Antropologia

Gli dei celtici della penisola iberica : Parte 4…

Lucubo – Lug – Lugh – Lugus

Etimologia

L’etimologia esatta di Lugus è sconosciuta e contestata. La radice protoceltica del nome, *lug-, è generalmente considerata derivata da una delle seguenti radici proto-indoeuropee, come *leug- “nero”, *leuǵ- “da rompere”, e *leugʰ- “da giurare”. Una volta si pensava che la radice potesse derivare dal proto-indo-europeo *-leuk- “brillare”, ma questa etimologia poneva difficoltà e pochi ricercatori moderni l’hanno accettata come possibile (in particolare perché il proto-indo-europeo *-k- non ha mai prodotto il proto-celtico *-g-).

Tuttavia, seguendo il lavoro di Françoise Bader, secondo la quale la radice indoeuropea della “luce” sarebbe *-leu- e non *-leuk-, questa etimologia è ancora una volta considerata la più convincente dagli specialisti per i quali Lugus significherebbe “il luminoso“.

Toponimi ed Etnonimi

Secondo il metro del culto a lui dedicato, Lugus sembra legato alla prosperità, al commercio e all’artigianato. La sua figura è associata alla lancia. È una delle divinità più comuni tra i Celti e, come vedremo, un numero molto conseguente di toponimi deriva da Lugus in tutta Europa.

Il nome di Lugus è consacrato in molti toponimi, come Lugdunum, dal celtico *Lug[u]dūnon, che significa “forte di Lugus”, oggi Lione in Francia. Questa città era la capitale della provincia romana della Gallia Lugdunensis. Altri toponimi in cui si trova il nome Lugus sono Lugdunum Clavatum, oggi Laon in Francia, e Luguvalium, oggi Carlisle in Inghilterra. È anche possibile che Lucus Augusti, l’antico nome di Lugo in Galizia, una regione della Spagna settentrionale, derivi dal nome Lugus, anche se può anche essere puramente derivato dal latino Lucus – “boschetto/sacro”.

Lugdunum, Santuario della Croix-Rousse e l’Anfiteatro dei Tre Galli, Jean Claude Golvin

Per quanto riguarda la penisola iberica in particolare, la presenza di questa divinità è aggravata dall’esistenza di tribù affini, come i Luggones Astur, il cui nome deriva probabilmente da Lugus e che abitavano la città di Lugones nelle Asturie. Ci sono anche i Gallaecia Lougei, che conosciamo da iscrizioni trovate a Lugo in Galizia e El Bierzo a León .

D’altra parte, non conosciamo ancora alcuna denominazione di questo tipo, quindi legata a gruppi umani, per Bandua, Cosus o Reue, nonostante il gran numero di iscrizioni note che mostrano epiteti che si riferiscono a questi Dei. Le uniche denominazioni accompagnate dai loro teonimi indigeni conosciuti a nord del fiume Duero sono le allusive denominazioni di Lug, come Lucubo Arquienob(o), che si riferisce ad Arquius, un cognomen onnipresente in Hispania, e Tabaliaeno, che può essere interpretato come un’altra dedica al Dio Lugus.

Lug presenta così strette somiglianze con Arentio. Questo lo ha spesso portato a confondersi con i Divini Gemelli, poiché alcuni dei loro tratti sono giustapposti ai suoi. Lug appare in vari luoghi del mondo celtico, ma sebbene il suo culto sia molto diffuso, la bassa percentuale di ex-voto noti per questa divinità potrebbe farci sottovalutare il suo valore. Fortunatamente, altri indizi ci permettono di ristabilire che Lugus era considerato una delle divinità più importanti del pantheon celtico.

Posizione delle iscrizioni al Dio celtico Lugus al singolare (cerchi) o al plurale Lugoves (stelle a tre punte). I simboli verdi ) indicano l’ortografia con LVG-, mentre i simboli viola indicano l’ortografia con LVC-.

Come primo indizio, dobbiamo considerare i molti toponimi con il termine lucu-, lugu-, loucu- o lougu-, legati al nome di Dio e presenti in tutta l’Europa occidentale. In Hispania sono noti i toponimi che derivano da questo teonimio: Lucus Augsti (Lugo), Lucus (Lugo de Llanera), la ciuitas Lougeiorum, Louciocelum, Lucocadia, Lugones (Siero, probabilmente derivato dall’antico Luggoni), Logobre, Lugas…

Ecco un’antologia di luoghi fuori dalla Spagna che portano il suo nome: prima Loudun e Montluçon in Francia, Loudoun e Lothian in Scozia e Dinlleu in Galles. Si trova anche in Olanda con la città di Leida, in Slesia con Legnica e infine in Inghilterra con Luton.

Infine, ci sono molti antroponimi legati al teonimio Lugus: Lugaunus, Lugenicus (Nato o concepito da Lugus), Lugetus, Lugidamus, Lugiola, Lugissius, Lugius o Luguselva (scelto da Lugus). L’ascendenza è ancora più chiara con questi antroponimi derivati direttamente dal nome della divinità, come Lougeius, Lougo, Lougus, Lucus, Lucus, Lugua e Luguadicius.

Iconografia

L’iconografia di quello considerato il Mercurio gallico comprende uccelli, in particolare corvi e il gallo, che è diventato l’emblema della Francia. Lug ha anche altre associazioni come i cavalli, l’albero della vita, i cani o i lupi, oltre a una coppia di serpenti (ad esempio il Caduceo e l’Abraxas di Hermes). E che senza dimenticare il vischio, così come i sacchi di denaro, e infine le scarpe (una delle dediche ai Lugoves, nome plurale di questo Dio ternario, è stata fatta da una gilda di calzolai; la controparte gallese di Lugus, Lleu (o Llew) Llaw Gyffes, è descritta nelle Triadi gallesi come uno dei “tre calzolai d’oro dell’isola di Gran Bretagna”).

Mercurio e Rosmerta, entrambi portatori del Caduceo.

Lugo è spesso armato di lancia e spesso è accompagnato dalla sua compagna Rosmerta (“grande fornitrice”), che porta la bevanda rituale con cui veniva conferita la regalità nella mitologia romana. A differenza del Mercurio romano, che è sempre giovane, il Mercurio gallico è talvolta raffigurato anche come un vecchio.

Triplicità

Il numero 3 era un numero significativo e potente per i Celti e per una moltitudine di altre antiche civiltà. Il numero era considerato sacro, per cui tutto ciò che appariva in tre parti era una rappresentazione di grande valore religioso. Una serie di divinità celtiche apparivano in tre, come il toro a tre corna nella Britannia celtica o le dee madri galliche, quest’ultima con più di cento nomi diversi. Sono chiamate Matrae, Matres o Matronae dopo la conquista romana.

Tre matrone a Bibracte

Il numero 3 indica un ciclo completo di passato, presente e futuro o madre, padre e figlio. Il numero era anche rappresentato da tre diverse funzioni sociali: il guerriero, il sacro e il fecondo, quest’ultimo a volte rappresentato dai contadini, responsabili dell’abbondanza di cui tutti beneficiano.

La rilevanza dei numeri va anche oltre. Nelle storie celtiche, le domande sono spesso poste tre volte. Leggi, massime, conoscenze e regole della poesia erano sempre organizzate in triadi e il loro numero era associato alla fortuna, all’importanza e alla magia.

Potremmo anche guardare a lungo il simbolo di Triskele e il suo significato, ma questo sarà riservato ad un altro articolo.

Tornando a Lucubo, a Reims, in Francia, è stato scoperto un altare che rappresenta un Dio tricefalo identificato come Lugo. Questa rappresentazione a più teste è uno degli argomenti principali della sua associazione con Mercurio nel culto gallo-romano. Quest’ultimo, infatti, è associato alla triplicità: ha a volte tre facce, a volte tre falli, che possono spiegare le plurime dediche.

Altare di Reims

Il fallo, tra l’altro, che all’epoca aveva un significato molto diverso, era un simbolo del sesso maschile, naturalmente, ma anche della fertilità, come ci mostra il menhir di Saint-Samson-sur-Rance. Quest’ultima è stata tuttavia degradata e levigata per diventare una croce cristiana, essendo la sua forma originaria fallica. Questo menhir era usato dalle donne come pietra della fertilità; venivano a strofinarlo per avere figli.

Tra gli antichi, i greci e i romani, le rappresentazioni falliche avevano anche una virtù apotropaica (per allontanare gli spiriti maligni), tanto che erano frequenti all’ingresso delle case, ed erano spesso indossate come amuleti al collo dei bambini.

Infine, il fallo era un simbolo di qualità virili. Questa associazione è in effetti molto evidente alla luce dell’estetica greca, come l’elmo corinzio, indossato da una divinità femminile, Atena.

Fuori dalla Gallia, Lugus è anche paragonato al suo equivalente mito irlandese. In alcune versioni del mito, Lug è nato come gemello trigemino, e suo padre, Cian – (“Distance”), è spesso citato insieme ai suoi fratelli (“Dog”) e Cethen (che significa sconosciuto), che non hanno una storia propria. Diversi personaggi chiamati Lugaid, un nome popolare nell’Irlanda medievale che si dice derivi da Lug, mostrano anch’essi una natura ternaria. Ad esempio, Lugaid Riab nDerg (“strisce rosse”) e Lugaid mac Trí Con (“figlio di tre cani”) hanno entrambi tre padri.

Ludwig Rübekeil, filologo tedesco, suggerisce che Lugus è un Dio trinitario, composto da Esus, Toutatis e Taranis, le tre divinità principali citate da Lucan (che, allo stesso tempo, non fa alcun riferimento a Lugus). La sua teoria suggerisce anche che le tribù pre-proto-germaniche a contatto con i Celti (forse i Chatti, temibili fanti, che hanno dato vita all’attuale Assia e alla Franconia sopra il Meno) hanno plasmato aspetti di Lugus incarnandoli nel Dio germanico Wōdanaz. Il Mercurio gallico avrebbe così dato vita al Mercurio germanico.

Luoghi sacri e continuità nei miti celtici

Al Dio Lugus sono stati dedicati luoghi alti, chiamati Mercurii Montes, come Montmartre, il Puy-du-Dôme e il Mont de Sène.

Puy-du-Dôme, Auvergne, Francia
  • In Irlanda, Lugh è il giovane vincitore che batte il mostruoso Balor “dell’occhio velenoso”. Era il pio paradigma della regalità sacerdotale, e un altro dei suoi appellativi, lámhfhada “del braccio lungo”, riprende un’antica immagine proto-indoeuropea di un nobile sovrano che estendeva il suo potere in lungo e in largo. La sua festa, chiamata Lughnasadh (“Festival di Lugh”) in Irlanda, è commemorata il 1° agosto. Quando l’imperatore Augusto inaugurò Lugdunum (“Forte di Lugus”, oggi Lione) come capitale della Gallia romana nel 18 a.C., lo fece con una cerimonia il 1° agosto (questo può essere, tuttavia, puramente casuale). Almeno due degli antichi siti di Lughnasadh, Carmun e Tailtiu, avrebbero dovuto ospitare le tombe delle Dee legate alla fertilità terrena.
  • In Galles si pensava anche che Lugus potesse essere l’origine non solo di Lugh e Lleu Llaw Gyffes. Secondo un’altra teoria, potrebbe anche aver dato vita a personaggi arturiani, ovvero Lancillotto e Re Lot (il cui campione più famoso è lo studioso arturiano Roger Sherman Loomis). Studi arturiani più recenti, tuttavia, hanno sminuito qualsiasi legame di questo tipo tra Lugus e Lancillotto.
  • L’ipotesi nel mondo gallo-romano è che il Dio Lugo, che appare nei testi mitologici irlandesi, corrisponderebbe alla divinità gallica che Cesare ha identificato come Mercurio, “l’inventore di tutte le arti“. Questa teoria è rafforzata da prove epigrafiche. Infatti, un’iscrizione di Osma, una città della provincia di Soria in Spagna in cui la consacrazione a Lugoues, la forma plurale del nome della triplice divinità, fu fatta da una gilda di calzolai. Senza dimenticare l’evidenza numismatica che sembra confermare il rapporto tra Lugus e questa professione. Inoltre, queste monete mostrano sul dritto un busto raggiante di Postumus e sul rovescio una figura maschile senza barba, con capelli ondulati e mani grandi. Il Dio tiene un tridente nella mano sinistra verso l’alto e un uccello nella mano destra, sulla spalla sinistra poggia un altro uccello da cui pendono due cinture, la leggenda della moneta è SVTVS AVG, che significa Sutus Aug(ustus) o “calzolaio divino”.
Antoniniano di Posthumus, Augusta Treverorum (Trier, Germania), 266.

Inoltre, frammenti del Mabinogion, scritto in Galles intorno al XII o XIII secolo, possono essere interpretati nella stessa linea. Come nel caso dei manoscritti medievali irlandesi, gli autori hanno sostenuto che i racconti dei Mabinogion si basano su leggende circolate oralmente secoli prima. In questi testi, un personaggio di nome Llew Llaw Gyffes appare simile a Lug. Il suo nome significa anche “Lo splendente” e, come Lugus, Llew è travestito da calzolaio in una delle storie.

Una lastra di piombo incisa trovata a Chamalières, in Francia, contiene l’espressione luge dessummilis, che è stata provvisoriamente interpretata da alcuni studiosi come “li preparo per il lugus”, anche se può anche significare “giuro (luge) con/dalla mia mano destra”.

La Lancia di Lugh di S.R.Millar, illustrazione pubblicata su Celtic Myth and Legend di Charles Squire (1905)

Funzioni

Identificato come divinità multifunzionale, Lugus è stato identificato con Mercurio, quest’ultimo con una serie di rappresentazioni scultoree in cui una delle sue caratteristiche più evidenti è il suo triplice volto. Questa teoria è sostenuta da Cesare, che considerava il dio gallico Mercurio il dio più venerato, poiché in Gallia c’erano più immagini di Mercurio in pietra e bronzo che di qualsiasi altra divinità.

Possiamo anche rilevare la forma plurale di Lugus negli altari che si trovano nella provincia di Lugo nella regione della Galizia in Spagna, dove il Dio è citato come Lucoubu Arquieni, Lugubo Arquienobo e […]u Arquienis. Ancora più importanti sono i tre foculi (forni usati per bruciare le offerte religiose) identificati nella parte superiore di due degli altari, che permettono di ipotizzare che le dediche plurali trovate a Lugo siano paragonabili a quelle dedicate alla denominazione Matrebo Nemausikabo trovata a Nîmes.

Lugoues rappresentava probabilmente un tipo di divinità simile ai Mater che erano legati a Lugus e che, come figlio di Talltiu, che è stato considerato come la Madre Terra da J. Loth, linguista e celtologo francese, era probabilmente tanto un Dio ctonio quanto un Dio celeste. Anche le consacrazioni alla dea Maiabus ritrovata a Metz devono essere interpretate nello stesso senso, poiché probabilmente sono legate a Maia, la madre di Mercurio, alla quale sembra essere associata in molte iscrizioni galliche. Esisteva una stretta relazione tra gli indizi legati al Dio gallo-romano a tre facce e le matrone, che sono forse una trasposizione del grande Dio ternario celtico.

Va notato che le teorie che identificavano le denominazioni plurali di Lugus con il culto delle Matriarche hanno ottenuto un notevole sostegno con la recente scoperta di un altare votivo dedicato a Lugunis deabus in Spagna ad Atapuerca, Burgos. Atapuerca si trova nel cuore del territorio ispanico, dove i culti di Lugus e dei Matres erano i più intensi.

In conclusione, Lugus gioca un ruolo essenziale nel movimento solare. Il Dio proclama durante un’epifania riportata in The Foundation of the Domain of Tara (Suidigud Tellaig Temra) “essere la causa del sorgere e del tramontare del sole”, e si sa che interviene nel passaggio dalla notte al giorno. Come agente dell’alba che porta la luce e, in generale, la bella stagione e la vita, Lug assicura la nascita di una società stabile ed equilibrata, governata dall’alternanza stagionale.

Lug si presenta come una divinità psicopompica “che accompagna le anime nell’Oltre, come accompagna il sole nel crepuscolo che ne segna i passaggi tra il buio e la luce”.

Archetipo del Sovrano Legittimo, Lugus prende anche dal bambino prodigio perché è un virtuoso in molti campi come la creazione, la musica, gli scambi, il pensiero e la bellezza. È anche un mago perché è un maestro della guarigione, un guerriero per le sue associazioni equine e bellicose, e infine un artigiano che può anche essere vendicativo e oscuro. Secondo Cesare, inoltre, “indica la via, la via che guida il viaggiatore, ed è il più capace di fare soldi e di proteggere il commercio”.

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Troverete la presentazione delle altre divinità celtiberiane nelle prossime parti.

https://dc.uwm.edu/ekeltoi/

Juan Carlos Olivares Pedreño, Università di Alicante

Alberto J. Lorrio, Università di Alicante Gonzalo Ruiz Zapatero, Universidad Complutense de Madrid

https://goldentrail.wordpress.com/

Prosper, B. M.: Lingue e religioni preromane della penisola iberica occidentale

Alarcão, Jorge de..: La religione di Lusitanos e Kalaicos

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Antropologia

Gli dei celtici della penisola iberica : Parte 3…

Arentio – Arentia

Etimologia

Per quanto riguarda la terza divinità del pantheon lusitano, Arenzio o Arentio, è spesso associata epigraficamente ad Arentia, una combinazione che delinea una coppia divina.

Una tesi precedente, quando i reperti archeologici erano ancora più scarsi, analizzava l’etimologia di Arentio o Arentia attraverso il prisma del latino, che deriverebbe poi da arens, che significa “secco” o “arido”. L’ipotesi è stata prontamente respinta dal suo stesso autore, il suffisso -entio essendo più associato alle lingue celtiche, lasciando una lacuna che è stata colmata molto più tardi dalla tesi di Blanca María Prósper, che suggerisce una radice proto-indoeuropea *h₁eor-, che significa “essere in movimento” o “correre”. Lo specialista suggerisce che questi teonimi deriverebbero da un idronimo, collegando così queste divinità all’acqua.

Epiteti

La maggior parte degli epiteti attribuiti a queste divinità hanno un riferimento etnico, come :

Arentio Amrunaeco

Un nome accettato come quello di una tribù o di un nome di luogo derivato dagli Ambrones. Indica una tribù germanica che aveva invaso la Repubblica Romana, presente in Iberia. Diversi nomi nella penisola iberica derivano probabilmente dagli Ambrones, come Ambrona, Hambrón e Ambroa. Inoltre, se si guarda alla cronologia, le iscrizioni sono state incise dopo la migrazione degli Ambrones verso l’Hispania. Ciò suggerisce che questi popoli esercitavano un’influenza germanica in un luogo che all’epoca portava il loro nome, che oggi corrisponde alla città di Coria, in Estremadura.

Arantio Tanginiciaeco

Trovato a Idanha-a-Nova, Portogallo. Attraverso lo studio dell’antroponimia lusitana, apprendiamo che Tanginus era un nome molto comune, portato da un leader celtibero durante la guerra di Numantino. Questo epiteto può riferirsi a un individuo, una famiglia o un clan, implicando che Arentio è stato invocato in un contesto privato. Lo stesso valeva per Apollo o Mercurio. Un’altra prova che rafforza il legame di Arenzio con l’ambiente privato o familiare è il ritrovamento dell’altare delle zebre a Orca in un contesto domestico. È stato collocato vicino all’impluvium, un sistema per la raccolta e lo stoccaggio dell’acqua piovana, collocato nel cortile interno delle ville.

Numantia, Alejo Vera Estaca, 1880

Cesariciaecus

Cesariciaecus è un epiteto che appare senza il suo teonimio in un’iscrizione di Martiago, Salamanca. Deriva dal cognomen (soprannome tradizionale romano) Cesare. Altri esempi di questo tipo sono stati trovati come Titriaecius a Torremenga, derivato dal cognomen Tritius. Oppure Arantoniceus, legato all’antroponimo Arantonius, e infine Tabaliaenus rinvenuto a Garases, nelle Asturie, derivato dal cognomen Tabalus.

Arentio Cronisensi

Un epiteto relativo al nome di un luogo o all’identificazione di una tribù, a causa della sua fine in -ensi

Arentiae e Arentio Eburobricis

Qui l’epiteto è plurale, in quanto si parla sia di divinità, maschili che femminili. Anche in questo caso si tratta di un nome di luogo sicuro, poiché il finale -bricis si riferisce al suffisso celtico -brig, che viene usato nei toponimi.

Eburo significa tasso in lingua celtica, Eburobriga significa quindi letteralmente città di tassi. Herminius Mons ci dice che non lontano da Fundão, la città dove sono state trovate queste iscrizioni, esiste ancora un villaggio chiamato Teixoso, nel comune di Covilhã. Teixo significa tasso in portoghese e -così è un suffisso spesso usato nei nomi delle località. In realtà, il villaggio ha ricevuto questo nome a causa della presenza di molti alberi di tasso nella zona in passato. Inoltre, sebbene sia molto probabilmente una città non legata all’antica Eburobriga, è una testimonianza dell’esistenza di luoghi attuali e molto vivaci che prendono il nome dagli alberi.

Foresta di tassi, Kingley Vale, Inghilterra

Arentia Ocelaeca e Arentio Ocelaeco

Soprattutto, l’opera di Jorge de Alarcão ci informa anche che gli Ocelenses erano una delle tribù lusitane distribuite nella regione di Beira Interior in Portogallo. D’altra parte, queste iscrizioni sono state trovate a Covilhã, il luogo dove vivevano gli Olcelenses.

Arentiae Equotullaicensi

Anche se la parte tullaicensi dell’epiteto potrebbe forse riferirsi a un nome di luogo, è stato anche suggerito che potrebbe essere collegato alla parte precedente del primo, Equo, che deriva dal protoceltico *ekwos, che significa “cavallo”. Questo pezzo ci permetterà presto di rimettere insieme il mitico puzzle con brio.

Arentio Niaeteo

Trovato a Cerezo, nella regione di Cáceres in Spagna, deriverebbe dal protoceltico *natr- che significa “serpente”. Un serpente che è, nel paganesimo europeo, un simbolo degli antenati, il cordone ombelicale, oltre che un animale legato ai cicli eterni della natura, come si può vedere nell’esempio dell’Ouroboros nordico.

I Divini Gemelli

È un tema che si può trovare in molti altri rami culturali indoeuropei e la penisola iberica non fa eccezione. Alcuni esempi della presenza dei Divini Gemelli tra i nostri cugini in tutta Europa:

   • Forse il più popolare è il caso greco dei Dioskouroi, i Dioscuri, che letteralmente significa “Figli di Zeus”. Questa coppia è composta da Castore e Polluce, entrambi associati ai giovani e ai cavalli, con l’epiteto “cavaliere a cavallo” per Castore. Omero si riferiva ai Gemelli come “cavalieri su destrieri veloci”.

   • Nella regione baltica, gli Ašvieniai si trovano tra i lituani, un nome che significa “avere (trattare con) i cavalli”, noto anche come Dievo Sūneliai, i “Figlietti di Dio”. Simili a Diev deli nella mitologia lettone, sono anche associati ai cavalli. Dievas è il Dio del cielo lituano, mentre Dievs è l’equivalente lettone, entrambi affini a Zeus.

Artifatto d’epoca Vichinga, Bornholm, Danimarca.

• Per quanto riguarda il mondo germanico, citato nell’opera di Tacito Germania, in cui si riferisce che la tribù dei Nahanarvali venerava gli Alcis, una coppia di fratelli gemelli che Tacito stesso ha paragonato a Castore e Polluce. È stato suggerito che la triade Njörðr, Freyr e Freyja sia una versione evoluta del culto dei Divini Gemelli, dopo che non è stato trovato un equivalente esatto. Freyr e Freyja sono i figli gemelli di Njörðr, va notato che Freyr è talvolta associato ai culti dei cavalli. Tuttavia, il confronto non corrisponde a verità. Le opere del mio compagno O’Gravy tendono a dimostrare che Njörð è il Dio della Luna, affine a Soma, infatti la Luna era considerata la sorgente e la padrona delle acque, e Freyr un gemello divino unico. Questo farebbe di Freyja una Dea dell’Alba, quindi il culto dei Gemelli Divini si sarebbe evoluto nel mondo germanico così come in quello celtiberiano, con uno dei due gemelli che si ritirava o veniva assorbito dall’altro. Alla fine, il Dio della Luna è loro padre nel senso che l’Aurora e la Stella del Mattino nascono subito dopo la Luna, o che queste stelle sorgono dal mare, di cui il Dio della Luna è il padrone.

   • Nel mito anglosassone troviamo Hengist e Horsa, due figure leggendarie che avrebbero guidato l’invasione anglosassone della Gran Bretagna. Si dice che discendano da Woden, e i loro nomi significano rispettivamente “Stallone” e “Cavallo”. Il confronto del ruolo fondante di queste figure con i loro equivalenti latini, Romolo e Remo, è quindi del tutto giustificato.

Herngist e Horsa

   • Infine, nella cultura vedica, la cui origine risale ad antenati comuni, si possono trovare gli Aśvins o Ashvins, il cui significato è simile a quello del lituano Ašvieniai menzionato sopra. Gli Aśvins non fanno eccezione, essendo menzionati come entità, giovani e vigorosi, che guidano un carro trainato da cavalli.

Con l’etimologia di queste diverse interpretazioni dello stesso archetipo ormai consolidata, possiamo ora concentrarci sui loro miti per estrarre più somiglianze, indizi delle loro funzioni.

Il primo tema ricorrente con queste divinità è che spesso sono viste come salvatori. Protettori dei marinai nel caso dei Dioscuri, hanno anche la capacità di salvarli dal naufragio e di inviare venti favorevoli, o addirittura di aiutarli sul campo di battaglia, come quando intervenivano a favore dei locresi nella loro battaglia contro Crotone. Esiste anche un mito in cui essi salvano la loro sorella, Elena, dopo che fu rapita da Teseo e Pirithous.

Elena consegnata da Castore e Polluce, Jean-Bruno Gassies, 1817

Miti simili si possono osservare nel caso di Aśvins, hanno un legame con il mondo marino, quando salvano Bhujyu dall’annegamento dopo un naufragio, e i loro cardi e i loro destrieri sono descritti “come usciti dall’acqua”. Non solo aiutano le persone e i soldati in battaglia, ma compaiono anche in un mito in cui salvano la Figlia del Sole dall’annegamento quando affonda in mare. In Lituania i simboli e i numeri degli Ašvieniai sono usati nell’architettura popolare come protezione, soprattutto sulle sommità dei tetti, dove proteggono dagli spiriti maligni. Per quanto riguarda le suddette divinità nordiche, Njörðr è considerato il santo patrono dei marinai, proprio come i gemelli greci che controllano i venti e le maree.

Alla luce di tutte queste interpretazioni del nucleo comune indoeuropeo, diventa chiaro che questi popoli condividevano una matrice comune, e che questi archetipi divini avevano funzioni importanti nella religione di questi popoli, sia come figure fondatrici che come figure salvatrici.

Funzioni

Con il significato dei precedenti epiteti, stabilito grazie al loro studio etimologico, è giunto il momento di definire le funzioni delle divinità celtiberiane Arentio e Arentia, sulla base dei parallelismi precedentemente descritti.

A questo proposito, è molto istruttivo osservare la radice proto-indoeuropea *h₁eor- che significa “essere in movimento” o “correre” come abbiamo fatto in precedenza; ma anche i legami costantemente stabiliti tra i nomi dei Divini Gemelli e la parola cavallo in altre culture indoeuropee. Questa parola potrebbe inoltre derivare da due radici proto-indoeuropee: da *kers da un lato, che significa correre, e da cui deriva anche la parola inglese “horse”, o dalle parole *ekwos o ašva dall’altro, che ci giungono da *h₁éḱwos, “horse”. Questa radice potrebbe anche avere la sua origine in un’altra parola che significa “veloce” o “veloce”.

Tuttavia, Prósper, che aveva suggerito questo collegamento, pensava che i teonimi Arentio e Arentia provenissero da un idronimo, rendendo così il significato “correre” un collegamento al flusso dell’acqua.

Questo legame è fortemente sottolineato dai riferimenti acquatici percepibili negli altri miti: i Dioscuri sono i santi patroni dei marinai mentre il padre di Freyr e Freyja è il Dio nordico del mare, delle acque e dei marinai. Inoltre, il rapporto di Arentio e Arentia con i cavalli è sempre confermato dall’epiteto Equotullaicensi che abbiamo esaminato in precedenza.

Njörðr, Tim Solliday

Alarcão, pur concordando sul significato di “corsa” dei nomi delle divinità, rifiuta l’ipotesi che i loro nomi derivino da un fiume. Piuttosto, difende l’idea che il significato legato alla corsa debba essere associato agli stessi Lusitani, popoli guerrieri che secondo le fonti romane erano incredibilmente veloci e agili sul campo di battaglia. Continua la sua analisi suggerendo funzioni legate al dominio della guerra, senza escludere la possibilità che Arentio e Arentia siano divinità polifunzionali. Conclude che in tempo di guerra potevano essere invocate per questi scopi, ma che in tempo di pace erano considerate protettori delle tribù, delle famiglie e dei lignaggi, come la maggior parte dei loro epiteti hanno confermato.

Questa analisi li avvicina ancora una volta alle altre versioni dei Divini Gemelli: protettori di individui, famiglie o intere tribù, che aiutano sul campo di battaglia, risuonano con gli Aśvins vedici, gli Ašvieniai lituani e i Dioskouroi greci.

Castor and Pollux at the Battle of Lake Regille. Engraving from the collection of poems The Lays of Ancient Rome by John Reinhard Weguelin, 1880.

Herminius Mons ci dice che seguendo la logica di Alarcão, che originariamente pone all’origine dei teonimi di queste divinità gemelle un tratto specifico dei Lusitani, cioè la loro agile abilità sul campo di battaglia, è probabile che essi possano essere considerati da questa tribù come figure fondatrici. Questo argomento è sostenuto dal fatto che il culto di queste divinità era concentrato in una piccola area, il che rende la loro venerazione quasi esclusiva per i Lusitani. Sarebbe infatti strano vedere una tribù straniera adorare le figure fondatrici di un’altra tribù. Se la sua teoria è corretta, evidenzierebbe un parallelo tra la coppia Arentio – Arentia e Hengist – Horsa.

Tanto più se si tiene presente l’associazione di Arentio con i serpenti, simboli degli antenati, che renderebbero la coppia di divinità figure ancestrali divine. Se il loro nome significasse “correre” nel senso di acque correnti, si potrebbe creare un legame con la simbologia del serpente, che rappresenta il cordone ombelicale, collegato all’utero, dove il nascituro è immerso nel liquido amniotico. Il bambino torna in vita, il che implica la reincarnazione, e Arentio e Arentia, le figure ancestrali fondatrici, sono quindi legate alla rinascita e agli antenati. Arentio rappresenta quindi l’antenato maschile, mentre Arentia rappresenta l’antenato femminile, la madre che nutre, il bambino che deve finalmente prevalere simbolicamente per diventare indipendente e permettere la rinascita degli antenati al suo interno.

Infine, se si accetta la considerazione che pone Freyr e Freyja come una versione evoluta o modificata del culto dei Divini Gemelli, questo fa di essa l’unica interpretazione di queste divinità, insieme ad Arentio e Arentia, che ha fratelli e sorelle sia maschi che femmine, essendo entrambi gemelli maschi in tutte le altre culture.

C’è anche il fatto che possono essere invocati separatamente, come Freyr e Freyja, il che li rende di nuovo delle eccezioni, tutti gli altri gemelli sono sempre invocati in coppia. Questo implica la possibilità che possano aver avuto funzioni o archetipi leggermente diversi in relazione al loro genere.

Nell’interpretare i Divini Gemelli, bisogna tenere presente che l’elemento “gemelli” non è essenziale, anzi i miti gallesi, irlandesi o nordici mostrano un solo Divino Gemello. Anche la coppia Romolo – Remo mostra questa particolarità alla luce del loro mito.

Iberian warriors, 2nd century B.C., Angus McBride

Conclusione

Dalle iscrizioni sopravvissute fino ai nostri giorni e dagli studi comparativi dei miti di altre culture, possiamo concludere che Arentio e Arentia sono l’interpretazione dell’archetipo indoeuropeo del Gemello Divino, opera dei lusitani, uno dei popoli iberici più famosi e famosi tra gli autori del mondo romano ed ellenico.

Anche se spesso trascurata dagli specialisti, la penisola iberica ci offre ancora una volta un esempio della struttura indoeuropea ricorrente. Essendo i Divini Gemelli una coppia coerente di divinità che si trovano dal Portogallo all’India, possiamo considerare le tradizioni comuni degli europei rafforzate e riconfermata l’influenza delle migrazioni e delle invasioni indoeuropee nella Valle dell’Indo.

Arentio e Arentia sono divinità protettrici del popolo, invocate in contesti privati e sociali. Inoltre, possono aiutare nelle battaglie, rendendole importanti divinità guerriere. Se il suggerimento di Prósper è corretto, potrebbero anche essere i patroni di coloro che navigano o sono associati all’acqua in generale. La memoria collettiva di un popolo e la sua somiglianza con i suoi dei e le sue dee, come riflesso superiore delle persone che hanno portato nel mondo, sono concetti primordiali nel paganesimo europeo. Se la teoria di Herminius Mons fosse confermata, servirebbe da esempio perfetto per questi principi.

Poiché i Divini Gemelli sono la discendenza del Padre del Cielo in altri miti indoeuropei, è possibile affermare che Arentio e Arentia sono i figli di Reo o Reus, il Padre del Cielo dei lusitani? Anche lui ha un forte legame con le acque, come spiegato negli articoli precedenti.

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Troverete la presentazione delle altre divinità celtiberiane nelle prossime parti.

https://dc.uwm.edu/ekeltoi/

Juan Carlos Olivares Pedreño, Università di Alicante

Alberto J. Lorrio, Università di Alicante Gonzalo Ruiz Zapatero, Universidad Complutense de Madrid

https://herminiusmons.wordpress.com/
https://goldentrail.wordpress.com/

Prosper, B. M.: Lingue e religioni preromane della penisola iberica occidentale

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Antropologia

Gli dei celtici della penisola iberica: Parte 2 –…

Mer Curio traduce Matamoro

Giove e Teti, Jean-Auguste-Dominique Ingres, olio su tela, 1811

Reue – Reve – Reo:

Premesse

Ci sono diverse ipotesi sull’origine di questo nome, la prima delle quali è stata avanzata dallo specialista K. T. Witczak, che lo considera derivato dal proto-indio-europeo *diewo o *dyeus, suggerendo che la lingua lusitana ha cambiato il proto-indio-europeo *d in r, con un’analoga evoluzione che si è verificata nella lingua umbra. Ciò farebbe di Reo una divinità celeste simile al greco Zeus e al latino Giove.

Seguendo questa logica, l’analisi mostra che Reve è il dativo singolare di Revs o Reus, rendendo Reo/Reus/Revs il vero nome di Dio. Qui è facile confrontare il nome Reus con il nome Zeus.

La seconda teoria suggerisce che Reue sarebbe una divinità legata ai fiumi e che il nome deriverebbe da una radice che significa torrente o corrente.

La verità è che queste due proposizioni si completano a vicenda in modo notevole.

La famiglia linguistica proto-indo-europea

Posizione

Le sue denominazioni si trovano in vaste aree e il suo culto si sovrappone a quello di Bandua. Altri elementi ci permettono di vedere le sue somiglianze con Giove o con il dio gallico Taranis, ad esempio l’associazione con alcune zone montuose, come il monte Larouco, che culmina nella regione.

Ci dice Lourenço Fontes:”La catena montuosa di Larouco era la più grande e formidabile per la sua influenza su pioggia, fiumi, acqua e tuoni”.

Pertanto, vicino alla montagna sono state trovate iscrizioni dedicate a Reue Laraucus e Laraucus Deus Maximus. Queste ultime iscrizioni riportano anche un riferimento a Giove. I due gruppi di iscrizioni hanno in comune una serie di caratteristiche formali e una vicinanza alle vette, a volte molto lontane dalle zone abitate. Ce ne sono altre con epiteti legati alle montagne, come Reue Marandicui. Infatti, in alcune consacrazioni a Giove, i nomi si riferiscono anche a montagne o a zone alte come Iuppiter Candamius (Candanedo). Questo ci permette di comprendere i suoi poteri e le sue funzioni, legate alla montagna, il cui nome deriverebbe da *kand – per brillare, per bruciare, per illuminare. La stessa associazione può essere fatta con la consacrazione Iuppiter Candiedo, Iuppiter deus Candamus (Monte Cilda).

Un’altra iscrizione trovata ad Arronches, Portalegre, sempre in Portogallo, menziona 10 tori sacrificati a Reo. Oltre all’associazione topografica tra queste due divinità, è noto anche che i tori, simbolo animale anche di Zeus, venivano spesso offerti a Giove. Come ulteriore simbolo, si potrebbe anche menzionare la quercia, che è sparsa in tutta la penisola iberica, comunemente associata agli dei del tuono.

Oltre al collegamento tra Reue e le zone montane, è stata istituita anche un’associazione con i fiumi. La radice *Sal- è infatti legata alla montagna e può essere interpretata anche come “ruscello d’acqua”. Questa radice è fortemente rappresentata negli idronimi europei, alcuni di essi appaiono con il suffisso -am, come il fiume francese Salembre, chiamato Salambra nel XII secolo. Lo stesso vale per Salamanquilla nella regione di Toledo o Salamantia, probabilmente l’antico nome del fiume Tormes. Viene in mente anche il toponimo Salmantica nella regione di Salamanca.

Salamati è una denominazione direttamente collegata alla catena montuosa dello Jalama, chiamata Salama nell’antichità. Una teoria ipotizza che Salama e Reue siano divinità complementari perché non è stata trovata alcuna sovrapposizione tra di loro, nonostante attributi simili come l’associazione montuosa e il fatto che siano accompagnati da iscrizioni relative a Giove. Inoltre, ciascuno degli dei coesisteva con lo stesso gruppo di divinità nelle rispettive zone. In conclusione, Salama potrebbe essere semplicemente una denominazione di Réue.

Tormes, Salamanca, Spagna

L’associazione con i fiumi è chiaramente confermata dal teonimio Reue, che probabilmente era considerato una divinità che rappresentava la deificazione del “rivus”, o corrente, e probabilmente aveva lo stesso significato della parola femminile francese “rivière” o del catalano “riera” che significa burrone. Reue deriverebbe dalla radice *reu- corrente, fiume, flusso. Così, la maggior parte delle denominazioni di Reue non solo esprime la sua natura maschile, ma anche un legame con alcuni fiumi, come l’epiteto Langanidaeigui derivante dall’idronimo Langanida, che può essere tradotto come:”Al Dio Reue del fiume Langanida”

C’è anche la consacrazione Reue Anabaraecus, che contiene gli elementi ana, connotazione di fiume, e bara, che a volte significa riva, sponda o a volte esprime un idronimo. Questo sarebbe:

"Al Dio Reue della riva dell'Ana"
oppure"
Al dio Reue di Anabara"
e nel caso in cui Anabaraecus sia diviso in due parti,
"Al dio Reue Ana [della città] di Bara"

Oppure Reue Reumiraegus, a quel tempo si usava ancora il termine *reu- fiume, che probabilmente significava:

"Al dio Reue del fiume Mira"

Infine il Veisutus è probabilmente formato dalle radici *ueis-/*uis-, che sono idronomi popolari che si trovano in tutta l’Europa preistorica.

Studiando il teonimo e gli epiteti di Reue, possiamo concludere che Reue era un nome generico per “fiume”, ma che gradualmente questo nome è stato dissociato dalla realtà fisica del fiume per chiamare l’entità personale con carattere divino che abita il fiume come suo protettore e distributore.

Arno, Dio etrusco dei fiumi, Roma

Reue, Giove e l’archetipo indoeuropeo:

Riassumendo, oltre all’associazione di Reue con le aree montane, un legame tra Reue e i fiumi può essere percepito anche attraverso lo studio etimologico dei suoi teonimi ed epiteti. L’associazione con i fiumi è di natura simile a quella con le montagne, il che implica che le valli erano e sono i luoghi dove la potenza della divinità è più evidente, dove il contatto spirituale più forte e intenso può essere sentito con essa.

Molti autori hanno già notato che un numero significativo di colonne dedicate a Giove sono state trovate vicino a fonti d’acqua o fiumi nelle province galliche e germaniche.

Il collegamento tra queste colonne dedicate a Giove e le zone acquose è perfettamente concepibile senza minimizzare la sua posizione nella gerarchia divina o implicare che il dio avesse caratteristiche appartenenti alle divinità “guaritrici”. Infatti, le scene scolpite nella parte superiore delle colonne contenevano un cavaliere che, nelle vesti di Iuppiter, carica un mostro a forma di serpente, mostrando evidenti affinità con il mito vedico del confronto tra il dio Indra e il demone Vritra. Inoltre, Indra appare in questo mito come il “conquistatore delle acque”, sebbene la divinità che regolava e inviava le acque agli uomini fosse il supremo dio indo-iraniano Varuna.

San Giorgio uccide il Drago, Hans Von Aachen

I miti che rappresentano una lotta tra il Tonante, il Dio della Tempesta, e un drago, o un serpente anfibio dai tratti antropomorfi, non sono caratteristici solo delle zone celtiche o indoiraniane, ma si trovano in realtà in tutti i rami religiosi del tronco indoeuropeo. Il cristianesimo si è messo a vampirizzarlo con, ad esempio, le immagini di San Giorgio o di San Michele che uccide il drago. Sulla base di tutti questi argomenti, possiamo concludere che il dio supremo dei gallo-romani, Giove, aveva una precisa associazione con i corsi d’acqua, e che questo rapporto era molto più straordinario in luoghi specifici, come le confluenze o a monte.

1. Dichiarerò le gesta virili di Indra, il primo a diventare, il maneggiatore di Tuoni. Ha ucciso il Drago, poi ha svelato le acque e ha scavato i canali dei torrenti di montagna.

2. Uccise il Drago che giaceva sulla montagna: il suo lampo celestiale tuonante Tvastar ha formato. Come kine in rapida discesa, le acque scivolavano verso l’oceano.

3. Impetuoso come un toro, scelse il Soma e in tre sacre coppe bevve il succo. Maghavan afferrò il tuono per la sua arma e colpì a morte questo primogenito dei draghi.

Rig Veda, libro I, inno XXXII

La natura di questo rapporto deriva dal fatto che, in questi luoghi privilegiati, una delle principali funzioni della divinità si è affermata, da un lato, come benefattore e garante delle piogge e della sopravvivenza della comunità, e, dall’altro, come creatrice di tempeste e inondazioni catastrofiche. Nei luoghi dove la percezione dei suoi poteri era più evidente, il culto si esprimeva attraverso l’erezione di altari votivi, colonne monumentali o la costruzione di santuari. Questi luoghi, infatti, erano di vitale importanza per la popolazione locale, come si può vedere attraverso Augustodunum, Autun, la capitale dell’Aedui in epoca romana. O ancora attraverso la colonna, ormai scomparsa, situata alla confluenza del Sene e della Marna, e infine attraverso la colonna di Nautae Parisiaci.

Modello di ricostruzione del Pilastro Eds Nautes, museo del Cluny.

Con queste nozioni, si può affermare etimologicamente che il teonimo Taranis, associato a Iuppiter in Gallia, è legato ai fiumi. In origine potrebbe essere stato il nome del Tarn, affluente della Garonna, che Plinio chiamava Tarnis, o del fiume Tarano, affluente del Po, che compare anche nelle opere di Plinio e negli Itinerari di Antonino con il nome di Tanarus. Questi idronimi devono sicuramente il loro nome ai culti degli Dei che dovevano trovarsi alla sorgente o lungo il corso di queste correnti fluviali. Ne esistono altri esempi come il Ternin, affluente dell’Arroux, che nella sua parte superiore si chiama Tarène, il Terneau, affluente della Marna, e il Ternoise.

Quindi, se prima siamo stati in grado di stabilire un rapporto tra Bandua e Marte, possiamo anche confermare che Reue, in quanto divinità appartenente allo stesso pantheon di Bandua, era associato a zone montuose, fiumi e divinità celtiche affini, identificandolo così sia con Iuppiter che con Taranis.

Egli incarna l’archetipo del dio del cielo e del fulmine, supremo, stellare, sovrano, che esercita la giustizia e talvolta viene associato alla morte.

Taranis al Musée d’archéologie nationale.

“Teoria : Come curiosità, la parola portoghese, galiziana, asturiana e castigliana che significa quercia (rispettivamente carvalho/carballo/carba/carvallo) è di origine sconosciuta, molto probabilmente proveniente da una lingua preromana dell’Iberia. Abbiamo anche le parole raio in galiziano-portoghese e rayo in castigliano, che significano saetta. Queste parole provengono dal latino raggio, ed era infatti usato da Virgilio nell’Eneide con il significato di fulmine[15], ma la parola latina comune per fulmine è fulgur. Ora, potrebbe essere che in Iberia la parola per fulgore adottata dal latino dopo la conquista romana fosse raggio invece di fulgur a causa di Reus? Abbiamo la parola fulgor in portoghese e castigliano, per esempio, ma ha perso il significato di fulgur/ fulmine. Oggi significa semplicemente “fulgore” o “bagliore”. Questa è solo una mia teoria che non ha nulla a sostegno, ma suppongo che sia uno spunto di riflessione. Inoltre, Taranis ha come simbolo la ruota, e in Galizia sono state trovate anche alcune sculture di ruote. Chissà se erano collegate al dio del tuono”.
Herminius Mons

Troverete la presentazione delle altre divinità celtiberiane nelle prossime parti.

Fonti :

https://dc.uwm.edu/ekeltoi/

Juan Carlos Olivares Pedreño, Università di Alicante

Alberto J. Lorrio, Università di Alicante Gonzalo Ruiz Zapatero, Universidad Complutense de Madrid

https://herminiusmons.wordpress.com/
https://herminiusmons.wordpress.com

https://goldentrail.wordpress.com/

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Traduzione a cura di Mer Curio

Antropologia

Gli dei celtici della penisola iberica : Parte 1…

La penisola iberica nel 300 a.C.

Questa serie di articoli si limiterà a presentare le divinità della penisola iberica, concentrandosi sul pantheon indoeuropeo, la maggior parte dei dati che lo riguardano provengono dall’asse nord-centro-nordoccidentale, cioè l’Hispania celtica, abitata da diversi popoli tra cui i lusitani.

I lusitani

Chi erano? Strettamente legati geneticamente, ma anche linguisticamente, culturalmente, tradizionalmente e religiosamente ai Vettoni e ai Gallaeciani, costituivano la base del patrimonio indoeuropeo della penisola.

La penisola era, prima dei primi arrivi indoeuropei, già abitata dai cacciatori-raccoglitori del Mesolitico, che videro arrivare e mescolarsi con loro i contadini neolitici, entrambi antenati degli iberici. Quindi parlavano una lingua pre-indoeuropea. Queste culture ci hanno lasciato molti siti megalitici in tutta la penisola, come a Malaga:

Dolmen di Antequera, Malaga, Spagna

Anche se è un argomento controverso, c’è accordo sul fatto che il primo arrivo degli indoeuropei nella penisola avvenne poco prima della cultura Urnfield, cioè la cultura Tumulus o la cultura Bell Beakers, in particolare, tra il 1600 e il 1300 a.C. Essi si mescolarono con le popolazioni indigene della regione occidentale, che segnarono la nascita dei Lusitani. Ciò è supportato principalmente dal fatto che la lingua lusitana, pur appartenendo alla famiglia indoeuropea, è di origine pre-celtica.

È comunemente accettato che la seconda ondata che ha continuato questo processo di indoeuropeizzazione intorno all’800-700 a.C. sia stata incarnata dai Celti della cultura di Hallstatt, anche se altri collocano l’origine dei Celti nella stessa Penisola Iberica. L’influenza di quest’ultima è stata profonda in tutto ciò che i romani chiameranno in seguito Hispania, sia nella lingua che nella cultura e nella religione. Ciononostante, va sottolineato che la costa orientale ha conservato più caratteristiche iberiche di altre. Infatti, in questa zona si parlavano ancora le lingue pre-indoeuropee, come avviene ancora oggi nei Paesi Baschi.

La lingua lusitana

Anche se non c’è un consenso sull’etimologia della parola “Lusitanian”, si ritiene che questa tribù sia stata nominata dagli stessi romani. Plinio il Vecchio suggerisce una relazione con “Lusos”, un figlio o un compagno di Bacco. Altri ricercatori suggeriscono una possibile radice nella parola latina lux e, in fine, il proto-indoeuropeo *lewk-, che significa “luce”, Lusitania significherebbe allora “Terra di luce”. È stato suggerito un confronto con la parola anatolica luth, che significa “pietra di luce”, e ythania, che significa “terra del fiume del cielo”. Questo confronto con l’anatolico si basa sul fatto che i contadini neolitici che un tempo abitavano l’Europa arrivarono attraverso l’Anatolia, anche se non avevano nulla a che fare con le moderne popolazioni locali di quella regione.

Di questa lingua rimangono oggi pochissime tracce, di cui esistono solo iscrizioni con l’alfabeto latino. Anche se è difficile classificarla, viene generalmente descritta come pre-celtica e collocata nella famiglia linguistica indoeuropea con una propria categoria (lusitano).

Ceramica celtiberiana, Numancia, II secolo a.C.

Società e religione

Come in Gallia, i lusitani erano divisi in diverse tribù indipendenti con i loro capi, anche se a volte si univano in tempo di guerra. Ognuno di loro viveva in un Castro o in una Citâna, una sorta di villaggio tribale fortificato con una struttura circolare, come l’Oppidum gallico. Erano i guerrieri a costituire la stragrande maggioranza della classe dirigente.

Castro de Baroña, Galizia, Spagna

I lusitani erano politeisti, come tutte le altre etnie europee. Il sacrificio degli animali era un rituale comune in tutta la penisola iberica. I resti venivano consumati dai membri della tribù, come si può vedere nell’Iliade. Una casta di sacerdoti, sicuramente di natura druidica, era presente e svolgeva il ruolo di guardiani delle tradizioni e fitoterapisti (vedi l’articolo sui Druidi). La maggior parte dei templi si trovava in ambienti naturali come le rocce, le foreste o sulle rive di fiumi e torrenti e aveva poche o nessuna struttura di origine umana. Dopo secoli di resistenza e conflitti, culminati nell’assassinio di Viriathus, un eroe dei lusitani, iniziò il lungo processo di romanizzazione, che portò alla fine alla Hispania romana. Anche se la maggior parte dei miti celtiberiani sono scomparsi, la funzione delle divinità è ancora molto evidente.

Josè de Madrazo, assassinio di Viriathus
Statua di Viriathus, Zamora

Bandua – Bandu:

epiteti: Roudaeco, apolosego

È probabile che questo nome si riferisca a diverse o a un gruppo di divinità. Si tratta in effetti di un nome maschile nelle iscrizioni trovate finora, ma la sua unica rappresentazione disponibile è femminile. Il suo culto è presente sia in Lusitania che in Galizia. I suoi altari dedicati portano appellativi che derivano dai toponimi con il suffisso -briga.

Viene spesso citato con gli epiteti uici, pagi, castella, e il fatto che non si trovi in città fortemente romanizzate indica una relazione di un Dio protettore con le comunità indigene di basso rango. Non ci sono epiteti associati a particolari famiglie, clan o tribù.

Patera d’argento romana raffigurante Bandua in forma femminile

Bandua è associato a Marte nelle province gallo-romane, si sa anche che erano le divinità meno venerate dalle donne, due ovvie argomentazioni per indicare il suo carattere bellicoso. Così, mentre i Castella stavano perdendo il potere politico a favore della romanizzata Oppida, il carattere combattivo di queste divinità cominciò a perdersi e si limitarono a una funzione di divinità protettrici delle popolazioni che abitavano gli uici, i pagi e i castella, ormai considerati gruppi sociali consolidati, continuando a venerare gli Dei dei loro antenati, mentre nei nuovi municipi o ciuitates le divinità guardiane romane avevano la precedenza grazie al sostegno delle élite autoctone.

Mercenari celtiberiani durante le guerre puniche, Angus McBride

Bandua è quindi il Dio della comunità locale, degli insediamenti fortificati, protettore, il suo patronato si estende probabilmente anche al regno della guerra. Sarebbe così l’equivalente dell’archetipo incarnato da Marte nel ramo romano del pantheon indoeuropeo.

La patera, un tipo di coppa, che si trova nella provincia di Caceres, mostra però qualcosa che può sembrare molto diverso nell’aspetto: una figura femminile che regge un corno dell’abbondanza, che indossa una corona murata, una figura che alcuni considerano simile a Fortuna o Tutela.

Per quanto riguarda l’etimologia di Bandua, troviamo il prefisso *band-, che significherebbe fontana se consideriamo idroni fluviali come Bandugia, Bandova … In sanscrito bandhuh significa “rapporto di famiglia”. Di fronte a questa incertezza sul significato di questa denominazione, è stata messa in discussione l’origine indoeuropea del teonimo stesso.

Ma tutte queste proposte non sono necessariamente contraddittorie, in quanto Bandua è finalmente un protettore della comunità, non solo nella sua dimensione militare ma anche nella conservazione dei legami sociali e familiari, della salute e della prosperità della popolazione come indica il corno dell’abbondanza che tiene sulla sua patera, che permette a Bandua di preservare le identificazioni che i suoi molteplici aspetti hanno generato con Tutela, Marte e perfino Mercurio. Alcune delle sue denominazioni ci permettono di considerarlo non come una divinità celeste, ma come la divinità dei luoghi fortificati, come il castro, luoghi tradizionalmente elevati, che erano e sono tuttora un simbolo della comunità e della sua sopravvivenza. È quindi un dio guerriero, che non si limita solo al campo di battaglia, ma combatte contro tutto ciò che minaccia la comunità, le invasioni, le malattie, le catastrofi, la dissoluzione della vita comunitaria… Un dio unificante e apotropaico.

Idea per un culto moderno
“Da questo punto di vista, la scelta dei giorni di festa per Bandua può essere dettata dalla storia della comunità che ha il compito di proteggere. Per esempio, la data di fondazione di una città o di un paese, o l’anniversario di un evento fondamentale che ne ha assicurato la sopravvivenza o ha posto le basi per la sua prosperità. E gli deve essere dato un epiteto corrispondente o, per maggiore precisione, può essere aggiunto un secondo titolo per le specifiche esigenze di un sacrificio. Per esempio, Bandua Portuense come aspetto locale di Bandua che protegge la città di Porto in generale, venerata il 14 luglio (giorno della carta municipale del 1123), e Bandua Portuense Soter o Saviour in caso di calamità naturale o di altre emergenze che richiedono un aiuto tempestivo per gli abitanti della città.

La tutela del dio può valere anche per intere regioni, distretti o paesi. Come nel caso di Porto, ciò si traduce naturalmente in un moderno sviluppo del culto, poiché in generale le identità politiche odierne non esistevano in epoca romana o preromana. Ma se l’obiettivo è quello di dare nuova vita ai vecchi culti che permetterebbero loro di prosperare nel mondo moderno, allora sarebbe perfettamente legittimo adorare Bandua con un epiteto come Portugalensis o Portuguese – dio protettore del Portogallo. Questo non sarebbe un titolo esclusivo, in quanto potrebbe essere attribuito ad altre divinità, e lo stesso dio potrebbe essere legato ad altre nazionalità. Questo sarebbe senza dubbio un modo per dare una vita moderna a un culto che è stato praticato apertamente per l’ultima volta più di mille anni fa, quando le cose erano naturalmente molto diverse da come sono oggi.
Per quanto riguarda i simboli e gli animali, il bue sarebbe una possibilità, poiché è strettamente legato al toro e rappresenta sia la prosperità che la forza. Da Marte si potrebbero prendere i picidi e forse aggiungere l’ariete, che è sia un abitante delle altezze che un simbolo di combattimento difensivo. Si potrebbe anche usare uno scudo, magari con la rappresentazione di uno di questi animali o almeno una corona murata – come nello stemma di ogni comune portoghese – e sovrapposta a un albero come simbolo della vita comunitaria”.
citazione da Golden Trail

Teorie

Prima teoria: La teoria propone che Bandua sia incarnato da una coppia di divinità con un membro maschile e uno femminile. Questa teoria è stata recentemente criticata, interpretando quelle che sono state tradizionalmente considerate singolari derivate tematiche degli attributi maschili come forme genitive plurali riferite a gruppi di persone (B’andue Aetobrico(m), Cadogo(m), Roudeaeco(m), Veigebreaego(m)). Si afferma inoltre che essi dipendono da un teonimio, Bandua, che sarebbe femminile come conseguenza di quanto sopra, e che probabilmente è stato creato più tardi rispetto al suo omologo maschile. Avremmo così una coppia di divinità, Bandus (maschio) e Bandua (femmina), paragonabile ad altre coppie celtiche come Bormanos & Bormana, Belisama & Belisamaros, Camulos & Camuloriga e Arentius & Arentia.

Seconda teoria: è stato recentemente proposto che San Torquatus, uno dei sette uomini apostolici responsabili dell’introduzione del cristianesimo in Hispania, le cui reliquie sono conservate a Santa Comba de Bande (Ourense), sia una versione cristiana di Bandua.

Cosus:

Iscrizioni che si riferiscono a Cosus sono state trovate vicino alle colonie. Infatti, i nomi di questo Dio si riferiscono a comunità locali, come Conso S[…]ensi e Coso Vacoaico. Di natura religiosa simile a quella di Bandua, i territori dove si trovano iscrizioni che si riferiscono all’uno o all’altro non si sovrappongono quasi mai, rendendo il culto di queste divinità complementare e coprendo così quasi tutta la parte occidentale della penisola iberica dove sono stati trovati culti indigeni. Inoltre, nei monumenti dedicati al Cosus non è stata trovata alcuna traccia di venerazione da parte delle donne, il che conferma ulteriormente la teoria della sua complementarietà con il Bandua.

Troverete la presentazione delle altre divinità celtiberiane nelle prossime parti.

Fonti:

https://dc.uwm.edu/ekeltoi/

Juan Carlos Olivares Pedreño, University of Alicante 

Alberto J. Lorrio, Universidad de Alicante Gonzalo Ruiz Zapatero, Universidad Complutense de Madrid

https://goldentrail.wordpress.com/

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Traduzione a cura di Mer Curio