Antropologia

Il grande fascino della dimensione onirica.

L’etimologia della parola sogno si riconduce al latino somnium = sonno, a sua volta dalla radice sanscrita svap- (svapnja in sanscrito vuol dire sonno), poi nel greco ὕπνος (ypnos)= sonno, prima ancoraσ-ὕπνος (s-ypnos). In origine quindi, sogno e sonno erano un tutt’uno e sonno e sogno non si distinguevano.

Attualmente sogno e sonno hanno due significati diversi: il secondo indica lo stato di coscienza del dormire mentre il primo è quella parte del sonno in cui l’inconscio (durante la cosiddetta fase REM) produce delle immagini relative a situazioni che sembrano essere così reali da indurre il soggetto che li vive a provare sensazioni ottimistiche quando piacevoli e sensazioni pessimistiche quando spiacevoli.

L’immaginario di tutta l’umanità è ricchissimo di elementi che riguardano questa dimensione. Dal punto di vista occidentale e quindi nella specifica area di influenza del mediterraneo abbiamo molti elementi interessanti.

Oniromanzia

Innanzitutto un nocciolo strutturale dell’immaginario onirico antico e moderno è che il sogno sia portatore di un messaggio importante. Da questo concetto si sviluppa quella che chiamiamo Oniromanzia ovvero la tecnica di divinazione basata sull’interpretazione dei sogni.

Alcuni studiosi infatti interpretano i dipinti parietali paleolitici delle Grotte di Lascaux come la testimonianza degli elementi narrativi del sonno mistico di fondamentale importanza per tutta la comunità. Anche alcune delle domus de is janas , antiche costruzioni neolitiche scavate nella roccia calcarea dell’isola di Sardegna, si pensa potessero essere dei luoghi sacri adibiti al rito dell’incubazione. L’incubazione è una pratica magico-religiosa che consiste nel dormire in un’area sacra allo scopo di sperimentare in sogno rivelazioni sul futuro oppure di ricevere cure o benedizioni di vario tipo. Rituali di incubazione si conoscono già in epoca sumerica. Questa pratica richiedeva che un sognatore scendesse in un luogo sacro sotterraneo, dormisse una notte sognando e andasse da un interprete a raccontare il sogno, che di solito rivelava una profezia. La religione vedica conosce riti contro i cattivi sogni considerati alla stregua di ogni altro male; ma questa concezione cede presto, nella letteratura brahmanica, all’idea che i sogni costituiscano solo segni premonitori della realtà. Nell’ Epopea di Gilgames, l’eroe, re di Uruk, prima di ogni nuova impresa si ritirava in fasi meditative entro le quali il sogno assumeva un ruolo magico, di raccoglimento interiore e di catalizzazione delle forze divine. Nell’antica Grecia, l’incubazione veniva praticata dai membri del culto di Asclepio e le offerte votive ritrovate nei suoi centri di culto ad Epidauro, Pergamo e Roma attestano l’efficacia del rito. L’incubazione venne adottata da certe sette cristiane ed è tuttora in uso in pochi monasteri greci. In Nord Africa la pratica dell’incubazione, estremamente antica (è segnalata già da Erodoto), è tuttora molto vivace. Essa si pratica soprattutto presso le sepolture dei famigliari o di qualche santo o marabutto. Il termine che la designa più di frequente è asensi (dal verbo ens “passare la notte”).

L’oniromanzia è stata particolarmente valorizzata nel mondo classico.  Per gli antichi Greci, il sogno non è una rappresentazione imperfetta della realtà, né unicamente un flusso caotico di pensieri durante il sonno. Il sogno rappresentava uno stadio superiore di realtà, un limbo tra il mondo umano e il mondo degli déi, che analizzarono dettagliatamente, distinguendone diversi livelli.

Sicuramente è importante ricordare che Morfeo è il dio delegato ai Sogni mentre Ipnos quello delegato al Sonno. Morfeo è figlio di Ipnos e di Notte, nato da una rapporto incestuoso tra il dio e sua madre. Il dio è citato nelle Metamorfosi di Ovidio, il quale gli attribuisce anche due fratelli: Fobetore e Fantaso. Secondo il poeta latino, Morfeo aveva il ruolo di entrare nei sogni degli esseri umani personificandosi in altre persone; Fobetore, invece, compare negli incubi delle persone trasformandosi in creature mostruose; Fantaso infine s’immedesima in oggetti inanimati che popolano i sogni delle persone. Morfeo era inoltre rappresentato, a volte, come un giovane con grandissime ali di farfalla che sbattono silenziosamente alle sue spalle ed un paio di alette sulla testa. Aveva con sé una cornucopia da cui estraeva l’essenza del sogno ed un fiore di papavero per far entrare la persona in un sonno profondo.

Nel Commento al sogno di Scipione, Macrobio, pensatore romano, compie una dettagliata anatomia dell’universo dei sogni, descrivendo i cinque tipi di sogno che, secondo gli Antichi, potevano manifestarsi all’uomo durante la notte. I primi due livelli rappresentano il grado più “basso” del sogno e sono il visum e l’insomnium.

L’insomnium, ossia la visione interna al sogno, è strettamente legato alle immagini dei nostri desideri e delle nostre preoccupazioni che tornano a farci visita di notte. Esso rappresenta l’aspetto “ingannatore” dei sogni, in grado di farci credere di vivere una realtà effettiva che, però, svanisce e non lascia alcuna traccia di interesse o di significato non appena ci svegliamo.

Il visum, l’apparizione, “si verifica in quegli istanti tra veglia e sonno profondo, nel momento in cui, come si dice, si sta per cedere all’influenza dei vapori soporiferi, quando il dormiente, che pensa di essere ancora sveglio […] si crede assalito da figure fantastiche le cui forme e grandezze non hanno niente di analogo in natura” e per natura è simile all’insomnium, con la differenza che in questo caso le immagini che si presentano sono caotiche e confuse. Questi due livelli rappresentano i più elementari e meno importanti del mondo dei sogni, poiché un mero riflesso, più o meno confuso, della realtà quotidiana.

Secondo gli antichi, vi sono livelli superiori che possono rappresentare un limbo tra mondo terreno e mondo ultraterreno, uno stadio superiore di coscienza entro il quale la mente umana, libera dai vincoli della materialità e della quotidianità, può entrare in contatto con i segreti della realtà.

Il primo di questi livelli è l’oraculum, l’oracolo; esso “si manifesta quando ci appare in sogno un parente o un personaggio venerabile e importante, come un sacerdote o una divinità stessa, per informarci di ciò che ci accadrà o non ci accadrà e di ciò che dobbiamo fare o dobbiamo evitare”. Essendo l’universo onirico un limbo tra questo mondo e il mondo dei defunti, in alcune occasioni è possibile entrare in contatto con le anime che albergano nell’oltretomba, generalmente le anime degli antenati, che avendo acquisito la prescienza degli eventi futuri possono avvertire i loro parenti circa il fato a cui stanno andando incontro.

Il secondo livello superiore la visio, la visione; esso “ha luogo quando le persone o le cose che vedremo in realtà più tardi si sognano come saranno allora”; si tratta del sogno premonitore, che anticipa eventi futuri mettendoli in scena, senza dunque la mediazione di un antenato che anticipa “verbalmente” gli eventi.

Infine vi è somnium, ossia il sogno propriamente detto; esso “nasconde ciò che ci comunica sotto uno stile simbolico e velato di enigmi il cui significato incomprensibile esige il soccorso dell’interpretazione”. Il somnium vero e proprio, al contrario dell’insomnium e del visum, possiede un significato simbolico che è compito del sognatore riuscire a rintracciare, per decifrare cosa la sua psiche, l’esistenza o gli déi stanno tentando di comunicargli; esso può essere personale, quando il sognatore è il protagonista del sogno; estraneo, quando altri personaggi sono i soggetti delle azioni; comune e pubblico, quando esso mette in scena relazioni tra il sognatore e altri soggetti o, in generale, la comunità; infine, il grado più elevato di somnium, il sogno universale. Si tratta di una forma di sogno mistico, durante il quale la coscienza del sognatore è annichilita dalla manifestazione del Cosmo e delle sfere celesti nella loro immensità.

Tutte le civiltà hanno assegnato grande rilievo al sogno considerandolo un fattore universale di mediazione tra gli uomini e la divinità. Esso possiede quindi un significato divinatorio e spesso addirittura profetico. Gli dèi, gli angeli, i geni o i demoni approfittano del sonno per investire lo spirito della persona scelta e inviare un messaggio alla stessa o attraverso quel tramite all’intera umanità.

Attraverso il Papiro Insinger o il Papiro Chester Beatty III abbiamo testimonianza del concetto di oniromanzia da parte del mondo egizio. Pare infatti che per questa civiltà il sonno fosse uno stato di coscienza che permettesse di entrare in contatto con un altro mondo, un mondo caratterizzato dalla fluidità del tempo che permetteva quindi al futuro di potersi manifestare liberamente. Essendo tale pratica considerata pericolosa, gli Egizi si proteggevano ponendo accanto a sè delle icone di divinità benigne, nella fattispecie spesso del dio Bes.

Nelle religioni monoteiste, i sogni profetici costellano i racconti e gli insegnamenti dei testi rivelati.

Nella tradizione musulmana il sogno e l’oniromanzia occupano un posto molto importante. Essi classificano i sogni in due categorie: i sogni veritieri ispirati da Dio e i sogni falsi ispirati dai demoni. I primi sono chiari, positivi e con personaggi familiari, saggi e santi mentre i secondi sono assurdi, confusi, negativi e costellati da immagini spaventose. Anche la tradizione del sufismo individua queste due categorie ma ne dà un’interpretazione più approfondita: ” I sogni falsi sono legati alle preoccupazioni terrene, così, quando il sogno abbassa la barriera dei divieti, i bisogni carnali repressi dalla coscienza si manifestano attraverso i sogni. Perciò il dormiente al suo risveglio, può fare il punto circa le sue preoccupazioni del momento e le esigenze della sua anima carnale. Quanto ai sogni veritieri, invece, essi trattano soggetti spirituali. E’ attraverso questi sogni ispirati che i maestri religiosi e i grandi mistici ottenevano una risposta a una domanda, a un problema metafisico (…) I sogni veritieri, caratterizzati dal linguaggio simbolico, hanno bisogno di essere interpretati da un maestro religioso. Questi sogni veritieri possono anche essere dei momenti di illuminazione divina in cui la parola di Dio diventa evidente. “

Nella Bibbia; Genesi, 41, 15-32; vi è l’esempio emblematico del racconto di Giuseppe che mostra la profonda importanza attribuita al sogno da parte dei popoli mediorientali ma anche di grande valore per quanto riguarda il tipo di interpretazione data. Parliamo dell’episodio in cui Giuseppe interpreta il sogno del Faraone delle sette vacche magre che divorano le sette vacche grasse e delle sette spighe vuote che spuntavano subito dopo sette spighe piene e belle. Giuseppe lo interpretò come sette anni di abbondanza ai quali sarebbero seguiti sette anni di grande carestia. Dopo quella interpretazione Giuseppe ebbe un ruolo di grande rilievo nella gestione dell’Egitto da parte del Faraone, ruolo che utilizzò per gestire l’eccedenza dei raccolti in previsione dell’arrivo della carestia. Questo passaggio biblico è posto a dimostrazione del fatto che il destino può essere evitato se si sviluppa una buona comunicazione col divino, comunicazione che pone come tramite fondante proprio il sogno.

Il concetto dell’oniromanzia come strumento di previsione dei pericoli, è un concetto estremamente diffuso a tutte le latitudini. In area cosiddetta amerinda, ad esempio, la reazione a un dato evento deve essere la stessa, che tale evento sia prodotto nella realtà o si sia verificato nei sogni. Quindi se un Cherokee sogna di essere morso da un serpente dovrà essere trattato come se fosse stato morso nella realtà, altrimenti la ferità gonfierà e si infetterà. Anche se dovessero passare molti anni prima che tale conseguenza si verifichi nella realtà bisogna prendere provvedimenti poiché nel sogno è già accaduto.

Interpretazione dei sogni

Come abbiamo visto sinora, i sogni hanno sempre suscitato l’interesse degli uomini fin dai tempi più remoti. La letteratura classica, ad esempio, è ricca di racconti che hanno a che fare con l’attività onirica. Nel II secolo d.C. un autore greco di nome Artemidoro Daldiano, precorrendo Freud, scrisse un’opera intitolata “L’interpretazione dei sogni”.

Nella cultura egemone occidentale è indubbiamente Sigmund Freud il baluardo dell’analisi onirica del mondo attuale. Il collegamento tra i suoi studi e la nostra personale interpretazione dei sogni è ormai un automatismo.

Il suo pensiero può essere enunciato attraverso varie massime, la formula “Il sogno è il custode del sonno” è sicuramente molto illuminante. E’ lecito pensare che la funzione principale del sogno sia davvero quella di proteggere il dormiente. Essendo sottoposto a continui stimoli endogeni ed esogeni, l’attività onirica gli porta una risposta più o meno adeguata e sufficiente ad essi, rispondendo coi sogni ai suoi desideri o alle sue sensazioni. Anche il postulato “Il sogno è la realizzazione di un desiderio” quindi spiega bene che un’altra delle funzioni principali del sogno sia quella di esprimere i desideri non soddisfatti o proibiti che si annidano nell’inconscio. Approfittando dell’intorpidimento del sistema cosciente durante il sonno , questi contenuti relegati nei meandri della psiche, si esprimono nel sogno permettendo la loro realizzazione simbolica. Freud per confermare questo rapporto sogno-realizzazione o sogno-ideale ricorre al linguaggio corrente. Infatti nel linguaggio comune il sogno si articola in due costanti: l’aspetto meraviglioso quindi ideale e l’aspetto irreale attraverso il quale trascende la materialità. Il sogno in questo senso, ma in termini più complessi, possiede due dimensioni, una manifesta e una latente. La prima corrisponde al sogno in se stesso ovvero la narrazione di per sé e quella del sognatore, mentre la seconda corrisponde al senso del sogno ovvero al messaggio di cui è portatore. Alcuni processi psichici mascherano il sogno col fine di censurare per proteggere l’equilibrio psicologico. Il rifiuto dell’accesso alla coscienza di elementi negativi porta quindi a un travestimento che Freud chiama lavoro di elaborazione del sogno. I sogni utilizzano un linguaggio cifrato:

  • La condensazione permette di compattare più rappresentazioni in una sola. Ad esempio caratteristiche di più persone in una.
  • Lo spostamento permette a un elemento latente di essere rimpiazzato da un altro lontano e illusivo. La centralità psichica è trasferita da un elemento fondante a uno accessorio rendendo l’apparenza del sogno straniante.
  • La simbolizzazione concorre all’oscurità del sogno. Essendo il sogno fatto di simboli, Freud ammette un sapere inconscio comune quindi un inconscio collettivo. Secondo la sua interpretazione il simbolo serve a rappresentare in modo analogico un elemento rimosso.

L’interpretazione dei sogni è in questo senso un ponte tra i contenuti inconsci e i contenuti consci. Essa consiste dunque nello stabilire dei legami, nel procedere per associazioni di idee e nell’applicare una lettura analogica, cercando di avvicinare i significanti tra loro. L’interpretazione dei sogni è infine individuale cioè soggettivo poiché assume un senso particolare per l’individuo, in funzione della sua storia, esperienza e dei suoi riferimenti.

Per Freud, l’incubo è un sogno fallito in cui le modalità di travestimento dei contenuti inconsci sono imperfette. Esso risponde alla stessa definizione e analisi del sogno ma libera più facilmente il suo significato nella misura in cui è insufficientemente camuffato.

Tra le varie teorie sul sogno, spicca la teoria di Carl Gustav Jung fondatore della Psicologia Analitica. L’impostazione di Jung è piuttosto diversa da quella di Freud. Per Jung i sogni sono l’espressione di un “inconscio collettivo”, ossia di quel patrimonio di simboli e d’immagini “archetipiche” (cioè primordiali e appartenenti alla specie) che tutti gli uomini condividono. La loro forza risiede nel loro essere portatori di un sapere profondo, illuminante, capace di trasmettere saggezza ed energia. Jung oltre ad affermare che attraverso i sogni si può conoscere la vera personalità dell’essere umano, riconobbe nei sogni la possibilità di ricevere messaggi sul futuro. La scienza basilare dell’interpretazione dei sogni è basata sulla legge delle analogie filosofiche, la legge delle analogie dei contrari, la legge delle corrispondenze e della numerologia.

 La sua teoria si dipana attraverso dei punti fondamentali:

  • Innanzitutto secondo Carl Gustav Jung il sogno è un prodotto autonomo e significativo dell’attività psichica. (C.G. Jung, L’Analisi dei sogni e altri scritti, Biblioteca Bollati Boringhieri, p. 21). Ciò vuol dire che, come nelle migliori tradizioni greche, non siamo noi che sogniamo, ma sono le immagini del sogno che ci vengono a trovare durante la notte. Siamo soliti dire ho fatto un sogno, ma più correttamente dovremmo dire ho visto un sogno (come ci suggerise la cultura greca, James Hillman e Robert Moss).
  • Nel sogno sono presenti elementi della psiche individuale, ed elementi della psiche collettiva. Ovvero sono presenti elementi personali, ed elementi culturali.
  • Secondo Jung l’inconscio non si traveste come pensava Sigmund Freud.
  • Nel sogno non ci sono parti nascoste o ambigue. Bensì l’inconscio si manifesta con autenticità attraverso simboli e archetipi.
  • Il sogno è una sorta di teatro. Ovvero ogni personaggio del sogno (cosa o persona) è una parte del palcoscenico psichico dell’individuo. Se sogni tua madre, tuo padre o tuo marito, non stiamo parlando di loro, ma stiamo parlando di te sognatore. Tutti questi personaggi sono parti della tua psiche.

Altri studiosi invece hanno formulato teorie molto diverse. Per alcuni (come ad esempio il neurofisiologo Robert W. MacCarley) il sogno, anziché essere un processo di mascheramento, sarebbe un processo di attivazione. Per altri autori, il sogno sarebbe invece una rielaborazione delle esperienze nascoste percepite durante lo stato di veglia, dove verrebbero memorizzate e poi, durante il sonno, riemergerebbero.

Il premio Nobel per la medicina Francis Crick ha elaborato una teoria secondo la quale il sogno sarebbe un modo in cui il cervello smaltisce l’eccesso di informazioni raccolte. Secondo la teoria delle “reti neurali” (ovvero gruppi di cellule neuroniche che cooperano per la registrazione delle associazione tra eventi percepiti) il sogno servirebbe non solo a mettere ordine, ma anche a fare pulizia, eliminando i ricordi più deboli e inutili, mantenendo in efficienza la rete neuronica per il giorno seguente. Secondo tale teoria i sogni sarebbero quindi una sorta di spazzatura che il cervello sta eliminando.

Dal fatto che esistano diverse teorie, spesso contrapposte, si può facilmente dedurre che, dal punto di vista scientifico, i sogni rappresentano ancora in buona parte un mistero. Questo deriva ovviamente dal fatto che essi sono il prodotto del cervello che è e rimane l’oggetto più complesso che esista in natura.

Il viaggio astrale

L’espressione esperienza extracorporea, nota anche con le sigle OBE e talvolta OOBE (dall’inglese out of body experience), sta a indicare tutte quelle esperienze, la cui interpretazione rimane controversa, nelle quali una persona percepisce di “uscire” dal proprio corpo fisico, cioè di proiettare la propria coscienza oltre i confini corporei, spesso definito in sintesi come Viaggio Astrale.

Nelle dottrine misteriche il viaggio astrale non si differenzia di fatto dallo stato di sonno e dai comuni sogni che si fanno dormendo, tranne per il fatto che in quest’ultimi manca la coscienza di trovarsi fuori dal corpo. Per capire la natura di tali esperienze, nell’occultismo moderno si fa riferimento all’anatomia sovrasensibile dell’essere umano, composta da vari corpi tra cui quello astrale, che partecipa della coscienza, uno eterico, in cui risiede la vita, oltre a quello fisico. Secondo le testimonianze degli esoteristi, ogni notte nel sonno si verifica una separazione dell’Io della persona addormentata e della sua componente astrale, mentre il suo corpo fisico che rimane nel letto può continuare a vivere perché resterebbe avvolto da quello eterico, responsabile delle funzioni vitali.

Solo in circostanze particolari come nei riti iniziatici dell’antichità officiati dagli sciamani e dai sacerdoti, si provocava una separazione anche del corpo eterico vitale, inducendo uno stato di trance profonda simile alla premorte. La morte stessa, del resto, avverrebbe quando i corpi sottili, allontanatisi dall’involucro fisico, non possono più fare ritorno in quest’ultimo, a causa della rottura del cosiddetto «cordone argenteo» che li collegava.

Riuscire a trasferire la propria coscienza dal corpo fisico a quelli sovrasensibili è ciò che consentirebbe inoltre i sogni lucidi, ossia quel fenomeno chiamato «onironautica» in cui si ha la capacità di restare desti mentre si dorme, e di modificare a piacimento i propri sogni. Da qui nasce la disputa se il sogno lucido stesso possa essere considerato una sorta di viaggio astrale, cioè un’esperienza di separazione della propria anima, con cui ci si possa recare in ambienti realmente esistenti.

Nel caso del sogno lucido, in effetti, ci si può effettivamente trovare ad esempio nell’ambiente circostante, e nel momento corrispondente a quello in cui si verifica il sonno, ma anche in tempi e luoghi diversi da quelli ordinari, assimilabili a un mondo parallelo o un piano astrale.

L’interesse per i viaggi extracorporei crebbe in età moderna a partire dal XIX secolo, sotto lo stimolo della diffusione di conoscenze sulle culture sciamaniche extraeuropee, ma soprattutto per la nascita dello spiritismo e una rinnovata attrazione per l’occultismo esoterico. La possibilità di accedere alla memoria collettiva del mondo o alla cosiddetta cronaca dell’akasha, a cui fu dato il nome di «proiezioni astrali» o «visioni astrali», divenne inoltre una materia popolare di insegnamenti esoterici nell’ambito della Società Teosofica sorta sul finire del secolo.

Negli anni sessanta del XX secolo, l’americano Robert A. Monroe, insieme al suo collega di ricerca Charles Tart, con la pubblicazione di Journeys Out Of The Body rese popolare l’espressione «esperienza fuori dal corpo», in luogo del termine storico «proiezione astrale» ritenuto non alla portata comune perché troppo evocativo di un contesto occulto.

Uno studio condotto da Bigna Lenggenhager, della Scuola Politecnica Federale di Losanna e da Henrik Ehrsson dell’University College di Londra, primo in assoluto del suo genere, è descritto in due articoli pubblicati su Science.

Nell’esperimento eseguito i partecipanti hanno indossato speciali occhiali utilizzati in visioni tridimensionali attraverso i quali hanno visto, proiettata a una distanza di due metri, la propria immagine mentre la stessa era simultaneamente ripresa da una telecamera posta dietro di loro. Durante le proiezioni, la loro schiena veniva toccata diverse volte con un bastoncino, così che essi hanno potuto osservare ciò che accadeva “in diretta” sull’immagine virtuale. Quando poi ai partecipanti è stato chiesto in quale punto si trovassero della stanza, quasi tutti hanno indicato la posizione virtuale. Gran parte dei volontari, quindi, ha avvertito una dissociazione dal proprio corpo.

Secondo gli autori, questo studio fornisce una possibile spiegazione scientifica dell’origine del fenomeno delle esperienze fuori dal corpo, alla base del quale “potrebbe esserci una disconnessione fra i circuiti del cervello che elaborano le informazioni sensoriali”. Questo esperimento, ha commentato Peter Brugger, dell’University Hospital di Zurigo, dimostra che la coordinazione dei sensi e la prospettiva visuale e visione sono importanti per la sensazione di trovarsi all’interno del proprio corpo.

I ricercatori hanno quindi dedotto che la percezione che una persona ha di se stessa può essere manipolata usando una serie di stimoli multisensoriali in quanto l’unità spaziale e la coscienza del corpo dipendono dai meccanismi del cervello. Tali studi non permettono però di concludere in modo definitivo circa la natura oggettiva o allucinatoria del fenomeno dell’esperienza extracorporea, o di altri fenomeni simili, come quelli di premorte.

Ascesa e Discesa

Dal punto di vista simbolico, invece, potremmo interpretare lo stato di coscienza del sonno, l’atto conseguente del sogno passivo o dell’attivo sogno lucido-viaggio astrale come elementi a loro volta conseguenti tra due spinte precise: la spinta ascendente e quella discendente.

L’ascensione, dal latino Ascendere che significa salire, implica un movimento verso l’alto sul piano fisico o psichico. E’ connessa all’emersione, l’elevazione, la sublimazione e la liberazione dei pesi che traggono verso il basso. Nel mito e nell’immaginario è spesso rappresentata dall’immagine del volo, delle ali, dell’occhio che vede dall’alto con una prospettiva più ampia e quindi in questo senso anche come la capacità di affrancarsi dai limiti della materia espandendo la propria spiritualità.

Gli sciamani disegnano un sentiero che si estende attraverso delle prove come una montagna, una scala fino alle nuvole. Tracciano mappe con segni riconoscibili usati nei viaggi per ascendere ai Mondi Superiori e nei passaggi da un’esperienza sciamanica alla successiva le mappe registravano un paesaggio interiore omogeneo come punto di riferimento per ogni sciamano.

Anche déi ed eroi di miti e tradizioni religiose ascendono a regni celesti, simboli di gloria, immortalità, conoscenza o spiritualità trascendente. Nella tradizione cristiana l’ascensione è un nodo fondante. Nell’ebraismo, figure come Abramo e Mosè compiono l’ascesa su una montagna per raggiungere il cospetto di Dio. Maometto è salito al cielo attraverso il cavallo Buraq. Dante ha descritto molto dettagliatamente la difficoltà del percorso e dell’accesso psichico alle vette spirituali raffigurando l’ascesa ai cieli come la scalata di una montagna divisa in sette balze, un albero del mondo o una colonna di fumo.

Infatti l’ascensione richiama l’immagine dell’albero, della scala a pioli, della montagna, del cielo e dello spazio esterno, oltre che di ascensori e gradinate. Rappresenta intuizioni e pensieri elevati oltre che slanci di immaginazione.

Nei rituali di iniziazione e nei processi psichici di trasformazione è naturale la sua contrapposizione alla discesa: uno dei due poli nel movimento tra realtà superiore e inferiore, vette e profondità, alti e bassi che caratterizzano gli umori e i legami affettivi, oppure oscillazione tra ragione e istinto come strumento della conoscenza del Sè o nelle dinamiche di separazione e di sintesi. In molti sistemi simbolici, l’ascesa dev’essere seguita da una discesa e viceversa, con l’obiettivo di equilibrare gli opposti e giungere all’integrazione del Sè. Non a caso gli sciamani entrano in stati alterati di coscienza indossando oggetti legati alla propria identità umana, per mantenersi in contatto con la forma corporea e la coscienza umana a cui devono poi far ritorno.

Ed è qui che si evidenzia la forza della discesa che conduce dall’alto verso il basso, dal cielo alla Terra, dal mondo superiore a quello sotterraneo o suboceanico. La forza di gravità spinge verso il basso, calando gli esseri umani nella vita reale, con fardello di responsabilità e con la sperimentazione che ciò comporta: il piacere dei sensi, la felicità, il dolore. Dalle acque rinfrescanti al fuoco più vivo. La discesa ha il potere di coagulare, di concretizzare: lo spirito volatile acquisisce materialità, mentre i sogni, le idee, le potenzialità e le fugaci immagini dell’intuizione diventano reali, soggetti a corrompersi e a svanire. Ciò che si teme di più è proprio la Caduta. Si dice Tornare coi piedi per terra perché la discesa può essere anche ridimensionamento, collisione, crollo, disincanto e disillusione. Eppure miti e rituali, fin dai tempi più antichi, attestano le potenzialità trasformative connesse alla discesa. Questa rappresenta di fatto un ritorno alla matrice transpersonale per poter rinascere, il raggiungimento di una preziosa conoscenza di sé acquisita nei luminosi regni dell’oscurità o ancora il dono della comprensione capace di “elevare” fino alla conoscenza collettiva ciò che è autenticamente profondo. Insomma, come in cielo così in terra!

La Matrice interiore

In conclusione è importante citare l’interessante lavoro di Emanuele Palmieri, scrittore e ricercatore, impegnato nel campo della Crescita Personale. Nel suo libro La Matrice Interiore espone un punto di vista sulla Conoscenza di Sè davvero innovativa seppur basata su elementi di studio spesso già noti.

La Matrice Interiore è un modello che si basa sullo studio dell’enneagramma con l’aggiunta di due ulteriori elementi fondamentali: la fisica quantistica e la visione tridimensionale.

A suon di Conosci Te Stesso, Palmieri ci trasporta nell’individuazione di un nuovo focus della realtà che assume un significato a tutto tondo.

Sul contesto specifico dei sogni lo stesso autore ci ha dichiarato: ” Il mondo onirico, letto nella chiave della Fisica di Bohm, è un mondo bi-dimensionale perché fatto di livelli di energia che variano nel tempo. Ciò lo colloca nel mondo delle sensazioni, è quindi un insieme di sensazioni che vengono decodificate attraverso il nostro personale modo di leggere e di accedere agli archetipi. Ci sono dei sogni in chiaro perché per noi quelle emozioni vengono trascritte in modo preciso e per noi comprensibile e possiamo visualizzarli. In altri momenti accade che invece quello che tentiamo di decodificare o non viene compreso e viene trascritto attraverso immagini del mondo reale che noi conosciamo meglio oppure li scartiamo perché troppo incomprensibili o troppo spaventosi. Si tratta di una decodifica perché il mondo delle immagini è fatto di Spazio per Livello Energetico, ma nel momento del sogno lo Spazio è assente per cui l’immagine è una ricostruzione, che viene fatta da noi, di quel messaggio archetipico fatto di emozioni. Noi decodifichiamo Emozioni in Immagini. Quando c’è un sogno che ci sfugge diciamo -Non ho capito bene cos’ho sognato- invece dovremmo dire – Ho decodificato in modo parziale o incomprensibile quello che ho sognato- si tratta di decodificazione manchevole nel passaggio da Emozioni a Immagini. Questo perché potrebbe trattarsi di concetti che sfuggono alla nostra conoscenza e comprensione oppure concetti che rifiutiamo di portare alla nostra comprensione. “

Musica

Kaos – Pandemia

Kaos – Pandemia

Kaos (Marco Fiorito, 1971-Caserta) è uno dei precursori dell’hip hop in Italia, inizia con le altre arti che contraddistinguono questo movimento: la break dance e i graffiti.
Prosegue come MC e sta anche dietro ai piatti per alcuni suoi lavori, comincia con il rap in inglese per poi passare all’italiano, si può quindi considerare uno degli artisti più completi della scena e un fiero rappresentante del più puro e vero underground.
Che altro aggiungere?

Kaos al Nessun Dorma – Varese.
Pezzi di anima sul palco.

Semplicemente un “dannato” poeta che scuote e fa vibrare la tua anima con le corde vocali, soprattutto dal vivo, quando ci si fonde tutti in un’unico suono, nella stessa vibrazione.


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Testo Completo

Pandemia.
Curioso, lo so, suona così familiare in questo periodo non è vero?
Pensiamo all’ultima nostra settimana o all’ultimo mese, in realtà potremmo prendere in considerazione l’intero anno.
Si, è passato un anno bella gente. 

Quante volte abbiamo sentito o pronunciato questa parola, calcolando anche tutte le sue varianti quali pandeminchia, pseudopandemia, psicopandemia e via dicendo?
Quante volte abbiamo nominato il suo fedele compagno dai petali petalosi o, per stare in tema, le sue varianti più “simpatiche” quali coronavairus, minchiavirus, ginovirus e via dicendo?
Chi ce lo fa fare? A chi importa il numero esatto di volte?
Viene la nausea solo a pensare di doverci pensare quindi andiamo semplicemente avanti tornando indietro. Rewind. 

Pandemia.
Non è quello che vi aspettereste di sentire, non è quello di cui vorreste parlare probabilmente o quello che tutti siamo costretti in un modo o nell’altro a subire, è altro.
A mio avviso, uno dei pezzi migliori di kARMA, il terzo album di Kaos.
Sarà che ho lasciato dei pezzi di cuore sottopalco ai live quando la sinergia tra le persone che cantano all’unisono era talmente forte da non riuscire a descriverla e nei momenti difficili mi veniva sempre in mente, mi dava sollievo.

Credo di essermi ripetuta la sua prima rima centinaia di volte, l’avrò cantata davvero centinaia di volte, quando stavo male per qualcosa mettevo le cuffie, lasciavo che la voce rauca di Kaos alleviasse il mio dolore e alleggerisse la zavorra che comprimeva il mio costato.

“A questa vita non ho chiesto niente in fondo
Manco di venire al mondo
Mi domando se c’è un senso e non rispondo”

Può sembrare banale se non ci si presta la dovuta attenzione, la trasformavo in un mantra e rieccheggiava nella mia testa con la sua disarmante elementarità finchè raggiungevo una sorta di rassegnazione cosmica che mi permetteva di superare più facilmente quell’ostacolo.
Giusto o sbagliato andavo avanti e stavo meglio, quando non ce la facevo più a volte svuotavo la testa dalle domande invece di ostinarmi a volerla riempire con le risposte.

A volte se pensi all’universo intero ti rendi conto di quanto piccolo sei e diventano più piccoli anche i tuoi problemi, forse, o semplicemente ti rendi conto che alla fine passerà.
Farai come hai sempre fatto, ti sei lasciata alle spalle l’ostacolo precedente e quello prima ancora, in un modo o nell altro, e così sarà per quello che hai di fronte e per il successivo.

A tal proposito, un amico ha condiviso con me la seguente citazione di Jodorowsky:

“decisi di lasciarmi andare alla corrente, di non fare la minima resistenza al destino, in qualsiasi forma si presentasse. Niente che m’era successo finora era bastato a distruggermi; nulla era andato distrutto, se non le mie illusioni. Io ero intatto. Il mondo era intatto.
Domani poteva anche esserci la rivoluzione, l’epidemia, il terremoto; domani poteva non restare viva un’anima a cui volgersi per compassione, per aiuto, per fede. A me sembrava che la grande calamità già si fosse manifestata, che io non potevo esser più veramente solo che in quel preciso momento. Decisi che non mi sarei attaccato a nulla, che non avrei atteso nulla, che d’ora in poi avrei vissuto come un animale, una bestia da preda, un pirata, un predone.”

Riassume bene lo stato d’animo che ho cercato di descrivere.
Ti eclissi, oscurando la tua carcassa per proteggerla, per proteggere quel che ancora è restato intero.

“Nascondo quel che è rimasto di me stesso
Ma ora il tempo sta scadendo e sono ancora in questo posto”


Non so perchè ho sempre pensato a questa interpretazione, il bello di certi testi è proprio questo, ti si modellano addosso, ti entrano nell’anima e non puoi più farne a meno.
Pensando al tempo e alla sua fine, se di fine si può parlare, nascondi quello che ti è rimasto attaccato di buono dopo l’ultimo scontro con la vita, seppellisci quella parte di te per non rischiare di perderla del tutto ma la linea è sottile e così facendo rischi di rinunciare a questo luogo e a questo tempo.
Potresti pagare un prezzo molto più alto di quanto quella parte di te vorrebbe, la tua anima che si arrende e ormai sepolta, non è più in grado di protestare.

Per Kaos il seguente passaggio è forse una provocazione verso Dio?
Verso la promessa di un paradiso dove il dolore non esiste nonostante il peso di essere giudicati tutti colpevoli dalla nascita, macchiati dal peccato originale.

“Il resto è sentenza che mi ha visto già colpevole
Insisto su un punto debole: sto Dio c’ha troppe regole”

Ci si potrebbe domandare come può la semplicità dell’essere, dell’uno nel tutto, sottostare alla complessità imposta dalla religione che appare sempre più umanizzata, sempre più subordinata al pensiero dell’uomo con tutti i suoi difetti, sempre più lontana da quello che dovrebbe rappresentare, specchio della vera essenza di Dio.

Segue una delle considerazioni più comuni, una delle classiche domande che non è possibile evitare nel disquisire sull’esistenza di un Dio: perchè mai avrebbe creato il male?
Credo sia capitato a tutti di chiederselo almeno una volta nella vita e anche il passo successivo viene abbastanza naturale, il rendersi conto di non desiderare il perdono di nessuno perchè la colpa che ci è stata tramandata, l’affronto commesso dai progenitori dell’umanità, non sembra nemmeno lontanamente paragonabile alla cattiveria e all’ingiustizia che caratterizzano il nostro mondo terreno, considerato appunto un inferno fin troppo reale e tangibile.

^^^Nulla si crea nulla si distrugge

Con paradiso artificiale potrebbe far riferimento sia alla ricerca di un benessere riprodotto e sintetico, sia alla messa in discussione della sua vera esistenza, tornando al discorso delle imposizioni religiose e all’attribuzione antropomorfa che ne deriva.

Un’altro passaggio che risulta immediato è il constatare quanto tutto appaia capovolto e privo di ogni logica mentre si cerca di comprendere la sua legge che di nuovo, non fa pensare a un qualcosa di sacro e divino, ma si mostra più funzionale all’egoismo della nostra civiltà e alla sua viscerale necessità di dominio.

Kaos conclude la prima strofa sottolineando una contraddizione che può passare inosservata, nel Padre Nostro si recita: “non indurci in tentazione ma liberaci dal male” anche se da sempre ci viene insegnato che a tentarci è invece il maligno.
Un’altro dubbio che sorge spontaneo riguarda proprio la traduzione dal greco di quel verso, che è stata oggetto di controversia.
Alcuni ritengono sia esatta l’originale, tradotta letteralmente con il verbo “indurre” mentre per altri andrebbe sostituita con la più morbida e probabilmente politicamente corretta: “non abbandonarci nella tentazione”.
Sarà che si adatta sicuramente meglio alla narrazione della nostra cara Diocesi?
Perchè mettere in dubbio la correttezza della traduzione proprio quando iniziano a sollevarsi le obiezioni che fanno emergere le incongruenze con alcune parti della versione cattolica ufficiale? Uno spunto per approfondire.

Arriviamo così a riflettere sulla differenza tra due elementi che potrebbero essere considerati una cosa sola ma sembrano sempre più distanti l’uno dall’altro.
Da una parte la Chiesa come istituzione con tutti i coinvolgimenti che ne derivano, dall’ancestrale bisogno di controllo al più moderno e capitalistico interesse economico, la Chiesa strettamente legata all’uomo e di conseguenza inscindibile dalla sua innata corruttibilità.
Dall’altra parte la sacralità della religione.
Possono apparire come linee parallele che osservate da una particolare prospettiva sembrano sovrapporsi ma in realtà non si incontrano mai veramente.

Il ritornello parte con le parole che si pronunciano mentre si fa il segno della croce e racchiude nella frase successiva tutte le perplessità esposte nella canzone, Kaos fa riferimento ad un equivoco e si domanda quanto di veramente sacro ci sia in questo credo, che si trova in una situazione sempre più precaria.
Siamo immersi nelle tentazioni con dei comandamenti da osservare, siamo istigati a peccare, minacciati dalle fiamme e allo stesso tempo ricattati con la promessa della vita eterna.

Si apre la seconda strofa riproponendo un verso sul peccato originale e introducendo il libero arbitrio che non può di certo essere esercitato dal bambino nel momento del suo battesimo.
Allo stesso modo, non è stato interpellato nessuno, non è servito alcun secondo parere quando è stato creato l’inferno appositamente per punire chi disobbediva, nonostante Dio venga dipinto come misericordioso e disposto a perdonare tutto e tutti, un’altra contraddizione che fa notare Kaos in modo implicito stavolta, solo accostando all’amore infinito la creazione degli inferi.

Nel verso successivo quel “Dov’era?” potrebbe riferirsi di nuovo al concetto di libero arbitrio ma potrebbe anche essere rivolto direttamente a Dio, che nei momenti difficili viene invocato spesso e in mancanza di un segno ci si rassegna alla perdita della fede, alla scomparsa di ogni speranza.

Citando De Andrè:

“Non nominare il nome di Dio, non nominarlo invano
con un coltello piantato nel fianco, gridai la mia pena e il suo nome.
Ma forse era stanco forse troppo occupato, e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano, davvero lo nominai invano.”

Spesso quando si soffre a causa dei comportamenti “umani” ci si interroga sulla fede, il pensiero vola verso l’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio, la domanda sorge quindi spontanea, se davvero siamo le sue copie alberga anche in lui, come in noi, la parte oscura che è artefice o che permette le più ignobili atrocità?
Su questa linea arriviamo ad analizzare la figura di Lucifero che viene presentata dalla Chiesa come oltraggiosa e sbagliata.

Premetto, non è mia intenzione urtare la sensibilità di nessuno, non ho risposte in tasca e quello che sto per scrivere ha per me una connotazione esclusivamente simbolica e figurativa.
Cercando di mettere da parte ogni preconcetto, senza soffermarci a speculare sulle varie teorie riguardanti le differenze tra Satana e l’angelo caduto, prendendo in esame solo ed esclusivamente i “fatti” che la Bibbia ci narra e l’interpretazione del Cristianesimo, si potrebbe in effetti considerare il “portatore di luce”, appunto, come quello che appare: un semplice rivoluzionario, un dissidente che si è ribellato ed è stato esiliato.
Che abbia cercato di aprire gli occhi dell’uomo sull’illusione nella quale viveva la sua esistenza?
Tentandolo con quel frutto proibito, con l’albero della conoscenza?
Anche se può far inorridire perchè inverte ogni prospettiva, viene quasi spontaneo azzardare un paragone tra il regno dei cieli e il nostro sistema attuale, che mette al rogo chi dissente e chi è in cerca di verità.

Non poteva mancare una forte critica alla Chiesa.
Nonostante le belle parole scritte sul breviario a proposito degli emarginati credo che nemmeno il più convinto credente possa negare la presenza di questa forbice “invisibile” che sta dividendo i pochissimi ricchi dai moltissimi poveri.
Innegabili anche i rapporti con lo Stato e il sangue che è stato versato negli anni tra crociate e terribili delitti isolati, come non si può negare la sconfinata ricchezza in ballo.

Una sera, gironzolando a Roma, misi qualche moneta nel cappello di un senzatetto, uno che in strada ci viveva davvero, non uno di quelli con le scarpe in ordine.
Il mattino dopo mi ritrovai malauguratamente incastrata nei musei del Vaticano, in un soleggiato giorno di primavera, quando in realtà avrei voluto essere altrove, a Parco Savello magari…se non direttamente verso Roma Sud, al Villaggio Globale magari.
Ripensai alle scarpe di quell’uomo e l’infinita quantità di oro sparsa in ogni angolo mi parve indecente e mi fece venire la nausea, circondata da tutta quella opprimente magnificenza e da quello sfarzo asfissiante…quasi mi mancò l’aria.
Sono passati 15 anni e ancora ricordo, come fosse ieri, quel fastidio che grattava dall’interno e quella pressione che percepivo dall’esterno.
Iniziai quindi ad allungare il passo verso la porta con la freccia che indicava l’uscita, ma per ogni salone attraversato, dopo ogni fottuto corridoio, ecco una nuova fottuta porta con attaccata una nuova fottuta freccia.
Questa cosa amplificò le mie brutte sensazioni e alla fine mi spazientii, iniziai a correre.
Ve le immaginate le espressioni sui volti dei turisti?
Finalmente fuori, presi una boccata d’aria e sgattaiolai nel primo barettino che incontrai per farmi una birra, che in quel momento fu necessaria, come l’ossigeno.
Mi resi conto di quanto poco avessi in comune con realtà di quel tipo e di quanto sentissi il bisogno di allontanarmi.
Come Kaos, preferii la scomunica.
Aneddoto finito, possiamo andare avanti.

Quando fa riferimento al “disegno più grande” credo voglia andare oltre i recinti che la religione alza, per avvicinarsi alla vera essenza, per tentare di capire davvero chi siamo e perchè siamo qui.
I quesiti si moltiplicano perchè più ci si sforza di comprendere ma soprattutto più si crede di capire, maggiori saranno gli interrogativi.
Il sangue sulla lapide che si espande può rappresentare proprio l’efferratezza dei peccati della Chiesa ma essendo collocato appena dopo le domande che aumentano inesorabilmente con la consapevolezza, può allo stesso tempo essere paragonato alla sete di conoscenza che accomuna chi è in fase di ricerca da una vita.

“Penitenziatige” è l’abbreviazione in volgare di questa frase latina: «Poenitentiam agite, appropinquavit enim regnum caelorum», significa «Fate penitenza, ché il regno dei cieli è vicino» e considerati gli spargimenti di sangue sopracitati, non ha bisogno di alcun commento.

La terza strofa parte con un ultimatum che Kaos sembra dare a se stesso, rompere definitivamente e allontanarsi quindi per sempre dal mondo religioso o decidere di restarci incarnando le sue contraddizioni.
Ci mette un millesimo di secondo a scegliere, dopo tanto implorare e chissà quanti tentativi, dice basta, vivere una vita col collare per un’evanescente promessa di pace, anche se tra sicurezze ed agi, non è facilmente accettabile e sopportabile da tutti, inoltre è arrivato a pensare che ci sia davvero poco di “concreto” in quanto professa la religione, vista più come un’antica forma di controllo collaudata nei secoli, che come la vera espressione del divino.

Torniamo alla ricerca della verità che può sopraffare e consumare se non viene vissuta e gestita con lo spirito adatto a decifrare e a metabolizzare la crescita, se non si è disposti ogni tanto a lasciar andare, a volte ad accettare di tornarci quando sarà il momento e soprattutto ad avere la mente tanto aperta da riuscire a mettere continuamente in discussione se stessi e tutte le proprie certezze, per superare quindi ogni condizionamento, interno od esterno che sia.

Da sempre l’uomo detta legge provando a far passare le sue “verità” come assolute, tentando di nascondere quelle meno funzionali alla sua visione del mondo o peggio, ai suoi interessi, cercando di sopprimere tutte le alternative scomode.
Può essere dovuto ad un subdolo meccanismo mentale che ci spinge a voler avere conferma della nostra lettura?
A volerla rinforzare attraverso l’imposizione?

“In girum imus nocte et consumimur igni” è una frase latina palindroma, che da destra come da sinistra significa “Giriamo in tondo nel buio e siamo divorati dal fuoco”.

Lascio all’ultimo verso libera interpretazione anche perchè la mia si deduce facilmente dai paragrafi sopra e credo di essermi già dilungata troppo come al solito. 

“In girum imus nocte et consumimur igni”

~Lely~
Musica

Artificial Kid – Il Sistema

Artificial Kid – Il Sistema

Ai concerti le voci si sovrappongono, si uniscono, diventano una cosa sola.
A volte ho il timore di dimenticare, ma quando ancoro un ricordo come quello fissato nello scatto qui sopra, ricordo anche l’intensità di certi attimi, è indelebile.

“Il mio grido di allarme verso un mondo sordo che non si accorge più di nulla e che sta sempre più perdendo la sua umanità. Ecco, penso che il concetto intorno al quale ruota tutto il disco sia proprio il significato di “essere umano”.


Con queste parole Danno (Simone Eleuteri) dei Colle Der Fomento, considerati uno dei migliori gruppi underground in Italia, racchiude il messaggio principale insito in “Numero 47”, l’album dal quale è tratto il pezzo che analizzeremo, prodotto dagli Artificial Kid (Danno alla voce, StabbyoBoy alle produzioni musicali, DJ Craim agli scratch e Champa alla grafica) uniti proprio da questo unico progetto sperimentale di cyberpunkrap.

CRAIM: “Credo sia il modo migliore per rappresentare quello che ci sta succedendo intorno. Il problema è che la realtà è peggiore della fantasia.”

Qui l’intervista. Ricordo di aver sorriso dall’inizio alla fine mentre leggevo gli aneddoti e i dietro le quinte della produzione.

STABBYOBOY: In questo periodo sono stressato, sono in fase di recupero psicofisico per 543584384 motivi diversi ma riesco comunque a mettermi sulle mie macchine con l’intento di fare sempre qualcosa. Sto producendo alcuni beat per alcuni soggetti poco raccomandabili della scena romana, DEVO chiudere il disco con Fabiana Fondi per il progetto Liquid Minds e devo trovare un lavoro.

Trascrivo questo virgolettato perchè lo trovo molto significativo e credo mi possa aiutare a trasmettere, a tentare di far comprendere davvero il seguente concetto: il genere è nato dalla strada e alla strada dovrebbe appartenere.
Gli artisti non dovrebbero sentirsi superiori, non dovrebbero essere venerati e strapagati, sono esattamente come noi e come chiunque altro, danno voce alle nostre voci, semplicemente.
Parlano con l’arte dell’anima. Con la verità del loro sentire.

Questo, per me, è il vero underground. E in questo caso è pienamente rappresentato.


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Testo Completo

Non c’è spazio per i dissidenti nel sistema che è andato instaurandosi, l’omologazione è diventata la chiave di volta che permette la continuità dell’ordinamento vigente e il suo definitivo successo. L’ideale sarebbe saltare definitivamente tutto il processo di transizione, trasformandolo nel più efficace e duraturo indottrinamento, è quello che sta succedendo con la scuola?
Resa obbligatoria sempre più precocemente, parliamo della Francia dove anche l’homeschooling è sotto attacco.

Immagine da Creative Commons

Le parole del presidente Macron riassumono bene questa visione:

“…la scuola in uno Stato ha il compito di formare un determinato tipo di cittadino con canoni delineati e precettivi.”

In base alla realtà nella quale siamo immersi questa frase può essere percepita in mille modi differenti, come tutto del resto.
Non è così strano che, partendo da certi presupposti, alla luce di svariati avvenimenti e considerando la piega assunta dalla società odierna, si possa facilmente ancorare quella nostra particolare percezione al pensiero di Danno che immaginando un futuro non troppo lontano, lastricato da “metallo e plastica” fa sorgere il ragionevole dubbio, se non addirittura la lecita preoccupazione, che possa essere scopo recondito della scuola, intesa come parte integrante del sistema, quello di masticare e risputare fuori i nostri figli coi circuiti fusi e gli occhi già chiusi.
Talmente spaesati da non essere più in grado di orientarsi, da non riuscire più a vedere, a riconosce la propria identità, a distinguere le proprie idee da quelle imposte alla collettività.
Talmente confusi da non essere più in grado di identificarsi fermamente in se stessi, ritrovandosi catapultati in un mondo sempre più artificiale e fittizio.
Siamo così lontani dallo scenario distopico che immaginó Danno?

Il controllo di corpo e mente fin dall’incubazione, la volontà e il vantaggio nel mantenere la popolazione in una sorta di limbo glaciale dal quale risulta difficile uscire.
Le sinapsi rallentano, reagire diventa arduo se calcoliamo la pressione esercitata dalle continue e subdole minacce volte ad imporre un’unica strada percorribile, appositamente tracciata per inseguire acriticamente il progresso fine a sé stesso.
Una strada ben delineata, da alti muri laterali, per non rischiare che qualcuno finisca fuori tracciato aprendo un varco nell’inesplorato e dimostrando che è possibile percorrere sentieri diversi da quelli già battutti, potrebbero esserci dei rischi e chi sceglie di assumersi la responsailità di tali incognite è semplicemente giudicato pazzo, un folle che necessita di essere protetto da sé stesso, deve essere ordinatamente riportato sulla retta e prestabilita via.
Forse troveremo qualche cartello qua e là che potrebbe darci l’illusione di avere diritto alla libera scelta ma cammineremo sempre in sicurezza verso la medesima meta.
Non abbiamo più la possibilità di decidere cosa sia meglio per noi, nè possiamo concederci il lusso di sbagliare da soli.

“Il sistema è industria, azienda, informazione”

Concetto perfettamente chiaro, che merita però di essere sottolineato nella sua semplicità.
Segue una forte critica all’automazione e alla meccanizzazione industriale che vengono riproposte e si riproducono invadendo anche altri ambiti della vita, contesti che non dovrebbero essere sfiorati da questo genere di dinamiche, che non dovrebbero essere privati di quell’umanità e di quelle emozioni che li rendono speciali, pur mantenendo le caratteristiche “imperfezioni” che contraddistinguono i sentimenti, e forse proprio per questo, scongiurano possibili derive.

Come per l’evoluzione, ritorna il concetto del sistema fine a sé stesso, che per continuare a esistere e a perpetuarsi ha bisogno di elementi adatti a sostenerne il paradigma.
Con questa consapevolezza mette in pratica tutto ciò che facilita la sua realizzazione e indirizza le necessità a lui funzionali.
Getta le basi per la nascità di un nuovo tipo di uomo, generazioni che da subito vivranno al suo servizio.

“Un grande cuore freddo di titanio sotto una membrana umida”
Ed ecco tutta la passione di Danno per il cyber racchiusa in una sola riga, questo mi rimanda col pensiero a parecchi giochi di parole che ho amato e ancora rimango attonita di fronte all’abilità di esprimere, ma soprattutto di far arrivare dall’altra parte, dritto al punto, un concetto, una sensazione, un pezzo di anima.

Ammiro quella capacità di sintesi e riuscirci con una sola rima è qualcosa di estremamente bello e inspiegabilmente intenso.
Continuiamo con un trucchetto che può essere riscontrato in svariati campi, a partire dalla tecnologia.
Il piacere che si riceve da una notifica si trasforma facilmente in dipendenza se non si utilizzano correttamente i dispositivi di cui si dispone e se non si è sufficientemente cauti.
Questo meccanismo va sicuramente a favore di chi lo utilizza e l’obbedienza, consapevole o meno, potrebbe essere considerata come un’ottima moneta di scambio.

Ogni voce fuori dal coro infastidisce e a volte è ritenuta potenzialmente pericolosa, da eliminare o strumentalizzare in base alle situazioni, questo è un passaggio essenziale per evitare che il castello di carta fatto di scientismo e congetture, tenuto in piedi nonostante le sconsiderate e folli corse verso il nulla, crolli sotto lo sguardo critico e autonomamente pensante di quei coraggiosi occhi pronti a mettere in discussione ogni loro apparente certezza con l’umiltà che serve ad ammettere quanto siano stati precipitosi nel venerare qualcosa di decisamente discutibile, quanto siano stati presuntuosi nel sentenziare su tutto ciò che credevano di sapere arrivando infine ad essere pronti a riconoscere quanto poco in realtà sappiano davvero.

Questi freddi calcolatori ai quali è stato sottratto il buon senso necessiterebbero di un forte scossone, per recuperare l’umanità che va dissolvendosi nel calcolo delle probabilità, tentando di scovare l’ultimo dissidente rimasto in piedi nel suo disperato tentativo, quello di passare tra le maglie sempre più strette del sistema.
Probabilmente Danno ci aveva visto lungo perchè il suo ultimo verso non potrebbe essere più attuale. 

“In questa caccia all’uomo su scala globale
Questo è l’ultimo passo, questo è l’atto finale”

~Lely~
Musica

Mezzosangue – Esistenzialismo

Mezzosangue – Esistenzialismo

Nato a Roma il 23 gennaio 1991. Fin da bambino prende lezioni di musica, imparando anche a suonare pianoforte e chitarra. Si avvicina all’hip hop verso i 12-13 anni, grazie alle canzoni di Kaos e forse, anche grazie a questo, cresce a testa alta, forte nei valori.
A 17 anni, in seguito a problemi finanziari della famiglia, va via di casa, mantenendosi da solo.
Si è presentato sulla scena rap italiana con un video su YouTube, indossava un passamontagna, divenuto poi il suo simbolo di riconoscimento.
Gli fu assegnato da Esa il premio della Critica visti i consensi raggiunti.
Il suo primo lavoro è Musica Cicatrene Mixtape.

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Testo completo

Mezzosangue apre la strofa con l’impianto che fa vibrare i cuori e fischiare i timpani, parte carico sulla traccia pensando a quanto è facile perdere di vista certe facce, le lasci andare, le dimentichi ed è come se non avessero mai incontrato il tuo sguardo, come se non fossero mai esistite.
Ci sono altri visi che invece si marchiano indelebili nei tuoi ricordi e anche se li perdi non te li scordi mai.
Questo passaggio può essere più plausibilmente interpretato con un’accezione positiva, se ci riferiamo alle persone che hanno significato molto per noi, quelle che ci hanno lasciato qualcosa di talmente grande che sarebbe tragico scordarne i lineamenti, lasciar dissolvere il ricordo di quei veri rapporti, mentre anche l’ultimo dettaglio va ad estinguersi.
Negativamente parlando si potrebbe riferire anche a quei volti che ti perseguitano mentre pensi che daresti qualsiasi cosa per poter dimenticare. 
Potrebbe rientrare in questa categoria la gente che crede di sapere tutto di te, sempre in prima linea a giudicare e sempre pronta a dispensare consigli che lei stessa evita di seguire.

Troviamo un bel riferimento alla vita, paragonata all’avventura di Ulisse verso la sua lontana Itaca.
Trovare un solido appiglio sarà di vitale importanza per affrontare e superare i momenti più burrascosi del nostro viaggio.
Ci serviranno valori ben consolidati e radici profonde per non essere trascinati via dalla corrente, non sarà sufficiente la superficialità di una zattera, anche se leggeri, non saranno i pensieri frivoli a tenerci a galla.
Potremmo vivere situazioni difficili, momenti che potrebbero minacciare la nostra quiete e il nostro equilibrio, forse pagheremo per qualcosa che abbiamo fatto in passato?
Salderemo il conto della persona che ci siamo lasciati alle spalle? Il karma di chi eravamo.
Chi può dirlo con certezza?

In alcuni momenti, come questo, per Mezzo e per tutti quelli che si rispecchiano nelle sue parole, l’unica figura autorizzata a sentenziare su ciò che è giusto e ciò che è sbagliato è il barman che si ha di fronte, del quale vediamo solo il busto sfuocato svettare sopra al bancone lucido.
L’unico alchimista che miscelando ad arte, in maniera sublime, è in grado di fermare per un po’ quel trambusto che non ci abbandona mai.
Dopo svariati giri, per qualche ora è pace. Hakuna Matata.

Appena il tempo di iniziare a godersi la tranquillità con gli unici due amici che siamo certi non ci abbandonerebbero mai, entrambi Jack.

Uno che fa compagnia al ghiaccio nel bicchiere e rende il mondo ovattato, l’altro alla fine delle cuffie è intento a regalare note di conforto, come lui solo sa fare.

Il tutto prima che la dura realtà irrompa di nuovo rumorosa e prepotente come una raffica di vento gelido a ricordarci che non abbiamo ancora fatto rientro al porto.
Non ancora.

I versi di Mezzosangue non sono solo poesia, emozione ed empatia, sono la sua stessa vita, sono i suoi sacrifici che si riversano dentro al foglio vuoto, colmandolo.

L’interludio diviso in due parti è l’estratto di Waking Life proposto stamattina per la nostra settimana tematica!
Per l’occasione riproponiamo e rivisitiamo una delle riflessioni del nostro Mer Curio.
Quando è stata l’ultima volta che ci siamo alzati allegri, con la voglia di uscire di casa?
Quando è stata l’ultima volta che abbiamo sorriso così, senza alcun motivo apparente?
Quando è stata l’ultima volta che siamo rientrati tardi, sotto quella pioggerella leggera?
E nel pieno di un diluvio mentre i fulmini sembravano crepare il cielo?
Quando è stata l’ultima volta che siamo stati svegli a cantare fino al mattino dimenticando l’ora, il lavoro e l’affitto?
Quando è stata l’ultima volta che abbiamo vissuto con ardente passione?
Assumendoci la responsabilità di quello che siamo davvero.
Accogliendo e accettando il rischio inscindibile da alcune delle azioni essenziali intraprese per raggiungere ciò che vogliamo davvero.
Arrivando fino in fondo, tagliando i traguardi che ci siamo prefissati ed essendo pienamente soddisfatti del risultato.

L’esistenzialismo come spinta alla crescita personale e alla comprensione strettamente individuale del vivere potrebbe essere molto più concreto di quanto immaginiamo, tutt’altro che inutile e totalmente opposto al senso di disperazione a cui invece viene associato.
Spesso ci si può sentire come gocce in un’infinita distesa d’acqua e lo sconforto nel constatare quanta poca influenza esercitiamo come singoli individui può prendere il sopravvento.

Il monologo proposto fa riflettere e dona speranza.
L’apparente inutilità legata al peso delle nostre decisioni personali crea precedenti ed esempi che, soprattutto se presi singolarmente e isolati, per quanto piccoli e insignificanti possano sembrare, finiscono per essere fatti di osmio, il metallo con la maggior massa per unità di volume e con questa densità le nostre scelte pesano molto più di quanto siamo disposti a credere.

Questo fa la differenza.
Noi possiamo fare la differenza.
Se solo la smettessimo di sentirci “vittime di una concomitanza di forze”.

Se solo la smettessimo di credere che siano gli eventi a decidere per noi.
Se solo la smettessimo di nasconderci dietro al “tanto non cambia niente”.
Perchè sempre e solo noi abbiamo l’ultima parola su chi decidiamo di essere.

La seconda strofa si apre sottolineando la tendenza all’insoddisfazione denunciata nell’interludio e facendo riferimento alla dannosità di certi comportamenti umani, parla di autodistruzione.

“Non basta dirlo per sfatarlo” non è sufficiente essere informati sui fatti, imparare a livello nozionistico, pensare di sapere o avere la presunzione di conoscere.
Si rischia comunque di superare il limite. Potrebbe anche voler mettere l’accento sull’importanza dell’esperienza diretta e sulla necessità di interiorizzare i concetti per raggiungere la piena consapevolezza.

Perdi tutto, prendi tutto fino all’overdose
Mezzo sembra riconoscere quanto le sue rime possano risultare impegnative e a tratti gravose perchè spesso tocca argomenti seri o tristi, sembra riconoscere che le sue parole possano essere definite pungenti perchè spesso si occupa di tematiche scomode e infine si identifica in Keyser Söze, forse sentendosi sempre giudicato colpevole come il personaggio del film “I soliti sospetti”.
Quando il livello di sopportazione è al limite accade spesso di essere travolti dalla voglia di scappare, di andarsene semplicemente via.

Probabilmente sarebbe più facile dire addio se solo servisse a risolvere i problemi e a volte condivido la sua esasperazione, a volte le persone provano a capirci, a volte siamo noi a fare il primo passo tentando di spiegare, con l’intenzione di lasciare un pezzetto di noi stessi agli altri quando in realtà siamo i primi a non comprenderci, ad avere nell’anima dei punti ciechi vasti come oceani inesplorati. Segue qualche verso incazzato con Dio o si tratta solo di un intercalare?
Può essere la presa di coscienza di una resa, accettare di non avere più le forze per credere ancora che a qualcuno importi dei tuoi pensieri e lasciare andare tutto, perdendo ogni contatto.
Può essere uno sfogo per non essersi mai sentito ascoltato, per non aver ancora ricevuto le risposte alle sue domande.

“Ti ho chiesto chi è che vince se vinco contro me stesso” può denotare il suo conflitto interiore, il bisogno di comprensione, la voglia di migliorarsi sempre.
In definitiva non ha molta importanza sapere con chi ce l’abbia di preciso, a chi si riferisca, visto che chiunque sia l’interessato, è sparito nel nulla, lasciandolo solo, come hanno fatto tutti in questo mondo spietato.

Lascio libera interpretazione all’ultima sua rima, un po’ perchè la trovo eloquente, un po’ perchè mi piace molto l’idea di concludere lasciando aleggiare nell’aria i suoi versi.

~Lely~
Ricercando

Solo un pensiero. Essenza

Solo un pensiero. Essenza

“L’insieme storico decide in ogni mutamento dei nostri poteri, prescrive i loro limiti al nostro campo d’azione e al nostro avvenire reale; condiziona il nostro atteggiamento nei confronti del possibile e dell’impossibile, del reale e dell’immaginario, dell’essere e del dover essere, del tempo e dello spazio. E’ a partire da esso che decidiamo a nostra volta dei nostri rapporti con gli altri, cioè del senso della nostra vita e del valore della nostra morte.”

Sartre

Non è una novità, l’ambiente nel quale siamo immersi ci condiziona.
Quanto siamo lontani dalla nostra essenza?

Questa riflessione mi ha sempre fatto sentire impotente, forse perchè la scoperta dell’influenza esercitata da un costrutto che viene individuato e destrutturato viene seguita da un’altra presa di coscienza in quello che sembra essere un interminabile e meticoloso lavoro di smontaggio, pezzo per pezzo.

Con la sensazione di essere aggrappati alla punta dell’iceberg, neanche troppo saldamente e senza la possibilità di intravedere il fondo.

A quali profondità possono arrivare le nostre suggestioni? Viene da chiedersi se un’esistenza intera sia sufficiente per comprenderle tutte, viene da pensare al tempo e alla sua dilatazione, al passato che rinasce ogni volta nei ricordi e rivive in essi, facendo sfumare la nostra percezione di ciò che è finito, del presente e del futuro come elementi separati e distinti.  
La stessa riflessione di Sartre allo stesso tempo dona speranza, perchè nonostante tutto, lascia spazio all’autodeterminazione e alla possibilità di dare un senso individuale e strettamente personale alla vita e ancor più alla morte.

Forse non chiediamo di venire al mondo, forse non scegliamo in che condizioni arrivarci, magari non possiamo sempre cambiare quello che ci circonda ma siamo di certo artefici del nostro immaginario e possiamo scegliere di credere in un ideale anche se sembra scomparso dalla faccia della terra. Possiamo vivere il sogno sbirciando da tutte le prospettive possibili, possiamo invertire tutti i processi che distruggono la nostra volontà.

Abbiamo davvero smesso di sognare? Ci siamo rassegnati a sopravvivivere in un mondo che qualcun’altro ha disegnato per noi?
Subire anzichè creare. Un’esistenza che non ci appartiene.
Un vuoto che avanza e avvolge tutto e tutti. L’oscurità dilagante nella quale siamo confinati, distanziati gli uni dagli altri, oggi come non mai.

Da parecchio tempo divisi e frammentati emotivamente.

Da non molto, anche se già da troppo, separati fisicamente e socialmente. Impauriti, in un perenne stato di tensione, continuamente condizionati e manipolati.

E’ questo il presente che scegliamo di vivere? Sono le fondamenta sulle quali decidiamo di costruire il nostro futuro e quello dei nostri figli?

Adattarsi ed accettare passivamente un modo di essere che ci viene descritto come l’unico possibile, come inevitabile e imprescindibile, un paradigma che viene imposto dall’alto e cala sulle nostre teste senza ammettere replica.
Questo non è inventare e progettare la realtà che scegliamo e desideriamo.

Cosa significa quindi, in definitiva, essere? Sei perchè è così che bisogna essere? Sei perchè semplicemente esisti o il tuo esserci è legato al tuo scopo, a quello per cui decidi di vivere e soprattutto a quello per cui saresti disposto a morire? Quello che fai, fa la differenza? 

Forse non abbiamo smesso di sognare volontariamente, il sogno ci è stato portato via piano piano, secondo dopo secondo, ci è stato sottratto lentamente da un’infinita sequela di futili e superficiali sciocchezze.
E’ stato davvero totalmente sostituito dal materialismo e da quella che ci piace tanto chiamare realtà? Dall’effimera e passeggera smania del superfluo?

Inutile cercare un unico colpevole, tra l’infinità di condizionamenti indotti e autoindotti. E’ tempo di ricominciare a inseguire ciò che sentiamo vero, anche a costo di sembrare illusi idealisti in cerca di qualcosa che è andato perso nel tempo, qualcosa che forse non c’è mai stato, ma che importa?

Sarà, domani. Noncuranti di ciò che chiunque potrebbe pensare e senza il timore di essere. E’ tempo di ricominciare a sognare.

Just Me ~Lely~
Musica

XVI Religion – El Condor

XVI Religion – El Condor

I XVI Religion (in precedenza 16 Barre) sono un gruppo rap underground.
Lunardi Stefano (John Princekin, mc-producer), Di Benedetto Andrea (Benni,mc) e Brazzorotto Luca (Jack Burton, beat maker).
Il gruppo è legato a radici fondamentalmente rap ma non è fermo ad un genere, spazia in tutti gli orizzonti musicali, fino a collaborare con gruppi electro, rock, sperimentali.
I testi, graffiati sulla base, sono legati alle tematiche del nuovo ordine mondiale, dell’apertura mentale e del controllo da parte di entità superiori. Testi visionari che accomunano le tematiche della società moderna a mondi paralleli di inganni e mostri nascosti nell’ombra.


“Cantiamo le gesta di umani..umani coscienti nell’incubo indotto.”


Link canzone youtube. Per chi non visualizza il contenuto scegliendo di rifiutare i cookies.

Testo Completo

L’intro è di Maelle, che apre il pezzo con la sua splendida voce, condividendo un’inquietudine che contraddistingue chi non si accontenta, chi non si rassegna al semplice trascinarsi, in questo particolare contesto può rappresentare chi desidera ardentemente dare significato ai propri passi nell’esistenza, ciò è maggiormente significativo se parliamo di un periodo di transizione e cambiamento, caratterizzato dal dubbio e dall’incertezza, come quello che stiamo attraverando ora.

Dal volume delle casse
The Random Vibez image

La prima strofa è di Benni, che parte con il filo conduttore della nostra settimana tematica, ringraziando il sogno perchè consapevole della sua importanza.
Troviamo qui un’altro elemento che potrebbe andare a ridefinire il profilo tracciato poco più su, un’altro punto che accomuna chi non sa ancora con precisione dove andrà e cosa farà domani.
Il sogno. Perchè è necessario?
Perchè ci dona la speranza, la voglia, la forza e la caparbietà che servono per creare il mondo in cui scegliamo di esistere. Attori anzichè comparse. Vivere anzichè sopravvivere. 

“Tu abbi fede in noi, stringi questa mano più forte che puoi”

Avere fede significa credere in qualcosa e forse, in un’epoca tanto materialista quale la nostra, stringere la mano ad un sognatore potrebbe davvero essere ciò di cui abbiamo bisogno, potrebbe essere difficile da spezzare una catena di mani strette con la forza che deriva da teste ostinate a voler guardare sempre oltre le nubi.
Una volta uniti potremmo andarcene via, via da tutto quello che riteniamo sbagliato, via da tutto quello che ci fa soffrire, via e basta.
“Obbligheremo le stelle a danzare per noi”, spingeremo l’universo a intonare quella melodia che ci fa vibrare all’unisono.
“Anche se il cosmo ci rifiuta l’odio ci cattura e il vuoto fa paura”, non importa se questo mondo non è più adatto a noi, forse non lo è mai stato, non importa se l’odio a volte prende il sopravvento e non importa se il futuro ci spaventa.
Abbiamo l’ardore del fuoco dalla nostra parte, che cauterizza le nostre ferite e può fornirci tutta l’energia necessaria per resistere.
Continua la strofa, descrivendo queste righe per quello che sono, i dialoghi interiori di semplici sognatori, lontani anni luce da alcune delle dinamiche legate alla scena. Niente a che vedere con la fama, con i soldi, con superficialità e apparenza.
Tutto un altro modo di porsi.
Lontano dai riflettori, appunto.

Un modo per sentirsi vivi e non rischiare di sprecare il proprio tempo, così prezioso, rubandolo irrimediabilmente a tutti quegli attimi che ci fanno sorridere e che vorremmo poter ricordare vicini e sentire vividi nei nostri cuori.
A questo punto Benni sembra sfogare la sua rabbia per non esserersi mai sentito compreso e capito da chi ritiene già morto, succube di questa realtà deviata e orribile.
Non è difficile rispecchiarsi nei suoi versi, dare più importanza all’emozione che può racchiudere un semplice profumo, sentirsi legati all’universo in maniera più profonda e rendersi conto di non aver mai rimpianto un gesto d’amore.
Conclude con quello che sembra avere tutta l’aria di un conflitto interiore, vista la semiautomatica sotto il mento, i demoni nella sua testa che si risvegliano quando è il corpo a riposare rappresentano la parte oscura di ognuno di noi?

Nel ritornello torna Maelle con i dubbi sul futuro, non sappiamo nè cosa faremo, nè dove andremo, ma una cosa è certa, sappiamo da dove siamo partiti, dal volume delle casse.

John Princekin apre la seconda strofa concretizzando il concetto uscito dall’analisi sull’importanza del sogno in questa realtà sempre più legata al mondo materiale.
Il viaggio astrale come mezzo per arrivare a comprendere davvero il significato che si cela dietro a queste barre.

L’inutilità che si riscontra nel tentativo di colpire qualcosa di immateriale restando con i piedi saldamente piantati al suolo.
La ricerca dei nostri stessi valori negli occhi degli altri, la volontà di evitare le persone tossiche, quelle che non ci comprendono, quelle già morte, quelle che fingono, indossando “occhi felici”.

L’essere vivi, al contrario, colma gli occhi di lacrime e non di rado.
Nonostante l’annebbiamento della vista risulta facile notare le pesanti catene fatte di egoismo, competizione e interessi strette attorno alle caviglie di questi esseri definiti da Princekin non umani, di conseguenza non degni, da non considerare nemmeno insomma.
Questo tipo di distacco è un atteggiamento necessario, da mettere in pratica senza alcun dispiacere.

“Io non tradisco con il lapis. Faccio rap che è una religione che si prega sempre gratis”
Un piccolo elogio ai veri valori del rap, tra i quali la lealtà e il disinteresse verso il mero guadagno.
Da buoni sognatori, doniamo e riceviamo speranza, con un auspicio, siamo tanti e se trovassimo il modo per unirci, potremmo tenere sotto scacco chi minaccia la nostra legittima libertà.

“Ogni nuova persona che s’avvicina è una lucina nel buio che avanza” perciò non calcoliamo chi non merita la nostra attenzione e affrontiamo tutto e tutti a testa alta, senza paura.


“Io sono nato dal nulla e non mi spaventa niente”
Siamo quello che siamo grazie a noi stessi, siamo arrivati qui da soli, dal basso e partendo da zero, per questo nulla ci dovrebbe spaventare, perchè continueremo così, come abbiamo sempre fatto.
Forse un’allusione al pensiero di Schopenhauer, al nulla dell’universo, quindi tutt’altra interpretazione?
Una cosa è certa, possono tentare di farci fuori, provarci di nuovo e provarci ancora…queste note basse faranno sempre vibrare i nostri cuori a tempo, con la musica, ricordandoci di restare umani, in ogni istante

~Lely~