mentre camminavano senza toccare il suolo dato che avevano le scarpe infangate quanto le mie, così come quelle di tutti.

Si creava perciò una vera e propria alternativa al business dei locali, ci si trovava spesso nelle fabbriche dismesse che, oltre alla loro funzionalità in quanto situate in periferia e di conseguenza perfette per ospitare molte persone e kilowatt di suono senza dare troppo nell’occhio, venivano inizialmente scelte come forma di occupazione simbolicamente legata alla rivendicazione degli spazi destinati ai proletari, spazi che col tempo sono stati abbandonati e dimenticati come è stato “abbandonato e dimenticato”, del resto, anche il proletariato.
Purtroppo è capitato di respirare inconsapevolmente quello stesso amianto che erano costretti a inalare gli operai sottoposti a turni di lavoro estenuanti, esclusi questi “piccoli dettagli”, si ridava vita agli scarti della società consumistica moderna, riappropriandosi di quei luoghi, simbolo di schiavitù e conformismo e dando loro una connotazione diametralmente opposta all’originale.
Il capannone non era più vissuto come una gabbia, emblema dello sfruttamento in nome del mercato, ma come ritrovo di menti e cuori che andavano contro le logiche imposte da quel sistema che la grande industria rappresenta.

“Vengono progettati nuovi significati per i luoghi: vagoni di treni bloccati e fatiscenti diventano anomali salotti per incontrarsi, capannoni, fabbriche in disuso si trasformano in dance hall in cui individualità, appartenenza e radici si fondono in un brulicare di vita.”

I ravers sono essenzialmente considerati dei disadattati irrispettosi che si lasciano alle spalle solo sporcizia e distruzione, sono spesso definiti come dei drogati senza la benchè minima aspirazione (approfondirò in seguito, nei prossimi articoli, il discorso legato alle innegabili criticità e a tutti i valori della filosofia origininaria che è andata a perdersi durante gli anni). 
Posso essere d’accordo sul disagio semplicemente perchè di fatto, chi frequentava quel tipo di ambiente era di bassa estrazione sociale, quindi già economicamente ai margini, chi più chi meno.
Ideologicamente contrapposti alla cosiddetta borghesia in sè e a tutto ciò che incarnava, consapevoli riguardo alla fatica che si riscontrava nell’adattarsi e nell’integrarsi totalmente.

Dissento invece sul giudicare a priori i ragazzi come svogliati ed evanescenti ectoplasmi capaci solo di s-ballare e tralasciando alcuni casi limite, vorrei rendere giustizia perlomeno ad alcuni di loro e in particolar modo agli organizzatori.
Per dimostrare e avvalorare questa mia affermazione vorrei porre alcune domande un filo provocatorie, non sono rivolte a nessuno in particolare, forse servono solo per esorcizzare un po’ i pregiudizi che il sistema ha vomitato addosso a chi in realtà non se lo meritava affatto, concedetemelo.

Avete idea del tempo, della fatica e dell’impegno necessari per l’organizzazione di un party totalmente autogestito?

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Vi siete soffermati ad osservare un muro di casse spostando lo sguardo dai bancali poggiati a terra per sostenerlo alle cinghie che lo tengono stretto insieme per arrivare poi su fino ai tweeter più alti?

Ma soprattutto, avete mai visto cosa c’è dietro a quei 60 o 70 kilowatt?
Il mio non è un “dietro” solo in senso figurato, mi riferisco a tutta l’attrezzatura: gli amplificatori, i mixer, tutti i rack e le taniche di benzina, i generatori.
Avete idea di quanto pesa un generatore da 10 kilowatt?
Apriamo le porte all’empatia, proviamo a comprendere chi metteva anima e corpo al servizio di un ideale, a chi si prosciugava per far ballare le persone senza pretendere nulla in cambio, disinteressatamente.

Serviva un luogo adatto per montare, se possibile si faceva un sopralluogo per verificare non ci fossero pericoli e nel caso si tentava di mettere in sicurezza, coprendo almeno i buchi per evitare che, al buio, ci finisse dentro qualcuno.

Si caricavano i furgoni ed era bene ricordarsi di riempire tutte le taniche per evitare che la benzina scarseggiasse nel pieno della festa, per non doversi fare i km a piedi magari, verso il distributore più vicino, nel cuore della notte, passando per le stradine più sperdute, perdendosi cercando di aggirare le forze dell’ordine appostate all’ingresso per “tenere sotto controllo la situazione”.

Si faceva il carico per il bar: casse su casse di acqua e birra, qualche superalcolico, qualche stecca di sigarette. Una delle persone più vere e autentiche che abbia mai conosciuto in vita mia ha detto addio agli ammortizzatori della sua punto per divertire e dissetare la gente alle feste.

Finalmente in viaggio e si arrivava sul posto. Si scaricava tutto, si montavano il sound e il bar con gazebo e tavoli, si appendeva la “scenografia” se ci si era ricordati di caricarla.

Cominciava il “calvario dell’info”. Rispondi e attacca. Rispondi e attacca. Ore con l’orecchio incollato al telefono a ripetere incessantemente le indicazioni stradali, ore a ripetere la stessa identica frase fatta eccezione per quelle volte che qualcuno ti diceva cose del tipo “Oh ma alla farmacia dobbiamo svoltare a destra o a sinistra?” e tu manco l’avevi vista una farmacia perchè magari eri arrivata dalla direzione opposta, quindi niente, si cercava il modo di aiutare i dispersi a raggiungere il posto.  

Cominciava il “calvario del bar”. Ore ed ore in due o tre dietro a quel tavolo sperando di riuscire a racimolare almeno i soldi della famosa benzina. Sempre i soliti due o tre, stufi marci di ballare davanti alla cassa dei soldi, si bramava la cassa acustica vera e propria e si sperava di veder sbucare qualche volenteroso per il cambio turno perchè quando finalmente quel momento arrivava, eri finalmente libero di ballare seriamente attaccato ai coni. Potevi anche dormire un po’, fino al turno successivo almeno, ma se ti andava bene eri libero fino al momento di smontare, quando si riavvolgeva il nastro rifacendo tutto al contrario.

Sperando di vedere gli altri apparire al più presto nello specchietto retrovisore, ti dirigevi verso l’autostrada, pregando di non sentire il telefono squillare e di non dover andare a recuperarli in questura perchè i furgoni venivano sequestrati e loro erano a piedi ovviamente, se ti toccava tornare indietro facevi quattro chiacchere coi carabinieri che facevano solo il loro lavoro, ti preparavi psicologicamente al salatissimo preventivo della lettera di dissequestro e tanti saluti al recupero della maledetta benzina perchè tutto il ricavato del bar sarebbe finito nelle tasche dell’avvocato.

Se invece andava tutto bene te ne tornavi a casa sfinita ma felice. Doccia veloce e via a letto.
Le lenzuola pulite che avvolgono le gambe stanche, la morbidezza del materasso dopo minimo 32 ore che non lo vedevi e 8 ore di sonno sono tutto ciò che chiedi, fino alla sveglia delle 7.30 che ti trascina fuori dal sogno riportandoti alla realtà della scuola o del lavoro, che ti ricorda insistentemente di tornare alla tua vita normale.


Si, “normale” qualsiasi cosa significhi.
Mettiamo da parte un attimo i cliché e i luoghi comuni, tra i quali troviamo lo spauracchio del raver sporco, brutto e cattivo.

La maggior parte dei ragazzi che ballavano alle feste anzichè in discoteca conduceva una “normalissima” esistenza, tirando a campare come chiunque altro.
La mattina alle 8 in classe, non sempre in forma smagliante ma presenti. 
A volte partivo direttamente con lo zaino pronto per il lunedì e capitava di rileggere qualche capitolo appena arrivata o prima del viaggio di ritorno verso casa, come alla festa qui sotto, caduta proprio il weekend prima degli esami.

Ripassavo per la terza prova mentre l’impianto faceva vibrare la sedia, il camper, i muri e ogni mia singola cellula, mi sono pentita di alcune scelte negli anni, ma se mi ritrovassi catapultata indietro non rinuncerei a quel momento, per niente al mondo.

Festa alla Colletta-Torino Brutal Toys Sound System

Alla luce di quanto sopraelencato, come potrebbero dei “disagiati senza la benchè minima aspirazione”, dei drogati buoni a nulla, essere in grado di concepire e realizzare degli eventi di tale portata?
Non ho mai incontrato, in nessun altro ambito, tanta disinteressata passione.
Ai rave ho conosciuto persone che di propositi ne avevano da vendere e non erano dettati dalla più vile ambizione ma erano spinti da un anelito di libertà.


Ricordo un pomeriggio di settembre, l’acqua veniva giù dal cielo “a secchiate”, non sto esagerando, i tergicristalli impostati alla massima velocità faticavano a toglierla dal parabrezza quel tanto che bastava per farmi vedere dove andavo.
Era in programma una festicciola ma nessuno di noi era convinto di ciò che stava facendo, in quelle condizioni metereologiche montare in un bosco sembrava davvero impossibile e le obiezioni sollevate da molti non erano solo lecite, come potevamo farcela?

La situazione era a dir poco assurda ma niente, il fondatore dei Brutal Toys è la persona più ostinata che abbia mai incontrato in vita mia e quella festa si doveva fare, punto.
Siamo partiti in carovana, avevo la patente da un mese, non conoscevo le strade e non vedevo quasi nulla a causa della pioggia, non capivo nemmeno dove finiva la strada e dove iniziava il marciapiede perchè era tutto completamente allagato, ogni rotatoria era una tortura e sudavo freddo mentre tentavo di stare dietro al furgone per non perderlo, visto che non avevo la più pallida idea di dove stessimo andando.
Ero talmente concentrata che l’amica al mio fianco stentava a parlarmi, forse perchè non rispondevo, forse perchè anche lei aveva paura potessi non accorgermi di una rotonda, dalla tensione nemmeno la musica era stata accesa, dopo svariati km in silenzio il tempo che intercorreva tra una secchiata d’acqua e l’altra si allungava, il diluvio è diventato piano piano una pioggerella leggera e quando siamo arrivati a destinazione non pioveva più.
Non so come abbiamo fatto a montare ma alla fine quella dannata festa è riuscita davvero, ed è pure venuta molto bene, contro ogni aspettativa, contro ogni previsione e grazie alla testardaggine di una singola persona. 


La mia mente tornava sempre a questo episodio quando sentivo qualcuno che sputava sentenze, definendo il “popolo dei rave” come un branco di delinquenti senza alcuno scopo nella vita.
Come se fossimo tutti uguali. Come se quel giudice improvvisato, autoproclamatosi tale, sapesse per certo quale poteva essere (da leggere con tono ironico/solenne) il vero scopo della vita.

Quale vita? La sua? La nostra?
Come se si sentisse in diritto di dirci cosa ci avrebbe dovuto rendere davvero felici, come se avesse la pretesa di sapere cosa invece ci avrebbe fatto desiderare di morire.
Una laurea, uno status sociale riconosciuto, il posto fisso, una vita in viaggio, un’attico in centro, una casa in campagna, una macchina potente, la fama, l’anonimato, il matrimonio, una relazione stabile, una vita di eccessi, un ideale, un sogno, una passione?
Risposte diverse per anime diverse. 
Come si può pensare di essere sulla strada sbagliata se si vive con tanto ardore?

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Gli ultimi 15 minuti sono spettacolari ma tutto il disco è una bomba
~Lely~

The Rave Of Mind – Primo Passo

The Rave Of Mind – Primo Passo

“Proprio per essere fenomeni controculturali, staccati dal potere ufficiale e ad esso avversi, i rave sono sempre stati osteggiati dalle autorità nella loro diffusione, soprattutto nel corso degli anni 90, quando il movimento aveva già raggiunto dimensioni considerevoli e fondamenta solide su cui svilupparsi ulteriormente…Un free party è un incubo: senza profitto, senza spettatori passivi con cervelli atrofizzati da comandare, senza rispetto per la proprietà e il capitale.
I governi tramite queste repressioni mostrano di essere spaventati dal potere dei rave, e tentano di limitarlo prima che si sviluppi in direzioni sconosciute. Ecco perchè intere aree di anticonformismo vengono criminalizzate.”

Un piccolo scritto trovato in rete che mi è piaciuto molto, rappresenta bene il movimento.

Manifesto di un Raver

“Il nostro stato emotivo l’estasi.
Il nostro nutrimento l’amore.
La nostra dipendenza la tecnologia.
La nostra religione la musica.
La nostra moneta la conoscenza.
La nostra politica nessuna.
La nostra società un’utopia che sappiamo non sarà mai.

Potete odiarci. Potete ignorarci. Potete non capirci.
Potete essere inconsapevoli della nostra esistenza.
Possiamo solo sperare che non ci giudichiate, perchè noi non vi giudicheremo mai.

Non siamo criminali. Non siamo disillusi. Non siamo dipendenti dalla droga.
Non siamo dei bambini inconsapevoli.

Noi siamo un villaggio tribale, globale, di massa, che non dipende dalla legge fatta dall’uomo, dallo spazio e dal tempo stesso. Noi siamo un’unità. L’unità.
Noi siamo stati plasmati dal suono.
Da molto lontano, il temporalesco, eccheggiante e smorzato battito era simile a quello del cuore di una madre che tranquillizza un bambino nel suo ventre di acciaio, calcestruzzo e fili elettrici.
Noi siamo stati allevati in questo ventre, e qui, nel calore, nell’umidità e nell’oscurità di esso, siamo giunti ad accettare che siamo tutti uguali.
Non solo per l’oscurità e per noi stessi, ma per la vera musica che batte dentro di noi e passa attraverso le nostre anime: siamo tutti uguali.
E attorno ai 35Hz possiamo sentire la mano di un dio sul nostro dorso, che ci spinge avanti, ci spinge a spingere noi stessi, a rinforzare il nostro pensiero, il nostro corpo e il nostro spirito.

Ci spinge a girarci verso la persona vicino a noi per stringerle le mani e sollevarle, condividendo la gioia incontrollabile che proviamo creando questo magico cerchio che può, almeno per una notte, proteggerci dagli orrori, dalle atrocità e dall’inquinamento del mondo che sta là fuori.

E’ in questo preciso momento, con queste percezioni iniziali che ognuno di noi è realmente venuto al mondo.
Continuiamo ad ammassare i nostri corpi nei clubs, nei depositi e negli edifici che voi avete abbandonato e lasciato senza alcuna ragione, e gli riportiamo vita per una notte.
Una vita forte, deflagrante, che pulsa, nella sua più pura, più intensa, nella più edonistica forma.

In questi spazi improvvisati, noi cerchiamo di liberarci dal peso dell’incertezza di un futuro che voi non siete stati capaci di stabilizzare e assicurarci.
Noi cerchiamo di abbandonare le nostre inibizioni, e liberarci dalle manette e dalle restrizioni che avete messo in noi per la pace del vostro pensiero.
Noi cerchiamo di riscrivere il programma che avete cercato di indottrinarci sin dal momento in cui siamo nati.
Programma che dice di odiarci, di giudicarci, di rifugiarci nella più vicina e conveniente tana.
Programma che dice persino di salire le scale per voi, saltare attraverso i cerchi e correre attraverso labirinti su ruote per criceti.
Programma che ci dice di cibarci dal brillante cucchiaio d’argento col quale tentate di nutrirci, anzichè lasciare che ci nutriamo da soli, con le nostre stesse mani capaci.
Programma che ci dice di chiudere le nostre menti, invece di aprirle.
Fino a quando il sole sorgerà per bruciare i nostri occhi rivelando la realtà del mondo che avete creato per noi, noi balleremo fieramente con i nostri fratelli e sorelle, celebrando la nostra vita, la nostra cultura, e i valori in cui più crediamo: pace, amore, libertà, tolleranza, unità, armonia, espressione, responsabilità e rispetto.

Il nostro nemico l’ignoranza. La nostra arma l’informazione.
Il nostro crimine violare e sfidare qualsiasi legge che voi sentite aver bisogno di utilizzare per porre fine all’atto di celebrare la nostra esistenza. Ma ricordate che mentre potete fermare un qualsiasi party, in una qualsiasi notte, in una qualsiasi città, in una qualsiasi nazione o continente di questo magnifico pianeta, non riuscirete mai a spegnere il party intero.
Non avete accesso a questo interruttore, non importa quello che pensate.

La musica non si fermerà mai. Il battito del cuore non si spegnerà mai. Il party non finirà mai. Sono un raver, e questo è il mio manifesto.

Può sembrare provocatorio, certi aspetti andrebbero approfonditi per essere compresi nel loro significato più profondo.
Molti percepiscono la tekno come un fastidioso rumore, molti faticano addirittura a chiamarla musica e approfondirò questa sfumatura più avanti, ma non importa come viene definita, per me è stata molto di più, non è qualcosa che si può etichettare e non è possibile capire davvero cosa intendo ascoltandola da uno smartphone, serve un buon impianto.
Ho cercato un compromesso con questo pezzo e spero possa essere leggermente afferrato anche da chi non ama il genere.
Non abbiate timore ad alzare il volume!

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~Lely~