Musica

Kaos – Pandemia

Kaos – Pandemia

Kaos (Marco Fiorito, 1971-Caserta) è uno dei precursori dell’hip hop in Italia, inizia con le altre arti che contraddistinguono questo movimento: la break dance e i graffiti.
Prosegue come MC e sta anche dietro ai piatti per alcuni suoi lavori, comincia con il rap in inglese per poi passare all’italiano, si può quindi considerare uno degli artisti più completi della scena e un fiero rappresentante del più puro e vero underground.
Che altro aggiungere?

Kaos al Nessun Dorma – Varese.
Pezzi di anima sul palco.

Semplicemente un “dannato” poeta che scuote e fa vibrare la tua anima con le corde vocali, soprattutto dal vivo, quando ci si fonde tutti in un’unico suono, nella stessa vibrazione.


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Testo Completo

Pandemia.
Curioso, lo so, suona così familiare in questo periodo non è vero?
Pensiamo all’ultima nostra settimana o all’ultimo mese, in realtà potremmo prendere in considerazione l’intero anno.
Si, è passato un anno bella gente. 

Quante volte abbiamo sentito o pronunciato questa parola, calcolando anche tutte le sue varianti quali pandeminchia, pseudopandemia, psicopandemia e via dicendo?
Quante volte abbiamo nominato il suo fedele compagno dai petali petalosi o, per stare in tema, le sue varianti più “simpatiche” quali coronavairus, minchiavirus, ginovirus e via dicendo?
Chi ce lo fa fare? A chi importa il numero esatto di volte?
Viene la nausea solo a pensare di doverci pensare quindi andiamo semplicemente avanti tornando indietro. Rewind. 

Pandemia.
Non è quello che vi aspettereste di sentire, non è quello di cui vorreste parlare probabilmente o quello che tutti siamo costretti in un modo o nell’altro a subire, è altro.
A mio avviso, uno dei pezzi migliori di kARMA, il terzo album di Kaos.
Sarà che ho lasciato dei pezzi di cuore sottopalco ai live quando la sinergia tra le persone che cantano all’unisono era talmente forte da non riuscire a descriverla e nei momenti difficili mi veniva sempre in mente, mi dava sollievo.

Credo di essermi ripetuta la sua prima rima centinaia di volte, l’avrò cantata davvero centinaia di volte, quando stavo male per qualcosa mettevo le cuffie, lasciavo che la voce rauca di Kaos alleviasse il mio dolore e alleggerisse la zavorra che comprimeva il mio costato.

“A questa vita non ho chiesto niente in fondo
Manco di venire al mondo
Mi domando se c’è un senso e non rispondo”

Può sembrare banale se non ci si presta la dovuta attenzione, la trasformavo in un mantra e rieccheggiava nella mia testa con la sua disarmante elementarità finchè raggiungevo una sorta di rassegnazione cosmica che mi permetteva di superare più facilmente quell’ostacolo.
Giusto o sbagliato andavo avanti e stavo meglio, quando non ce la facevo più a volte svuotavo la testa dalle domande invece di ostinarmi a volerla riempire con le risposte.

A volte se pensi all’universo intero ti rendi conto di quanto piccolo sei e diventano più piccoli anche i tuoi problemi, forse, o semplicemente ti rendi conto che alla fine passerà.
Farai come hai sempre fatto, ti sei lasciata alle spalle l’ostacolo precedente e quello prima ancora, in un modo o nell altro, e così sarà per quello che hai di fronte e per il successivo.

A tal proposito, un amico ha condiviso con me la seguente citazione di Jodorowsky:

“decisi di lasciarmi andare alla corrente, di non fare la minima resistenza al destino, in qualsiasi forma si presentasse. Niente che m’era successo finora era bastato a distruggermi; nulla era andato distrutto, se non le mie illusioni. Io ero intatto. Il mondo era intatto.
Domani poteva anche esserci la rivoluzione, l’epidemia, il terremoto; domani poteva non restare viva un’anima a cui volgersi per compassione, per aiuto, per fede. A me sembrava che la grande calamità già si fosse manifestata, che io non potevo esser più veramente solo che in quel preciso momento. Decisi che non mi sarei attaccato a nulla, che non avrei atteso nulla, che d’ora in poi avrei vissuto come un animale, una bestia da preda, un pirata, un predone.”

Riassume bene lo stato d’animo che ho cercato di descrivere.
Ti eclissi, oscurando la tua carcassa per proteggerla, per proteggere quel che ancora è restato intero.

“Nascondo quel che è rimasto di me stesso
Ma ora il tempo sta scadendo e sono ancora in questo posto”


Non so perchè ho sempre pensato a questa interpretazione, il bello di certi testi è proprio questo, ti si modellano addosso, ti entrano nell’anima e non puoi più farne a meno.
Pensando al tempo e alla sua fine, se di fine si può parlare, nascondi quello che ti è rimasto attaccato di buono dopo l’ultimo scontro con la vita, seppellisci quella parte di te per non rischiare di perderla del tutto ma la linea è sottile e così facendo rischi di rinunciare a questo luogo e a questo tempo.
Potresti pagare un prezzo molto più alto di quanto quella parte di te vorrebbe, la tua anima che si arrende e ormai sepolta, non è più in grado di protestare.

Per Kaos il seguente passaggio è forse una provocazione verso Dio?
Verso la promessa di un paradiso dove il dolore non esiste nonostante il peso di essere giudicati tutti colpevoli dalla nascita, macchiati dal peccato originale.

“Il resto è sentenza che mi ha visto già colpevole
Insisto su un punto debole: sto Dio c’ha troppe regole”

Ci si potrebbe domandare come può la semplicità dell’essere, dell’uno nel tutto, sottostare alla complessità imposta dalla religione che appare sempre più umanizzata, sempre più subordinata al pensiero dell’uomo con tutti i suoi difetti, sempre più lontana da quello che dovrebbe rappresentare, specchio della vera essenza di Dio.

Segue una delle considerazioni più comuni, una delle classiche domande che non è possibile evitare nel disquisire sull’esistenza di un Dio: perchè mai avrebbe creato il male?
Credo sia capitato a tutti di chiederselo almeno una volta nella vita e anche il passo successivo viene abbastanza naturale, il rendersi conto di non desiderare il perdono di nessuno perchè la colpa che ci è stata tramandata, l’affronto commesso dai progenitori dell’umanità, non sembra nemmeno lontanamente paragonabile alla cattiveria e all’ingiustizia che caratterizzano il nostro mondo terreno, considerato appunto un inferno fin troppo reale e tangibile.

^^^Nulla si crea nulla si distrugge

Con paradiso artificiale potrebbe far riferimento sia alla ricerca di un benessere riprodotto e sintetico, sia alla messa in discussione della sua vera esistenza, tornando al discorso delle imposizioni religiose e all’attribuzione antropomorfa che ne deriva.

Un’altro passaggio che risulta immediato è il constatare quanto tutto appaia capovolto e privo di ogni logica mentre si cerca di comprendere la sua legge che di nuovo, non fa pensare a un qualcosa di sacro e divino, ma si mostra più funzionale all’egoismo della nostra civiltà e alla sua viscerale necessità di dominio.

Kaos conclude la prima strofa sottolineando una contraddizione che può passare inosservata, nel Padre Nostro si recita: “non indurci in tentazione ma liberaci dal male” anche se da sempre ci viene insegnato che a tentarci è invece il maligno.
Un’altro dubbio che sorge spontaneo riguarda proprio la traduzione dal greco di quel verso, che è stata oggetto di controversia.
Alcuni ritengono sia esatta l’originale, tradotta letteralmente con il verbo “indurre” mentre per altri andrebbe sostituita con la più morbida e probabilmente politicamente corretta: “non abbandonarci nella tentazione”.
Sarà che si adatta sicuramente meglio alla narrazione della nostra cara Diocesi?
Perchè mettere in dubbio la correttezza della traduzione proprio quando iniziano a sollevarsi le obiezioni che fanno emergere le incongruenze con alcune parti della versione cattolica ufficiale? Uno spunto per approfondire.

Arriviamo così a riflettere sulla differenza tra due elementi che potrebbero essere considerati una cosa sola ma sembrano sempre più distanti l’uno dall’altro.
Da una parte la Chiesa come istituzione con tutti i coinvolgimenti che ne derivano, dall’ancestrale bisogno di controllo al più moderno e capitalistico interesse economico, la Chiesa strettamente legata all’uomo e di conseguenza inscindibile dalla sua innata corruttibilità.
Dall’altra parte la sacralità della religione.
Possono apparire come linee parallele che osservate da una particolare prospettiva sembrano sovrapporsi ma in realtà non si incontrano mai veramente.

Il ritornello parte con le parole che si pronunciano mentre si fa il segno della croce e racchiude nella frase successiva tutte le perplessità esposte nella canzone, Kaos fa riferimento ad un equivoco e si domanda quanto di veramente sacro ci sia in questo credo, che si trova in una situazione sempre più precaria.
Siamo immersi nelle tentazioni con dei comandamenti da osservare, siamo istigati a peccare, minacciati dalle fiamme e allo stesso tempo ricattati con la promessa della vita eterna.

Si apre la seconda strofa riproponendo un verso sul peccato originale e introducendo il libero arbitrio che non può di certo essere esercitato dal bambino nel momento del suo battesimo.
Allo stesso modo, non è stato interpellato nessuno, non è servito alcun secondo parere quando è stato creato l’inferno appositamente per punire chi disobbediva, nonostante Dio venga dipinto come misericordioso e disposto a perdonare tutto e tutti, un’altra contraddizione che fa notare Kaos in modo implicito stavolta, solo accostando all’amore infinito la creazione degli inferi.

Nel verso successivo quel “Dov’era?” potrebbe riferirsi di nuovo al concetto di libero arbitrio ma potrebbe anche essere rivolto direttamente a Dio, che nei momenti difficili viene invocato spesso e in mancanza di un segno ci si rassegna alla perdita della fede, alla scomparsa di ogni speranza.

Citando De Andrè:

“Non nominare il nome di Dio, non nominarlo invano
con un coltello piantato nel fianco, gridai la mia pena e il suo nome.
Ma forse era stanco forse troppo occupato, e non ascoltò il mio dolore.
Ma forse era stanco, forse troppo lontano, davvero lo nominai invano.”

Spesso quando si soffre a causa dei comportamenti “umani” ci si interroga sulla fede, il pensiero vola verso l’uomo fatto a immagine e somiglianza di Dio, la domanda sorge quindi spontanea, se davvero siamo le sue copie alberga anche in lui, come in noi, la parte oscura che è artefice o che permette le più ignobili atrocità?
Su questa linea arriviamo ad analizzare la figura di Lucifero che viene presentata dalla Chiesa come oltraggiosa e sbagliata.

Premetto, non è mia intenzione urtare la sensibilità di nessuno, non ho risposte in tasca e quello che sto per scrivere ha per me una connotazione esclusivamente simbolica e figurativa.
Cercando di mettere da parte ogni preconcetto, senza soffermarci a speculare sulle varie teorie riguardanti le differenze tra Satana e l’angelo caduto, prendendo in esame solo ed esclusivamente i “fatti” che la Bibbia ci narra e l’interpretazione del Cristianesimo, si potrebbe in effetti considerare il “portatore di luce”, appunto, come quello che appare: un semplice rivoluzionario, un dissidente che si è ribellato ed è stato esiliato.
Che abbia cercato di aprire gli occhi dell’uomo sull’illusione nella quale viveva la sua esistenza?
Tentandolo con quel frutto proibito, con l’albero della conoscenza?
Anche se può far inorridire perchè inverte ogni prospettiva, viene quasi spontaneo azzardare un paragone tra il regno dei cieli e il nostro sistema attuale, che mette al rogo chi dissente e chi è in cerca di verità.

Non poteva mancare una forte critica alla Chiesa.
Nonostante le belle parole scritte sul breviario a proposito degli emarginati credo che nemmeno il più convinto credente possa negare la presenza di questa forbice “invisibile” che sta dividendo i pochissimi ricchi dai moltissimi poveri.
Innegabili anche i rapporti con lo Stato e il sangue che è stato versato negli anni tra crociate e terribili delitti isolati, come non si può negare la sconfinata ricchezza in ballo.

Una sera, gironzolando a Roma, misi qualche moneta nel cappello di un senzatetto, uno che in strada ci viveva davvero, non uno di quelli con le scarpe in ordine.
Il mattino dopo mi ritrovai malauguratamente incastrata nei musei del Vaticano, in un soleggiato giorno di primavera, quando in realtà avrei voluto essere altrove, a Parco Savello magari…se non direttamente verso Roma Sud, al Villaggio Globale magari.
Ripensai alle scarpe di quell’uomo e l’infinita quantità di oro sparsa in ogni angolo mi parve indecente e mi fece venire la nausea, circondata da tutta quella opprimente magnificenza e da quello sfarzo asfissiante…quasi mi mancò l’aria.
Sono passati 15 anni e ancora ricordo, come fosse ieri, quel fastidio che grattava dall’interno e quella pressione che percepivo dall’esterno.
Iniziai quindi ad allungare il passo verso la porta con la freccia che indicava l’uscita, ma per ogni salone attraversato, dopo ogni fottuto corridoio, ecco una nuova fottuta porta con attaccata una nuova fottuta freccia.
Questa cosa amplificò le mie brutte sensazioni e alla fine mi spazientii, iniziai a correre.
Ve le immaginate le espressioni sui volti dei turisti?
Finalmente fuori, presi una boccata d’aria e sgattaiolai nel primo barettino che incontrai per farmi una birra, che in quel momento fu necessaria, come l’ossigeno.
Mi resi conto di quanto poco avessi in comune con realtà di quel tipo e di quanto sentissi il bisogno di allontanarmi.
Come Kaos, preferii la scomunica.
Aneddoto finito, possiamo andare avanti.

Quando fa riferimento al “disegno più grande” credo voglia andare oltre i recinti che la religione alza, per avvicinarsi alla vera essenza, per tentare di capire davvero chi siamo e perchè siamo qui.
I quesiti si moltiplicano perchè più ci si sforza di comprendere ma soprattutto più si crede di capire, maggiori saranno gli interrogativi.
Il sangue sulla lapide che si espande può rappresentare proprio l’efferratezza dei peccati della Chiesa ma essendo collocato appena dopo le domande che aumentano inesorabilmente con la consapevolezza, può allo stesso tempo essere paragonato alla sete di conoscenza che accomuna chi è in fase di ricerca da una vita.

“Penitenziatige” è l’abbreviazione in volgare di questa frase latina: «Poenitentiam agite, appropinquavit enim regnum caelorum», significa «Fate penitenza, ché il regno dei cieli è vicino» e considerati gli spargimenti di sangue sopracitati, non ha bisogno di alcun commento.

La terza strofa parte con un ultimatum che Kaos sembra dare a se stesso, rompere definitivamente e allontanarsi quindi per sempre dal mondo religioso o decidere di restarci incarnando le sue contraddizioni.
Ci mette un millesimo di secondo a scegliere, dopo tanto implorare e chissà quanti tentativi, dice basta, vivere una vita col collare per un’evanescente promessa di pace, anche se tra sicurezze ed agi, non è facilmente accettabile e sopportabile da tutti, inoltre è arrivato a pensare che ci sia davvero poco di “concreto” in quanto professa la religione, vista più come un’antica forma di controllo collaudata nei secoli, che come la vera espressione del divino.

Torniamo alla ricerca della verità che può sopraffare e consumare se non viene vissuta e gestita con lo spirito adatto a decifrare e a metabolizzare la crescita, se non si è disposti ogni tanto a lasciar andare, a volte ad accettare di tornarci quando sarà il momento e soprattutto ad avere la mente tanto aperta da riuscire a mettere continuamente in discussione se stessi e tutte le proprie certezze, per superare quindi ogni condizionamento, interno od esterno che sia.

Da sempre l’uomo detta legge provando a far passare le sue “verità” come assolute, tentando di nascondere quelle meno funzionali alla sua visione del mondo o peggio, ai suoi interessi, cercando di sopprimere tutte le alternative scomode.
Può essere dovuto ad un subdolo meccanismo mentale che ci spinge a voler avere conferma della nostra lettura?
A volerla rinforzare attraverso l’imposizione?

“In girum imus nocte et consumimur igni” è una frase latina palindroma, che da destra come da sinistra significa “Giriamo in tondo nel buio e siamo divorati dal fuoco”.

Lascio all’ultimo verso libera interpretazione anche perchè la mia si deduce facilmente dai paragrafi sopra e credo di essermi già dilungata troppo come al solito. 

“In girum imus nocte et consumimur igni”

~Lely~